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Messaggi del 07/04/2014

L'INGRESSO DI GESU' A GERUSALEMME...MEDITAZIONE PARTE II.LINA LADU.GERUSALEMME.

Post n°1134 pubblicato il 07 Aprile 2014 da linaladu

http://i.imgur.com/RFeolQp.jpg?1

 

Gerusalemme, circa duemila anni fa: la città è invasa dai pellegrini accorsi da tutte le regioni d'Israele per celebrare la Pasqua, la grande festa dell'uscita del popolo dalla terra d'Egitto, la ricorrenza più temuta dagli occupanti romani, proprio perché legata ad un evento in cui si faceva memoria della liberazione degli ebrei dalla schiavitù. E gli israeliti di quel tempo si trovavano ancora schiavi, questa volta, però, nella loro terra, in mano allo straniero. Circolavano voci, in città, la folla era in fremente attesa: “Dicono che ci sia qualcuno, in giro: forse il messia promesso dalle Scritture, un uomo mandato da Dio per liberarci dal giogo dell'oppressione!”. C'è tumulto intorno a questa speranza. C'è il desiderio vivo di Dio che torni a liberare il Suo popolo. Ecco allora che si presenta alle porte di Gerusalemme un uomo: se ne è sentito parlare a lungo, molti lo hanno ascoltato predicare e ora si radunano lungo la via che conduce al tempio per accoglierlo. È una cavalcatura strana, la sua, a dorso di un'asina e del suo piccolo: immagine decisamente poco appariscente, del tutto inadeguata ad un sovrano. Eppure la folla che si è radunata intorno a lui non sembra stupirsene più di tanto: anzi, lo acclama quale “re d'Israele”. Un re piuttosto inconsueto, senza scettro e senza corona. Un re disarmato e senza soldati al suo seguito. Eppure la gente sembra riconoscerlo e non sembra nutrire dubbi circa la sua identità. Come mai? 

in proposito,accenno una risposta: le Scritture ebraiche, in particolare i profeti, e più specificamente Zaccaria, avevano parlato di un re che si sarebbe presentato in Gerusalemme proprio in questo modo, diciamo così, “originale”. Di questo strano sovrano, Zaccaria mette in evidenza un attributo su tutti: egli sarà un re mite.Sì, mite: ovverosia pacifico, senz'armi, “principe della pace”, come ebbe a dire il sommo dei profeti, Isaia. Un messia che veniva a liberare il suo popolo, ma non nel senso in cui il pensiero politico avrebbe desiderato. Sì, Gesù è il messia che Dio ha mandato per liberare il suo popolo: per liberarlo, anzitutto, dalla violenza e dalla sua logica imprigionante, che mantiene in schiavitù chiunque cerchi di liberarsi dall'oppressione ricorrendo alle armi. 

Gesù viene, dunque, e gran parte della folla accorsa a Gerusalemme lo riconosce e lo acclama re: un re di pace e di giustizia, il re annunciato dai profeti. Avvicinarsi alla Pasqua significa, anche, riconoscere le responsabilità di cui, come chiese cristiane, ci siamo macchiati nel corso della nostra storia, farne memoria per evitare di tornare a cadervi. Per lungo tempo le chiese, anche quelle protestanti, hanno affermato che Gesù è stato condannato a morte “dagli ebrei”: affermazione gravissima e, soprattutto, profondamente falsa. Ebrei, infatti, erano tutti i primi discepoli di Gesù, nonché, non dimentichiamolo, lo stesso Gesù. Anche la folla che incontriamo oggi nel nostro brano, questa folla che acclama Gesù, è costituita da donne e da uomini di fede e di tradizione ebraica. Il popolo d'Israele, in primo luogo, ha riconosciuto Gesù. Una parte dei sommi sacerdoti legati al tempio, uomini (esclusivamente uomini) collusi con il potere, ne hanno favorito la condanna, eseguita poi dai romani, non da israeliti. Il conflitto con Gesù e la decisione di metterlo a morte ebbero ragioni di natura politica, non etnica e nemmeno (in senso stretto) religiosa: Gesù era un uomo scomodo per i potenti, un uomo che amava suscitare la libertà in chi ne accoglieva l'annuncio, un uomo la cui parola, come quella di Dio, era adatta soltanto a cuori aperti e non induriti, ad orecchie capaci, ancora, di ascoltare. E furono orecchie e cuori d'ebrei a fare spazio al suo messaggio e a diffonderlo: è grazie a costoro che ancora oggi il messaggio dell'ebreo Gesù percorre la terra e scuote le donne e gli uomini dalle loro false sicurezze. 

“Ma chi è costui?”, si domandano, increduli, alcuni dei presenti alla scena dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme. La folla, senza esitazione, risponde: “È il profeta Gesù”. Profeta: questo è il primo termine che lo qualifica e lo identifica. Gesù è profeta e “figlio dei profeti”, debitore di quanti, nella storia d'Israele, l'hanno preceduto nell'annuncio di un regno di pace e di giustizia, un regno da instaurare, da preparare, non soltanto da attendere. Gesù si pone nel solco di questi profeti, si considera loro erede e porta avanti il loro messaggio. “Profeta” è parola che viene dal greco, pro-phemì, e può significare, principalmente, due cose.

In primo luogo “profeta” è chi “parla di fronte a”: in particolare, di fronte ai potenti, a coloro che non ammettono replica, che non accettano la critica. Ma anche di fronte alle donne ed agli uomini, nella speranza, che, ascoltando, prendano coscienza ed incomincino, anch'essi, a recare un annuncio scomodo. Infine, ma non certo per importanza, il profeta parla anche, ogni volta che apre bocca, di fronte a Dio, al cui giudizio rimette ogni cosa che pronuncerà in nome Suo: un profeta si trova sempre dinanzi a Dio, tutta la sua vita. Il profeta vive di Dio e per Dio, e a Dio appartiene la sua stessa vita e tutto cio' che il suo cuore brama: è Dio a infondergli il coraggio, a donargli l'audacia. Perché è Dio, e nessun altro, a costituirlo profeta.

Ma “profeta”, in un secondo significato, è anche colui, colei, che “parla in favore di”, o “al posto di”: in favore di chi voce non ha, perché il suo diritto venga rivendicato e difeso dalla violenza di chi intende negarlo. E al posto di quel Dio che non ha altra voce per parlare se non quella dalle donne e degli uomini che Egli chiama perché osino recare il Suo annuncio. Un annuncio che sembra condannato a non avere troppe orecchie ad ascoltarlo, perché viene a scuotere, a scomodare l'essere umano.

Un annuncio per donne e uomini liberi, uomini e donne capaci di riconoscere che il Dio d'Israele è un Dio degli oppressi, un Dio che ama accompagnarsi agli ultimi e che, quando manda un messia, gli fa cavalcare un'asina e lo fa accogliere da quei diseredati che Egli ha costituito quali eredi del Suo regno. Un Dio che innalza gli umili e che dichiara il suo amore per gli afflitti, la sua predilezione per i poveri. Un Dio che contraddice le evidenze, un Dio al quale siamo chiamati ad educare il nostro sguardo, altrimenti rischiamo di non notarlo, quando ci passa vicino. Un Dio che gli occhi attenti dei semplici ci insegnano a scorgere, come ci ricorda lo stesso Matteo nel suo vangelo: 

Mi rallegro di Te, o Padre, Signore del cielo e della terra,

perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti

e le hai rivelate ai piccoli 

Amén..In fede lina ladu gerusalemme.

 
 
 

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