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UN ASPETTO POCO CONOSCIUTO DI TEILHARD

Post n°156 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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LA " CONTEMPLAZIONE DELLA NATURA" NEI PADRI GRECI ED IN TEILHARD DE CHARDIN
 

 L’universo è strutturato come un’immensa lode, una liturgia cosmica, un “inno mirabilmente composto”, dice san Basilio nelle sue “Omelie sull’Esamerone”, in cui la totalità creata procede dal Padre, per il Figlio – mediatore cosmico della creazione e della deificazione – nelle energie del Santo Spirito. La gloria triunitaria, il suo irraggiamento che ad un tempo vela e manifesta la divinità abissale della Trinità, è il luogo, il grembo del mondo. Se in un filone della mistica ebraica si ricorre al simbolo dello “Tzimtzum”, di un paradossale ritrarsi del Santo, dell’Uno dalla sua pienezza per eventuare in sé un luogo cavo, un “nulla di Dio” che diventa altresì la condizione per l’esistenza dell’altro, del mondo, nella mistica cristiana tale vuoto, tale luogo, tale ritrarsi accade all’interno della stessa Trinità.

Per i Padri esicasti come per i filosofi religiosi russi del XIX sec. lo spazio della creazione non è il semplice nulla come assenza ma la kenosis, lo svuotamento d’amore del Padre nel comunicare al Figlio ed allo Spirito tutta la ricchezza della sua partecipabilità; lo svuotamento d’amore del Figlio nel ricevere – eternamente in sinu patris e nel “tempo” della morte e resurrezione - tale irradiazione gloriosa, da Lui nuovamente accolta, reintegrata e donata nella forza dello Spirito all’umanità assunta dopo essere stata da essa come “bloccata” dal peccato, dal ripiegamento autocentrato della filautìa.

Lo scopo della purificazione dell’occhio del cuore e della “contemplazione della natura” è quello di riuscire nuovamente a scoprire il creato nella sua trasparenza originaria, a discernere nella trama della storia e dell’esistenza della creatura il flusso di gloria, l’irradiazione delle energie divine oscurato dal peccato e che l’incarnazione del Verbo e la pneumatizzazione del creato hanno nuovamente restaurato, ma che pure resta come fuoco dormiente sotto la cenere, sotto la scorza opaca del “mondo” (“nome collettivo che indica l’insieme delle passioni” per Isacco il Siro), in attesa di essere nuovamente guardato, attuato e bene-detto dal lavoro ascetico dell’uomo liberato.

Secondo la concezione gnoseologica dei Padri greci solo la luce può vedere la luce, solo l’occhio dell’intelletto nudo può farsi trasparenza, al fondo di sé, di quella gloria che come unica luce sofianica, tessuto increato del creato, unisce il soggetto all’oggetto, abolisce l’esteriorità dell’uno e l’illusoria chiusura dell’altro in una conoscenza che è altresì – per dirla con Claudel – connascenza reciproca, reciproco destarsi e ri-destarsi dell’uomo a se stesso – oltre se stesso – ed al mondo nella luce increata del Logos, nell’energia d’amore dello Spirito Santo che unifica il caos in cosmos, che incessantemente trionfa sulla morte e su tutte le nostre situazioni di morte.

“A questo punto si impongono alcuni confronti: con la Cabala che vede nelle profondità delle parole ebraiche la radice spirituale degli esseri; con tutta una tradizione cosmologica dell’occidente che parla di signatura rerum; con la filosofia del linguaggio in India che distingue le parole – germe (sphota), che strutturano l’universo, e le parole sonore (dhvani), solitamente sottomesse alle regole della fonetica e della grammatica, distinzione questa che si potrebbe trovare nella patristica greca: da un lato, con la concezione quasi kantiana dei concetti delle cose presso i Cappadoci, e dall’altro con i logoi intesi da Massimo il Confessore come le loro essenze spirituali… La capacità di discernere i logoi delle cose sfocia nella capacità di contemplare la loro complessa unità, l’interconnessione, nel Logos, delle loro radici spirituali” (O.Clement).

 

 Teilhard de Chardin ed i Padri

 

Confronto particolarmente stimolante è poi quello con il pensiero di P. Teilhard de Chardin le cui affinità con la concezione cosmologica dei padri greci e particolarmente di Massimo il Confessore è già stata notata in sede di studio. Accenneremo dunque solo ad alcuni snodi e nessi particolarmente significativi di questa vicinanza ed in grado forse di aiutare a comprendere come l’originalità spesso considerata eccessiva quando non equivocata di un pensatore, un mistico come il padre de Chardin, non sia da rinvenire in eccentricità individualistiche ma semmai nella fedeltà ad una Tradizione spesso obliata nelle sue componenti più vitali e feconde.

Tanto nella patristica greca quanto in Teilhard de Chardin è presente come abbiamo visto un forte radicamento del creato nell’irradiazione della gloria triunitaria, della quale il cosmo e l’umanità sono un riflesso ed una partecipazione a gradi progressivi di strutturazione e di sintesi unificante, sino alla pleromizzazione ed alla piena somiglianza con la “Sofia increata”.

Somiglianza dunque con la Sapienza divina intesa, su una linea di pensiero patristico più sofiologica, sulla scorta di Gregorio Nazianzeno, che logologica, non tanto e non solo come la seconda persona della Triunità quanto come il contenuto intelligibile del e nel Verbo stesso, il “panorganismo delle idee-volontà divine sul mondo” (S. Bulgakov), alla radice ontologica del mondo, suo riflesso e “sofia creata”. Attraverso le idee-volontà, o potremmo dire l’azione fecondatrice dell’ “eterno femminino” teilhardiano, del punto vergine al cuore delle cose traverso cui esse partecipano all’energia vivificante e divinizzante del Santo Spirito, il creato e l’umanità comunicano pienamente non all’inoggettivabilità ed alla trascendenza assoluta dell’essenza divina, ma alla gloria della Triunità.
Se per Teilhard “l’unione differenzia”, nella teologia trinitaria patristica è precisamente all’interno del “moto immobile dell’Uno” che si dà la possibilità e la pensabilità di un’alterità creata che emerge nel grembo di luce della donazione dell’Agape triunitario, nella prima alterità – il Verbo, Figlio -  immanente Dio stesso e nell’unità dello Spirito, non per annullarvisi ma per manifestarvisi come Pleroma, come mondo divino in Dio, come creazione pienamente compiuta nella sua diafania alla luce della Triunità, suo riflesso e gioia eterna secondo quella “pleromizzazione dell’essere che - per Teilhard - dovrà un giorno collegarsi alla trinitizzazione in una qualche ontologia generalizzata”, un’ontologia che con i Padri definiremmo comunionale.
L’ontologia degli esseri e delle cose non è infatti quella di una natura cieca o impersonale ma, oseremmo dire, una “fisica” cristologica, pneumatologica e trinitaria. E’ un’ontologia della donazione nella libertà, in cui la libertà dell’uomo è coinvolta e chiamata all’accoglienza, al ricevere attimo per attimo nel flusso delle energie divine la sua “identità per grazia” unitamente a tutte le creature, oppure a rifiutarsi ad essa, rifiutandosi all’attuazione della propria deificazione ed arrestando, “ossificando” (Berdjaev) la percezione del mondo, riducendolo con lo sguardo e con la prassi conseguente ad oggetto morto, consegnato alla deriva entropica di una vita per la morte.
“Ecco dunque, da una parte, la vuota libertà dell’individuo, e dall’altra il movimento di adorazione, di celebrazione, di apertura all’infinito che è la “natura” in noi ma che, non essendo più espresso dalle nostre persone e da esse legato a Dio, diviene un movimento folle, selvaggio che ci trascina in uno slancio insensato, ormai impersonale. Sopravviene allora la ricerca di un’estasi – non importa quale – attraverso la distruzione, la droga o l’erotismo. L’inserimento eucaristico della natura nella persona si trasforma in un imprigionamento infernale dell’individuo nella natura.” (O.Clement).
San Massimo il Confessore radicava il percorso contemplativo, la visione della natura e la gnosi trinitaria eucaristicamente, all’interno del Corpo del Risorto, identificando la natura creata con la sua carne, le idee-volontà che strutturano e vitalizzano il cosmo unificandolo in Dio con il suo sangue, e l’abisso della Triunità con il segreto inaccessibile della sua anima. Il cuore di questa immensa liturgia cosmica, di questa “messa sul mondo”, di questa cosmogenesi ed antropogenesi cristica non è - tanto per i Padri quanto per Teilhard - il Verbo “in divinis” quanto il Verbo incarnato, crocifisso e risorto in tutta  la densità del creato. E’ il corpo di Cristo che nella sua resurrezione, nella sua totale pneumatizzazione nello Spirito, “divenuto” tutto e solo amore e donazione kenotica di sé, trasparenza nell’umanità assunta alla generazione eterna del/dal Padre che da sempre lo costituisce in quanto Figlio unigenito, si sottrae alle limitazioni spazio temporali per divenire compresente a tutti ed a ciascuno, attivando le profondità ontologiche ultime ed intime della creazione inattuate dal peccato e liberate nella forza dello Spirito.

Lo Spirito del Cristo o la presenza del Cristo risorto nello Spirito diviene anche per Teilhard de Chardin la dynamis, la forza della Croce di “ek-centrazione” che conduce le creature ad uscire dal ripiegamento autocentrato della limitazione biopsichica per donarsi reciprocamente, spezzando la loro piccola individualità e “supercentrandosi” in Cristo, nell’unione con tutti in Lui, in una sola Vita di amore che consuma in sé la morte e la fatalità di un creato abbandonato all’inerzia ed alla gravità.

Alcuni interpreti hanno creduto di ravvisare nelle concezioni teilhardiane una sorta di necessità, di “automatismo” della redenzione che oscurerebbe il dramma e la tragedia della libertà personale, del libero volere dell’uomo che nemmeno Dio può forzare e violare perché, ancora con i Padri, “Dio può tutto tranne che obbligare l’uomo ad amarlo”, che imporsi a lui nell’aspetto di una forza cogente ed eteronoma e non nell’umiltà della kenosis e dell’amore che si offre alla libertà dell’uomo come luogo della sua dilatazione in pienezza e mai della sua mortificazione.

In realtà, ancora, tanto per i Padri quanto per Teilhard l’aspetto pneumatologico, la vita nello Spirito e nella libertà di un Agape che vive unicamente nella e come libertà dell’uomo, nell’accoglienza in Cristo della vita triunitaria, è sotteso a tutta la cristologia, a tutta la teologia, a tutta la storia della salvezza che è sempre sinergia tra libertà dell’offerta “eis telos”, sino alla morte, del Verbo incarnato per resuscitare le profondità sofianiche del creato, e dell’accoglienza dell’uomo chiamato in Cristo e nello Spirito al ruolo di creatore creato.

E’ attraverso la libertà umana che l’immensa circolazione di gloria che struttura e fonda la natura cosmica può nuovamente trovare il suo Centro in Cristo, come suo pleroma ed irradiazione gloriosa oppure implodere nel “ritorno offensivo di una moltitudine” irredenta.

L’uomo non è solo individuo, frammento di sopravvivenza psicofisica egocentrata che nel tentativo disperato di autoaffermazione lacera l’unità ontologica della natura cosmica ed umana, ma altresì persona in comunione, ipostasi capace, in unità d’amore con il Logos incarnato, di attingere o riattingere, di attuare l’unità di un’umanità integrale, l’armonia di una unità cosmoteandrica (cosmica, umana e divina) in cui la distinzione delle persone è ordinata alla comunione in una sola Vita, un solo Agape che circola tra tutti e tutti unifica in una pericoresi “ad immagine” della Santa Trinità.

Secondo la cosmologia, la “fisica celeste” dei padri orientali, la percezione ordinaria del mondo è il prodotto di un decadimento dalla vera natura del creato, il prodotto di uno sguardo oggettivante che ha perduto il contatto con la profondità nascosta del cosmo, là ove affonda le sue radici nell’incessante flusso della gloria divina, nella luce trasfigurante dello Spirito. Lo stato decaduto della creazione sottoposta all’opacità di uno spazio – tempo che separa ed implode nella morte, è come “congelato” dagli sguardi predatori, laceranti di un’umanità a sua volta frantumata nel gioco oppositivo di miriadi di volontà individuali, di individualità psicologiche. La rete di questi sguardi predatori imprigiona il creato e ne determina, ne crea un’immagine distorta, illusoria, mortifera.

“Il progetto divino – unirsi al creato attraverso l’uomo, deificarlo – è ripreso in un contesto divenuto ormai tragico, nel quale l’attualizzazione dell’imago dei attraverso le rivelazioni e le sapienze (quelle che la tradizione del cristianesimo antico chiamava “visite del Verbo”) esige un’ascesi violenta, nel quale, ancora, la croce cosmica, simbolo universale, deve diventare la croce del Golgota, prima di ergersi come nuovo Albero della vita… In questa prospettiva, infatti, tutto culmina nel mistero di Cristo, nella sua Incarnazione, nella sua Passione e nella sua Risurrezione che restituiscono finalmente agli uomini la possibilità di trasfigurare l’universo. Il mistero dell’Incarnazione del Logos contiene in sé – dice S. Massimo il Confessore – tutto il significato delle creature sensibili e intelligibili. Chi conosce il mistero della Croce e del Sepolcro conosce il senso autentico delle cose. E chi è iniziato al significato nascosto della Risurrezione conosce lo scopo per cui, sin dall’origine, Dio creò il tutto” (O. Clement).

Indubbiamente anche per Teilhard de Chardin è la Croce il punto focale della contemplazione trasfigurata della natura, della lucidità di uno sguardo capace di liberarsi dall’opacità creaturale per farsi non semplicemente specchio passivo di una visione naturalistica ed oggettivata ma tramite “proiettivo” di una Luce che è la stessa dello Spirito nel suo incessante generare il mondo e rigenerarsi nel mondo, in Cristo. Il Cristo crocifisso e risorto, disceso negli inferi delle lacerazioni e delle croci che contrassegnano la finitudine ferita, nel cuore delle “passività di diminuzione” attraverso la sua Passione d’amore, è davvero il Punto Omega, la potenza di attrazione di un Futuro escatologico già misteriosamente presente in ogni sforzo dell’uomo per liberare nella carità il proprio sguardo egocentrato e sfigurante unendolo alla Luce trans-figurante del Veniente.

“Come un lampo che balena dall’uno all’altro polo, si rivelerà a un tratto la presenza del Cristo, accresciutasi tacitamente nelle cose…Come il fulmine, come un incendio, come un diluvio, l’attrazione del Figlio dell’Uomo afferrerà, per riunirli o per sottometterli al suo corpo, tutti gli elementi che turbinano nell’universo” (T.de Chardin, Le milieu divin, Paris 1957).

 

 MASSIMO BOLOGNINO

dal sito: www.esicanio.it

 
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RIFLESSIONI TEILHARDIANE

"  La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto.  Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori?  Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva.  E' una distinzione illusoria.  La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente,  la Verità "   

                                                                                                                                                          

 

" Senza che si possa dire per ora in quali termini esatti, ma senza che vanga perduto un solo frammento del dato, sia rivelato che definitivamente dimostrato, sul problema scottante delle origini umane, l'accordo si farà senza sforzo, a poco a poco, tra la Scienza e il Dogma.  Intanto, evitiamo di respingere anche il minimo raggio di luce, sia da una parte che dall'altra.  La fede ha bisogno di tutta la verità". (da Les Hommes fossiles, marzo 1921) 
 
" Inventariare tutto, provare tutto, capire tutto. Ciò che è in alto, più lontano di quanto è respirabile, e  ciò che è in basso, più profondo della luce.  Ciò che si perde nelle distanze siderali, e ciò che si dissimula sotto gli elementi... Il sole si alza in avanti... Il Passato è una cosa superata...  La sola scoperta degna dei nostri sforzi è come costruire l'Avvenire". (La découverte du passé, 5 settembre 1935)
 

"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.

Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno...  Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)

 
"  Chiniamoci dunque con rispetto sotto il soffio che gonfia i nostri cuori per le ansie e le gioie di "tutto tentare e di tutto trovare".  L'onda  che sentiamo passare non si è formata in noi stessi.  Essa giunge a noi da molto lontano, partita contemporaneamente alla luce delle prime stelle.  Essa ci raggiunge dopo aver creato tutto lungo il suo cammino.  Lo spirito di ricerca e di conquista è l'anima permanente dell'Evoluzione" (Il Fenomeno Umano 1940)
 

" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando...  E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto...  Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro.  Manovra impossibile e fatale.  La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide.  Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936) 

 
" L'Energia diventa Presenza...  Sembrerebbe che un solo  raggio di una tale luce, cadendo come una scintilla in qualsiasi punto della Noosfera, dovesse provocare un'esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi di colpo la faccia della Terra. Allora, come è possibile che, guardando attorno a me, è ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovi pressochè solo della mia specie?  Solo ad aver "visto"?...  Incapace, quindi, quando me lo si chiede, di citare un solo autore, un solo testo, in cui si riconosca, chiaramente espressa, la meravigliosa "Diafania" che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto ?"  (Le Christique, marzo 1955) 
 
....IN QUESTA APERTURA VERSO QUALCHE COSA CHE SFUGGE ALLA MORTE TOTALE, L'EVOLUZIONE E' LA MANO DI DIO CHE CI RICONDUCE A  LUI . ( La Biologie, poussee à fond,peut-elle nous  conduire à èmerger dans le transcendant?  Maggio 1951)
 

Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio.  "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)

 

" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.

Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.

Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?

Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)

 

" Nel Cuore della Materia.

   Un Cuore del  Mondo,

    Il Cuore d' un Dio"

        (da Le  Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)

 
" Nella peggiore delle ipotesi, se ogni possibilità futura di parlare e di scrivere si chiudesse davanti a me, mi rimarrebbe, con l'aiuto di Gesù, quella di compiere questo gesto, affermazione e somma testimonianza della mia fede: scomparire,m inabissarmi in uno spirito di Suprema Comunione con le forze  cristiche  dell'Evoluzione  (da Note di esercizi spirituali, 22 ottobre 1945) 
 
 
 

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