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Allegoria della seconda repubblica

De Reditu Suo
Allegoria della Seconda Repubblica

La fortuna ci consegna questo scritto ritrovato in una remota biblioteca, gli esperti lo attribuiscono al  sommo teurgo di Cerreto, il grande evocatore del fantasma del Doppio Meridione e uomo sommo per saggezza, dottrina e competenza nell’arte della divinazione politologica. Si tratta di una copia in cinque fogli della “Allegoria della Seconda Repubblica” certamente una delle copie più antiche, qualcuno ipotizza che possa essere perfino l’originale.
Primo foglio.
Accadde nel primo giorno della settimana. Si trattava di un grosso animale, più grande di quelli che si trovavano di norma nella zona; aveva addosso una qualche specie di bardatura che denunciava il fatto di essere una bestia che aveva avuto un ruolo nella società umana. Forse era stato un bue maestoso, o forse un grande cavallo montato da chissà quale gentiluomo in occasione delle feste civili o religiose. Adesso era un cadavere, una carcassa fredda abbandonata proprio nel mezzo della piazza del paese a metà fra la chiesa e il palazzo del podestà. Il corpo stava andando in decomposizione, il tempo era sfavorevole alla conservazione delle carni perché la primavera era finita e il vento caldo annunciava l’estate.
Non era chiaro chi dovesse prendersi cura di rimuovere quel corpo. La piazza era del potere civile proprio come di quello religioso e anche della gente del luogo e perfino dei mercanti e degli ambulanti che si recavano lì per il mercato, ma nessuno voleva far una cosa che non era ritenuta di sua competenza. I popolani, le guardie, il podestà e il monsignore semplicemente ignoravano la cosa e volgevano lo sguardo altrove. La piazza era pubblica. Talmente pubblica che nessuno la riteneva propria, luogo di tutti e di nessuno e questo suo essere di nessuno la rendeva priva di cura. Alcuni fra gli abitanti ritenevano che la carcassa dovesse esser rimossa a spese del monsignore in quanto il giorno della fiera in onore del miracolo del Santo Patrono era prossimo e la piazza doveva esser pulita e sgombra, altri ritenevano che il potere civile dovesse farsi carico della cosa. Si accesero per il paese delle discussioni, anche violente, ma la carcassa restò lì a decomporsi.
Tra il quarto e il sesto giorno l’aria intorno alla carcassa cominciò a guastarsi, la carne si stava lentamente sfasciando e affioravano le ossa e le viscere ormai preda delle larve.
Con indifferenza le genti del borgo assistevano al disfacimento del corpo, forse si trattava di un presagio di qualcosa che sarebbe accaduto o forse era un simbolo di qualche fatto misterioso che era già avvenuto da anni e che nessuno aveva considerato o compreso. Il corpo lì rimase fino al settimo giorno.

Secondo foglio
Erano in cammino fin dalla metà della notte, chi a piedi portando a spalla il fagotto con le poche cose da vendere e chi con il sacco in spalla, chi con  qualche veicolo carico di casse e imballaggi, tante luci si muovevano nell’oscurità dirette alla piazza del paese. Il giorno di mercato si teneva in onore di un miracolo del Santo Patrono, il venerabile al tempo della calata dei barbari aveva pregato e fatto penitenza e Dio aveva indirizzato il furore degli stranieri altrove risparmiando il miserabile borgo di allora dalla strage e dal saccheggio. Per questo dalle campagne vicine approfittando del giorno lieto di festa giungevano in tanti per fare i loro affari al mercato. Ma l’alba non era ancora sorta quando i primi commercianti arrivati per prender posto s’accorsero del tanfo e del corpo; non avevano previsto una cosa del genere e essendo litigiosi e discordi urlavano e bestemmiavano a voce alta ma non si mettevano d’accordo fra loro. Si presentò alla loro vista un piccolo essere seguito da una mezza dozzina di servitori brutti e deformi che quasi nascondevano i loro corpi con ampie vesti, cappelli e con cappucci calati, gli infelici trascinavano un carretto con degli attrezzi. L’essere che li guidava era il più basso di tutti una veste da medico degli appestati lo copriva da capo a piedi, un paio di scarpe con dei vistosi tacchi rivelavano quanto fosse basso, il volto era coperto dalla maschera a forma d’uccello tipica di coloro che assistono i contagiati; qualcuno addirittura giurò di aver visto una coda da rettile uscir fuori da quel vestito altri affermarono che il rumore dei suoi passi aveva qualcosa di strano come se i suoi piedi fossero di pietra. Il nano salì su una cassa e parlò grossomodo così ai mercanti:”Amici sfortunati, mi conoscete di fama mi chiamano il nano del cielo perché vivo sul monte, lontano dagli uomini e vicino alle nuvole. Io vi osservo dall’alto e guardo questa piana stretta fra le colline e i monti e vedo i vostri affanni e i vostri desideri e le vostre iniquità con l’occhio del falco. Più volte avete chiamato me e i miei servi deformi per fare dei lavori che altri non volevano fare. Oggi posso aiutarvi e togliere l’ingombro ma voi mi darete una triplice ricompensa. Nel giorno del miracolo è costume che la decima parte del guadagno vada alla chiesa in segno di riconoscenza ma voi oggi la verserete a me perché vi ha deluso con il suo silenzio.  Un altro decimo voi lo versate al podestà che è il braccio armato della legge e dell’ordine ma voi mi donerete anche la sua parte perché non ha fatto il suo dovere.  Infine mi verserete quella decima parte che è quella che spetta a Dio per l’elemosina e le pie opere di carità poiché egli si è ritirato dal vostro mondo e in questa ultima parte della notte non è qui con voi. Per i tre decimi del vostro guadagno vi darò la vostra piazza e toglierò il corpo morto che ostacola il profitto del giorno di festa.” I mercanti e gli ambulanti si guardarono negli occhi nessuno si fidava l’uno dell’altro. Il nano stravagante prometteva di far fare ciò che loro non potevano neanche iniziare. L’inimicizia che regnava fra loro era troppo grande per trovare un’intesa su una cosa che comportava lo sporcarsi le mani e rischiare un’infezione, accettarono quindi le condizioni del nano. Uno per uno giurarono sulle sue mani che avrebbe avuto la parte di Dio, della chiesa e del podestà.

Terzo foglio
Giurarono tutti quanti ponendo le loro mani sopra quelle del nano del cielo. I guanti neri da medico  degli appestati furono toccati da una piccola folla eterogenea di mani le più diverse: c’erano quelle lisce e morbide degli usurai che prestavano di nascosto i soldi, quelle pulite delle prostitute, quelle fredde dei venditori di pesce, quelle grassocce dei dettaglianti di formaggi e salumi, quelle screpolate dei rivenditori di attrezzi agricoli, e quelle inanellate dei merciai e dei rivenditori di vestiti; perfino qualche disperato dalle unghie sporche che portava in un fagotto le sue tre o quattro cose da rivendere per far due o tre soldi mise le sue mani sopra quelle del nano. Mille storie e mille disagi erano disegnati sui volti e sulle mani di coloro che per guadagno offrivano la parte dovuta ad altri al nano, ognuno aveva avuto qualche disgrazia o si era elevato un poco lasciandosi alle spalle la povertà, oppure era salito nella scala sociale fino a diventare un venditore ambulante. Tutti volevano il loro guadagno erano lì e non se ne sarebbero andati senza aver udito un familiare tintinnar di monete. Tutti offrirono la loro parola e la loro dignità. Il nano ricevuto l’omaggio urlò qualcosa di brutale ai servi deformi ed essi indossarono dei guanti e tirano giù dal carretto dei teli, delle asce da boscaioli e dei ganci e certe aste di legno. Il nano prese da un fagotto una grande ascia nera, e iniziò a colpire il corpo in alcuni punti frantumando le ossa e facendo schizzare per  ogni dove i frammenti decomposti.  In molti lo osservarono con cura perché volevano constatare se era vero quel che si diceva di lui, e se aveva davvero i piedi di pietra a causa di una maledizione e se davvero una coda di rettile era nascosta dalle sue vesti, altri lo fissavano con misto di repulsione e di attrazione perché turbati dalla sua opera.  Quando cominciarono a mostrarsi le prime luci egli interruppe la sua opera e chiamò i servi a sezionare le parti della bestia che aveva spezzato, i servi deformi divisero le masse informi in alcuni mucchietti usando lame e seghe create in origine per tagliare i tronchi dei pini, sistemarono le carni decomposte sopra dei teli dopo averle spostare con dei ganci e le infagottarono. A suon di pugni e calci il nano comandò che i suoi servi legassero i ripugnanti fagotti alle aste proprio a metà di esse. I servitori presero le aste così appesantite per le estremità e furono in grado di portare agevolmente via quella materia puzzolente. Il nano salì sul carretto  e disse:”Amici, tornerò quando la luce che ora mi caccia da questa piazza sarà debole e allora verrò a chieder conto di quanto da voi promesso.  Avete guadagnato il vostro tempo e vostro è questo giorno di luce sta a voi ora farlo fruttare e trasformarlo in denaro che gira di mano in mano e che crea il nostro mondo fatto di cose morte e vive che vengono vendute e comprate. Oggi tutto ha un prezzo e questo è il mercato la rappresentazione più schietta di tutta la nostra realtà, con dispiacere vi devo lasciare perché qui sento una forza vitale che è affine al mio spirito”. Ciò detto il Nano e i suoi servi abbandonarono il luogo in modo che la sua schiera di portatori deformi e odoranti di morte e decomposizione non disturbasse gli acquisti della gente venuta dalle campagne al mercato del paese. Fare affari al momento giusto era una cosa importante, di mezzo c’era il tempo perché la vita è breve e un soldo non guadagnato oggi non potrà essere investito domani e non darà un profitto dopodomani. Il denaro vive di lavoro e di tempo, se mancano questi due elementi può sparire come per magia. Il nano lo sapeva meglio di tutti loro e aveva scelto il momento giusto per imporre il suo prezzo e la sua volontà. Tutti ne erano consapevoli ma fingevano di non aver capito, c’era da guadagnare quel giorno, e tutto il resto non contava più nulla.

Quarto foglio
I mercanti, i barrocciai, e gli ambulanti trassero dei sospiri di sollievo, il mostriciattolo stava sparendo dalla vista con il suo seguito di esseri indegni. Il nano aveva fatto il suo lavoro e fin qui le cose andavano bene, chissà come mai aveva chiesto proprio la parte altrui. Ma erano pensieri inutili, pensare troppo non è bene per chi vive di vendere e comprare e deve spostarsi di qua e di là per piazzare la sua merce o per strappare a un concorrente un buon affare. Il mattino era alto nel cielo e gli affari dovevano assorbire tutta la volontà e la capacità di concentrazione di coloro che si presentavano in piazza per vendere e per comprare. Questa concentrazione in un solo luogo di diversa e varia umanità creava un piccolo mondo ora ridicolo, ora pittoresco. Là gentiluomo ben vestito contrattava il prezzo di una collanina da poco per la sua giovane amante con un venditore di cianfrusaglie e al suo fianco un mascalzone cercava presso il rivenditore di ferraglia degli attrezzi per fare un furto con scasso, nel mezzo della piazza un paio di saltimbanchi stupivano il pubblico per qualche moneta e un ciarlatano attirava qualche ingenuo con la scienza del suo truffaldino sapere. A pochi passi da costoro un monaco impartiva benedizioni cercando qualche piccola donazione, alcuni contadini esibivano sui loro carretti frutta e verdura di stagione con la speranza di cavar abbastanza per comprar medicine e qualche coperta per il prossimo inverno, perfino un mendicante esibiva qualche moneta per pagarsi una bevuta di vino e un paio di stracci per coprirsi. Non lontano da un muro usato come pisciatoio per i cani un tale, con qualche turba religiosa in testa, chiamava a raccolta i credenti contro il peccato. Il fanatico era di fatto ignorato e non lontano da lui i venditori di vestiti e di piccoli oggetti richiamavano una folla di donne che cercavano un piccolo affare per portar a casa qualcosa con la certezza di aver spuntato un buon prezzo e non di esser state fregate. Gli occhi delle signore brillavano di avidità e d’illusioni mentre i gli ambulanti declamavano la loro merce e raccontavano loro ciò che volevano ascoltare. Il venditore di pentole e di oggetti in rame, con una faccia da straniero del sud, aveva raccolto una piccola folla. Dava qualche colpo ai suoi oggetti e li faceva risuonare per far sentire che c’era anche lui e che la sua mercanzia era bella e valida. I bambini erano indecisi se era più interessante quella strana persona o il venditore di piccoli oggetti e giocattoli da poco, il maestro del paese intanto cercava la carta e il materiale per scrivere. Al centro della piazza un vecchio vendeva vecchi vestiti e scarpe usate cercando d’imbrogliare i clienti sulla qualità della merce, a sinistra del suo banco aveva il venditore di dolciumi e a destra quello di vino.  L’uno attirava i bambini pieni d’illusioni sulla vita, l’altro i vecchi delusi dall’esistenza che cercavano un conforto alternativo a quello del prete con due litri di rosso scadente. Qualcuno era felice e fra costoro il sensale di maiali, quello di pecore e il tale che combinava matrimoni e fidanzamenti. I tre erano seduti comodamente nella bettola che faceva da taverna e da albergo per i forestieri e guardavano con interesse lo spettacolo di quel mondo umano in movimento e rigiravano fra le mani qualche buona moneta. I tre pensavano che anche loro avrebbero avuto una parte di quel fluire di denari per il paese grazie ai loro commerci di lana, pecore, carni suine e ragazze da maritare. Intanto il tempo passava, le voci si facevano meno insistenti, e le ombre s’allungavano. Stava arrivando la sera e la piazza iniziava a spopolarsi, il mercato era quasi finito era venuto il momento di far gli ultimi affari svendendo la merce invenduta, di lasciar gli scarti per terra per la gioia dei miserabili e dei pezzenti e dei bambini abbandonati a se stessi. Era l’ora e di far i conti del guadagno del giorno e quindi  di mettere in mano al nano del cielo le tre parti che gli erano dovute.

Quinto foglio
Quando le ombre della sera si allungarono e annunziarono la notte tornò il Nano con la sua veste da medico degli appestati e assieme a un personaggio vestito di oro, di nero e di rosso con una maschera da antico attore di teatro sul volto. Lo presentò come  il suo cassiere e assieme a lui prese le tre parti del compenso che finirono in una borsa di pelle marrone e le somme versate vennero annotate in un registro. Erano una coppia molto buffa un essere piccolo e vestito da medico degli appestati e un tale spilungone vestito in modo eccentrico che in modo cerimonioso s’inchinava quando doveva aprir la borsa per far cadere i denari e annotava con scrupolo le somme. Quando la coppia andò via i mercanti, gli ambulanti, i ciarlatani e i barrocciai iniziarono a contare il guadagno rimasto e fu allora che cominciarono a farsi sempre più intensi dei suoni. I garzoni stavano riponendo le merci sui carri e tutti erano prossimi a partire quando dal pozzo posto su un lato della piazza emerse una sorta di fantasma. Era lo spirito del pozzo, chi fosse stato davvero non era noto, o forse i paesani stanchi di ricordare la gente onesta l’avevano dimenticato, o forse lui stesso aveva perduto il suo nome poiché le cose cambiano e gli umani non restano mai gli stessi. La sua apparizione destò disprezzo e divertimento, da tempo era noto che il fantasma era ridotto solo ad essere una vuota voce che si perdeva nella notte e che sibilava al calar delle tenebre. Così andò profetando l’antico spirito:”Malvagi, cosa avete fatto! Avete dato la dignità del potere a un nano maligno, deforme e maledetto per le sue magie, a un essere empio dalla lingua bifida come i biscioni che strisciano nella nera terra. Avete dato a costui la dignità di Cesare quando gli avete ceduto la parte che spetta al podestà, l’avete onorato come l’Altissimo dando ad esso la parte che spetta al suo prete e infine dando la parte vostra dedicata a Iddio avete tributato culto a un essere composto di pietra, ossa, carne e nero sangue. Cosa credete di aver fatto! Io so perché siete così iniqui, perché deridete questa voce che sibila nella luce di questo giorno che muore, perché disprezzate così tanto la vita e tutto ciò che è sacro. Io so che voi siete già morti, ombre spente di un mondo che non c’è più, avidi esseri travolti dal mutare delle cose che voi stessi create con il vendere e il comprare. Voi avete distrutto il vostro piccolo mondo umano per avidità e oggi vi prostrate per una fede interessata e meschina al nano che è sceso dal monte e dal cielo per mostrare a tutti i viventi le nostre deformità morali e la perversione dei nostri costumi.  L’animale che ha spezzato, segato, diviso e fatto portar via dai suoi servi infelici era una nobile bestia, voi tutti l’avete ammirata e in altri tempi e l’avete posta a tirar il carretto con l’immagine del patrono, l’avete vista alla destra del Podestà e a sinistra del monsignore. Adesso che avete rinnegato la vostra antica fede la morte ha mutato ciò che era nobile e vivo in un corpo senza vita e decomposto. Solo voi date al nano del cielo il potere di decidere sul giorno del mercato, di prendere ciò che è di Dio e ciò che è di Cesare; la vostra discordia è il suo potere, e a costui oggi avete tributato culto. Malvagio è colui che prende ciò che non è suo e despota colui che compensa con i beni altrui i suoi favoriti, voi siete stati despoti e malvagi contro voi stessi. Siate dunque maledetti fino al punto di sprofondare nel vostro scellerato egoismo e sparire con esso nel profondo della nera terra. Possa il vento che soffia sulle vostre porte e sulle vostre finestre ricordarvi ogni notte la malvagità della vita vostra e dove essa vi porterà.”
Dopo aver sibilato le sue maledizioni il fantasma si calò nel profondo del pozzo. I mercanti e gli ambulanti non avevano più nulla da fare in quel luogo, accesero le loro luci e le loro lanterne e si misero in cammino, lentamente perché la stanchezza era tanta, i passi pesanti e la strada lunga.

Note dell’autore
L’Allegoria della Seconda Repubblica che presento è parte di una raccolta di scritti che ho denominato De Reditu Suo in onore di un antico poeta e uomo politico della fine del mondo antico e dell’Impero Romano.
Comunque il motivo centrale dei miei scritti, non ancora finiti peraltro, è quello di pensare a un ritorno con la memoria al passato di queste due Repubbliche italiane per capire il presente e provare a immaginare un futuro possibile. Questo è il motivo e alcuni aspetti della mia riflessione sono vagamente simili a quella di Namaziano che ricordava nel suo poema il padre magistrato di Roma, i fasti dell’Impero , la gloria ”eterna” di Roma al tempo della calata dei Goti. Il mio ritorno è immobile a differenza di quello del poeta pagano che ha viaggiato in mezzo al disastro delle invasioni barbariche. Il mio è un fissare il dissolversi e il decomporsi del passato e un guardare dalla finestra un mondo che si esaurisce lentamente per far spazio a qualcosa di nuovo e incerto, qualcosa che nasce deforme e infelice perché deve ancora dare senso alla sua ragion d’essere e alla sua felicità. Questo qualcosa è il futuro che vedo lontano ben oltre questa Seconda Repubblica.
Con l’Allegoria volevo rappresentare il formarsi della Seconda Repubblica Italiana che colloco nel 1994 quando vanno al poteri tre partiti politici che non erano parte dell’Arco Costituzionale e la loro storia recentissima non poteva presentare padri nobili della Resistenza Italiana o un contributo alla creazione della Costituzione Italiana. Riassumerò in questa seconda e terza nota  le cose più importanti e forse evidenti. 
La Seconda Repubblica non si è ancora data una sua Costituzione che ne rappresenta la natura e l’indole, essa vive sulle macerie della Prima; il risultato è che si annunciano riforme istituzionali “epocali” mentre è ancora in vigore la Costituzione attuale, questo a mio avviso crea amarezze e dolori in quanti hanno davvero creduto nella Prima Repubblica e in alcuni dei suoi principi. Il ruolo politico e culturale del Cavaliere, che va distinto dalla sua persona e in parte dalle sue vicende giudiziarie di cui narra quotidianamente Travaglio, è stato quello di liquidare e far portar via almeno quella parte delle macerie della Prima Repubblica che ostacolavano i ceti socialmente elevati della popolazione e l’ordinario rapporto fra mondo degli affari e politica. Penso all’elogio del Libero Mercato e alla Precarizzazione del Lavoro che contrasta con il principio lavorista del primo articolo della Costituzione. Vi ricordate: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro.” Il principio insito in questa piccola frase è che il lavoro è fondamento sociale della Repubblica e il valore basilare della vita collettiva. Quindi la Costituzione che è stata “ereditata” dalla mia generazione sottrae sul piano morale e giuridico il lavoro dall’opera della mano invisibile del mercato. Il che mi porta a dire che il precariato è qualcosa che stronca l’art.1 quando diventa la forma principale e caratteristica del lavoro; il motivo è semplice perché non si possono fondare esistenze sociali o collettive su qualcosa che oggi c’è e domani può sparire perché l’azienda si trasferisce in Cina o in qualche paese dell’Europa dell’Est o in Viet-Nam. Quindi Berlusconi, aldilà di quale sia stata la sua autentica volontà, a mio avviso ha rappresentato questo: lo smantellamento di un sistema di valori e di modelli  culturali e politici già morti e in stato avanzato di decomposizione con il crollo del Muro di Berlino e Tangentopoli. Quindi il nano in realtà non s’identifica con la persona ma con il ruolo storico che ha avuto questo premier, ossia quello di velocizzare una disgregazione di valori, principi giuridici e miti già in atto e di sostituire questi valori con i suoi gesti e la sua presenza in politica. Ricordo di passaggio che  i partiti politici storici erano già in avanzata crisi di legittimità e di competenza quando si è abbattuto su di loro il ciclone della Grande Storia Mondiale e le prosaiche inchieste dei giudici.
Quindi la folla che convoca il nano del cielo per rimuovere la carcassa fuori dalla finzione dell’allegoria rappresenta le forze diverse che non potevano più far i loro affari e che hanno trovato in quell’uomo la soluzione per liberarli di qualcosa che sentivano come cadaverico, pericoloso, e il resto patetico del remoto passato. Ovviamente non amo questo modello culturale e politico e il suo agire ma prendo atto che ha molti amici e simpatizzanti e quindi ha una sua ragion d’essere, di sicuro egoistica. Il nano che pratica la magia è generalmente nella letteratura fantasy associato a qualcosa che è innaturale, deforme, malvagio. Nell’Allegoria rappresenta un potere attivo che deve per gran parte del tempo agire in silenzio o ai margini e che al momento opportuno compie un gesto non naturale, che spezza l’ordinaria banalità e l’ordine antico delle cose. Ordine che viene sostituito dalla sua azione che attua un cambiamento radicale e libera uno spazio altrimenti occupato dai resti del remoto passato che impedisce l’attività di scambio e di mercato che si tratta ordinariamente in quel luogo. Prima quando la carcassa era viva, e i valori che comunicava ai paesani erano reali e quotidiani, il problema non si poneva, nel momento in cui la sua morte ingombra gli affari e limita l’ordinaria amministrazione del mercato ecco che occorre il nano del cielo. Le figure che ho creato sono ispirate ai pochi film e alle immagini del  Seicento in Italia e in Europa e a quel misto di vita e di miseria spesso terrificante che era la caratteristica del periodo. Quindi è possibile identificare le varie figure con personaggi della vita politica o sociale, io stesso l’ho fatto ma questo immaginare lo lascio al lettore che ha il diritto di vedere nelle figure quel che vuole vedere anche aldilà di quel che posso pensare come autore. Personalmente mi sono concentrato nei ruoli, nel senso di un microcosmo umano che si muove e vive e commercia con sue figure caratteristiche; idealmente ho pensato l’azione in un comune della Toscana all’inizio degli anni ottanta del Seicento, ma ovviamente si tratta di una licenza poetica. Sul fantasma effettivamente Pasolini è la fonte che è dietro il personaggio, anzi devo dire che Francone mi ha rammentato quanto esso fosse collegato alla critica radicale del poeta di Carsara nei confronti del consumismo e della nuova civiltà industriale che stava emergendo con la televisione, le autostrade e la grande distribuzione. In realtà l’immagine del fantasma nel pozzo è cosa vecchia e mi sono ispirato a una rappresentazione fiorentina dello Zauberteatro di tanti anni fa che comunque non parlava di fantasmi ma di Lorenzo il Magnifico, della Congiura Dè Pazzi e di Savonarola. C’è Pasolini e Savonarola dietro le spettro e forse qualche spruzzata di Travaglio,Veltri, Fini e forse perfino di Don Milani, ma tutto questo in dosi modiche, il composto allegorico, comunque sia andata, è proprio personale.
Il senso del finale è una profezia: le diverse genti d’Italia pagheranno prima o poi il modo disinvolto nel quale è stato liquidato il problema dei miti e dei valori del passato, l’assenza di ciò che hanno tolto dalla loro vita e non hanno sostituito degnamente peserà e sarà fonte di disordine. Gli umani per creare delle società bene ordinate hanno bisogno di valori, di simboli, di miti, di qualcosa d’immateriale da condividere per gestire la redistribuzione, tendenzialmente ineguale, delle risorse e per accettare i ruoli sociali e le gerarchie. Le genti del Belpaese a mio avviso vogliono vivere fingendo di credere in certi valori di facciata, che non amano e non condividono, e nel ragionare per il loro tornaconto personale in modo assolutamente egoistico e materiale. Questo in alcuni momenti drammatici può essere fonte di grandi disastri e autorizza chiunque ad agire in modo nascosto e subdolo contro i propri simili anche in accordo con forze esterne. Forze che hanno dietro di sé veri strumenti di coesione sociale ben più forti dei nostri e autentica potenza.
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Questa è una ripubblicazione che facciamo con piacere!

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Utente non iscritto alla Community di Libero
iana il 21/04/14 alle 19:37 via WEB
Stento a crederlo. Quanto scrissi anni fa risulta attuale e siamo al 2014. Certo che è triste vedere un Belpaese immobile, impoverito, pieno di odio e risentimento contro tutto e tutti che si sfoga in una politica piena di bugie, illusioni, violenza verbale, miraggi. Capisco di provenire nella mia più intima natura da un passato oggi arcaico e di camminare verso un futuro ad oggi sconosciuto. Questi anni sono un purgatorio amaro e velenoso, una sorta di gastigo preventivo, di caparra punitiva, di Karma che invece di esser rivolto al passato è volto al futuro. Forse il tempo non è lineare come tutto porta a pensare. Passato e futuro si toccano e il presente è la bilancia che pesa l'uno e l'altro.
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