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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 01/04/2015

L'OMBRA LUCRETILE - 11

Post n°1870 pubblicato il 01 Aprile 2015 da anonimo.sabino
 

     Di quei due anni, più delle ansie e dei successi scolastici, ricordo la mia vita di pastorello.

     Almeno nella buona stagione, quando nonno Angelo rimetteva il gregge nelle due grandi capanne ai piedi del paese, tutti i giorni che ero libero dall’impegno scolastico, mi alzavo di buonora e correvo alla Valle ‘e Pacinu con la paura che il nonno partisse senza di me.

      Se arrivavo per tempo, egli mi scodellava, prima che diventasse formaggio, una presa di giuncata, che era tenera e bianca come la mia pelle, diceva la mamma. E poi via, in un concerto belante, bravando le bestie davanti a noi. Le chiamavo a nome, come faceva il nonno, e indirizzavo i cani a raggiungere e raggruppare quelle che sbandavano. Specialmente le poche capre aggiunte al gregge, che a differenza delle pecore corrono e si arrampicano per carpire la fronda gentile degli alberi e dei cespugli, da loro preferita all’erba.

     “Meno male che ci sei tu, che puoi correre, adesso che io comincio a invecchiare”, mi diceva. Solo per darmi importanza, credo: era molto più efficace un suo fischio o un sasso lanciato a lato o davanti alla bestia, mai addosso (Pietà era un angelo anche con il suo gregge).

     A mezzogiorno, quando le bestie ammacchiavano (si stringevano cioè per la siesta), il nonno tirava fuori dal tascapane il nostro pranzo:

     “Pane e prosciutto, aria buona dappertutto”, commentava sentenzioso. Anche quando la pagnotta era condita solo con olio e pomodoro, quanto era buona! Oltre alla borraccia con l’acqua, portava una cupelletta di vino: “Tu devi solo assaggiarlo. Sei troppo piccolo”.

     Erano povere come noi, le nostre montagne. I carbonai continuavano a denudarle dei boschi e i numerosi greggi, a cui si univano i denti di vacche e cavalli, allevati a branchi allo stato brado, impedivano ai nuovi arbusti di diventare alberi. Eppure, anche apparendo seminude, nel grigio ametista del pietrame calcareo, che sapeva d’antico, ti riconciliavano con l’esistenza. Per erte e crepacci, in cerca di una radura verde o di una delle rare sorgenti riversate nei fontanili, mi sentivo rassicurato e ristorato dalla lucretilis umbra, appagato dalla continua alternanza di radure. doline e dirupi, eccitato dal profumo materno che ne emanava e dalla sequenza di mille panorami.

 
 
 


 

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