Messaggi del 19/05/2015
Mangiavamo in piatti di alluminio regalati dalla fabbrica situata alla base della rampa del Castello, dietro la chiesa di Santo Stefano. Erano i suoi scarti; tanto butterati che era impossibile pulirli compiutamente. E a turni settimanali due di noi alla volta avevano l’incombenza di lavarli; come altri in coppia avevano quelle di apparecchiare e sparecchiare o di servire a tavola. Anche il servizio delle pulizie era assolto da tutti noi tra la colazione e la scuola: per ogni ambiente da coppie di probandi a turno, dormitori, studi, refettorio, chiesa, corridoi, scale, gabinetti, atrio e portico; tutti i locali, insomma, erano quotidianamente puliti e spolverati, strofinandovi prima la segatura inumidita e poi raccogliendola. Il prefetto passava poi a controllare, condannando, se la pulizia non era perfetta, a rifare tutto daccapo durante la ricreazione. Padri e Prefetti mangiavano a un tavolo a capo del nostro stesso refettorio, ma in piatti di ceramica e con menù del tutto diverso, prospettandoci così il nostro futuro decoroso status di Chierici Regolari Somaschi, come si firmavano, crs. Vino e olio venivano dalla vigna e dagli ulivi che circondavano il castello dal lato della città, verso mezzogiorno; mentre a pacina (come avremmo detto a Monteflavio), dalla parte dell’entrata di servizio, di cui ci servivamo per le passeggiate, fiancheggiava le mura del castello un castagneto rinaticcio che scendeva sul ruscello diretto ad alimentare una cartiera e una pestifera conceria prima di gettarsi nel letto del Pescia. Era Cecco, un vecchio silenzioso e ricurvo, ad occuparsi dell’orto e della vigna. Salendo o discendendo il selciato che attraversava quest’ultima, lo vedevamo spesso con una pertica in spalla e due secchi ai due capi, a trasportarvi i concimi aromatici del nostro capiente pozzo nero. Una particolare emozione ricevetti dalla prima distribuzione dei libri di testo, uno per ogni materia, al posto dell’unico testo delle elementari, quasi tutti usati, ovviamente, e con la raccomandazione di riconsegnarli a fine anno nello stesso stato. Li riponevamo nei banchi biposto delle nostre aule. Qualcuno rilegato più di una volta, alcuni sbrindellati, a più di uno qualche pagina mancante. Non m’importava: avevo i libri per studiare. Se il professore non era all’altezza (il giudizio degli alunni è inesorabile), potevo ricorrere a quelli che nonno Angelo mi aveva insegnato a considerare i migliori amici. |
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