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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 24/03/2015

L'OMBRA LUCRETILE - 5

Post n°1863 pubblicato il 24 Marzo 2015 da anonimo.sabino
 

     Per buona sorte dei “prigionieri” a Monteflavio come altrove, in quella occasione,fu scritta una delle più belle pagine della storia della solidarietà. I paesani che continuavano a recarsi ai loro terreni per le ripuliture invernali o alla macchia per legna finirono con l’adottare ognuno il gruppetto di prigionieri che vi trovava nascosto, per le poche grotte e nelle numerose capanne di paglia: ce n’erano moltissime, allora, non esistendo ancora strade rotabili di montagna e macchine dove ripararsi in caso di pioggia. Avevano alla base un muro a secco per un’altezza di un metro o due e nella parte superiore pareti spioventi coperte di stoppia e ginestra su telaio di travetti e di pertiche.

     Andando a far legna nella nostra macchietta della Corvara, a due passi dal paese, dietro Colle Cuculo, nostra mamma vi trovò, nella capanna, tre disperati, tutti inglesi. Scappò via per la paura, dopo aver promesso che sarebbe tornata col cibo. Restò a lungo dubbiosa se tornarvi o no, per il pericolo che ciò comportava, sia per lei, giovane donna, da parte di prigionieri verosimilmente affamati di tutto, sia più ancora da parte dei Tedeschi; che minacciavano la fucilazione di quanti avessero dato asilo o aiuto ai prigionieri e a quelli che il loro manifesto definiva disertori.

     Pensare che a scrivere quel manifesto, traducendo in italiano il loro dettato, aveva dovuto aiutarli Gino di Annibale, disertore ventenne. E mentre era costretto a prestarsi come interprete all’ufficiale tedesco, utilizzando il francese che aveva imparato nell’istituto religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane (Les Frères), trovava il tempo e il modo di corteggiare galantemente la figlia di sor Decio, il Podestà, e della contessa sua moglie. Si chiamava Danta, ma la chiamavano Tanta, per la giunonica appetitosità.

      Il Podestà se la filò, come la Casa Reale si era defilata da Roma. E tutti i nostri valorosi fascisti si rifiutarono di prendere il suo posto. Così i Tedeschi costrinsero ad assumerne l’incarico l’impiegato postale, Luigi Griscioli, futuro suocero di mia sorella, sotto la minaccia di deportare in Germania i due figli giovinetti, Luciano e Cesare.

 
 
 


 

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