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RELATIVITA', Einstein copiò Dante

Post n°29 pubblicato il 11 Aprile 2005 da egoticon
Foto di egoticon

Chi avrebbe mai detto che al Dipartimento di Fisica si studia Dante Alighieri? Eppure è così: a Povo si è scoperto che Dante anticipò Galileo Galilei. Dante intuì una delle leggi fondamentali della fisica moderna, il principio di invarianza formulato nel 1632 da Galilei. A spiegarlo è Leonardo Ricci, ricercatore di Fisica generale, il cui lavoro è stato pubblicato sulla nota rivista scientifica Nature.
Nel 1632 Galileo aveva descritto, nel «Dialogo sui massimi sistemi», la sensazione di assenza di movimento che si prova stando in piedi in una barca che si muove. Una condizione simile è descritta da Dante nel XVII canto dell´«Inferno», quando Dante e Virgilio sono costretti a superare l´abisso che separa il settimo cerchio dall´ottavo volando sul mostro alato Gerione.
Oltre ad essere «uno dei primi a descrivere in modo realistico la sensazione del volo», osserva Ricci, «Dante si spoglia dei significati allegorici e descrive la discesa paragonando il movimento di Gerione a quello di una nave».
Perduto ogni punto di riferimento visivo, Dante descrive la sensazione provata durante il volo a spirale compiuto da Gerione come quella di un movimento che non viene percepito, se non per il vento.
L´osservazione, contenuta nei versi 115-117 - Ella sen va notando lenta lenta: / rota e discende, ma non me ne accorgo / se non che al viso e di sotto mi venta - secondo Ricci racchiude alcune informazioni preziose agli occhi di un fisico. La descrizione della situazione in cui si trova (l´essere trasportato dalla creatura infernale, il vento, la mancanza di riferimenti visivi) portano Dante a sostenere che la sua sensazione del volo non sarebbe dissimile dall´esser fermo. Un´osservazione in completa sintonia con l´esperimento del gran navilio, con cui Galileo illustra il principio di relatività che oggi porta il suo nome. Un´intuizione. «A differenza di Galileo, Dante non va oltre questa intuizione - osserva il fisico - e il principio dell´invarianza resta una scoperta di Galileo».
L´articolo, dal titolo Dante´s insight into galilean invariance? (La percezione dantesca dell´invarianza galileiana?) apre le porte a interessanti implicazioni filologiche, letterarie e storico-scientifiche.
«Dante non ha compiuto bensì immaginato intenzionalmente un viaggio, costruendo le varie situazioni e i vari scenari per esprimere direttamente o allegoricamente il proprio messaggio. Nel fare ciò, attinse al suo sapere enciclopedico, che comprendeva anche le cosiddette arti del quadrivio: aritmetica, geometria, musica e astronomia».
Esiste dunque un legame tra questi due illustri pensatori italiani? La tesi suggerita da Leonardo Ricci - si spiega in una nota dell´Università - sembra confermarlo anche se la risposta definitiva, come di solito accade, è affidata al dibattito che potrà svilupparsi nella comunità scientifica. La pubblicazione dell´articolo su Nature rappresenta comunque un´importante occasione di ribalta a livello internazionale e allo stesso tempo un riconoscimento scientifico di rilievo.

 
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  Del Papa

Post n°30 pubblicato il 12 Aprile 2005 da egoticon

Quel che noi pensiamo di Karol Wojtyla e delle sue contraddizioni l'abbiamo già scritto. Ma l'idea di genufletterci alla retorica brunovespiana davvero non ci va. Riflettere, criticare, ricordare è fondamentale, anche neii confronti dei meriti - quelli veri - di Papa Wojtyla. La versione edulcorata del defunto Pontefice che da una settimana gli "speciali" televisivi ci propinano è insopportabile: Wojtyla fu un eroe tragico, un combattente che ha sfidato la modernità, e ha perso. Lo provano, ad esempio, i milioni di fedeli disposti a fare quindici ore di coda per... fotografare con il cellulare il suo corpo. Lo prova, ancora, la "sposina" che si è fatta riprendere, in abito bianco, davanti alla salma del Papa che fu. L'ascesa al Cielo del Papa è diventata culto del corpo morto, reality show cui è difficile mancare: "non succede mica tutti i giorni", dice una ragazzina intervistata. La modernità ha vinto anche nelle centinaia di preservativi trovati in terra a Tor Vergata durante il Giubileo, nei seminari vuoti, nei cartelloni elettorali con la faccia del Papa.

Ecco perché crediamo che sia importante riflettere criticamente sulla figura storica di Karol Wojtyla, dandogli i giusti meriti e sapendone evidenziare le contraddizioni. Ci permettiamo così di consigliare ai lettori di questi blog, di giorno in giorno, opinioni che ci sembrano confacenti a quello spirito critico che manca a "Porta a Porta".

Emanuele Severino, La forza che manca al mondo laico
Alberto Ronchey, Il Pulpito planetario
Hans Küng, Ritorno al Vaticano II
Alessandro Gerardi, Glorie ed errori di un papato
Domenico Quirico, Aids e contraccezione. Un'ombra sul papato
Maurizio Chierici, Tutti i muri che non ha abbattuto
Clifford Langley, The best and worst of times

 
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Post N° 31

Post n°31 pubblicato il 14 Aprile 2005 da egoticon

egoticon Commenti: 2


   
Inviato da wanttobefree il 14/04/05 @ 12:22 via WEB
L'articolo LO SCRITTORE BESTSELLER RIVELA I CONTENUTI DEL NUOVO THRILLER A CUI LAVORA, MENTRE IN ITALIA STA PER ARRIVARE IL SUO «ANGELI E DEMONI» Dan Brown, la vita è codice di Maurizio Molinari 21 settembre 2004 Con il Pontefice morto in circostanze sospette e a conclave iniziato, il Vaticano è sotto ricatto da parte della sette segreta degli Illuminati, entrati in possesso dell'antimateria con un colpo di mano in un laboratorio svizzero. I quattro cardinali papabili vengono uno dopo l'altro assassinati da un killer mediorientale che gode di complici illustri nei corridoi della Santa Sede, ma proprio quando il cuore della cristianità rischia di dissolversi, trova la sua salvezza nell'esperienza dei più saggi. È questa l'intrigante trama di Angels and Demons (Angeli e Demoni, di prossima pubblicazione da Mondadori, che già ha tradotto Il Codice da Vinci) uno dei quattro libri scritti da Dan Brown - per le edizioni Doubleday di New York - che si incontrano un po' ovunque negli Stati Uniti, dalla metropolitana newyorkese all'aeroporto di Los Angeles. Copertine celesti e marroni si riconoscono a distanza trasformando in più di un'occasione una carrozza di treno o un autobus in un improvvisato club di lettori. Ad appena 38 anni Dan Brown è un fenomeno editoriale che va oltre il suo libro più noto - il Da Vinci Code uscito nel 2003 e venduto in 15 milioni di copie, tradotto in 42 lingue - perché anche Digital Fortress (1998), Angels and Demons (2000) e Deception Point (2001) continuano a figurare negli elenchi dei libri più letti e amati dagli americani. «Ciò che li accomuna è l'affermazione iniziale che «tutti i documenti e rituali descritti sono corrispondenti alla realtà», anche se i romanzi sono pura fiction del mistero con il gusto del thriller, disseminati di colpi di scena. La critica lo ha paragonato spesso a Umberto Eco per la ricerca dei particolari nell'ambientare gli eventi in singole situazioni storiche, ma in realtà il giovane autore, che vive a Exter con la moglie Blythe nel Sud del New Hampshire, racconta il mondo del segreto con più aggressività, sfidando i tabù e puntando a rovesciare molti miti della Storia così come oggi noi la conosciamo. Nel caso del Codice da Vinci la polemica nacque per i riferimenti al matrimonio di Gesù con Maria Maddalena, e quando venne contestato dalle smentite contenute in una decina di libri di studiosi di Chiesa lo scrittore rispose facendo sapere di non essersi affatto spinto troppo in là, poiché aveva deciso di non tener conto di ben altri documenti esistenti - ma assai poco noti - secondo i quali in realtà Gesù di Nazareth sarebbe sopravvissuto alla crocifissione. «Sin dall'inizio dei tempi la Storia è stata scritta dai vincitori - afferma in una dichiarazione sul sito web - ovvero da quelle società e quelle religioni che hanno conquistato e sono sopravvissute e quindi ciò che ci dobbiamo chiedere è innanzittuto se la Storia è storicamente vera». E a chi gli chiede se è cristiano risponde: «Sì, ma vi sono tanti modi differenti per esserlo». In Digital Fortress la sfida letteraria riguarda invece la Nsa - National Security Agency - la più segreta fra le agenzie di intelligence degli Stati Uniti d'America il cui compito è descrittare ogni tipo di comunicazione del pianeta ma che viene sfidata da un hacker capace di riuscire nell'impossibile impresa di creare un codice impenetrabile. In tempi di guerra al terrorismo, Digital Fortress continua a vendere - a sei anni dall'uscita - perché racconta ai lettori come funziona e come opera il Grande Fratello orwelliano pagato con i fondi a disposizione del Pentagono. Al lavoro nel suo studio in una mansarda senza telefono né televisione Brown sta preparando da quasi due anni la sua nuova opera che uscirà nel 2005 e sarà ambientata a Washington nel mondo della massoneria. L'autore ha scoperto che l'architettura della capitale federale - l'incrocio di strade attorno alla Casa Bianca, il Congresso e l'obelisco del monumento a Washington - svela i segreti dei massoni e da lì partirà per raccontare agli americani l'altro volto della città che ospita l'uomo più potente dell'intero pianeta. A chi gli chiede perché ha deciso di scrivere romanzi di questo tipo Brown risponde raccontando che tutto s’iniziò nel 1994 quando, in vacanza in un'isola del Pacifico, si trovò a leggere sulla spiaggia Doomsday Conspiracy di Sydney Sheldon, appassionandosi al racconto fino a convincersi di poterlo scrivere lui stesso. Cosa che poi ha puntualmente fatto lasciando da parte la precedente passione per la musica e l’aspirazione a diventare un compositore d'avanguardia. I quattro cd che realizzò sul mercato sono oramai introvabili, ma una delle sue canzoni, Peace in Our Time, la pace nel nostro tempo, venne suonata durante i Giochi Olimpici di Atlanta del 1996. Come pianista fece alcuni spettacoli tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, dove è particolarmente legato alla Spagna per avervi studiato storia dell'arte, mentre fra i suoi hobby preferiti ci sono il tennis e il football americano, che segue come accanito sostenitore dei New England Patriots (la stessa squadra di John Kerry). Il suo primo libro, scritto a quattro mani con la moglie nel 1995, in realtà fu un flop, si intitolava 187 uomini da evitare, guida alle donne romantiche frustrate. Ma quel passo falso è oramai dimenticato sotto i milioni di copie vendute, alle quali bisogna aggiungere un film in arrivo sul grande schermo tratto dal Da Vinci Code e forse destinato a sollevare polemiche assai simili a quelle di The Passion di Mel Gibson. Per spiegare il Dna di Dan Brown, il suo amico e editore Jason Kaufman dice: «Il Codice da Vinci non lo ha trasformato, è la stessa persona di sempre, con i piedi per terra e in grado di conversare di attualità anche se con la testa è sempre altrove». Ma in realtà, oltre alle doti dell'autore, il successo è anche frutto della strategia di marketing dell'editore Doubleday (del gruppo RandomHouse) che per lanciare l'ultimo libro nel marzo del 2003 inviò un numero di copie senza precedenti - oltre 10 mila - a librai e giornalisti al fine di preparare il terreno all'uscita del volume: l'operazione riuscì perché al momento del debutto circa 230 mila copie erano già state prenotate.

 
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 Ratzinger: Benedetto XVI

Post n°32 pubblicato il 22 Aprile 2005 da egoticon
Foto di egoticon

Continuità dottrinale (e mediatica?) con Giovanni Paolo II, Verità, ortodossia.


Con questo slogan è possibile riassumere la politica che Joseph Ratzinger (già Benedetto XVI) attuerà durante il proprio pontificato, mettendo in pratica quel che professa da decenni nei suoi studi e nei suoi scritti ufficiali, non ultimo la famigerata Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1986, in cui l’allora cardinale affrontava il «problema dell’omosessualità» con grande severità, causando non pochi traumi agli omosessuali cattolici.


Le speranze di chi si augurava da tempo una svolta in senso «moderno» da parte della Chiesa di Roma sono state, ancora una volta, frustrate. Coloro che confidavano in un cardinale del Sud del mondo o in uno più fedele alla collegialità episcopale (come Carlo Maria Martini) non hanno oggi motivo di gioire: Joseph Ratzinger, un tempo giovane amico di Hans Küng e ribelle studioso di Tübingen (città simbolo del protestantesimo), è da qualche decennio uno dei più conservatori e intransigenti tra i pensatori cattolici che militano nelle alte gerarchie vaticane.


La folla che lo ha acclamato con il tifo da stadio cui avevano abituato Giovanni Paolo II, i papaboys entusiasti per la nomina, i giubilanti giovani reduci di Tor Vergata che hanno intonato il suo nome in San Pietro, come da copione, non sanno nulla del pensiero di Joseph Ratzinger. Non sanno, ad esempio, che in un suo testo del 2001 (Introduzione allo spirito della liturgia) il neo Papa scriveva: «Là dove irrompe l’applauso si è di fronte al segno sicuro che si è del tutto perduta la liturgia, sostituita da una sorta di intrattenimento a sfondo religioso». O ancora: «Persino in chiesa si suona musica rock e pop: espressione di passioni elementari, che nei grandi raduni hanno assunto caratteri di controculto, opposto al culto cristiano».


 


La collegialità espressa dal Concilio Vaticano II è stata attaccata da Ratzinger ancora più duramente della musica pop in chiesa: «La Chiesa non nasce con il Concilio Vaticano II», ha sancito lapidario. E quando Carlo Maria Martini propose un Concilio Vaticano III, il giudizio del cardinale tedesco fu severissimo: «Non è il momento. – scrisse – Quando San Basilio fu invitato a un nuovo Concilio a Costantinopoli rispose: “Non ci vado più. Questi Concili creano solo confusione”». Molti si sono stupiti che proprio lui, uomo di punta della teologia critica e sodale di Karl Rahner, soprattutto dopo aver visto l’estremismo degli studenti cattolici sessantottini (pare che rimase sconvolto alla vista di un volantino su cui si leggeva «Maledetto Cristo!»), imprimesse alla propria dottrina una svolta tanto dura da conquistarsi il titolo di Panzerkardinal. Così il brillante studioso, che a trent’anni già esercitava la libera docenza, arrivò persino a contestare la scelta conciliare di spostare l’altare al centro dell’assemblea, in modo che il sacerdote fosse rivolto ai fedeli – e non più, come nel modello antico, verso Cristo. L’attacco decisivo al Concilio fu la fondazione, insieme ai due grandi teologi Henri de Lubac e Hans von Balthasar, della rivista Communio, dichiaratamente avversa a Concilium, fucina intellettuale della corrente riformatrice.


 


Nel 1977, Paolo VI nominò Joseph Ratzinger cardinale, apprezzandone proprio le critiche alle svolte moderniste della Chiesa. Iniziò allora la scalata alla nomenklatura ecclesiastica, che lo ha portato a essere, su indicazione di Giovanni Paolo II, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’ex Sant’Uffizio, ovverto il «numero due» della Chiesa. Wojtyla ha sempre avuto immensa stima per Joseph Ratzinger: coltissimo e determinato, il tedesco è stato l’uomo giusto per stroncare lo spirito critico di alcuni teologi «pericolosi». Senza alcuna pietas, anzi con somma durezza, il Prefetto Ratzinger ha negli anni fatto fuori (o privandoli della cattedra o vietando loro la pubblicazione di libri) alcuni nemici dichiarati di Giovanni Paolo II: Boff, Curran, Küng e altri sono caduti sotto la sua mannaia.


 


Mentre Karol Wojtyla viaggiava in giro per il mondo, rammaricandosi di non riuscire a far breccia nel cuore dei «fratelli ortodossi», Joseph Ratzinger scriveva un documento inequivocabile, la Dominus Iesus, in cui viene detto apertis verbis che la funzione salvifica di Cristo è superiore a quella di qualsiasi altra religione. Insomma, ognuno è libero di credere in quel che vuole, ma se desidera il Paradiso l’unica via che può percorrere è quella di Cristo. La grande folla, ubriaca della propaganda mediatica del Vaticano, non solo non lesse il documento, ma ignorò le polemiche che piombarono addosso a esso da più parti. Chi già invoca il «dialogo interreligioso» come cardine del suo pontificato probabilmente non sa che nel testo scritto a quattro mani con Vittorio Messori, Rapporto sulla Fede, Ratzinger condannava in modo durissimo la teologia della liberazione, arrivando a costringere l’episcopato peruviano a riscrivere un documento di condanna da lui giudicato troppo morbido.


 


 
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Il "Pastore tedesco"

Post n°33 pubblicato il 22 Aprile 2005 da egoticon

Ha scritto Ratzinger (La verità cattolica, «Micromega», 2/2000): «Al termine del secondo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità». Ed ecco che veniamo al punto decisivo: quello della Verità del cattolicesimo. «Dire “abbiamo la verità” appare all’uomo moderno come qualcosa di antidemocratico e intollerante». Questa è la risposta di Joseph Ratzinger a quella che ha recentemente chiamato la «dittatura del relativismo», dove per «relativismo» egli intende un pensiero schiavo delle «mode», incostante e privo di riferimenti forti. Quali mode? Quali ideologie del male? Questo è l’aspetto più problematico della sua battaglia, poiché è sua convinzione che siano mode maligne «marxismo, liberalismo, libertinismo, collettivismo, individualismo radicale, ateismo, vago misticismo religioso, agnosticismo, sincretismo e così via». Ovvero quei sistemi di pensiero che non pongono Cristo come «misura» della Verità. Con queste parole, in un sol boccone, nella sua Pro eligendo Romano Pontefice, Ratzinger si è sbarazzato dei nemici tradizionali del cattolicesimo (marxismo, ateismo, libertinismo, agnosticismo), il che non scandalizza, ma anche di nemici più inaspettati: la tradizione liberale tout court, compreso il grande «liberalismo cattolico», e il sincretismo, senza il quale il cristianesimo non si sarebbe mai configurato com’è adesso.


 


La «dittatura del relativismo» è per Ratzinger la cifra della modernità, che pone «il proprio io e le sue voglie» come misura ultima dell’esistenza umana. Quel «relativismo» che considera «una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa» alla stregua del «fondamentalismo». Quel relativismo che considera rispettabile solo quel pensiero che afferma che nulla è vero, ma tutto relativo.


Ratzinger ha spiegato la modernità relativista con la parabola buddhista dell’elefante e dei ciechi. Si narra infatti che un antico re dell’India del Nord, in un antico tempo, riunì diversi ciechi al cospetto di un elefante, e fece toccare a ognuno degli astanti una parte di esso: chi la proboscide, chi la zanna, chi le zampe, chi il dorso... Dopo che tutti i ciechi ebbero toccato l’elefante, il re chiese: «Com’è fatto un elefante?». Ovviamente i ciechi risposero secondo la parte che avevano toccato: «è come un cesto intrecciato», «è come l’asta di un aratro», «è come un magazzino», «è come un pilastro». Ognuno diceva la sua. Prima pacatamente, poi tutti si adirarono gli uni con gli altri e si presero a pugni davanti al re, che rideva divertito.


Così è la modernità secondo Ratzinger: una zuffa continua tra persone che non “hanno la Verità” ma si accontentano dell’opinione più di moda. Con una differenza rispetto all’aneddoto, però: lì il vecchio re dell’India del Nord ride come un pazzo a vedere la zuffa, mentre Joseph Ratzinger non trova proprio nulla da ridere. Anzi: ritiene necessario interrompere la zuffa e insegnare ai litiganti che c’è una Verità, una misura del «vero umanesimo»: Cristo, in cui coincidono verità e carità. Il «buon cristiano», quindi, secondo il monito di San Paolo, deve «fare la verità nella carità», che è la «formula fondamentale dell’esistenza cristiana».


 


Il Novecento, come ben sa Ratzinger, si è aperto con le terribili parole di Friedrich Nietzsche: «Dio è morto», attacco frontale alla grande tradizione metafisica occidentale. Dopo Nietzsche, tutti gli altri: Heidegger, l’ermeneutica di Gadamer, il decostruzionismo di Derrida, l’epistemologia di Popper, la teologia della liberazione di Betto e Boff, la teologia morale di Curran (secondo il quale è lecito dissentire dall’autorità per quanto concerne l’omosessualità, la contraccezione, il divorzio). Una serie drammatica di attacchi frontali alla tradizione metafisica e al dogma cattolico, come se l’Occidente tutto si fosse schierato contro la Chiesa. Non è un’esagerazione: sono parole di Ratzinger, che in un’intervista concessa ad Antonio Socci per Il Giornale, così si espresse: «Mi sembra molto significativo che al momento l’Occidente europeo sia la parte del mondo più opposta al cristianesimo, proprio perché lo spirito europeo si è autonomizzato e non vuole accettare che ci sia una parola divina che gli mostra una strada che non è sempre comoda».


 


Ecco perché Benedetto XVI. Non solo per il richiamo a Bendetto XV, il Papa che definì «inutile strage» la Prima Guerra Mondiale, ma soprattutto Benedetto da Norcia, padre del monachesimo, il cui Ordine (fondato sulla celeberrima Regula, «ora et labora», cui si è richiamato l’«umile lavoratore» Ratzinger) si diffuse in tutta Europa, grazie a monaci canonizzati e alla tutela di Gregorio I Magno, papa e benedettino. Carlo Magno potè costruire l’unità politica del Sacro Romano Impero proprio grazie all’unità religiosa che i monasteri benedettini avevano assicurato all’Europa. Già, proprio quell’Europa oggi relativista che Joseph Ratzinger, novello Benedetto, vuole riconquistare. Non ce la farà, come non ce l’ha fatta Wojtyla, ma sarà pronto a combattere fino all’ultimo. Se questo sia un bene o un male, però, lo diremo poi.


 

 
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