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LA RAGIONE RISORGE DALLA CENERE

Post n°554 pubblicato il 17 Febbraio 2009 da bargalla

                     GIORDANO BRUNO 1.jpg

Forse mai come in questo periodo, così oscuro e incerto, la Ragione corre il rischio di essere obnubilata da variabili che non esito a definire contrarie all’idea stessa del raziocinio, stante la folle presunzione di quei pochi che dall’alto della loro saccente, quanto interessata, ignoranza si arrogano il diritto di pensare per conto terzi, tanto che il pensiero dominante e dominato non può più fare a meno di essere influenzato e soggiogato dagli assolutismi più vari, siano essi religiosi, politici e culturali, sul cui altare l’uomo, apparentemente libero, è costretto a sacrificare quanto ha di più caro: il Bene dell’Intelletto, senza il quale la tanto decantata Libertà perde ogni essenza, diventa costrizione, una prigione senza sbarre dove si diventa schiavi della propria incapacità di pensare e pertanto succubi di un bieco potere clerico-orwelliano.
Per sottrarsi all’omologante processo di annichilimento intellettivo diventa perciò essenziale ricordare, oggi più che mai, Giordano Bruno, uno dei martiri del libero pensiero e quel gruppo di “libertini eruditi”, pensatori e letterati fortemente inclini alla ricerca scientifica, allo scetticismo irreligioso e alla speculazione filosofica, fra i quali mi piace citare un mio “conterraneo” Giulio Cesare Vanini, anche lui, al pari del Nolano, bruciato vivo dalla santa inquisizione della chiesa dei papi e quel Galileo Galilei, costretto all’abiura e al carcere a vita, sol perché osò dimostrare la fondatezza della teoria copernicana, mettendo perciò in crisi la concezione tolemaica, l’insegnamento aristotelico, l’autorità e la stessa esistenza di una chiesa che pensava, e pensa, di essere faziosamente “universale”: al centro della Terra e dell’Universo; un falso “ideologico” che tuttora si pasce della propria ignoranza e la propina come “scienza” infarcita di dogmatismi ad un popolo infatuato dallo sciagurato carisma di spudorati e ipocriti “propalatori di idiozie”.

Non mi riferisco solo al clericalume imperante, ma anche a tutta quella fauna parassitaria che ha nel fariseume trionfante il braccio armato di una legge o di una dottrina promulgata e professata per legittimare l’inganno e la sopraffazione. Non a caso si dice che chi comanda detta legge e spesso la cosiddetta “legge” viene emanata per spegnere un qualsivoglia dissenso impedendo che il dubbio, prima della Verità, serpeggi nella mente del popolo bue, fino a svelare tutta la falsità di un potere spesso esercitato in funzione di interessi tutt’altro che leciti.
E semmai qualcuno osasse obiettare e divergere da quella che il “pensiero unico” considera l’unica via possibile da percorrere, così come ieri accadde a Giordano Bruno e a Galileo Galilei, ecco pronto il tribunale della “santa inquisizione” e di ogni altro potere nel frattempo costituitosi, ergersi a difesa dello status quo, giudice supremo e insindacabile di un magistero la cui sola esistenza nuoce al Diritto, pregiudica la ricerca scientifica e l’esercizio della Ragione, laddove queste sono irrimediabilmente sottomesse alla chiesastica fede, all’ideologia del “partito unico” e della “chiesa universale” abusando chiaramente di un potere coercitivo che se ieri ergeva roghi in Campo de’ Fiori e metteva all’Indice le opere d’ingegno compiute senza l’imprimatur clericale, oggi fomenta gli integralismi di ogni credo e colore, e così in una sorta di regressio ad infinitum si giunge in quel “medioevo prossimo venturo” dove anche pensare in proprio sarà un delitto.

Rileggo alcuni passi delle opere latine del Bruno: sono di una bellezza unica quanto a ricerca stilistica e vis poetica; cito per inciso l’Oratio Consolatoria, testo singolarissimo dalla chiara impronta autobiografica che in “quattro mosse” traccia quella che fino a quel periodo era stata la sua vita di perseguitato e di esule: “…ho amato le Muse…tanto da disprezzare, abbandonare, perdere a causa loro, la patria, la casa, le ricchezze, gli onori e quanto può essere amato, desiderato, bramato al di fuori di quelle…Muse che “in Italia e Spagna sono schiacciate sotto i piedi di vili sacerdoti…” Il pensiero va poi all’autoritratto che di sé il Bruno delinea nel De Monade, forse presago del Destino che l’aspetta così scrive: “Non è un disonore l’esser vinto se ti sei dimostrato valoroso nella lotta…Ho combattuto, è già molto: ho creduto di poter vincere, ma alle membra venne negata la forza dell’animo, e la sorte e la natura hanno represso ogni velleità e ogni sforzo. E’ già qualcosa l’essersi cimentati: la vittoria, mi sembra è nella mani del Fato; per quel che mi riguarda ho fatto il possibile e ciò che mi appartiene non lo potranno negare né i secoli futuri né ciò che appartiene al vincitore.
Devo pertanto coartare la mia coscienza, al di là di ogni presunto peccato di eresia, per cercare un miserrimo “errore” tale da costituire motivo di condanna a morte per il Nolano, eppure a tanto poté il cardinale bellarmino, per la cronaca “santo” e “dottore” della setta catto-vaticana, oltre che assassino di Giordano Bruno e acerrimo persecutore di Galileo Galilei.
La lingua “in giova” e la bocca serrata in una mordacchia di legno per impedirgli di parlare, spogliato nudo e legato ad un palo fu bruciato vivo: così Giordano Bruno morì alle prime luci del’alba del 17 febbraio 1600 in Campo dei Fiori, a Roma; analoga sorte fu riservata ai suoi libri per i quali la santa inquisizione ordinò “che siano publicamente guasti et abbrugiati nella piazza di San Pietro, avanti le scale, et come tali che siano posti nell’Indice de’ libri proibiti”.

La colpa del Filosofo Nolano fu quella di sognare un cielo nuovo e un uomo nuovo, insieme agli Infiniti Mondi che la presenza di ogni Cielo e ogni Uomo lasciano presagire, uno schiaffo per gli “incantatori e gli incantamenti degli assoluti”, un nuovo alfabeto dello Spirito, in cui, evidentemente, non c’erano più posto per le menzogne della tradizione cattolica e del papato.
Giordano Bruno fu un fervente assertore della teoria copernicana, si schierò apertamente contro la visione tolemaico-aristotelica della chiesa dei papi e assimilò Nicolò Copernico alla luce quasi a voler diradare le tenebre in cui l’insania di molti ricaccia ancora quella Ratio che si vorrebbe succube della volgarissima, chiesastica fides.
“Qui io invoco te, dotato di una mente venerabile; l’infamia dell’oscuro secolo non sfiorò il tuo ingegno e la tua voce non venne sopraffatta dallo strepitante mormorio degli stolti, o geniale Copernico; le tue parole riecheggiarono nella mia mente in quei teneri anni in cui ritenevo estranei al senso e alla ragione quelle cose che ora afferro con le mani e che, dopo averle trovate, tengo ben strette…Non solo tu neghi che la terra sia al centro, cosa che in precedenza gli altri poterono constatare, ma affermi anche che essa si muove con una rivoluzione annua attorno agli atrii del sole (mentre invece gli altri affermavano che questi sette pianeti vicini fossero concentrici) e mentre, nello stesso tempo, si volge rapidamente attorno al proprio centro, con la rotazione diurna trae in inganno, per cui appare l’immagine di tanti corpi che girano intorno, invenzioni prodotte da una delirante matematica”.
E più avanti, sempre ne L’Immenso e gli innumerevoli così scrive: “Non ti turbi un numero così grande di Terre, scoperte nel vasto vuoto…”
Fosse per loro, fosse per la chiesa dei papi turbati e disturbati dal libero pensiero, staremmo ancora al geocentrismo con la terra al centro dell’universo e con la chiesa catto-vaticana al centro della terra, tuttora ancorata ad un creazionismo che sembra fatto apposta per confutare non certo il darwinismo quanto il bene stesso dell’intelletto di una “moltitudine oppressa e avvolta dalla nube tenebrosa di un fumo mortale, priva di ogni sensibilità, affetta da malattie (giacché la sostanza della sua anima è tutta presa da un grave morbo), che tuttavia celebra la propria condizione e che crede che si vedano cose invisibili, che per abitudine aveva conosciuto fin dai primi anni, come potrà volgere gli occhi che ha ricevuto invano da Madre Natura verso la potenza della luce diffusa per ogni dove, in modo da dire: tutto ciò che è osservabile intorno a qualsiasi corpo che chiamiamo stella ed astro, è mondo.”

L’ex domenicano Giordano, nato Filippo della famiglia dei Bruni, riconosce nell’Anima Mundi e nella materia prima i due principi eterni delle cose, secondo il suo pensiero, l’uomo pur essendo solo nello spazio, è immerso nell’accecante, divina, luminosità di Madre Natura e non ha bisogno alcuno di nessun mediatore per rivolgersi a Dio. A tal proposito si chiede “per quale motivo questo spirito semplice, diffuso tutto dappertutto, penetra per tutto quanto lo spazio infinito? E perché, dico, dobbiamo vedere che tu indichi stoltamente la natura divina con il confuso nome del limite, mentre invece, guidato da un altro ragionamento, io so che essa è fine, principio, centro e tutto costantemente ovunque? Abbatti, o infelice, anche l’ara dietro cui ti nascondi; infatti la natura divina, in ragione della differenza del locato, è posta al di fuori del mondo, ma se qui si sostituisce lo spazio ed il volgare vuoto, allora funge da limite e assolve alla funzione del corpo, dello spazio e della superficie, così lo spazio rimane senza il suo vero nome. Stabilirai, allora, che ci sia un Dio in qualsiasi cosa o all’esterno di essa che giustifichi l’inadeguatezza del senso, a causa della sua natura occulta, essendo onnipotente.”
Il monismo e l’immanentismo Bruniani, non erano (e non sono) ben visti dal clericalume imperante, il timore che qualcuno potesse (e possa) permettersi di porre fine, solo per idea, ad un presunto primato contrabbandato dalla chiesa cattolica e al parallelo, simoniaco, mercimonio del Sacro (cosa che si continua tranquillamente a fare “là dove Cristo tutto il dì si merca”) li indusse ad incenerire chi, oltre al “De l’infinito universo et mondi” e a tante altre opere letterarie e filosofiche, testi pieni di incanto di poesia senza tempo, aveva osato scrivere “Lo spaccio de la bestia trionfante” dove “bestia” era l’epiteto impiegato dai protestanti dell’epoca per rendere il dovuto, sprezzante, omaggio al capo della chiesa catto-vaticana.

La chiesa di papa ratzinger inaugurò il secolo XVII bruciando vivo Giordano Bruno, la sua eresia è diventata Scienza “ ma la vecchia chiesa e le nuove istituzioni continuano a gettare legna sul suo rogo” alimentando una caccia alle streghe che ancor oggi sacrifica il ben dell’Intelletto sull’altare blasfemo delle fideistiche certezze. La chiesa catto-vaticana non può più innalzare roghi e patiboli in Piazza Campo de’ Fiori (se potesse lo farebbe!), ma continua tranquillamente ad utilizzare tutti gli strumenti coercitivi che ha a disposizione per combattere quello che giudica l’Errore.
Quatto secoli dopo, c’è ancora chi come ratzinger, in arte benedetto sedici, già prefetto dell’ex santa inquisizione, cerca di giustificare i crimini perpetrati dalla gerarchia ecclesiastica, e invita a “distinguere tra la perenne santità della chiesa e il “peccato dei suoi figli”.
Soprattutto perche, come scrive il Bruno “La sapienza e la giustizia cominciarono ad abbandonare la Terra, allorquando i dotti, organizzati in sette, iniziarono ad usare la loro dottrina a scopo di lucro. Indi ne derivò che, come se si trattasse della propria vita e di quella dei figli, combatterono fino all’annientamento degli avversari, per un semplice amor di parte.
Sia la religione che la filosofia giacciono annullate da simili atteggiamenti, sia gli Stati, i regni e gli imperi sono sconvolti, rovinati, banditi assieme ai saggi, ai principi e ai popoli.
Ora noi proponiamo non quella filosofia che è propria e specifica dei più miseri fra tutti, che masticano filosofia per guadagnarsi il pane, ma quella filosofia che si rivolge al nobile ingegno di coloro che possono comportarsi senza servire l’opinione, la fede e la dottrina di una parte, e si procurano le cose necessarie alla vita senza sottomettere a cose più vili la maestà della verità, che deve essere coltivata per se stessa.”

Parteggio per l’ucciso, il Martire, e dileggio il boia e gli assassini, i papi, i preti, specie perché uccisero nel nome di quel Dio del quale ancora oggi si arrogano il diritto di sputare le loro insulse sentenze, condannando idealmente al rogo quanti usano coscientemente il libero pensiero per liberarsi dagli oscurantismi ecclesiali e dai lacci di una morale dogmatica che da sempre, alimenta col suo tragico integralismo, le mille, ideali “orrende pire”, minacciosamente erette per oscurare con il loro sulfureo fumo lo stesso Cielo.
A suggello della sua opera, riporto un bellissimo passo estratto dal De Infinito, nel quale lo spirito immortale del suo pensiero risorge dalle ceneri di Campo de’ Fiori e aleggia sovrano sui fantasmi degli inquisitori di ieri e di oggi : “Alla mente che ha ispirato il mio cuore con arditezza d’immaginazione piacque dotarmi le spalle di ali e condurre il mio cuore verso una meta stabilita da un ordine eccelso: in nome del quale è possibile disprezzare la fortuna e la morte. Si aprono arcane porte e si spezzano le catene che solo pochi elusero e da cui solo pochi si sciolsero. I secoli, gli anni, i mesi, i giorni, le numerose generazioni, armi del tempo, per le quali non sono duri né il bronzo, né il diamante, hanno voluto che noi rimanessimo immuni dal loro furore.
Così, io sono impavido a solcare con ali l’immensità dello spazio, senza che il pregiudizio mi faccia arrestare contro le sfere celesti, la cui esistenza fu erroneamente dedotta da un falso principio, affinché fossimo rinchiusi in un carcere fittizio ed il tutto fosse costretto entro adamantine muraglie. Ma per me migliore è la mente che ha disperso ovunque quelle nubi e ha distrutto l’Olimpo, che accomuna gli altri in un’unica prigione poiché ne ha dissolto l’immagine, per cui da ogni parte liberamente si espande il libero pensiero. Mentre mi incammino sicuro, felicemente innalzato da uno studio appassionato, divengo Guida, Legge, Luce, Vate, Padre, Autore e Via: mentre mi sollevo da questo mondo verso altri mondi lucenti e percorro da ogni parte l’etereo spazio, lascio dietro le spalle, lontano, l’ignoranza degli stolti.”

Giordano Bruno vive con il suo pensiero, il suo Spirito è sopravvissuto alla furia distruttrice dell’Index librorum prohibitorum, non altrettanto si può dire per quello di certi sciaguratissimi papi, come tal clemente ottavo che firmò la sentenza di condanna sui quali se non fosse per il ricordo dei crimini che perpetrarono e benedirono (fra i quali la morte per “decapitazione” di Beatrice Cenci), una spessa coltre di polvere li avrebbe già condannati all’oblio più totale.
Voglio perciò salutare il Maestro Giordano Bruno (nemico d’ogni legge e d’ogni fede, com’ebbe a definirlo l’Ariosto) con le sue stesse parole, un brano tratto dalla lettera-curriculum con la quale il “Bruno Nolano, Academico di Nulla Academia” si presentava da esule alle autorità accademiche d’Oltre Manica, chiedendo di essere ammesso come professore di filosofia all’Università di Oxford:
Al “Philoteus Jordanus Brunus Nolanus…professore di una sapienza più pura e innocua…risvegliatore delle anime dormienti, domatore dell’ignoranza presuntuosa e recalcitrante, proclamatore di una filantropia universale, che non preferisce gli Italiani ai Britanni, i maschi alle femmine, le teste mitrate a quelle incoronate, gli uomini di toga a quelli d’arme, coloro che portano il saio a coloro che non lo portano; ma colui che è più temperante, più civile, più leale, più capace; che non prende in considerazione la testa unta, la fronte segnata, le mani lavate, il pene circonciso, ma (e ciò permette di conoscer l’uomo dal viso) la cultura della mente e l’anima. Che è odiato dai propalatori di idiozie e dagli ipocriti, ma ricercato dagli onesti e dagli studiosi e il cui genio è applaudito dai più nobili” il mio grazie e la mia riconoscenza.

 
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