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L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi del 01/05/2015

TATA GIOVANNI - 15

Post n°1892 pubblicato il 01 Maggio 2015 da anonimo.sabino
 

     Tutte le “ricreazioni” ci riunivano sul terrazzone. Ed era sempre una bolgia di urti e di liti continue tra chi giocava a palla e gli indiani che si rincorrevano con i caubbòi. Fortuna che le pistole erano finte, oltre ad essere un lusso di pochi. Spesso la palla finiva oltre il parapetto. E allora consentivano a un “vecchio”di scendere a recuperarla. Così, quando la vigilante non era una cagnaccia, la dirigevamo apposta dalla parte dell’orto-discarica, per consentire a qualcuno di andarvi a ruspare.

     Chi ci veniva a far visita, passando prima davanti al cancello che dava accesso al cinema Alba, vi trovava una vecchina seduta a un panchetto. Vendeva liquirizie, caramelle, fumetti usati e  scuregge der Nègusse. Erano i nostri regali e le merci che ci scambiavamo. Le scuregge del Negus erano gocce di polvere pirica che, percosse nella pistola o sfregate sul muro, producevano uno scoppiettamento; vendute in piccoli nastri, erano il mio desiderio inappagato.   

     Quando eravamo stanchi di ruzzare per il terrazzone, qualcuno, Rodolfo o Gagliardi o Cinti, mi invitava a ritirarci nell’angolo, a cantare e a raccontarci i nostri sogni. Quanto sognavamo! E quanti sogni aggiustavamo, poi, nel raccontarli!

     “Ce stavo, io, ner sogno tuo? Ce stavo?”

     “Ce stavi sì…”

     Ma il protagonista del sogno restava sempre, con disappunto degli altri, chi lo raccontava. E nei nostri sogni c’era sempre il babbo fortissimo che non avevamo conosciuto, una mamma che era una madonna e una bambina che ci inteneriva il cuore. Elena, già. Io avevo una fidanzata. Non venne mai a trovarmi, benché abitasse non lontano, alla Garbatella; ma ne capivo benissimo gli ovvi motivi. Elena  entrava sempre in tutti i miei sogni; e nel raccontarli, la descrivevo come la fatina azzurra di Pinocchio.

    Era un istituto esclusivamente maschile, nel quale tutta la femminilità presente era quella espressa dalle scuffie e un po’ di più dai prosciutti di Palmira, quando riuscivamo a vederla; cioè quando lei veniva a bere al rubinetto di acqua potabile che c’era sul lato interno del terrazzone o a tendere una ciriola imbottita a qualcuno che riteneva più bisognoso. Talvolta a me. Era una schiava, povera Palmira.

 

 

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