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Il maestro - sesta conversazione

Il Maestro - primo atto – Sesta conversazione
Lo spettacolo dell’informazione

Di I. Nappini
11 giugno 2014

Clara Agazzi: Bene hai trovato il tuo equilibrio, il tuo intimo sapere. Ottimo.
Tanti non ci arrivano neanche in punto di morte, neanche cercando per tutta la vita.
Ma non c’è qualcosa di esagerato, di fuori posto? Andiamo una persona della tua cultura. Con un titolo. Perché esporti al pericolo di esser scambiato per uno dei tanti, per uno che parla al vento.
Non credi sia un doveroso atto di rispetto verso te stesso almeno accondiscendere a qualche compromesso. Vorrai avere un po’ di considerazione dai molti, di ascolto.

Paolo Fantuzzi: Vero. Perché questo tuo ritirarti e poi nello stesso tempo esser attivo, partecipare a eventi, a pubblici dibattiti, talvolta ti metti scrivere, a raccontare ma sempre senza una qualifica, senza quel qualcosa che ti segnala come giornalista, politico, pubblicista, professore…

Franco:Questo accondiscendere che vuol dire?
Forse far finta di esser d’accordo con i molti?
Ma se faccio finta non sarò credibile neanche a me stesso.
No amici. Qui non si tratta di ribellismo o disobbedienza infantile, proprio perché i molti non sono più una civiltà o un popolo con una sua cultura antica e ancestrale. Io devo cercare da me il mio non uscire di squadra.
Se davanti a me avessi un popolo che è una civiltà compiuta, forte, seriamente impegnata verso un fine universale o sacro allora potrei dire: “davvero io devo seguirli per quanto è possibile”.
Ma così non è. NON SI PUÒ CHIEDERE A UNO STUDIOSO, A UNA PERSONA CHE HA PASSATO ANNI A PENSARE E A PARLARE DI FAR FINTA CHE CI SIA ORDINE DOVE C’È SOLO DISORDINE O CHE CI SIA UNO SCOPO COLLETTIVO DOVE C’È SOLO IL FUNESTO VORTICARE DI MILLE EGOISMI INDIVIDUALI.
Ma guadate ora proprio da qui.

Franco fa segno con la mano, indica un punto verso la valle

Guardate le periferie fatte in fretta e furia quattro decenni fa costruite per valorizzare i terreni agricoli, per creare super profitti e prima ancora di posare il primo mattone o di far arrivare la prima betoniera con la pura decuplicazione del valore dei terreni.
Sembrano senza forma se confrontate con le mura medioevali o con le ville del rinascimento o del settecento che sono in zona. E SONO SENZA FORMA PERCHÉ SONO IL SEGNO DELLA DISSOLUZIONE DELLE CIVILTÀ PRECEDENTI SENZA CHE VI SIA STATA ALCUNA CONTINUITÀ GENUINA.

Franco si rilassa. Abbassa la mano, in lui una luce di consapevolezza.

Come può il mondo umano del qui e ora che ha tolto di mezzo il suo passato, che ha liquidato il bene e il male di mondi culturali operai, borghesi, contadini, popolari di cui era discendente venire da me e dirmi: “DAVVERO NOI SECONDO VERITÀ E GIUSTIZIA ABBIAMO DEI FINI, VOGLIAMO ELEVARCI COME CIVILTÀ, VOGLIAMO ESSERE NOI STESSI IN QUESTA VITA CONCRETA; ASCOLTACI E SARAI ASCOLTATO”.

Stefano Bocconi: Tutto vero. Ma ci sono i molti e c’è il singolo e nello specifico tu. Se il mondo muore, ma io sto mangiando un succulento gelato al limone e fragola allora proprio io sono felice, viceversa se il mondo è felice ma mi sono tirato una martellata sui piedi, io soffro.
Magari il mondo è felicissimo per chissà quale motivo ma io no.
Nel mio godere del gelato o soffrire della martellata, io sono il mio centro del mio mondo, e in fondo del mondo che non ha un rapporto con me di qualche utilità me ne frego.
Quindi dico: perché non fai contenti un po’ di cretini e di ottusi e prendi una qualche qualifica che ti giustifica ai loro occhi, in fondo che sarà mai. Fallo per noi, così sarebbe più semplice…

Franco: Più semplice cosa, ascoltarmi?
Ma se vi dà fastidio posso venire di notte da voi, magari di nascosto. NO NON È QUELLO, QUANDO UNA COLLETTIVITÀ CESSA D’ESSERE TALE E LO È SOLO PER FINTA, ALLORA È LECITO CHE CHIUNQUE SI RIPRENDA TUTTA LA SUA LIBERTÀ DI PENSIERO. Quello che io faccio, e proprio in nome di questa libertà, che capisco può portarmi a credere cose grossolane e perfino errori, che mi permetto di prendere la parola, di scrivere e di dialogare, per amicizia, per stare assieme, per capire.
Non esiste per me un pensiero positivo per cui devo fingere di vedere cose positive per evitare di dover dispiacere ad altri o far male al mio fegato con i cattivi pensieri.
L’appartenere a una categoria semplifica, chiarisce. Questo lo capisco. Chi sei?
Sei un giornalista, sei un professore, sei un politico, sei un divo del cinema o del piccolo schermo.
Allora hai dei titoli per parlare. Si noti che questo comunemente non è associato al sapere, a un vero conoscere.

Prendiamo il caso di una velina, così si chiamano comunemente le belle donne che fanno da spalla ai conduttori. Bene. Queste persone spesso sono intervistate su questioni sportive, magari solo perchè hanno il fidanzato calciatore o cose del genere, sono chiamate a ragionare di questioni sul calcio. Cose per le quali per dare una risposta sensata occorre esser giornalisti sportivi o dirigenti o allenatori. Eppure il loro parere è richiesto. Allora di che si tratta? Di professione. No di ruoli. Ruoli! A una certa categoria è attribuita la facoltà di dire e di salire in cattedra su determinati argomenti o temi, ad altre no.
Conta ciò che uno sa davvero? No. A meno che in qualche trasmissione per convenzione con regista e conduttore un tipo che la sa lunga possa in due o tre minuti dire la sua seduto in mezzo al pubblico, magari un pubblico di figuranti, di comparse. Questo è il punto nel quale la persona che ha studiato è collocata, e non mi si dica che c’è internet. I molti non si collegano a internet ma accendono il televisore per vedere le trasmissioni televisive e più sono dozzinali più hanno ascolti e più sono rilevanti anche per la politica.

Clara Agazzi: Questa è la quotidiana illusione di uno spettacolo che si chiama informazione.
Dove l’esperto non è uno che sa ma uno che è famoso o che piace e questo basta, dove il pubblico è fatto spesso di comparse, dove la sceneggiatura è già scritta, dove il politico conosce le domande che verranno fatte, dove il regista dello spettacolo gestisce l’immagine degli intervenuti al dibattito con un click spostando l’immagine da una parte all’altra… cose che si sanno.
O meglio che si dovrebbero sapere.

Franco: Dovrebbero? Ma proprio i molti di cui si parla non sanno. Ignorano perfino come funziona la comunicazione pubblicitaria, come funzionano gli spettacoli televisivi, come si costruisce uno spettacolo che prende il nome d’informazione ma è solo intrattenimento.
ALLORA LA DOMANDA VOSTRA VA ROVESCIATA, QUEI MOLTI DI CUI PARLATE VOGLIONO DAVVERO METTERE IN DISCUSSIONE ANCHE UN SOLO FRAMMENTO DEL LORO LINGUAGGIO QUOTIDIANO, I LORO PENSIERI BANALI, LA LORO VISIONE DELLA REALTÀ MUTUATA DALLA TELEVISIONE, DALLA CRONACA ROSA, DALLA CRONACA SCANDALISTICA E DALLA PAGINA DELLO SPORT DEL LUNEDÌ?
Evidentemente no. Allora io che cosa posso comunicare se non le mie opinioni sulle condizioni meteorologiche della giornata?

 
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