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Il maestro - quinta conversazione

Il Maestro - primo atto – quinta conversazione
L'ESSERE UMANO E LA COSCIENZA DI SE'

09 giugno 2014
Di I. Nappini

Paolo Fantuzzi: Franco, questa tua abilità di leggere fra le parole è proverbiale. Da un termine riesci a leggere un mondo interiore. Hai capito al volo le mie preoccupazioni di soldi e roba simile. Sei bravo. Ma dimmi da dove viene questa tua abilità così singolare.

Clara Agazzi: Quello che ti sembra singolare si chiama studio della filosofia e della psicologia, ma fatto bene con professori seri, gente capace. Non tutti sono in grado d’ascoltare e pochi sono capaci di capire. Per questo tanta gente di cultura e di sapere pensa di parlare alle rocce, al vento, ai muri delle case coloniche in rovina, al silenzio delle periferie nel profondo della notte.
Perfino certi professori e maestri hanno questa impressione di affidare al vento i loro pensieri più alti, il loro sapere più saldo.

Stefano Bocconi: Ora però caro Franco devi aiutarci a capire come possiamo trovare dentro di noi un po’ di consapevolezza, di retto sapere. Siamo giunti qui da te e ora siamo tuoi ospiti in questo luogo di pace e tranquillità. Parla dunque, in modo che questo tempo non sia stato sprecato.

Franco: Pensi davvero che il tempo della persona avveduta, saggia, capace finisca sprecato?
Ora ascolta. Anzi… Guarda quel tronco. Era un albero malato. Mio fratello lo ha tagliato e ne ha anche fatto delle rondelle per certi lavori suoi. Vedi. Osserva i cerchi che s’inscrivono nel legno.
Ecco così è per me. La mia vita interiore è una serie di cerchi che s’espandono, ogni cosa e ogni evento è raggiunta da un cerchio, anno dopo anno. Mentre la materia della pianta è solida, quella della mente umana è simile a una sorta d’energia o a una distesa d’acqua.
Un fatto avviene e lascia cause ed effetti, e diventa un cerchio che s’espande e poi ne arriva uno diverso e poi altri. La mente si rafforza. La consapevolezza di sé e del proprio tempo appare come l’espansione progressiva di moti circolari d’acqua dentro uno stagno.
Così è per me la mia vita è cerchi di sapere, esperienza e consapevolezza che s’espandono con moto forte e progressivo. Ogni cosa è raggiunta da un cerchio e viene infine superata e compresa nel bene e nel male. Perché non basta subire o vivere i fatti e gli eventi della vita, occorre ripensarli, ripercorrerli, assorbirli, farne un pezzo del proprio esistere e vivere qui e ora. Per questo il mio giudizio sul mondo e su ciò che è reale è mutevole, perché la realtà stessa è in divenire. Questo vale per la natura e per il mondo umano. Quando la persona guarda e pensa il mondo guarda e pensa il mondo che può percepire, quel che può raggiungere con i suoi sensi e le sue capacità, la conoscenza della realtà e del suo divenire e trasformarsi è prima di tutto una condizione interiore, l’esito di un lungo vivere e ragionare. Talvolta devo staccare la testa e occuparmi di lavori o di questioni domestiche o fare piccole attività ludiche. Va da sé che l’esperienza meditata, resa conoscenza interiore è anche sofferenza, messa in discussione di se stessi, processo talvolta traumatico.

Stefano Bocconi: Quindi dovrei ripercorrere quel che ho fatto, rivederlo di continuo alla luce delle mie esperienze e dei miei valori. Questo pensando di continuo, di volta in volta, a passar oltre quel che ho fatto e vissuto. Accidenti. C’è il rischio di dover far i conti con i passivi della propria vita, di dover mettere fra parentesi vittorie e sicurezze fittizie, illusioni piacevoli.

Clara Agazzi: Occorre che uno abbia dei valori e dei principi, delle regole di vita tratte dalle esperienze altrimenti non c’è lo strumento per visualizzare i contenuti e il senso del proprio vivere.
Se non sai chi sei non avrai lo strumento per capire quel che ti è successo in questa vita e cosa stai diventando.

Franco: Davvero è così. Occorre ritrovare se stessi e capirsi. Di solito ciò che uno fa è ciò che uno è, e da questa banale evidenza si viene giudicati in modo superficiale dalla stragrande maggioranza delle persone con cui si viene in contatto o che si frequentano.

Paolo Fantuzzi: Vero. Uno crede di esser chissà chi e invece per il padrone o l’imprenditore è solo una matricola, un numero, un segno più o meno sul programma che gestisce i conti, sul foglio dove si segna il dare e l’avere. Si viene usati e giudicati sulla base del guadagno o dell’interesse che possiamo rappresentare per gli altri. I rapporti far gli esseri umani oggi nella civiltà industriale, di solito, seguono le leggi del mercato, le regole del dare e dell’avere. Così è messo il nostro tempo.

Franco:Questo è vero. Ma c’è anche una dimensione personale, intima. Si viene giudicati e siamo giudicati. Si finisce con giudicare se stessi spesso sulla base dei guadagni e dei beni posseduti perché quello è il metro comune. Ma esiste anche quella parte nella quale uno è se stesso e integra dentro di sé tutta l’esperienza della sua vita terrena. Il problema è il fine, lo scopo di una vita intera.
Questo è qualcosa di difficile a dirsi perché rimanda al senso della vita di ogni singolo, e di solito è una scelta unica e categorica.

Clara Agazzi: Andiamo però ora al fatto che in paese tanti non capiscono cosa fai davvero. Un contadino che studia, che scrive e non è politico, non è pubblicista, non è professore o maestro.
Devi deciderti a renderti più limpido per gli altri. Cosa vuoi davvero insegnare o cosa vuoi comunicare con questo tuo modo di porti? Il modo di presentarsi incide non poco sulle forme del comunicare e sul come il messaggio viene recepito. Noi qui tuoi amici comprendiamo questo tuo parlare al vento e agli alberi, ma gli altri? Non dovresti a mio avviso sprecare l’occasione di aprire il tuo pensiero ai molti anche se ti sembrano superficiali o inetti. Parli di consapevolezza che si espande nel corso dello scorrere della vita come i segni delle stagioni negli anelli degli alberi, ma chi se non pochi possono ascoltarti quando sono presi da mille guai e mille affari della vita.

Franco: Quelli che cercano di andar oltre il titolo, il segno, il ruolo sociale e si accostano a me con sincera curiosità e simpatia trovano, di solito, delle risposte. Ma dici il vero: in me c’è una sottile misantropia, chiedo agli altri di accettare il mio sapere e il mio parlare alle mie condizioni e non alle loro. Come se volessi sottintendere che io sono un gradino sopra.
Ma non sono, in verità, né sopra e nemmeno sotto. Sono oltre. Sono al momento in cui mi vedo dentro il flusso del mio tempo e della storia che ho vissuto e posso parlare con distacco di quel che ho capito di questi anni e delle lezioni di vita che ho ricevuto e ho fatto mie.
Per questo mi sono liberato da quella ignoranza che è il non ritrovare più le proprie intime ragioni in un mondo umano aggredito dai troppi inganni della politica e dei media, da suggestioni e messaggi del mondo dello spettacolo fuorvianti, diseducativi e ingannevoli, dallo squallore del quotidiano.

 
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