L'altra campana

LA TERAPIA FILOSOFICA

23.

     Fiore di more,

se la sapienza è madre dell’agire,

ecco perchè non si sa più che fare.

     Fu già il sofista siculo perplesso:

“Tu solo esisti. Se ci sia qualcosa

fuori di te non sai; ma pur ammesso

ch’esista e che l’avverta, non sai cosa”.

Oggi che sophia è adulta,

non risulta cos’è il vero;

ma si sa che il buio è un bene:

solo mene dà il pensiero.

     Sposava il Dubbio la Ragione onesta?

Non dubitare; chiudi gli occhi e basta.

Sapere inerte che di sé si beffa,

che cosa nascerà dalla sua muffa?

     Scientifico, Epicuro non ha prova

che delle sensazioni; il resto è sogno.

E la Stoà concede che ci muova

gratuita decisione da bisogno.

Per il cinico è già troppo:

l’uomo è zoppo, cieco e sordo;

se non giudichi e non vivi,

sei con Divi e Dei d’accordo.

La scuola scettica esasperava fino alla epoké (sospensione del giudizio,  non giudicare di ogni Testamento) il probabilismo di Pirrone di Elide. Ma di scetticismo gnoseologico e di pretese terapeutiche appaiono impregnate tutte le scuole della Decadenza, di quella romana come, in precedenza, di quella greca. I filosofi più sagaci e acuti ci invitano a non fidarci neppure di ciò che vediamo… (Apuleio, Pro se de magia 53) Per Cicerone la filosofia non è più arte del sapere, ma del vivere: sapientia ars vivendi (De Finibus Bonorum et Malorum I,13). E la giustizia di per sé non esiste... Il diritto naturale non è che un patto di utilità reciproca fondato sul non recare danno e non riceverne… (Epicuro – III sec. a.C.)