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Oggi non è l'anniversario della morte di Syd Barrett

Post n°124 pubblicato il 03 Febbraio 2008 da bartelio


All'ingresso del club, incastrato tra lo sportello delle tessere Arci e il pannello rosso in cartongesso che nascondeva il resto del locale, all'ingresso c'era Duns rannicchiato con la chitarra sulle ginocchia. Suonava quel pezzo di Barrett che parla di Maisie seduta nella luce della sera.

Lee Ranaldo scendeva nel frattempo la collina di Monterrey. Era mattina presto. Aveva capelli dipinti d'oro e api nelle narici. Si fermò presso il laghetto delle trote iridate. Vide un uomo chino sulla canna da pesca, gli si avvicinò e gli chiese di Maisie. L'uomo sollevò gli occhi dal cappello. Non disse nulla, solo indicò verso valle.


Barrett prendeva il Mandrax, un barbiturico che induceva brevi stati di euforia. Di ritorno dal paese della transe, restava una comune depressione. Barrett bruciava manciate di cellule cerebrali sciogliendo in bocca zuccherini di acido lisergico. Alcuni isolati più in là, Timothy Leary fondava la Lega dello Sviluppo Spirituale, l'acido lisergico come sacramento.

Mentre suonava le basi per Barrett, suo secondo e ultimo disco, formiche in copertina, Syd non riusciva a tenere la mano sul manico e gli accordi gli cascavano giù; si addormentava o perdeva interesse alla cosa. David Gilmour allora faceva stop, si toglieva le cuffie, usciva dalla cabina di registrazione e canticchiando shine on you crazy diamond diceva Syd, diamine, e completava lui il pezzo.

Syd aveva capelli neri lunghi e increspati e peli sul petto che gli spuntavano dalla camicia: per un vezzo da rockstar, non si allacciava mai l'ultimo bottone, come invece faceva il novantacinque per cento della gente negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta.


Duns era seduto accosciato e suonicchiava Maisie, un pezzo lento, un blues si può dire, ma fatto alla maniera di Barrett: le classiche dodici battute parevano ventiquattro e in mezzo c'era tanto di quel genio che anche se la storia della musica pop si fosse arrestata a quel punto, beh, sarebbe stato sufficiente.


Dentro la musica di Syd c'era già tutto quel che occorre e che basta, tutto quel che sarebbe venuto di lì a poco. C'era la psichedelia, i Beatles di Sgt. Pepper, la dilatazione dello sfintere di Jerry Garcia (pare che gli si dilatasse mentre suonava aoxomoxoa), il glam-rock di Bowie, il punk inteso come respiro, come senzibbilità dell'animo di strada; c'era anche il vietnam, la tirannia della famiglia Bush, i massacri dei khmer rossi, un barattolo di ciliegie sotto spirito e la friggitrice che mio padre teneva in garage estate inverno, ricolma d'olio usato e strausato: Barrett suo malgrado diceva tutto questo. Era sempre o-l-t-r-e, lo sguardo lontano. Del resto il Mandrax lasciava problemi di coordinazione motoria, induceva sonnolenza (Brian Jones faticava a alzarsi, sino a che non si rialzò più), ma allargava la coscienza: c'erano giorni in cui la coscienza di Syd coincideva, grado più grado meno, con quella del mondo. Se assunto a stomaco vuoto il Mandrax poteva dare allucinazioni.


Pioveva da far pietà. Duns non trovava di meglio che strimpellare, le dita rattrappite che scivolavano di lato. Canticchiava.

Maisie
sfiga dura ti volle sposata a un toro
camminavo a passi lunghi per incontrarti
tu seduta nella luce della sera
quel suo ghigno luminoso ti ha fatto ruotare
stesa nella sala con diamanti e smeraldi nei capelli
oltre ogni rimprovero
Maisie

Duns si alzò, aveva l'alito che puzzava di sardine alla crema. Fece un cenno con la mano. Nel club stava suonando una band post-rock-neo-psichedelica. Avevano sitar e pentole a pressione (emettevano quel sibilo caratteristico di quando è ora di abbassare la fiamma), sfregavano lime e pelli di paguro. Un chitarrista autistico ripeteva all'infinito lo stesso accordo (un banale giro di do corretto col lexotan). Avevano occhi azzurro fosforescenti. Sulle pareti del club lente strisce colorate blu arancioni disegnavano un curioso effetto circo barnum.


Barrett una volta disse di aver vissuto un trip in cui era JFK, Luther King e Lee Harvey Oswald fusi in un pezzo solo. Si vide di spalle mentre si incamminava verso il centro di Dallas, col fucile appoggiato all'avambraccio. Sparò da un finestrone cogliendo JohnFitz, sé stesso, in piena fronte. Pezzi di materia cerebrale raccolti da Jacqueline sul cofano della macchina. Il cadavere aveva il viso scuro di King. Lee Barrett andò al cinema. Aveva un alibi per il pomeriggio. L'animaccia di Edgar J Hoover ebbe un sussulto e ruppe il coperchio in basalto della tomba del Congressional Cemetery di Washington. La commissione Warren scrisse ventisei volumi. Lee Barrett ne lesse solo sette e concluse che non c'erano complotti. Poi si mise a giocare a Shangai.


Mentre Lee Ranaldo afferrava l'ombra di Maisie e la scuoteva (ai piedi della collina di Monterrey, secco in bocca, polvere sollevata dal vento, cani che copulavano all'ombra di un sicomoro), mentre Maisie si agitava nel sole del mattino, in un angolo del club un oratore con la giacca (vistose toppe sui gomiti) intratteneva alcuni gggiovani sul significato e il valore intrinseco del far corsa da soli alle elezioni politiche.

Troverete un simbolo grande come un condominio, diceva, una grande grandissima strafigata, proseguì guardandosi attorno e sentendosi tragicamente fuori posto.

E' la nostra casa comune, concedetemelo. Non disperdete il voto!
Concentrate i vostri sforzi sopra l'icona. Avremo messo fine, absit iniuria verbis, alla tirannia dei piccoli partiti.

Uno dei gggiovani disse, capo ma questo mi puzza di marketing. Ci prendete per fessi. Non siamo miopi: per quanto grande sia l'icona, immagino occuperà tre quarti di pagina, riusciremo lo stesso a trovare lo nostro particulare, se lo vogliamo.

Non si tratta di tirare all'orso più grosso per vincere la bambolina, gridò l'oratore preso da un tremito.

E allora mi spieghi che c'è di nuovo in tutto questo. Una sardina camuffata da balena, che non dichiara a priori se copulerà con tonni e cefali o con lo squalo martello. Mi dica dove cazzo sta la novità.
Noi gggiovani faremo dell'altro, metteremo il simbolo della chiavata rincoglionita, noi strafatti concentreremo il seme lì sopra.

Birra per tutti!, gridò a quel punto l'oratore. Fece cenno verso il mixer. Due uomini tozzi in occhiali scuri gettarono a terra Simon Bassline Smith e si impossessarono della consolle. Partì Blietzkrieg Bop dei Ramones e l'oratore abbracciò i gggiovani. Ne approfittò per distribuire in giro santini di Rosi Bindi.

Duns guardò il santino e disse dio cane, poi prese a strimpellare Rats. Quasi gridava, gli occhi sciabolavano.

Ratti ratti ratti
Non abbiamo bisogno di te
facciamo quel che vogliamo
E se pensi di non essere amato
Beh è così pressappoco
Ratti, ratti, sdràiati per terra
Si, sì, sì, sì, sdràiati per terra
Rosi hai la fica slabbrata

Alcuni si voltarono. Era una versione apocrifa. La serata virò sul cremisi. La neo-psichedelia tornava di moda ogni vent'anni. Camicie a fiori, capelli molto lunghi sul viso, ondulati come di chi ha conosciuto il punk e non se lo può scordare. Conigli bianchi e cobret piuttosto che acido lisergico. Era una corrente che percorreva i corpi le ginocchia i cazzi e le fiche. Faceva scaricare più roba da emule, questo sì. Era bello sedersi sul ponte e veder passare nell'acqua il cadavere dei gggiovani intrippati.

Sul palco calarono dal soffitto un panno bianco. Il gruppo neo-psichdelico riprese a suonare. I ragazzi erano colorati. Le immagini del proiettore li attraversavano e si fissavano sul panno alle loro spalle come radioattive. Il chitarrista si scottò le dita tentando di dare fuoco al manico. Sul panno e addosso a loro, Iggy Pop spiegava a Lou Reed come iniettarsi eroina dalla fronte. Un'insegnante di letteratura (piano sequenza sugli studenti) mostrava lo schermo ai ragazzi (un film nel film) dicendo, negli anni ottanta l'eroina mieteva vittime fino a che non passò di moda. Sullo sfondo, in un cerchio giallo, una figura esile come un grillo parlante ma con una terribile erre moscia leggeva brani da la notte del drive-in. Aveva un enorme cappello coperto di filo spinato. Interrompendo ogni tanto la lettura gridava, un libro come gli altri da leggersi nel mucchio, un libro come gli altri da leggersi nel mucchio. Fatela tacere disse qualcuno nella pellicola. Fu fatta tacere.

Duns arpeggiava su wined and dined, un pezzo di una dolcezza indolente.

una ragazza così gentile
un tipo d'amore che non avevo mai conosciuto
prima di allora

Il gruppo riprese la tirrannia dello shoegazing. Duns non reggeva lo shoegaze. Per la seconda volta nella serata bestemmiò, segno che la misura era colma. Lo shoegaze no, porco dio, disse scatarrando sangue, gli occhi che sciabolavano. Ora basta, ora fatemi Baby Lemonade in fa diesis senza mancare una nota, disse al gruppo.

la pioggia grigia cade lontano
per favore, bambina, una limonata
di sera al tramonto
quando la terra fluttua
ti prego spedisci una gabbia per posta
domattina
la mia vita è appesa al filo di tittie
fai del tuo nome il nome di un fantasma
e ora per favore, bambina, una limonata
con tutta la lingua
tutta

Si spalancò la porta dietro il palco. Lee Ranaldo entrò accompagnato dalla gioventù sonica. Trascinava Maisie per un braccio. Le diede uno strattone e la donna cadde in ginocchio. Una spallina dell'abito corto le scivolò di lato. Era a piedi nudi.

Parla ora, disse Lee Ranaldo mentre la gioventù sonica poneva fine alla tirrania dello shoegaze.

Ho parole di verità disse la donna, la voce che tremava. Il Re delle Televisioni può anche essere il male minore, ascoltate bene, può anche essere il male minore. Vomitò bile sul pavimento. Poi proseguì. Tolse dal reggiseno una foto del Re.

E' cazzuto disse Maisie, ha fatto un sacco di soldi e ne sa più di me e di voi messi insieme. Guardatelo, si incammina verso la quinta legislatura, disse Maisie. A settantuno anni suonati, disse così senza usare alcuna elisione. Guardatelo disse ancora. E' il male minore. Non c'è buonismo. Non scrive libri la notte. Non giura di andare in Africa. Ci darà un piano quinquennale di prosperità. Guardate i capelli, disse ancora la donna.

Lee Ranaldo aveva il basso in mano mentre Kim Gordon si accomodava alla batteria. Guardate urlò la donna strappandosi il vestito. Tutti guardarono. No, Cristo! Là!, disse la donna coprendosi e indicando il palco. Dietro Lee Ranaldo, i capelli d'oro, le api nelle narici, il volto del Re, bello, s-o-l-a-r-e, lungocrinito, sorrideva. E' il male minore disse la donna. Cadde poi con la faccia sul pavimento.

La gioventù sonica attaccò Starpower. Duns vomitava rabbia e bestemmie contro l'oratore che in un angolo, non visto, ingoiava i santini rimasti. Sfruttando l'ombra della gigantesca colonna al centro del club, l'oratore lasciò il locale. Fuori pioveva sempre da far pietà. L'oratore si rialzò il bavero della giacca e si incamminò indeciso sotto la pioggia. L'acqua gli scivolava per la schiena e l'alba era ancora lontana. Tutt'intorno a sé aveva il parco dell'idroscalo, che lo custodiva come un utero in affitto. Il parco gocciolante si apriva a ogni suo passo e restava indeciso su quale potesse essere la successiva posa antropomorfa.

Fèrmati, l'oratore sentì la voce dietro di sé.

Si voltò e vide Maisie che lo raggiungeva camminando a passi larghi nel fango, i piedi nudi che facevano clickette click click click clickette clack come battessero il tempo. La donna si era coperta con alcuni cartelloni pubblicitari che ricordavano la serata con Simon Bassline Smith in programma per la settimana successiva. Per effetto della pioggia, il viso di Simon Bassline Smith appariva come piagato da una rara malattia dermatologica.

Caro, disse la donna una volta raggiunto l'oratore. Gli carezzò i capelli lisciandoglieli all'indietro. L'uomo sollevò la mano e la posò su quella di Maisie.

Ci hanno ingannati, disse ancora Maisie. L'oratore annuì senza dire una sola parola. La luce di un lampione li trafiggeva da destra illuminandoli con effetto patinato, quasi si trattasse della scena cruciale di un film di Luc Besson. Si mise a piovere ancora più forte. Si abbracciarono. Dal locale arrivava ancora la musica della gioventù sonica. In fondo che cos'è la realtà e che importa, in fondo, che importa, pensò l'oratore. Si accorse di avere ancora in mano un santino e lo fece a brandelli tra i denti, con rabbia.

Portami all'acqua, disse la donna. L'oratore la fissò sgomento, ma ancora non disse una parola. La prese per mano e insieme si incamminarono verso l'idroscalo. Si stesero sulla riva, sotto una magnolia; l'uomo si tolse la giacca e la usarono come giaciglio. Il cielo a destra mandava bagliori. Fecero l'amore. Poi s'addormentarono. Nella notte smise di piovere.

Alle prime luci del giorno furono svegliati da alcuni rumori. Intere famiglie Sikh arrivavano dal fondo parco portando con sé dei barbecue per la tradizionale festa del Baisakhi. L'uomo passò una mano sul viso della donna. La donna aveva l'alito cattivo e preferì tenere la bocca chiusa. Il cielo era terso e il sole sorgeva lento, colorando l'alba in technicolor. L'oratore accolse la cosa come una premonizione. C'è una straordinaria tenerezza tra noi, pensò l'oratore e gli salirono le lacrime agli occhi, mentre Maisie respirava piano, la testa buttata all'indietro con studiata nonchalance.

Dal club arrivò sfumatissima la musica di Simon Bassline Smith. Cantava di Dio, di cenere, di tendini tra i denti, di bottiglie vuote, di tutto ciò che riempie le giornate e lento le svuota, della paura, del colore del tempo, della fatica di sollevare le mani, della stanchezza che fa chiudere gli occhi -la testa appoggiata a un vetro sporco del metrò verso gessate-, del suono dell'acqua percepito sulla riva sinistra del Mississippi, della polvere, dello stordimento che cola lento dalle orecchie, dei rave party in un camion sconsacrato solitamente adibito al trasporto dei friarielli, di come sia bello passare sulla sopraelevata della linea verde verso cascina gobba nelle sere di Aprile e sentire che un'intera città dorme e balugina davanti a te. E poi a tratti parlava dell'infinito, qualunque cosa fosse .

A change is gonna come, pensò l'oratore, qualunque cosa sia.
Maisie muoveva i piedi nudi nell'erba.


 
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