Torn & Frayed

Sull'Isola. IV.

Sull'isola. IV.

"Non sia improvvido, capitano. Sta perdendo il suo equipaggio e tutto ciò
che le resta sono i suoi ufficiali, me stesso, nella mia umile persona, e i
fanciulli che dobbiamo riportare ai genitori. Non è saggio mordere la mano
che ti porge il cibo." Mi ricomposi e celai tutto il mio disgusto al prete
spazzando con i piedi dal sentiero quegli strani rimasugli di una lotta che
doveva avere radici antichissime. Prendemmo ad avviarci in discesa e
 fui sorpreso, insieme ai miei uomini, di vedere diradarsi le sacrileghe
statuette che ci avevano accompagnato per tutta l'ascesa. Non facevano
più capolino da ogni gomito di tragitto o, se ve n'erano, stavano frantumate
in mille pezzi lungo i bordi. Mi avvicinai a Osterberg :"James, vede anche
lei quello che vedo Io? Com'è possibile questo evento?" Il mio secondo
sollevò le spalle e fece rilucere i denti in un sorriso abbagliante :"Siamo
entrati nella zona orientale dell'Isola dove, come lei può ben capire si
sono, probabilmente, rifugiate, le popolazioni rimanenti, vittime di
qualche aggressione che non riusciamo a quantificare né in numero né
in forma. Qui quei poveri disgraziati devono avere eretto le loro ultime
barricate per resistere a un Male grandissimo e potente. E devono
avere combattuto." Mi guardai in giro mentre scendevamo a valle lungo
il letto del torrente in secca. Gli alberi da cocco erano piegati come se
una folata improvvisa li avesse quasi abbattuti. Ovunque non v'era
traccia di presenza umana e solo il cupo stridore dei gabbiani più in
basso testimoniava di minime forme di vita ancora attive nell'arcipelago.
Non osavo girare a guardarmi le spalle, ma sapevo già che tutta la
feccia del mio equipaggio doveva essersi eclissata e che mi trovavo
a entrare in un territorio sconosciuto con l'ausilio dei mei fedelissimi
ufficiali, di un pastore particolarmente ambiguo e di alcune dozzine
di fanciulli. Fu dopo un percorso sconclusionato e complesso che
approdammo nelle terre inferiori e sbucammo nella fetta di terra che
separa il mare dalle montagne. Tutti ci arrestammo e guardammo
diritto davanti a noi: presso alcuni fuochi accesi sulla spiaggia
stavano accoccolati quelli che sembravano essere i primigeni
abitatori nonché padri e madri dei ragazzini che conducevamo
al nostro seguito. Gli occhi mi si accesero di gioia. Allora tutta la
terribile sequela di eventi che avevamo paventato dopo l'orribile
visione in cima al passo non aveva avuto seguito. Le orribili scene
di morte e distruzione che mi avevano attraversato la mente in
quei durissimi momenti di discesa dal colle non si erano rivelate
corrispondenti al vero. Corsi a perdifiato verso le rade figure umane
sparpagliate lungo il sottile lembo di terra. Mi avvicinai a uno di
questi minuscoli capannelli di gente, e in quel poco che sapevo
della loro lingua ancestrale, chiesi come stavano e cos'era
accaduto. In seguito alla mia domanda uno dei selvaggi si girò
lentissimamente, quasi che una mosca fastidiosa gli si fosse
posata sull'orecchio, mi puntò nelle pupille i suoi occhi vuoti e
folli e recitò nella mia lingua, staccando recisamente le parole
l'una dalle altre. "Sì, tutto bene, straniero, stiamo festeggiando
una grande vittoria." Fu in quel momento che afferrai, come in
sogno, tutto l'orrore di ciò che doveva essere avvenuto e,
inceppandomi nell'espressione, soffocando quasi in gola, girai
i tacchi e tornai, a gambe levate, verso i miei fedelissimi, che mi
attendevano stravolti e interrogativi.