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« Er barbiere e l'avventoreTullia alla Duchessa di Toscana »

Tullia al Duca di Firenze

Post n°578 pubblicato il 08 Gennaio 2014 da livieroamispera
 

Le Rime di Tullia d'Aragona sono meno di una sessantina. In compenso una numero maggiore di poesie furono a lei dedicate da vari autori. I primi nove sonetti della raccolta sono dedicati al Duca di Firenze.

I.
Al Duca di Firenze

Se gli antichi pastor di rose e fiori
sparsero i tempii, e vaporar gli altari
d'incenso a Pan, sol perché dolci e cari
avea fatto a le Ninfe i loro amori:

quai fior degg'io Signor, quai deggio odori,
sparger al nome vostro, che sian pari
a i merti vostri, e tante, e così rari,
ch'ognor spargete in me grazie e favori?

Nessun per certo tempio, altare, o dono
trovar si può di così gran valore,
ch'a vostra alta bontà sia pregio eguale.

Sia dunque il petto vostro, u' tutte sono
le virtù, tempio; altare, il saggio core;
Vittima, l'alma mia, se tanto vale.


II.
Al Duca di Firenze
Cod. Magliabecchiano, II, I, IV

Se gli antichi pastor di rose e fiori
sparsero i tempii, e vaporar gl'altari
di maschi incensi a Vener, poiché cari
fece e dolci alle Ninfe i loro amori:

a voi, che sceso dai più nobil cori
degl'angiol sete, e ch'ai desiri miei cari
rendete i favor, quai più rari
fiori offrirò io? quai grati odori?

Veramente non tempio, altare, o dono
trovar si può di tal pregio e valore,
ch'a vostra cortesia sia merto uguale;

fuor che fia 'l petto vostro il tempio, u' sono
alti pensieri; e 'l saggio vostro core
fia altar; vittima, l'alma mia immortale.


III.
Al Duca di Firenze

Signor, pregio e onor di questa etade,
cui tutte le virtù compagne fersi,
che con tante bell'opre e sì diversi
effetti gite al ciel per mille strade:

quai fien, che possan mai tante, e sì rade
doti vostre cantar prose, né versi?
In voi solo (e son parca) può vedersi
giunta a sommo valor, somma bontade.

Voi saggio, voi clemente, voi cortese;
onde nel primo fior de' più verd'anni
vi fu dato da Dio sì grande impero,

per ristorar tutti gli andati danni;
e, con potere eguale al bel pensero,
por sempiterno fine a tante offese.


IV.
Al Duca di Firenze

Signor d'ogni valor più d'altro adorno:
Duce fra tutti i Duci altero e solo:
Cosmo, di cui dall'uno all'altro polo,
e donde parte, e donde torna il giorno,

non vede pari il sol girando intorno:
me, che quanto più so v'onoro, e colo,
prendete in grado, e scemate il gran duolo
de l'altrui ingiusto oltraggio, e indegno scorno.

Né vi dispiaccia, ch'el mio oscuro e vile
cantar, cerchi talor d'acquistar fama
a voi più ch'altro chiaro, e più gentile;

non guardate Signor, quanto lo stile
vi toglie (ohimè) ma quel che darvi brama
il cor, ch'a vostra altezza inchina umile.


V.
Al Duca di Firenze

Nuovo Numa Toscan, che le chiar'onde
del tuo bel fiume inalzi a quegli onori
ch'ebbe già il Tebro; e le stelle migliori
girano tutte al gran valor seconde;

le tue virtuti a null'altre seconde,
alto suggetto a i più famosi cori,
da l'Arbia, ond'oggi ogni bell'alma è fuori,
mi trasser d'Arno a le felici sponde.

E al primo disio, nuovo disire,
m'accende ognor la tua bontà natìa:
tal che miglior non spero, o bramo albergo.

Così potessi un dì farmi sentire
cortese no, ma grata con la mia
zampogna, ch'a te sol, bench'indegna, ergo.


VI.
Al Duca di Firenze
Cod. Magliabecchiano, II, I, IV

Almo Pastor, che godi alle chiar'onde
del più bel fiume che Toscana onori,
cui s'aggiran le grazie e i santi amori,
lieti spargendo intorno fiori e fronde:

le tue virtuti a null'altro seconde,
alto soggetto a più gentil pastore,
da i colli ornati già di mille allori,
mi volser con mie gregge a le tue sponde.

E al primo mio disir, nuovo disire,
aggiunto ha dentr'al cor tua cortesia,
che in le tue piagge eterno sia 'l mio albergo;

e vorrei bel almen farmi sentire
grata al tenor della zampogna mia,
ma a dir el ver tant'alto el suon non ergo.


VII.
Al Duca di Firenze

Signor, che con pietate alta e consiglio,
(onde tanto più ch'altro al mondo vali)
venisti a medicar gli antichi mali
del fiorito per te purpureo giglio;

io che scampata da crudele artiglio,
provo gli acerbi e ingiuriosi strali
quanto sian di fortuna aspri e mortali,
a te rifuggo in sì grave periglio;

e solo chieggo umil, che come l'alma
secura vive omai ne la tua corte,
da la vicina e minacciata morte,

cusì la tua mercè di ben n'apporte
tanto, che l'altra mia povera salma,
libera venga per le ricche porte.


VIII.
Al Duca di Firenze

Dive che dal bel monte d'Elicona
discendete sovente a far soggiorno
fra queste rive, ond'è che d'ogn'intorno
il gran nome Toscan più altero sona:

d'eterni fior tessete una corona
a lui, che di virtù fa 'l mondo adorno,
sceso col fortunato Capricorno,
per cui l'antico vizio n'abbandona.

E per me lodi, e per me grazia a lui
rendete, o Dive, che lingua mortale,
verso immortal virtù s'affanna indarno.

Quest'è valor, quest'è suggetto tale,
che solo è da voi sole, e non d'altrui:
così dicea la Tullia in riva d'Arno.


IX.
Al Duca di Firenze

Né vostro impero ancor che bello e raro,
né d'argento e di gemme ampia ricchezza,
che men da chi più sa si brama e prezza,
vi fanno al mondo sì famoso e chiaro:

quanto l'aver, Signor pregiato e caro,
la ben nata e gentil anima avvezza,
con severa pietate e dolce asprezza
perdonar, e punir, ch'oggi è sì raro.

Queste vi fanno tal, lunge e dappresso,
ch'al grido sol del vostro nome altero
l'alma s'inchina, e come può vi onora.

E se al caldo disìo fia mai concesso
stile al suggetto ugual, ritrarne spero
fama immortal, dopo la morte ancora.

 
 
 
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