Messaggi di Dicembre 2008

Post N° 129

Post n°129 pubblicato il 05 Dicembre 2008 da bioantroponoosfera
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TEILHARD DE CHARDIN

Il padre Pierre Teilhard de Chardin é nato a Orcines (Puy-de-Dôme, una regione al centro della Francia), il 1° maggio 1881 ed è morto a New York il giorno di Pasqua (10 aprile) del 1955 all’età di 74 anni, colpito dal terzo infarto della sua vita. Era pronipote di Catherine Arouet, sorella di Voltaire, e durante la prima guerra mondiale, già gesuita, è stato barelliere in mezzo ai fucilieri marocchini, in prima linea, dove ha meritato una medaglia al valore e la Legion d’onore. Portando tra le sue braccia la vita di chi sta per morire, si è reso conto che il mondo ha un volto sacro e che attraverso la terra si può stabilire una comunione con Dio. Egli aveva l’ambizione di offrire il mondo moderno a Gesù Cristo ed era incapace di piegarsi alla lentezza con cui avviene l’evoluzione dei dogmi: non sapeva che prima bis ogna capire ciò che voleva dire il profeta alla gente alla quale questi parlava; poi cercare di cogliere il significato in se stesso di ciò che era stato detto; infine esprimere in una determinata cultura, in modo che la gente di un dato tempo possa capire, quello che era stato rivelato in un altro tempo e che era passato attraverso una comprensione «scientifica» prima di essere «tradotto». Teilhard non era un dogmatico; era un ricercatore che ha avuto successo nelle sue ricerche, ma non nella comprensione che di quelle ne aveva l’autorità ecclesiale.Per questo gli hanno tolto l’insegnamento della geologia all’Institut Catholique di Parig i e, nel novembre 1926, l’hanno mandato il più lontano possibile, in Cina, dove era già stato per due anni (1922-1924) di sua iniziativa. E qui ha avuto fortuna, come paleontologo. La Cina è sempre stata per i gesuiti la terra delle grandi imprese, ma, proprio perché le loro imprese erano grandi, sono stati molto tribolati. Teilhard ha scoperto il «cranio sinantropo adulto non frantumato», qualcosa di molto lontano dell’Adamo del Paradiso terrestre, ma capace di domare e usare il fuoco: si trattava di «un’onda di coscienza che avanza». Anche l’esilio era provvidenziale. Durante la seconda guerra mondiale non era con i partigiani francesi perché, dal 1939 per sei anni, è restato bloccato in Cina e quando, nel 1946, a 65 anni, è ritornato in Francia era stanco, ma anche padrone della sua scienza e sempre pronto a rinascere. Era un profeta e come tutti i profeti restava solo e abbandonato da tutti (i suoi). Mentre la Repubblica lo celebrava come «una gloria della scienza francese», Roma gli intima di mantenere il silenzio su quanto non riguarda la sua specializzazione scientifica. Invece di mettere a frutto le visioni di Teilhard e la sua profetica proposta di rinnovamento, Roma vede nella corsa dell’universo in evoluzione da venti miliardi di anni un sistema che «non è scevro di oscurità e di ambiguità pericolose» e l'enciclica Humani Generis si limita ad autorizzare gli studiosi cattolici ad ammettere la probabilità che il primo uomo sia stato creato da una «materia preesistente e vivente». Teilhard allora sceglie un altro esilio, quello dell’America, dove i gesuiti di New York lo accolgono come un amico. Egli obbedisce perinde ac cadaver al padre Generale Janssens, precisando che «Roma può avere le sue ragioni per ritenere che, nella sua forma attuale la [...] visione [che egli, Teilhard, ha] del cristianesimo sia immatura, incompleta, e che, di conseguenza, essa non possa, al momento essere diffusa senza inconvenienti», ma questo non lo porta a «interrompere la ricerca». I manoscritti vengono affidati a Jeanne Mortier, la sua segretaria, però Teilhard riconosce alla Compagnia di Gesù il diritto di «sconfessare» la sua opera, o di associarsi alla pubblicazione, o di prendere le distanze lasciando la responsabilità alla legataria. Quando Teilhard morì, al suo funerale solo una decina di persone ha seguito il feretro, ma la Casa editrice (Paul Flamand), in cui coesistevano cattolici, non cristiani e agnostici, decise subito e senza riserve la pubblicazione delle sue opere. Per sette anni, nessun gesuita francese, salvo il p. Russo nel 1958, fu disposto a testimoniare a favore di Teilhard. Il primo che lo fece fu il p. Henri de Lubac, poi cardinale di Santa Romana Chiesa, e La Pensée religieuse du père Teilhard de Chardin apparve nell’aprile del 1962, non senza il parere favorevole del generale dei gesuiti, p. Janssens: eravamo ormai al tempo di Giovanni XXIII. «Nessun pensatore vero è veramente “di tutto riposo” — scrive il p. de Lubac a pag. 280 (Jaca Book, 1983) —. L’audacia di lui, considerandola nell’insieme, fu pur sempre la “gioiosa audacia” della fede. Nel momento preciso “in cui l’umanità prende coscienza del suo destino e non può concepirlo se non terrestre o trascendente” egli è venuto [...] ad indicarle la sola direzione possibile. Tenuto conto, certo, delle inevitabili imperfezioni proprie della natura umana, la Chiesa cattolica [...] — alla quale sarebbe poco dire che egli rimase sempre ed in ogni circostanza immutabilmente fedele —, può riconoscere con gioia di aver generato in Pierre Teilhard de Chardin un autentico testimone di Gesù Cristo, quale occorreva al nostro secolo». Nel 1981, in occasione del centenario della nascita, mons. Casaroli, Segretario di Stato, inviò al rettore dell’Institut Catholique di Parigi una lettera che sembrava voler cancellare la lunga avversione romana per Teilhard. In essa, tra l’altro, si diceva che «probabilmen te il nostro tempo ricorderà, al di là delle difficoltà della concezione e dei limiti espressivi di questo audace tentativo di sintesi, la testimonianza della vita coerente di un uomo conquistato da Cristo nel più profondo del suo essere, e che si è impegnato a onorare tanto la fede quanto la ragione». Ma un comunicato stampa, nel giugno 1962, faceva sapere che la lettera del card. Casaroli era «ben lungi dal costituire una revisione delle precedenti prese di posizione della Santa Sede». Tuttavia vale per noi la lettera che p. Arrupe (successore del p. Janssens) scrisse il 15 luglio 1981 al provinciale dei gesuiti francesi, dove il generale dei gesuiti sottolinea l’instancabile attaccamento di Teilhard alla Chiesa: «E che egli abbia obbedito per la sua fede profonda nella Chiesa, e per il suo amore per lei, ce ne rendiamo conto valutando il peso della sofferenza che ciò gli è costato».

 

Mario Reguzzoni 

  Dalla rivista NOTAM 20 giugno 2005

 

 

 

 
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Post N° 130

Post n°130 pubblicato il 27 Dicembre 2008 da bioantroponoosfera
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Riflessioni sul significato del male in

Teilhard de Chardin                            

Nel discorso di Teilhard non è sempre facile distinguere livelli ed ambiti: questo è il punto che agita la nostra coscienza critica.  Ed è bene: la ricerca del rigore, la qualificazione di un processo in una prospettiva definita - scientifica, filosofica, teologica che sia - sono esigenze inderogabili nell'itinerario veritativo.  Ciò non toglie che anche un'altra disposizione sia legittima e doverosa nella lettura di una grande opera, soprattutto ove la ricchezza e la violenza del pensiero avvertono che nella profondità gli ambiti si sono confrontati e distinti, e che da quella profondità si è tentata, senza per altro volerla concludere, una nuova sintesi ed una nuova armonia.  Andranno, allora, individuati i sostegni impliciti, i centri nascosti d'intelligenza, e di là andranno chiariti i discorsi più ampi, più distesi, più complessi, talora più avventurosi della superficie.

      Tanto valga anche per la riflessione sul male che, con passione ed umiltà, Teilhard conduce ne Le Milieu divin. Ricordiamolo subito, il problema del male resta una spina Indelebile ed eterogenea nel cuore della ragione, giacchè il male è appunto antiragione, caduta della ragione, irrazionalità: ciò per cui la ragione non ha, in definitiva, strumenti di comprensione.  In tal senso diceva Kierkegaard, « l'incomprensibilità del peccato non deriva da una conoscenza limitata, di modo che noi a furia di speculare arriveremmo a comprenderlo. No, l'incomprensibilità costituisce proprio l'essenza del male » (1). L'intelligenza assoluta del male è, dunque, una tentazione da evitare: il suo risultato potrebbe essere solo una contraddittoria riduzione del negativo nel positivo, dell'irrazionale nel razionale, come accade alla teoresi idealistica. Eppure ogni uomo deve misurarsi con questa tentazione, deve toccarne il limite.

     Teilhard de Chardin fece appunto così: sino al limite, ma non oltre il limite. In un punto de Le Milieu divin (2) ci sentiamo vicini alla contraddizione di ogni emanatismo: il parteciparsi di Dio, vi si dice, è graduale, progressivo e perciò deve implicare l'imperfezione, il disordine. Il male va, dunque, inteso come un momento necessario e solo apparentemente negativo nella storia dell'essere? In realtà il discorso di Teilhard è più complesso e più sfumato, nè pretende l'assoluta comprensione di un problema che, « per i nostri spiriti e per i nostri cuori, resterà sempre uno dei misteri più conturbanti dell'Universo ». A ben vedere, ciò che Teilhard intende non è la deduzione del male, ma solo la sua condizione ontologica: condizione necessaria, ma non sufficiente.  In un ambito limitato, parziale, diveniente, qual è quello del mondo, il male non è una necessità, è però una possibilità fondata: riferito all'assoluto ed alla stessa « organizzazione totale del Mondo » il male diventerebbe, in- fatti, impossibile.  Esso va, dunque, inteso solo come « rischio » della finitezza e, se Teilhard considera questo rischio, questa possibilità, come inevitabili, lo fa non in senso ontologico, ma a posteriori, costatando la realtà storica, ponendosi da un « punto di vista statistico ». (3).

Non è, tuttavia, su questo che vogliamo fermare la nostra attenzione: per farlo occorrerebbe più spazio e soprattutto  una più approfondita collocazione del problema nell'intera opera di Teilhard.  Ciò che qui vorrei sottolineare è solo un momento, forse il più profondo, il più metafisica nella meditazione de Le Milieu divin: ed è quel muoversi di Teilhard alla positività futura, che ogni limite può disvelare: anche dove la nostra saggezza più è sconcertata, anche di fronte alla suprema negatività della morte - è scritto ne Le Milieu divin - l'uomo potrà aprirsi ad un « nuovo dominio di possibilità » (4).  Ed è qui che ci corre l'onere di rintracciare il, punto implicito di chiarezza fondativa.

In un passo de La messe sur le monde leggiamo queste parole: « Noi siamo dominati dall'illusione tenace che il Fuoco, questo principio dell'essere, nasca dalla profondità della terra e che la sua fiamma si accenda progressivamente lungo tutta la brillante scia della Vita.  Voi, o Signore, mi avete fatto la grazia di comprendere che questa visione era falsa e che, per scorgervi, dovevo rovesciarla... All'inizio, non v'era il freddo e non v'erano le tenebre; era il Fuoco.  Ecco la Verità » (5).  Mi sembra che qui ritorni un antico, fondamentale presupposto metafisico e che ne nasca una sicura conclusione.  La coscienza del male, il rilievo del limite o la indicazione dell'irrazionale, non sarebbero possibili senza una misura e senza un confronto: il non essere è scoperto con l'essere, il freddo e la tenebra col Fuoco.

La coscienza dell'Essere, dell'assoluto è, dunque, il modo originario, il presupposto di ogni giudizio e di ogni sapere.  Di qui consegue poi che la scoperta del negativo è insieme scoperta di un positivo che assolutamente lo abbraccia, o supera, e lo rapporta oltre di sè: l'altra faccia di ogni male, di ogni sofferenza, di ogni irrazionalità che salga alla coscienza, è per questo un « nuovo dominio di possibilità » o, com'è detto altrove, « un'energia possibile » (6).

Non sempre questa possibilità e questa positività sono determinabili, ma la certezza del loro essere potrà comunque fondare quella singolare pazienza che sta nella fede. « Ad ogni istante, da ogni fessura, la grande Cosa orribile irrompe, quella di cui ci sforziamo di dimenticare che è sempre là, da cui ci separa un semplice assito: fuoco, peste, tempesta, terremoto, scatenarsi di oscure forze morali, in un istante trascinano senza riguardi ciò che noi abbiamo penosamente costruito ed ornato con tutta la nostra intelligenza e il nostro cuore». E, tuttavia, di fronte alla Cosa orribile, non è lecito soccombere impietriti o maledicenti.  La « dignità umana », cioè la forza distintiva, debole e potente, della riflessione, riconosce e giudica e perciò implica o indica l'Essere. « La Cosa enorme ed oscura - dice ancora Teilhard - il fantasma, la tempesta, se vogliamo, sono Voi! « Ego sum, nolite timere ». Tutto ciò che ci spaventa nella nostra vita, tutto quel che voi stesso ha costernato nel Giardino, non sono in fondo che le Specie o le Apparenze, la materia d’uno stesso Sacramento » (7).

Ritroviamo, così, La messe sur le monde cui ci eravamo rivolti per una chiarezza di fondo.  E ritroviamo un altro senso di quella profondità: l'Essere sta all'inizio, come il Fuoco, eppure « l'illusione tenace » della coscienza superficiale sembrava porre all'inizio il freddo e la tenebra, il limite e la parzialità.  Quest'illusione ha una sua verità ed un suo fondamento: il fondamento è la nostra costituzionale parzialità.  Ciò che ci appare non è mai l'Essere, ma l'ente, il limite, il finito.  Connettiamo, ora. le due affermazioni, l'originaria coscienza dell'Essere e l'immediata esperienza del solo ente, e ne deriviamo una conclusione che è anche un metodo: Dio rivela la sua originarietà solo nell'intimo dell'ente, del limite, del finito.  La nostra attenzione, la nostra stessa attenzione religiosa, non potrà allora mai distaccarsi da questa parzialità, anche dove prevarichi in essa il segno del male, della sofferenza, della morte.  Se, dunque, si dovrà parlare di rassegnazione, questa non sarà mai abbandono o passività, ma lotta che affronta il negativo con la certezza di scoprirvi un positivo. « Non raggiungerò mai la Volontà di Dio (nella sua forma subita) se non al termine delle mie forze, là dove la mia attività, tesa all'essere migliore, si trova continuamente bilanciata dalle forze che tendono ad arrestarmi o a rovesciarmi » (8).

Vorrei notare che qui non si stabilisce solo un principio di forza etica, ma un criterio metodico del più alto conoscere.  Del resto, Teilhard vide bene che la distinzione fra teoresi e prassi non è in fondo reale: « per comprendere il Mondo - scrisse già nel 1919 -, non basta sapere: bisogna vedere, toccare, vivere nella presenza, bere l'esistenza tutta calda dal seno stesso della Realtà » (9).  Si pone qui la norma e la responsabilità di ogni ricerca metafisica, che quando si volge al reale è spesso tentata di non guardarlo, ma di spiegarlo frettolosamente nella rarefatta astrazione dei principi: ma, allora, nè il reale è spiegato, nè la sua radice è scoperta.  L'intelligenza metafisica d'ogni realtà, d'ogni regione dell'essere, può invero esercitarsi solo ove tutto il percorso di quella regione sia compiuto, solo ove ogni fenomeno sia stato descritto: quando l'attenzione fenomenologica non ha più parole o le avrebbe in modo contraddittorio, allora soltanto potrà porsi la domanda su Dio, una domanda che d'altra parte non ha mai cessato di guidarci.  Vorrei concludere con un'immagine, che ne Le Milieu divin è evidentemente richiamata dalla grande meditazione nel deserto di Ordos: «io so che la Volontà divina mi sarà sempre rivelata solo al limite del mio sforzo.  Come Giacobbe, toccherò Dio nella Materia solo quando sarò stato vinto da lui ».

Virgilio Melchiorre

 (1) S. KIERKEGAARD, Diario, X2 A 436, tr.  Fabro, Brescia,Morcelliana, 1963, vol. II, p. 38.

(2) Le Milieu divin, Parigi, Ed. du Seuil, 1957, pp. 88-89.

(3) Du cosmos à la cosmogénèse, in L'activation de l'énergie, Parigi, Ed. du Seuil, 1963, p. 271.  Cfr. p. 268, ove si parla di « ragioni statistiche implacabili », di « leggi dei grandi numeri ».

(4) Le Milieu divin, cit., p. 98.

(5) In Hymme de l'Univers, Parigi, Ed. du Seuil, 1961, p. 20.

(6)   Hymne de l'Univers, cit., p. 100.

(7)   Le Milieu divin, cit., pp. 172-173.

(8)   Ibid., pp. 99-100.

(9)   La puissance spirituelle de la matière, in Hymne de l'Univers, cit., p. 67.

 In : Testimonianze 8 (dicembre 1965) n° 80, 756-60

 

 

 

 

 

 

 

 
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Post N° 131

Post n°131 pubblicato il 27 Dicembre 2008 da bioantroponoosfera
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L’eredità scientifica di Teilhard de Chardin

Documento distribuito alla Conferenza internazionale di Roma in occasione dei cimquant’anni dalla morte di padre  Pierre Teilhard de Chardin nel 2005

 

Cinquant’anni dopo la sua morte, si è ormai preso coscienza del ruolo di profeta avuto dal padre Teilhard nei differenti ambiti in cui ha operato: scientifico, teologico, filosofico. Per quanto riguarda l’ambito scientifico, quello nel quale ho la maggiore competenza, vorrei dire che le grandi intuizioni di Teilhard de Chardin anticipano di circa mezzo secolo riflessioni e teorie che oggi ci appaiano banali. Vorrei mostrarle, senza la pretesa di essere esaustivo, su quattro settori del pensiero scientifico contemporaneo.

1.    Teilhard e la fisica quantica

Nulla poteva sembrare più scandaloso a un fisico plasmato di materialismo positivista che il concetto stupefacente di spirito-materia introdotto dall’inizio del Fenomeno umano e nel quale Teilhard vedeva la stoffa stessa dell’universo. Tuttavia, noi oggi sappiamo che materia ed energia, rese equivalenti dalla famosa equazione di Einstein, non costituiscono da sole il grado ultimo del reale e che ormai occorre aggiungere loro l’informazione. Una informazione che “informa” la materia e controlla i flussi di energia. Una informazione che sembra guidare le particelle elementari al punto ch’esse paiono talvolta dotate di “memoria”, come mostrava, nel sorprendente esperimento di Alain Aspect del 1982, il comportamento coordinato di due fotoni le cui traiettorie erano state deliberatamente separate.

2.       Teilhard e la sistemica

Le grandi intuizioni scientifiche di Teilhard de Chardin anticipano di mezzo secolo quello che oggi viene chiamato l’approccio sistemico o il pensiero complesso. Si tratta, secondo numerosi epistemologi tra i quali mi annovero, del nuovo paradigma scientifico che molto verosimilmente andrà a formate i saperi del XXI secolo. Ho cercato di tracciare un inventario di questo approccio nel libro La Systémique: penser et agir dans la complxité (ed. Liasons, 2002). Ora, animato d’una inaudita audacia, Teilhard si dimostra un sorprendente precursore di questa nuova forma di pensiero.

·                                      Scopre l’importanza della complessità: negli anni Trenta, egli integra i due infiniti di Pascal con un terzo infinito, l’infinitamente complesso, legato al tempo dell’evoluzione. Formula le due leggi della morfogenesi che presiedono all’evoluzione:

-                                                              la legge di complessificazione o di complessità crescente

-                                                              la legge di complessità-coscienza che lega l’emergere degli psichismi superiori e la complessificazione della materia.

·                                      Mette in evidenza il ruolo della diversità: una diversità oggi largamente riconosciuta come indispensabile in materia ecologica, socio-economica e culturale. In questo modo, Teilhard anticipa la famosa legge di “varietà richiesta” di Ross Ashby. Inoltre, mostra che, per essere feconda, questa diversità deve organizzarsi secondo un principio di cooperazione o di unione, poiché “l’unione differenzia”. Qui si trova in contrasto con il pensiero binario dell’”o l’uno o l’altro”, che dominava allora le concezioni in materia economica, sociale e politica. Sul piano economico, col suo concetto composito di conflitto/cooperazione, François Perroux si mostrerà discepolo di Teilhard.

·                                      Preannuncia il principio di emergenza: nella sua analisi del fenomeno evolutivo, Teilhard si mostra sempre attento ai cambiamenti di stato, agli effetti di soglia, a quelle che verranno più tardi chiamate le biforcazioni. Vede l’ordine emergere dal caso e anticipa il principio “order from noise” di Heinz von Foerster. Nel campo dell’antropogenesi, Teilhard situa l’istante decisivo al momento del “passo della riflessione” (l’uomo che sa di sapere), ossia nel momento in cui all’interno di uno psichismo che non è ancora quello di un ominide superiore emerge il soggetto. Questo aspetto sarà largamente ripreso da Jacques Lacan nella sua teoria psicanalitica.

3.        Teilhard e l’evoluzione

Per la sua visione globale di una evoluzione che si svolge dapprima al livello della materia inanimata (cosmogenesi) per proseguire poi al livello del vivente (biogenesi) prima di prolungarsi nell’uomo al livello dello spirito (noogenesi), Teilhard anticipa il principio antropico, come sarà formulato alla fine del XX secolo ad opera di un certo numero di scienziati provenienti da orizzonti diversi.

Il cosmo tutto intero è organizzato per produrre lo spirito. Nel Fenomeno umano Teilhard scrive: “A meno di ridursi ad ammette che il cosmo è una realtà intrinsecamente assurda, dobbiamo ritenere irreversibile l’ascesa dello spirito. Lo spirito nel suo insieme non arretrerà mai”. Questa visione dell’evoluzione fonderà il suo ottimismo nell’uomo.

4.       Teilhard e la mondializzazione

Poiché l’osservazione del passato l’ha dotato della nozione ancora oscura di noosfera, Teilhard si può considerare  il profeta della mondializzazione. Egli vede un’umanità che si unifica, un pensiero che diventa planetario riverberandosi in una moltitudine di reti. In questo modo, egli annuncia la globalizzazione degli scambi di qualsiasi natura, l’esplosione della comunicazione di cui Internet è oggi la realizzazione più vistosa, il dialogo (ma anche il confronto) delle civiltà.

  Ottimista nella sua fede nell’uomo, Teilhard non è tuttavia ingenuo e rifiuta il determinismo della storia. Egli vuole lasciare il futuro aperto, poiché, dal momento in cui il proseguimento dell’evoluzione è posto nelle mani degli uomini, questi possono rifiutare tale immensa responsabilità. Ultima biforcazione, carica di terrore e spavento, ma che Teilhard non teme di evocare alla fine del Fenomeno umano, quando riflette su quale potrebbe essere la fine del mondo. Il crescere dei pericoli di tutti i tipi non dà alla messa in guardia da parte di Teilhard una terribile risonanza?

Gerard Donnadieu

Segretario Generale dell’Associazione Francese di Sistemica (AFSCET)

             Già Professore all’Università di Parigi I – Sorbonne

 Professore di Teologia delle religioni alla Scuola Cattedrale (Parigi)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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Post N° 132

Post n°132 pubblicato il 30 Dicembre 2008 da bioantroponoosfera
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Nel 1965, in piena contestazione, da parte di molti teologi cattolici,  del pensiero e dell’opera di Pierre Teilhard de Chardin, si tenne a Milano un bellissimo e interessantissimo comvegno sull’opera  “Le Milieu Divin” organizzato dal Centro di Studi e Documentazione “Teilhard de Chardin” di Milano.  Al convegno parteciparono intellettuali francesi  e belgi insieme a molti italiani provenienti anche da Università Cattoliche.

Lo scopo del convegno era quello di approfondire  il pensiero spirituale di  Teilhard de Chardin.  L’opera “Le Milieu Divin “ stava per essere tradotta in italiano ed era perciò opportuno approfondire questo strumento di spiritualità teilhardiana.

Il convegno suscitò grande interesse e gli atti furono pubblicati dal Centro di Studi nell’ormai introvabile volume: “Il Messaggio Spirituale di Teilhard de Chardin”

Su questo blog non possiamo pubblicare tutti gli atti, ma per farvi cosa gradita il Centro di Documentazione Teilhard de Chardin di Roma (vedi messaggio n.3)  mi ha fornito copia del discorso finale pronunciato da Padre Davide Maria Turoldo OSM che qui vi ripropongo.

NIENTE MITI

Il mio compito è solo quello di intervenire; dunque nulla più di un intervento, anche se sono in grave difficoltà per le troppe cose che mi urgono dentro.  E il mio sarà molto semplice, come si conviene  a me che vengo dai campi e dalle vigne.  E però questa è una condizione che può sapere di privilegio per intendere Teilhard de Chardin e poi dirmi subito un suo amico naturale, di lui che ha amato la terra come una creatura viva.

Sono state dette molte cose e bene in questi due giorni di nobilissimo simposio teilhardiano.  Avete sentito parlare de “Le milieu divin” come atmosfera, mediazione e centro. E il centro è l’azione creatrice.  E si è parlato dell’azione come dell’attuazione di tutte le possibilità umane.  Avete sentito che non esiste il “profano”; un pensiero questo che rimanda subito ai  due verbi in riassunto dell’opera di Cristo rispetto alla creazione: “non minuit sed sacravit”.

Si è parlato del rapporto tra religione e scienza; tra spiritualità cristiana e spiritualità moderna. Si è parlato dell’accordo tra  la fede e il mondo della fede.  Ed erano tutti discorsi necessari.  Ma a me, al punto in cui siamo, oltre il pensiero di Teilhard, m’interessa l’uomo.  E non tanto per rifarvi la vita quanto per dirvi le impressioni suscitate nel mio animo dalla lettura delle sue opere, in particolare dalla meditazione di “Le milieu divin”, l’opera da considerare la più provvidenziale per ogni genere di cultura, anzi per la cultura tout-court.

Infatti, al termine della lettura il primo moto del mio animo è stato quello di ringraziare Dio che sia esistito Teilhard de Chardin; e che abbia scritto quei  libri e questo libro.  Ho sentito che Teilhard è tutto vero anche se non è tutto svolto.  Ho visto che è un uomo in continua modificazione di se stesso; e che  la sua non è una dottrina statica, ma in movimento; e  che per capirla bisogna  mettersi dentro lo stesso movimento di Teilhard.  Teilhard de Chardin è un creatore sincero ed umile di tutta verità, sia pure sempre attraverso il dettaglio, un dettaglio mai staccato dall’insieme-

Tuttavia capisco anche il monito del S.Uffizio, perche la Weltanschaung teilhardiana è troppo  seducente e presuppone troppa conoscenza; anzi presuppone tutta la conoscenza teologale, come era naturale che avvenisse sia perché sacerdote di integra fede sia perché scienziato altrettanto  onesto e integro da non barare mai al gioco e di non prevaricare in favore di nessuna parte, tanto meno di proclamare la vittoria del dettaglio sull’insieme, dell’ipotesi  sull’asserto.

Posso anche accettare la famosa  riserva “Teilhard si, il teilhardismo no”.  E a ciò aderisco come a un invito a non vivere più parassitariamente sulle spalle di nessuno.  Perché nessun uomo può comprendere tutta la realtà ed esaudire tutta la verità; perché la verità ci trascende sempre, e tutto e tutti.  Diversamente si rischierebbe di codificare ciò che non è codificabile; cioè si verrebbe a determinare un immobilismo dentro la concezione più dinamica che io conosca, che è appunto la concezione teilhardiana dello spirito e del mondo.  Non vorrei che succedesse quello che è successo al tomismo per esempio, o almeno a un certo tomismo finito in una dannosissima sterilità.

Il primo monito di Teilhard è quello di andare oltre Teilhard; cioè l’invito a studiare e ad andare avanti.  Ad esempio sono parole di Teiklhard queste:” il punto Omega non è raggiunto che per estrapolazione: esso resta di natura congettuale; si presenta alla nostra mente con tratti vaghi e vaporosi”.  Cioè Teilhard è sempre aperto anche con se stesso.  E tiene aperta la porta alla stessa Cristologia e alla imprevedibilità dell’uomo.  Egli è consapevole che l’oggi di Dio non può coincidere con nessun tempo della creazione; donde la verità del “ non est vestrum nosse tempora neque  momenta”; donde la sua “cogitatio  fidei” che diventa il tutto senza pretendere di concludere.

La sua opera non è una sintesi; quindi niente miti.  La sua grande scoperta consiste nel fornirci un mondo nuovo, una via nuova di accesso all’essere di Dio e all’essere del mondo.  Egli è il creatore di un nuovo linguaggio, di una nuova espressione dell’uomo sullo spazio di Dio  e sulla storia del mondo.

Si sente inoltre che Teilhard de Chardin è impegnato non tanto sul piano dell’accettazione quanto sul piano della creazione e perciò la sua personalissima interpretazione della parusia e il suo concetto di speranza, molto diverso ad esempio dal concetto di speranza di Peguy, di Simone Weil, di Bernanos e di altri.

Se ci fosse tempo e spazio (e il mio non fosse un intervento) parlerei di Teilhard de Chardin come di un profeta e di un interlocutore tra il mondo  di Dio e il mondo dell’uomo, e poi mi piacerebbe definire quanto di giovanneo (del modo di sentire alla Giovanni XXIII  intendo) c’è nella vita e nel sentire di Teeilhard de Chardin.

Per il suo spirito profetico basta che rileggiamo insieme queste parole conclusive del “Milieu divin”:

“Allora abbiamo lasciato assopire il fuoco nei nostri cuori addormentati.  Senza dubbio, con maggiore o minore angoscia, ognuno di noi vede avvicinarsi la morte individuale.  Senza dubbio, inoltre, noi preghiamo, e ci comportiamo coscienziosamente, … perché avvenga il Regno di Dio..Ma in realtà  quanti di noi trasaliscono realmente, in fondo al cuore, di fronte alla speranza folle di una rifusione della nostra terra?  Chi sono quelli che navigano in mezzo alla nostra notte, rivolti alle prime luci di un Oriente reale?  Qual è il cristiano nel quale la nostalgia del Cristo riesce non dico a sommergere (come dovrebbe), ma soltanto ad equilibrare le cure dell’amore e degli interessi umani?  Qual è il cattolico così appassionatamente votato – per convinzione e non per convenzione – a diffondere le speranze dell’Incarnazione, come molti umanitari sogni di una Città nuova? Continuiamo a dire che vogliamo nell’aspettativa del Maestro.  Ma, in realtà, se vogliamo essere sincersi, siamo costretti a confessare che non aspettiamo più niente.  Bisogna, a qualunque costo rinnovare in noi stessi il desiderio e la speranza del Grande Evento.

Guardiamo la Terra intorno a noi.  Cosa succede sotto i nostri occhi, nella massa dei popoli?  Da dove vengono quelle disordine nella Società, quell’agitazione inquieta, quelle onde che si gonfiano, quelle correnti che circolano e si riuniscono, quelle spinte contrarie, formidabili e nuove?  L’Umanità, visibilmente, attraversa una crisi  di crescita.  Acquista oscuramente coscienza di quello che le manca, e di quello che può.  Davanti a lei l’Universo diventa luminoso come l’orizzonte dal quale sta per spuntare il Sole.  L’Umnaità ha il presentimento, dunque, e  aspetta..

Per desiderare la Parusia, non dobbiamo fare altro che lasciar battere dentro di noi, cristianizzandolo, il cuore stesso della terra.  Perché dunque, uomini di poca fede tenere o storcere la bocca davanti al rpgresso del mondo?  Perché moltiplicare imprudentemente le profezie e le difese::: Non andate…non tentate …, tutto è sconosciuto: la Terra è vuota e vecchia, non c’è più niente da trovare…Tentare tutto per il Cristo! Sperare tutto per il Cristo! Nihil intentatum!  Ecco proprio all’opposto, il vero atteggiamento del cristiano.  Divinizzare, non è distruggere: ma super creare.  Non  sapremo mai tutto quello che l’Incarnazione  aspetta ancora   dalle potenze del Mondo.  Non spereremo mai abbastanza per l’unità umana e nell’unità umana, in continuo progresso.”

Importante notare che nella spinta profetica non contano tanto ilimiti quanto la stessa spinta, lo spirito d’attesa appunto.

Come uomo del dialogo con Dio e il mondo dobbiamo dire che teilhard de Chardin è prima di tutto un uomo che ascolta.  Ascolta Dio e l’uomo.  Egli crede nei suoi interlocutori, li stima, li ama e prima di parlare cerca di sentire in se stesso tutto quello che hanno da dire.

In  fatto  di  messaggio direi che Teilhard, più che per la interpretazione evoluzionistica del mondo, è importante per i mutamenti delle coscienze che proclama e mette in rilievo quali basi continuamente mobili del sapere; più che se egli si movesse su una nave nella scia della più grande nave che è il mondo.

E in quanto ai suoi molti aspetti giovannei basti pensare al modo in cui è vissuto, al modo in cui ha sofferto e obbedito; e alla speranza e alla gioia che hanno saputo l’uno e l’altro – cioè Teilhard e papa Giovanni – donare al mondo; e alle strane date delle loro morti, perché l’uno muore a Pasqua (come desiderava) e l’altro a Pentecoste.

Per l’opera dell’uno e dell’altro e per le possibilità offerte dalle loro vite e dai loro insegnamenti, mi piace riportare qui il pensiero di uno scrittore italiano,perché mi sembra adatto a concludere.

“ L’uomo d’oggi vive in una concezione tale dell’universo fisico e della società umana, che non possono più essere validi per lui gli  argomenti destinati a condurre alla fede che apparvero efficaci per altre generazioni.  Non direi che questa concezione renda di per sé più difficile aderire  ad un credo religioso, ad una morale di amore e di rinuncia.  All’opposto mi sembra che la scienza di fronte alle oscurità che ha dissipato, abbia fatto scorgere profondità così grandiose, abissi di spazio e di tempo, valore relativo di quelli che sembravano i pilastri della nostra conoscenza, da indurre ciascuno  a piegare le ginocchia.

Se la religione si nutre del mistero, se le è propria l’umiltà degli uomini, direi che l’uomo del nostro tempo debba sentirsi infinitamente più piccolo, più conscio della complessità di quell’universo in cui la scienza gli ha consentito di gettare lo sguardo, che non si sentisse l0uomo del tempo di Galileo.  E direi anche che se oggi gli uomini si possono odiare, possono pure avere vaneggiamenti, pensare di adoperare gli strumenti che la scienza ha posto nello loro mani per distruggere intere razze, hanno tuttavia presente come non mai la realtà (che occorre accettare, piaccia o non piaccia) di formare una unica famiglia, di avere una solidarietà di destini (A:C:Jemolo)

Ecco perché nelle pagine di Teilhard de Chardin mi trovo come nel muo elemento.  E se dunque anche per voi è così, soprattutto è così per il giovane mondo, allora c’è davvero da sperare bene; e anzi, che non si spera mai abbastanza.

Padre DAVID M. TUROLDO  O.S.M.

In AA:VV. Il messaggio spirituale dfi Teilhard de Chardin

Centro Italiano di  Studi Teilhardiani , Milano, Torino, Firenze, 1965

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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RIFLESSIONI TEILHARDIANE

"  La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto.  Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori?  Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva.  E' una distinzione illusoria.  La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente,  la Verità "   

                                                                                                                                                          

 

" Senza che si possa dire per ora in quali termini esatti, ma senza che vanga perduto un solo frammento del dato, sia rivelato che definitivamente dimostrato, sul problema scottante delle origini umane, l'accordo si farà senza sforzo, a poco a poco, tra la Scienza e il Dogma.  Intanto, evitiamo di respingere anche il minimo raggio di luce, sia da una parte che dall'altra.  La fede ha bisogno di tutta la verità". (da Les Hommes fossiles, marzo 1921) 
 
" Inventariare tutto, provare tutto, capire tutto. Ciò che è in alto, più lontano di quanto è respirabile, e  ciò che è in basso, più profondo della luce.  Ciò che si perde nelle distanze siderali, e ciò che si dissimula sotto gli elementi... Il sole si alza in avanti... Il Passato è una cosa superata...  La sola scoperta degna dei nostri sforzi è come costruire l'Avvenire". (La découverte du passé, 5 settembre 1935)
 

"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.

Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno...  Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)

 
"  Chiniamoci dunque con rispetto sotto il soffio che gonfia i nostri cuori per le ansie e le gioie di "tutto tentare e di tutto trovare".  L'onda  che sentiamo passare non si è formata in noi stessi.  Essa giunge a noi da molto lontano, partita contemporaneamente alla luce delle prime stelle.  Essa ci raggiunge dopo aver creato tutto lungo il suo cammino.  Lo spirito di ricerca e di conquista è l'anima permanente dell'Evoluzione" (Il Fenomeno Umano 1940)
 

" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando...  E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto...  Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro.  Manovra impossibile e fatale.  La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide.  Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936) 

 
" L'Energia diventa Presenza...  Sembrerebbe che un solo  raggio di una tale luce, cadendo come una scintilla in qualsiasi punto della Noosfera, dovesse provocare un'esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi di colpo la faccia della Terra. Allora, come è possibile che, guardando attorno a me, è ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovi pressochè solo della mia specie?  Solo ad aver "visto"?...  Incapace, quindi, quando me lo si chiede, di citare un solo autore, un solo testo, in cui si riconosca, chiaramente espressa, la meravigliosa "Diafania" che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto ?"  (Le Christique, marzo 1955) 
 
....IN QUESTA APERTURA VERSO QUALCHE COSA CHE SFUGGE ALLA MORTE TOTALE, L'EVOLUZIONE E' LA MANO DI DIO CHE CI RICONDUCE A  LUI . ( La Biologie, poussee à fond,peut-elle nous  conduire à èmerger dans le transcendant?  Maggio 1951)
 

Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio.  "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)

 

" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.

Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.

Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?

Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)

 

" Nel Cuore della Materia.

   Un Cuore del  Mondo,

    Il Cuore d' un Dio"

        (da Le  Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)

 
" Nella peggiore delle ipotesi, se ogni possibilità futura di parlare e di scrivere si chiudesse davanti a me, mi rimarrebbe, con l'aiuto di Gesù, quella di compiere questo gesto, affermazione e somma testimonianza della mia fede: scomparire,m inabissarmi in uno spirito di Suprema Comunione con le forze  cristiche  dell'Evoluzione  (da Note di esercizi spirituali, 22 ottobre 1945) 
 
 
 

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