Messaggi di Gennaio 2009

Post N° 133

Post n°133 pubblicato il 01 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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L’ORIGINALITA’ DELLA VISIONE TEILHARDIANA

 

Relazione presentata da Padre Gustave Martelet s.j. al Convegno internazionale di Roma in occasione del cinquantenario della morte di Pierre Teilhard de Chardin (Roma, 2005)

 

 

   Definire il pensiero del Padre Teilhard una visione significa dover dire tre cose. La prima è già espressa dallo stesso Teilhard e a quanto pare va da sé poiché si tratta solo di vedere quello che, per lui, salta agli occhi, come ad esempio la realtà scientifica dell'evoluzione. A dire il vero, non è proprio così. Il vedere implica dunque un far vedere: compito insostituibile e tanto più necessario del vedere, proposto da Teilhard come automatico, richiedeva allora e ancora richiede ad alcuni una re-visione  sconvolgente rispetto alle evidenze primarie correntemente accettate soprattutto nell'ordine della fede. Infatti, il far vedere intrapreso da Teilhard si riferisce ad uno sguardo religiosamente approfondito e culturalmente rinnovato del dogma della creazione e innanzitutto della lettura dei primi capitoli del Genesi. Il vedere teilhardiano che sembra al suo autore tanto naturale comporta una trasformazione radicale dello sguardo abituato ad una visione diversa dalla sua: suppone e racchiude un tipo di organicità perlomeno inconsueto tra la scienza, la teologia e l’antropologia.
     Dal punto di vista scientifico prima ed innanzitutto, poiché è esso che impone il rimaneggiamento totale della visione che ha dettato legge durante millenni con il geocentrismo e la fissità inflessibile delle specie e dello stato generale del mondo astrale e sublunare con un tempo alla fine ripetitivo ed uno spazio quasi assoluto. Anche se non si accetta nel dettaglio la descrizione che Teilhard dà dell'evoluzione, la visione teilhardiana dipende nelle sue linee maestre dai dati attuali della scienza sull'evoluzione; non pone nessun problema che riguardi la realtà d'insieme dei fatti e delle domande di fondo che dipendono da tale ipotesi. A meno che non si voglia, in nome della parola ipotesi, cercare di contestare la validità delle osservazioni d'astrofisica, di geologia planetaria, di paleontologia animale e umana alle quali l'idea d'evoluzione assicura l'unica intellegibilità che sia ragionevolmente adatta e, ai nostri giorni, universalmente ammessa dal mondo scientifico. Tale è perciò il primo presupposto della visione teilhardiana che sfugge ad ogni critica veramente fondata agli occhi della cultura contemporanea.
      L'originalità propria di Teilhard inizia con il suo secondo presupposto, direttamente, benché paradossalmente, legato al primo. Consiste, indipendentemente da ogni dato precisamente scientifico ma senza creare così il minimo turbamento rispetto al campo validamente controllato dalla scienza stessa, nel fare dei riferimenti in nome della fede. Sin dal 1919, non ha fatto che sviluppare l'ispirazione che guida tutta la sua riflessione di cristiano e di gesuita di fronte all'universo scientificamente conosciuto degli astri, degli esseri viventi e degli uomini : « Il Cristo, lo sappiamo da San Giovanni e San Paolo è il Centro della Creazione, la Forza che può sottomettere tutto, il Termine dove tutto prende figura ». Senza dover giustificare per il momento questo modo di accogliere l’implicita sfida di senso che le conoscenze scientifiche lanciano alla ragione, è strettamente impossibile non prendere sul serio un progetto che posa su una tale base cristologica. Se si trascura quest'aspetto del pensiero di Teilhard o, più ancora, se si guarda con sospetto il suo saldo fondamento teologico in nome di una arditezza mal riuscita o sconvolgente, non possiamo che passare accanto alla visione teilhardiana comportandoci in modo cristianamente ingiusto. Essa trova, in questo presupposto cristologico altamente autorevole, il principio vitale della propria organicità, che è la più originale e la più preziosa che possa esistere cristianamente parlando.

    Dall'unione dei due precedenti presupposti, ambedue ricchi d'innovazione, l'una culturale con l'evoluzione come categoria fondatrice dell'interpretazione scientifica del mondo, l'altra teologica che pone l'Incarnazione del Figlio di Dio nella carne alla radice stessa della Creazione, deriva una conseguenza tanto ovvia per Teilhard da costituire per la visione che ci propone un terzo presupposto, questa volta antropologico, nel senso che diamo qui a questa parola. L'umanità non è mai per Teilhard strettamente intesa come decondizionata per così dire dalla natura tutta. Invece, è organicamente legata al divenire dell'universo in tutte le sue forme. Agli occhi di Teilhard è nientemeno che « la vetta dell'evoluzione » dato il « passo della riflessione »che essa sola ha compiuto al meno a livello planetario; è anche nientemeno che la responsabile, in un modo che sarà da precisare, del significato parzialmente nascosto di quest’evoluzione. Nell'umanità si concentrano e si condensano tutti i problemi dell'universo, che siano astrofisici come l'espansione, filosofici come quello dell’uno e del molteplice - essenziale nella visione di Teilhard -, sociologici,  se così possiamo dire, come la nascita di una « noosfera », e più ancora religiosi a livello di Omega.

   Però l'importanza vitale dell'umanità come luogo matrice d'una coscienza di sé a portata strutturalmente universale non si riduce solo a questo o piuttosto, la grandezza originaria dell'uomo è inclusa fin dal principio nel mistero del Cristo che gli concede la sua stupenda identità. Se è proprio su questo punto che la visione di Teilhard è più originale, è anche quello sul quale è più teologicamente contestata. Questo punto dovremo riprenderlo durante il convegno. Insomma, il problema non è più quello della centralità del Cristo sul quale, almeno, in linea di massima, tutti si dichiarano d'accordo, bensì quello del titolo di Evolutore che Teilhard conferisce al Cristo in funzione dell'organicità della visione che ne ha. Per Teilhard, il Cristo quindi può parere meno Redentore che Evolutore o perfino può parere che lo si possa dispensare dall’essere Redentore se è veramente Evolutore. Qui c'è una difficoltà profonda che a Teilhard non è sfuggita. Essa deve essere affrontata decisamente e risolta senza che il contributo tanto positivo di questo vero e proprio pensatore teologico in apparenza marginale sia minimamente trascurato, ma al contrario integrato nel vivo della cristologia. Questa visione deve esservi integrata a titolo perfettamente evangelico. Nel « tesoro » della Rivelazione, infatti, il « nuovo » che se ne « ricava » è del tutto al suo posto e anche perfettamente insostituibile come « il vecchio » (Mt 13, 52), perché « il vecchio » grazie al « nuovo » troppo spesso dimenticato, si rinnova a colpo sicuro senza che se ne debba trascurare l'importanza talvolta troppo unilateralmente predominante. È in questo che il « nuovo » può indicare che «  il vecchio » ha bisogno di essere risistemato nelle sue fondamenta e nella sua forma alla luce di un sedicente « nuovo » che è in effetti solo una primordiale profondità della Rivelazione fino a quel momento involontariamente ma realmente trascurata.

   Vale a dire che un pensiero come quello di Teilhard, fin nella sua problematica innovatrice ma culturalmente fondata, è dell'ordine del cristianamente inevitabile. Tuttavia, un tale pensiero resta suscettibile di notevoli miglioramenti che lo stesso Teilhard, lungi dal ricusarli, avrebbe riconosciuto necessari, a patto che non avessero distrutto l'organicità cristologica della sua visione.

 

Padre Gustave Martelet s.j.

(Roma . Università Gregoriana 2005)

 

 
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PILLOLE DI SAGGEZZA  4

Post n°134 pubblicato il 07 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera

"Mio Dio, ora che ho scoperto la gioia di utilizzare ogni crescita per farti crescere in me, concedimi di accedere con tranquillità a questa ultima fase di comunione nel corso della quale ti possederò, diminuendo in te. Dopo aver percepito te come Colui che è “più di me stesso”, fa’ che quando arriva la mia ora, ti riconosca sotto le specie di ciascuna forza, straniera o nemica, che sembra incline a volere distruggermi o soppiantarmi. Quando cominceranno ad apparire i segni dell’età sul mio corpo (e meglio ancora nel mio spirito); quando mi colpirà, dal di fuori o si svilupperà dentro di me, la malattia che mi svilisce e mi porta via; quando arriva il momento doloroso in cui mi renderò subito conto che sono malato e diventato vecchio, soprattutto nell’ultimo istante, quando avvertirò di perdere il possesso di me stesso e sono passivo nelle mani delle grandi forze sconosciute che mi hanno formato; in quelle ore oscure, Signore, fammi comprendere che sei Tu (e che la mia fede sia abbastanza grande) che separi dolorosamente le fibre del mio essere per penetrare fino nel midollo della mia sostanza e portarmi via con te (…) Tu sei l’irresistibile ed unificante forza, o Signore, e poiché, tua è l’energia, di noi due, tu sei infinitamente il più forte, a te compete il dono di consumarmi nell’unione che deve fonderci insieme. Donami, perciò, qualcosa di più preziosa della grazia per la quale pregano tutti i fedeli. Non basta che muoia comunicandomi. Insegnami a comunicarmi morendo. "

Pierre Teilhard de Chardin

 
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Post N° 135

Post n°135 pubblicato il 07 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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SULL’ALTARE DELLA TERRA, O SIGNORE, TI OFFRIRÒ LA FATICA DEL MONDO


Il testo è tratto dall'opera di Teilhard de Chardin: La Messa sul Mondo

Poiché una volta ancora, o Signore, io non ho né pane, né vino, né altare mi eleverò al di sopra dei simboli e ti offrirò, sull’altare della Terra intera, il lavoro e la fatica del Mondo.

(...) Porrò sulla mia patena, o Signore, la messe attesa da questa nuova fatica, e verserò nel mio calice il succo di tutti i frutti che verranno oggi spremuti. (...)

Questo pane, il nostro sforzo, non è di per sé che un’immensa disgregazione. Questo vino, il nostro dolore, non è purtroppo che una bevanda dissolvente. Ma in fondo a questa massa informe tu hai messo un desiderio irresistibile e santificante che, dall’empio al fedele, ci fa tutti assieme esclamare: «O Signore, rendici uno!».

Poiché, in mancanza dello zelo spirituale e della sublime purezza dei tuoi santi, tu mi hai dato, o Signore, una simpatia irresistibile per tutto ciò che si muove nella materia oscura; poiché, irrimediabilmente, io riconosco in me, ben più di un figlio del Cielo, un figlio della Terra, salirà stamane, con il pensiero, sulle più alte vette carico delle speranze e delle miserie di mia madre, e lassù, in forza di un sacerdozio che tu solo, ne sono convinto, mi hai conferito, su tutto ciò che, nella Carne dell’Uomo, si prepara a nascere o a perire sotto il sole che sta spuntando, io invocherà il Fuoco. (...)

E ora, pronuncia su di esso, o Signore, la parola duplice ed efficace, quella senza la quale tutto vacilla, tutto si sfascia, sia nella nostra sapienza che nella nostra esperienza, e con la quale tutto si congiunge e tutto si consolida. Su ogni cosa che, in questo giorno, germinerà, crescerà, fiorirà e maturerà, ripeti: «Questo è il mio Corpo». E su ogni morte che si prepara a rodere, a guastare, a stroncare, ordina: «Questo è il mio Sangue». (...)




PIERRE TEILHARD DE CHARDIN in Letture per ogni giorno, Elledici 1979, p. 702

 

 
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Post N° 136

Post n°136 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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Intuizioni creative di Teilhard

 

 

Il mio primo  incontro con  Teilhard de Chardin risale al 1961,quando, ricercatore all’Università di Stanford, leggevo la traduzione inglese del “Fenomeno umano”, coll’introduzione di Julian  Huxley.  Il libro mi era stato suggerito da un collega cristiano non cattolico, che “scopriva” come nel cattolicesimo ci fossero fermenti culturali da lui insospettati. .Poco dopo il teologo cattolico di Stanfors, Fr. Frank Norris, mi regalava “ Ther divine milieu”, l’edizione inglese dell’”ambiente divino”.

Confesso che trovai il primo dei due libri ostico,per la sue sintesi che ritenevo ingiustificate, eretiche per il protocollo usuale della scienza nel cui ambito operavo.  Il secondo mi apriva una prospettiva stupenda: dava un senso non  egoistico al mio mestiere di ricercatore.  Mi ero sempre domandato se, rispetto a un medico o ad uno impegnato in altri servizi sociali, io fossi solo un egoista preoccupato (allora)  a risolvere problemi conoscitivi senza un risvolto utile per gli altri.  Orbene, Teilhard de Chardin indicava come una pura scoperta conoscitiva, priva di apparente utilità, fosse un contributo alla Redenzione, una crescita  del Corpo di Cristo, in quanto aumento di consapevolezza nella sua chiesa.  Per anni mi sono trovato con questo dilemma:  sul piano conoscitivo Teilhard de Chardin era eterodosso sia per la scienza sia per la teologia corrente, sul piano mistico,presentava una prospettiva in linea con Paolo ed Agostino carica di stimoli spirituali, ma apparentemente non conciliabile con i modi di operare della scienza.

Oggi, a 20 anni di distanza, la mia opinione è molto diversa, e molte delle intuizioni di Teilhard de Chardin non sono più per me divagazioni poetiche, ma indicazioni euristiche per un nuovo modo di procedere anche nella scienza.

Con Galileo la scienza si inseriva in una visione tradizionale della realtà con un programma riduttivo di non puntare alle “sostanze” ma alle  “affezioni”, cioè ai fenomeni quali isolati da opportuni strumenti di misura.  Con ciò, le scienze della natura si ponevano come autonome rispetto all’indagine metafisica ma non in contrapposizione, senza alcuna pretesa di interpretazione esclusiva del reale.

Schizofrenia, tuttora non risolta, comincia  con Cartesio, col postulare due sostanze separate, “res cogitans” e “rex exstensa”, due ordini di realtà fra i quali è difficile instaurare punti di contatto.  La scienza si è  costituita come descrizione delle relazioni di contatto in corpi estesi, quindi come una geometria dello spazio-tempo, e – forte dei suoi successi – è arrivata alla pretesa di ritenere irrilevante, privo di valore conoscitivo, ogni enunciato non esprimibile col proprio protocollo.

Negli ultimi decenni  stiamo vivendo una profonda crisi nella scienza, sia nel linguaggio, sia nei suoi contenuti.  Come linguaggio i teoremi di Godel e le analisi di Popper hanno distrutto la pretesa scientista di erigere il linguaggio scientifico ad unica descrizione rilevante del reale.

Come contenuti accenno a due grandi svolte.  La prima riguarda l’esistenza o meno delle particelle elementari.  La materia comincia ad apparire indefinitamente divisibile, ritorna attuale l’obbiezione di  Leibniz sull’estensione.  La seconda, in cui io sono coinvolto come fisico, riguarda  l’insufficienza del modello cartesiano-newtonniano in un universo geometrizzabile nello spazio-tempo, con regole di simmetria che implicano fra l’altro l’invarianza dei fenomeni per inversione temporale.  Il concetto della “freccia del tempo” era stato già introdotto in discesa (cioè nell’irreversibile aumento d’entropia dei sistemi chiusi) di Boltzmann e di Eddimgton.  Lo stesso processo unilaterale, cioè non invertibile, del tempo scandisce in salita passaggi successivi:

                             caos         ordine                complessità

quali osservati in sistemi aperti (vedasi la descrizione dettagliata nella mia monografia:”Caos,ordine e tempo nella fisica di oggi”, prolusione all’A.A. 80/81 dell’Università di Firenze)

Orbene, anticipando di 60 anni queste indagini di laboratorio, e col supporto dei soli dati paleontologici, Teilhard de Chardin aveva introdotto la complessificazione come evoluzione verso forme sempre più organizzate, fino ad arrivare alla coscienza.

I fanatici dell’inferenza induttiva trovarono arbitraria, non scientifica, questa intuizione.  Io credo invece, per esperienza personale, che la scienza progredisca per intuizioni creative, per audaci ipotesi che vanno poi verificate nelle loro conseguenze.  Anche se la formulazione di Teilhard de Chardin era preliminare, senz’altro egli ha anticipato temi di ricerca oggi attualissimi.

Una rilettura della complessificazione alla luce dell’attuale fisica dei sistemi aperti riporta dunque dal piano poetico all’attenzione scientifica, l’opera di Teilhard de Chardin.

Devo confessare di non essere “teilhardiano” nel senso che non leggo la (dei solito logorroica) letteratura interpretativa di Teilhard de Chardin:  Ricordo di aver orecchiato fra le varie critiche quella di panteismo.

Qui parlo fuori del mio mestiere, quindi sono disponibile per qualunque precisazione: 
Mi pare però che in Teilhard de Chardin non si perda mai il senso personale del Dio-Padre (di Abramo, non dei filosofi), e il Cristo in cui si riassume il creato al vertice evolutivo è il Verbo personale, non un vago principio impersonale che permea il mondo.

C’è un altro discorso da fare: la Provvidenza.

C’è un posto nella scienza per le cause finali?  La struttura delle nostre equazioni differenziali dà soluzioni  che dipendono solo dalle condizioni iniziali.  Ma le equazioni differenziali non lineari che descrivono sistemi aperti non ammettono soluzione unica.  Chi fa la scelta?  Nell’ambito della scienza, diciamo che fra una molteplicità di possibili scelte, prevale quella che meglio si armonizza coll’ambiente (in taluni darwiniano, si fissa solo la mutazione che meglio si adatta).

Ma esiste una lettura extra scientifica che interpreti i dati senza contrastare colla interpretazione scientifica?  E, se esiste, è rilevante (cioè integra utilmente  il punto di vista scientifico9?

Dio nella Genesi dà ad Adamo il compito di dare un nome alle cose, cioè di fare scienza.  Questo programma sarebbe stato anche comprensibile colla deterministica “armonia prestabilita” che esclude ulteriori interventi di Dio nel corso degli eventi.  Ma tutta la Bibbia (ad es. il libro di Giobbe) parla di interventi di Dio e questi sono sempre misteriosi (non si accenna al riguardo a ricette conoscitive).  E’ ciò un segno che le cause finali non ricadranno mai nell’ambito della scienza?

Si può riproporre, come vuole Teilhard de Chardin, una sintesi che in definitiva chiuderebbe il dualismo cartesiano riportandoci all’unità della filosofia medioevale, ma nel rispetto della scienza galileiana?

E’ questo forse il più grosso problema lasciato aperto da Teilhard de Chardin.

 

TITO ARECCHI

Professore di Fisica, Università di Firenze
 Responsabile Scientifico dell’ Istituto Nazionale di Ottica Applicata (INOA)

 

 
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Post N° 137

Post n°137 pubblicato il 09 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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Un modello teilhardiano di analisi e di sintesi

 

E’ ben risaputo che Teilhard è l’uomo della sintesi, una parola che caratterizza  l’intero processo del suo pensiero.  Ma una sintesi è valida solo se, ancora prima, gli elementi che la compongono sono il frutto di un’accurata analisi del problema preso in esame.  Teilhard, scienziato rigoroso, lo sapiù+ e meglio di molti altri.  Ma una sua originalità sta nell’aver messo a punto, a partire dalla paleontologia, un metodo generale di analisi e di sintesi applicabile ad ogni sorta di problema umano.

L’essenzialepuò essere espresso in questo modo.  Quando vuole conoscere il vero significato ed il valore assoluto dfi un qualsiasi fenomeno, Teilhard lo esamina quale si presente nella prospettiva dell’evoluzione generalizzata.  Ne ricostruisce a grandi tratti la storia  “naturale” con la determinazione di alcuni punti salienti nel mondo vivente e persino previvente.

Ne traccia allora la curva per il settore chiaro della cosmo genesi, poi la estrapola verso il futuro, sicuro di scoprire in questo modo la direzione generale da seguire per  risolverlo. Situarsi per poter dirigersi.

Ovviamente riconosciamo in questo schema l’ossatura stessa del “Fenomeno umano”.  Ma Teilhard applica lo stesso metodo a molti problemi più particolari: all’arte, all’amore, alla morte, alla socializzazione, ecc…  A titolo di esempio concreto, percorreremo qui il problema dell’educazione quale Teilhard lo ha affrontato in un saggio del 1938, dal titolo “Eredità sociale e progresso”, (in 2L’Avvenire dell’Uomo, Il saggiatore, Milano 1972), e anche in diversi altri scritti tra i quali “La formazione della Noosfera”, nel medesimo volume.

L’educazione è forse cosa unicamente umana?” si chiede Teilhard. No, basta guardarci  attorno per trovarla nel mondo animale.

“In questo  caso, come in tutti gli altri, l’”umano” è possibile solo se contiene…una proprietà comune i cui abbozzi si riconoscono e si perdono nel passato che sta alle nostre spalle”.

Ma costatiamo anche come, discendendo la scala degli esseri,diminuisce la funzione dell’educazione.  Tuttavia qualche cosa insegna agli animali comportamenti del loro phylum, una cosa che diminuisce gradualmente fino alla scimmia.  Si tratta dell’eredità cromosomica.  Chi è solo biologo non prende in considerazione che questa forma di eredità.  Ma Teilhard, abituato a considerare l’Universo come un tutto, scopre che si tratta di un unico processo che si svolge da un capo all’altro della catena: eredità cromosomica ed educazione sono due forme dell’additività biologica che si danno il cambio.  Di qui la proposizione originale: l’educazione è una forma dell’eredità e le due eredità (cromosomica ed educativa) rappresentano le due fasi successive di un medesimo processo biologico, quello dell’additività, grazie alla quale:

“ la vita si propaga aggiungendo continuamente a se stessi ciò che acquisisce successivamente, come una memoria… Qualche cosa passa, qualche cosa cresce attraverso la lunga catena dei viventi.”

E questa additività non è un processo disordinato: segue anzi una direzione ben determinata, è un’additività orientata  verso la sempre maggiore coscienza che accompagna una sempre maggior complessità organica.

Si  potrebbe anche scendere fino al mondo previvente i giungere alla conclusione che sin dalle origini, la “stoffa dell’Universo” riceve una curvatura, vale a dire è “informata”.  Facendo rientrare nella categoria “informazione” tutte quelle che abbiamo percorso in discesa, possiamo ora risalire la curva e vedere dove ci porta.

Nel mondo previvente, una informazione imposta dall’esterno, alla quale la materia obbedisce passivamente.  Con la soglia della Vita, l’informazione si “vitalizza”, diventa dapprima eredità cromosomica poi, via via, eredità di educazione.  Con la soglia del Pensiero, i rapporti si capovolgono; l’eredità cromosomica, senza sparire, passa in secondo piano e l’educazione si “ominizza”.

Cosa concludere per il futuro?  In primo luogo,  che l’educazione anziché essere trascurata, dovrà essere sempre più impegnativa per tutti, costituire cioè attorno al figlio una nuova matrice.  In secondo luogo, che deve trattare l’individuo secondo la legge del suo phylum.  Qual è?  E’ quella della personalizzazione e della socializzazione, sviluppare in ciascuno la sua vera personalità ed integrarla nel vasto complesso ultraumano per il quela è fatto e con il quale deve compiersi nel Cristo Omega.

 

Annette DAVERIO

Relazione presentata al Convegno : Teilhard de Chardin :Matreria, Evoluzione, Speranza  tenutosi a Firenze nel 1981

 

(La Profesoressa Daverio, all’epoca del Convegno di Firenze, nel 1981 era Vice presidente dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin.

Oggi non c’è più e ha lasciato un vuoto incolmabile nei teilhardiani che l’anno conosciuta  e che hanno apprezzato l’amore, la passione e la dedizione alla conoscenza dell’opera e del pensiero di padre Teilhard de Chardin. S.j.)

 
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Post N° 138

Post n°138 pubblicato il 10 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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ATTUALITA’ DEL MESSAGGIO SPIRITUALE DI TEILHARD DE CHARDIN

 

Che  Dio “è in cielo, in terra e in ogni  luogo” – “milieu divin” – lo avevamo imparato fin da bambini.  La memoria  custodiva la risposta del catechismo e la fantasia si ingegnava a collocare Dio qui, là, in ogni luogo, un po’ dappertutto, a seconda delle nostre esigenze e dei nostri umori del momento, e delle sollecitazioni culturali che sopravvenivano a chiamarlo in causa.

La maturazione degli anni invitava a procedere oltre il senso di frammentarietà  che rimaneva poco o meno nel fondo, e che rendeva difficoltosi i modi di affrontare i problemi della vita.  Direi che “Le Milieu divin” ha il dono di rendere sperimentale – lasciatemi dire -  l’unitarietà onnipresente della  in finitudine di Dio.  Chi  era già avanti per quella strada si trova a confermato e sollecitato a percorrerla;  chi ne era fuori o era ai primi passi, si trova in una nuova atmosfera.  Non è che Teilhard chiami in causa e ponga in discussione le realtà essenziali in se stesse – Dio, la Creazione, l’Uomo – ma propone in modo particolare di guardare a quelle realtà, e di viverne.  E propone una ipotesi di lavoro che sollecita l’interesse dell’uomo per il punto di vista e per il modo di pensare dell’”altro” di sé, infondendo fiducia nel dialogo e muovendo  al dialogo, credenti e non credenti, e anche i credenti fra loro e i non credenti fra loro.

In una umanità che procede a ritmo accelerato verso la socializzazione e verso un sistema planetario di interdipendenze sempre più calzanti ed esigenti, e cioè, verso una soluzione che potrebbe soffocarci tutti magari nei palazzi dell’abbondanza, si avverte nella ipotesi di lavoro proposta uno degli argomenti che può invece aprire per tutti la strada della liberazione.

Una liberazione, attraverso il dialogo appunto, inteso come rispetto reale dell’uomo, che è la soglia sulla quale si può convenire ed intendersi, credenti e non credenti.  E per i credenti è il primo e palpabile aspetto dell’”ambiente divino”, che è questo Dio appunto, Intelligenza e Amore, nel quale ci muoviamo, respiriamo, pensiamo e amiamo.

 

NANDO FABRO

 
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L'ENERGIA UMANA

Post n°140 pubblicato il 13 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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L'ENERGIA UMANA

 

L’energia umana si presenta alla nostra osservazione quale termine di un ampio processo in cui è impegnata la massa totale dell’Universo.

In noi, l’evoluzione del Mondo verso lo spirito si fa coscienza. La nostra perfezione, il nostro interesse, la nostra salvezza elementare possono pertanto consistere solamente in un impegno di portare avanti, con tutte le nostre forze, precisamente questa evoluzione. E’ possibile che non comprendi9amo ancora esattamente dove questa ci porti, ma sarebbe assurdo da parte nostra dubitare che non ci conduca verso una qualche fine di supremo valore.

Di conseguenza, per la prima volta da quando la Vita si è svegliata sulla Terra, emerge finalmente nella nostra coscienza umana del sec. XX, il problema fondamentale dell’azione. Non solo, come una volta, per la nostra piccola individualità, la nostra piccola famiglia, la nostra piccola patria, nemmeno solo per la totalità della Terra, ma per la salvezza e la riuscita dello stesso Universo, come dobbiamo, noi uomini di oggi, organizzare nel miglior modo attorno a noi il mantenimento, la distribuzione e il progresso dell’Energia umana?

Il primo obiettivo che debba focalizzare l’attenzione di un tecnico dell’Energia umana è quello di assicurare ai nuclei umani, considerati isolatamente, il loro grado massimale di consistenza e di “efficienza” elementari. Perfezionare gli individui in modo da conferire all’insieme un sommo grado di potenza, ecco ovviamente la marcia da seguire per il successo finale dell’operazione.

Quale che sia la genericità dei suoi metodi, l’organizzazione dell’Energia umana elementare deve culminare, in ciascun elemento, nella costituzione di un massimo di personalità.

Ma oggi che si realizza, sotto i nostri occhi e nella nostra coscienza, la presa in massa dello strato umano, l’Uomo, anche ipotizzandolo ormai stabilizzato nella sua natura individuale, vede aprirsi davanti ai suoi occhi un campo evolutivo nuovo illimitato: quello delle creazioni, delle associazioni, delle rappresentazioni e delle emozioni collettive. Come assegnare limiti agli effetti di espansione, di penetrazione, di diffusione spirituale risultanti da un’organizzazione coerente della moltitudine umana? E’ bello dominare e disciplinare le potenze dell’etere e del mare. Ma che trionfo è questo paragonato alla padronanza globale del pensiero e dell’amore umano? In verità, mai una opportunità più bella si è presentata alle speranze e agli sforzi della Terra.

Volentieri ci vantiamo di vivere in un secolo di luce e di scienza. Eppure, tutt’al contrario, ci attardiamo ancora in forme rudimentali e infantili di conquista intellettuale. In danaro, in personale, in organizzazione, qual è attualmente la percentuale delle attività terrestri impegnata nell’esplorazione e nella conquista delle zone ancora ignote del mondo?

A tutt’oggi la maggior parte degli uomini capisce la Forza (chiave e simbolo del più-essere) soltanto nella sua forma più primitiva e più brutale: la Guerra.

Ma venga il tempo (e verrà) in cui la massa si renderà conto che i veri successi umani sono quelli riportati sui misteri della Materia e della Vita. Allora suonerà per l’Uomo un’ora decisiva: quella in cui lo Spirito della Scoperta assorbirà la forza viva contenuta nello Spirito della Guerra. Fase capitale della Storia, in cui tutta la potenza delle flotte e delle armate, trasformata, raddoppierà quell’altra potenza che, grazie alla macchina, sarà inoccupata, sicché una marea irresistibile di energia libera salirà verso le zone più progressive della Noosfera. Di questa massa di energia disponibile, una parte importante verrà subito impegnata nell’espansione umana nel mondo materiale. Ma un’altra porzione, quella più preziosa, rifluirà necessariamente sino al livello dell’energia spiritualizzata.

L’energia spiritualizzata è il fior fiore dell’energia cosmica. Rappresenta pertanto la frazione più interessante delle forze umane da organizzare. In quali direzioni principali possiamo ipotizzare che essa cammini e che noi possiamo aiutarla a svilupparsi in seno alle nostre nature individuali? Senz’altro, nel senso di una fioritura decisiva di certe nostre capacità di sempre, assieme all’acquisizione di nuove facoltà o gradi di coscienza.

L’Amore, alla pari del pensiero, è sempre in pieno aumento nella Noosfera. Ogni giorno diventa più flagrante l’eccedenza delle sue crescenti energie sui bisogni sempre minori della propagazione umana. Ciò significa che, nella sua forma pienamente ominizzata, questo Amore tende a svolgere una funzione molto più ampia del semplice richiamo della riproduzione. Verosimilmente, tra l’uomo e la donna, sonnecchia ancora uno specifico e reciproco potere di sensibilizzazione e di fecondazione spirituale che aspira a sprigionarsi in uno slancio irresistibile verso ogni bellezza e ogni verità. Grazie alle illimitate possibilità d’intuizione e di correlazione che reca con sé, oltre un certo grado di sublimazione, l’amore spiritualizzato penetra nell’ignoto.

In tutti i campi, noi cominciamo a vivere abitualmente in presenza e con la preoccupazione del Tutto. Dal punto di vista dell’energia umana, nulla è più capitale dell’apparizione spontanea, ed eventualmente dello sviluppo sistematico, di un siffatto “senso cosmico”. Con esso gli uomini cessano di rappresentare individualità chiuse su di sé, per diventare parti di un Tutto. In essi, pertanto, l’energia spirituale elementare si trova definitivamente pronta ad inserirsi nell’energia totale della Noosfera. Ma non dimenticheremo di porre in luce un punto importante: la perfezione e l’utilità di ogni nucleo di energia umana, rispetto all’insieme, dipendono, in definitiva, da ciò che v’è d’unico e d’incomunicabile nel completamento di ciascuno. Dunque, la cosa che deve preoccupare il tecnico dello Spirito, nel maneggio delle unità umane, è lasciare a queste, nelle trasformazioni che tenta di far loro subire, la possibilità di trovare se stesse e la libertà di differenziarsi sempre di più.

I primi lineamenti di una coscienza comune racchiudono in sé una vivente esigenza di precisarsi e di prolungarsi ulteriormente. Nel campo intellettuale, i progressi della scienza tendono ad edificare una sintesi delle leggi della Materia e della Vita che, in fondo, non è che un atto collettivo di percezione: il mondo visto dalla totalità dell’Umanità in una stessa prospettiva coerente. Nel campo sociale, il mescolamento e la fusione delle razze portano direttamente all’elaborazione di una forma anch’essa comune, non solo di linguaggio ma di moralità e d’ideale.

Considerata nella sua totalità, l’organizzazione dell’energia umana ci orienta e ci sospinge, al di sopra di ogni elemento personale, verso la formazione ultima di un’anima comune.

La convergenza di attività dalla quale nasce l’anima collettiva umana presuppone, come punto di partenza, l’aspirazione comune suscitata da una speranza. Per muovere ed alimentare l’energia umana ci vuole, all’origine, nulla meno dell’attrazione interna verso un oggetto desiderato.

Dato che non vi è né fusione né dissoluzione delle persone elementari, il Centro in cui aspirano a congiungersi deve necessariamente essere distinto da esse, avere cioè la sua propria personalità, la sua realtà autonoma.

Per il suo mantenimento e il suo funzionamento, la Noosfera esige, fisicamente, l’esistenza nell’Universo di un Polo reale di convergenza psichica: Centro differente da tutti gli altri Centri che esso “supercentra” assimilandoli; Persona distinta da tutte le persone che perfeziona unendosele. Il Mondo non funzionerebbe se non esistesse, da qualche parte, oltre noi nel Tempo e nello Spazio, “un punto cosmico” di sintesi totale.

Lo abbiamo testè riconosciuto: con l’Ominizzazione, l’Universo ha raggiunto un livello superiore in cui le sue forze fisicomorali assumono via via la figura di un’affinità fondamentale correlante gli individui fra di loro e al Centro trascendente. In noi e attorno a noi, gli elementi del Mondo senza posa si personalizzano sempre di più, per accessione a un Termine, anch’esso personale, di unificazione: sicché, da quel Termine di confluenza ultima s’irradia, e verso di Lui rifluisce, in definitiva, l’energia essenziale del Mondo, quella che, dopo aver agitato confusamente la massa cosmica, ne emerge per formare la Noosfera.

Quale nome dobbiamo dare a tale sorta d’influsso? Uno solo, l’Amore: forma superiore e principio totalizzatore dell’Energia umana.

Rappresentiamoci un uomo diventato consapevole delle sue relazioni personali con una Persona suprema, alla quale egli è portato ad aggregarsi attraverso l’intero gioco delle attività cosmiche. In un tale soggetto, e a partire da lui, ecco abbozzarsi un processo di unificazione segnato dalle seguenti tappe:

  • totalizzazione di ogni operazione sul piano individuale;
  • totalizzazione dell’individuo rispetto a se stesso;
  • totalizzazione, infine, degli individui nella collettività umana.

Tutto questo “impossibile” si realizza sotto l’influsso dell’Amore. Omega, Colui verso cui tutto converge, è reciprocamente Colui dal quale tutto s’irradia. Non si può situare quale focolaio al vertice dell’Universo senza diffondere, ipso facto, la sua presenza fin nell’intimo del minimo progresso compiuto dall’Evoluzione. Ciò significa che, per colui che ha visto questo, ogni cosa, per quanto umile sia, purché venga situata nella linea del progresso, si scalda s’illumina, si anima e diventa pertanto un oggetto di adesione totale.

Che sotto l’influsso animatore di Omega ogni nostro gesto particolare possa diventare totale, e già una meravigliosa utilizzazione dell’energia umana. Ma ecco che, appena avviata, questa prima trasfigurazione delle nostre attività tende a prolungarsi in un’altra metamorfosi ancor più profonda. Per lo stesso fatto di diventare totali, ciascuna per conto suo, le nostro operazioni sono logicamente portate a totalizzarsi, raccolte tutte quante in un atto unico.

E’ una vera sintesi che l’amore di Omega opera sul fascio raggruppato delle nostre facoltà.

Nel corso superficiale delle nostre esistenze, vedere o pensare, capire o amare, dare o ricevere, crescere o diminuire, vivere o morire, sono cose diverse. Ma cosa diventeranno tutte quelle contrapposizioni non appena, in Omega, la loro diversità si rivelerà quale le modalità infinitamente varie di uno stesso contatto universale? Senza che le loro radici svaniscano affatto, tenderanno a combinarsi in una risultante comune, in cui la loro pluralità, sempre riconoscibile, esploderà in una ineffabile ricchezza. Perché meravigliarci? Non conosciamo, forse, a un minor grado di intensità, un fenomeno analogo nella nostra esperienza? Quando un uomo ama nobilmente una donna, con questa passione vigorosa che esalta l’essere al di sopra di se stesso, la vita di questo uomo, la sua capacità di creare e di sentire, l’intero suo universo, si ritrovano distintamente contenuti e ad un tempo sublimati nell’amore per questa donna. Eppure la donna, per quanto sia necessaria all’uomo per rispecchiargli, rivelargli, comunicargli e “personalizzargli” il Mondo, non è ancora il Centro del Mondo. Se dunque l’amore di un elemento per un altro elemento è potente sino al punto di fondere (senza confonderla) in una impressione unica la moltitudine delle nostre percezioni e delle nostre emozioni, chi sa cosa sarà la vibrazione intima dei nostri esseri nel loro incontro con Omega!

Quando, progredendo nei nostri cuori l’amore del Tutto, sentiremo allargarsi, al di sopra della divergenza dei nostri sforzi e dei nostri desideri, l’esuberante semplicità di uno slancio nel quale si mescolano e si esaltano, senza perdersi, le innumerevoli sfumature della passione e dell’azione, allora, in seno alla massa costituita dall’Energia umana, saremo vicini, ciascuno alla pienezza della nostra efficienza e della nostra personalità.

Totalizzare senza spersonalizzare. Salvare al tempo stesso l’insieme e gli elementi. Tutti sono d’accordo su questo doppio fine da raggiungere. Ma come i raggruppamenti sociali di oggi situano i valori che essi sono teoricamente concordi nel voler preservare? Sempre considerando la persona come un elemento secondario o transitorio, e ponendo in testa ai programmi il primato della pura totalità. In tutti i sistemi di organizzazione sociale che si affrontano sotto i nostri occhi, va sottinteso che lo stato finale al quale tende la Noosfera è un corpo senz’anima individualizzata, un organismo senza volto, un’Umanità diffusa, un Impersonale.

Ora, questo punto di partenza, una volta accettato, vizia l’intero svolgimento successivo dell’operazione sino a renderla impraticabile. Se l’universo tende finalmente a diventare un qualcosa, come potrebbe mai riservare in sé un posto per un Qualcuno? Se si premette che il vertice dell’Evoluzione umana sia di natura impersonale, gli elementi che lo accettano vedranno inevitabilmente, a dispetto di ogni sforzo contrario, diminuire la loro personalità sotto il suo influsso. Ed è proprio quanto accade. I servi del progresso materiale o delle entità hanno un bel da darsi da fare per emergere nella libertà, sono fatalmente aspirati e assimilati dai determinismi che costruiscono. Sono meccanizzati dai loro propri meccanismi. Allora, per padroneggiare i meccanismi dell’energia umana, resta solo l’uso della forza brutale, forza che, molto logicamente, vorrebbero di nuovo, oggi, farci adorare.

Al di sopra di noi, non già la forza ma l’Amore, e quindi, per incominciare, l’esistenza riconosciuta da un Trascendente che renda possibile un Amore universale.

Cosa accadrebbe il giorno in cui, anziché un’umanità impersonale presentata dalle dottrine sociali moderne alle ambizioni dell’impegno umano, noi riconoscessimo la presenza di un Centro cosciente di convergenza totale? Allora, le individualità coinvolte nella corrente irresistibile della totalizzazione umana si sentirebbero rafforzate dallo stesso moto che le avvicina. Quanto più si raggrupperebbero sotto un Personale, tanto più accrescerebbero la loro stessa personalità. E ciò avrebbe senza sforzo, in base alle proprietà dell’Amore.

Immaginiamo una Terra in cui gli uomini fossero innanzitutto interessati alla realizzazione del loro accesso globale a un Essere appassionatamente desiderato e al quale ognuno riconoscesse, in ciò che vi è di più incomunicabile nel suo prossimo, una vivente partecipazione. In un siffatto mondo, diventerebbe inutile la coercizione per mantenere gli individui nell’ordine più favorevole all’azione, - per orientarli in una libera concorrenza verso le combinazioni migliori, - per far loro accettare le restrizioni ed i sacrifici imposti da una certa selezione umana, - per deciderli, infine, a non sperperare la loro capacità di amare, ma a sublimarla gelosamente in vista della unione finale.

Siamo giunti a un punto decisivo dell’evoluzione umana, in cui l’unica via di uscita si trova nella direzione di una comune passione.

Continuare a porre le nostre speranze in un ordine sociale ottenuto con la violenza equivarrebbe semplicemente per noi ad abbandonare ogni probabilità di portare a compimento lo Spirito della Terra. Ora, espressione di un moto irresistibile ed infallibile come lo stesso Universo, l’energia umana non potrebbe affatto essere ostacolata nel raggiungimento libero del termine naturale della sua evoluzione.

Dunque, a dispetto di ogni inverosimiglianza, ci avviciniamo necessariamente a un’età nuova in cui il mondo rigetterà le sue catene per abbandonarsi al potere delle sue affinità interne.

Dobbiamo credere, sconfinatamene, alla possibilità e alle necessarie conseguenze di un amore universale.

A partire dal Cristo,la teoria e la pratica dell’Amore totale non hanno mai cessato di precisarsi, di trasmettersi e di propagarsi: dimodochè, per effetto dei due millenni di esperienza mistica che ci sorreggono, il contatto che potevamo prendere con il Focolaio personale dell’Universo ha guadagnato in ricchezza esplicita proprio quanto quello che, dopo due millenni di ricerca scientifica, possiamo prendere con le sfere naturali del Mondo. Considerato quale un “phylum” di amore, il cristianesimo è così vivente che, in questo stesso momento, possiamo osservare come, elevandosi ad una coscienza più ferma del suo valore, subisce una straordinaria ascesa.

Un’ulteriore, ultima metamorfosi non sarebbe per caso in corso? La presa di coscienza di Dio nel cuore della Noosfera, il passaggio dei cerchi al loro Centro comune, l’apparizione della Noosfera?

Pierre Teilhard de Chardin s.j.

Pechino, 1937

 

Tratto da:: L’Energie humaine, Oeuvres vol. 6, Parigi Seuil 1962, pp. 141-200 passim. Tr. it. L’energia umana. Tra scienza e fede, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997

Il tersto è rintracciabile anche nel sito www.dimensionesperanza.it

 
 
 
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Post N° 141

Post n°141 pubblicato il 13 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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La sofferenza trama della relazione

“Scrivo queste righe per esuberanza di vita e per bisogno di vivere; per esprimere una visione appassionata della terra, e cercare una soluzione alle perplessita’ della mia azione;...Il mio punto di partenza sara’ il fatto ‘iniziale’, fondamentale, che ciascuno di noi, volente o nolente, e’ legato dalle sue fibre materiali, organiche, psichiche, a tutto cio’ che lo circonda. Non e’ soltanto catturato in una rete, ma e’ trascinato da un fiume. Attorno a noi, da ogni parte, appaiono legami e correnti. Mille determinismi ci incatenano, mille eredita’ pesano sul nostro presente, mille affinita’ subite ci dislocano e ci sospingono verso una meta ignota... Nel tempo e nello spazio, siamo per cosi’ dire piu’ fuori di noi che dentro di noi, al momento preciso in cui viviamo. La persona, la ‘monade’ umana, come qualsiasi monade, e’ essenzialmente cosmica”.

Con queste parole Pierre Teilhard de Chardin apre uno dei piu’ belli tra i suoi scritti: La Vita Cosmica. Queste parole ci mettono alla corda. Leggendole nessuno di noi puo’ negare il mistero in cui viviamo; quel mistero per cui il fascino della vita e’ intrinsicamente mescolato alle sue difficolta’, ai suoi pesi e, in vero, alle sue sofferenze. Piu’ in la’, nello stesso libro, Teilhard rivendica il valore della “vaga nostalgia per un qualche cosa che e’ celato in noi, cha va al di la’ di noi e che rappresenta il nostro punto di perferzione...Se l’uomo vuole diventare veramente se stesso, deve prendere coscienza dei suoi infniti prolungament, degli obblighi che essi impongono e dell’ebrezza che procurano”.

Come tutti i grandi mistici Teilhard riesce a cogliere l’essenza di questo mistero di vita. Se da un lato la relazione ci affascina, ci attrae e ci appare come l’unica ragione di vita, dall’altro ci pesa, ci mette alla prova, ci lacera, , ci porta ad essere per lo piu’ “fuori di noi che dentro di noi”. La relazione pesa all’uomo nella sua esistenza ‘ibrida’ di essere al tempo stesso animale e razionale, istintivo e amorevole. Se e’ vero che l’uomo e’ la cellula da cui origina la Noosfera, la rete di relazioni e pensieri, e’ anche vero che il suo patrimonio genetico e’ inscritto nella Biosfera, quella massa brulicante di esseri che popola il pianeta governata dal principio di sopravvivenza della specie. L’uomo e’ provato dalla relazione perche’ in essa la sua identita’ e visione di vita sono messe in discussione dall’altro. L’uomo e’ lacerato dalla relazione perche’ “l’azione dell’altro in noi si manifesta di piu’ nella sofferenza che non nel godimento, ed anche la felicita’ che ne risulta” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza).

La sofferenza e’ cruda quando in famiglia, nell’amicizia e sul lavoro l’altro ci diminuisce. La sofferenza e’ cruda quando l’altro (amato o sopportato) ci diminuisce in buona fede. La sofferenza e’ cruda soprattutto quando la nostra buona fede e’ interpretata come debolezza, quando le nostre parole sono soppesate e manipolate per essere poi usate contro di noi. Ma la sofferenza e’ insopportabile quando “Hai tu provato, talvolta, che cosa sia non poter amare a sufficienza coloro che ci amano in modo commovente mentre vorremmo a tutti costi amarli” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza).

Alla sofferenza della relazione si aggiunge la sofferenza per la nostra condizione di esseri piu’ o meno ‘realizzati’ o piu’ o meno ‘falliti’. Alla sofferenza per la nostra condizione di esseri piu’ o meno realizzati si aggiunge la sofferenza per la nostra condizione di esseri mortali, per il disintegrarsi delle nostre fibre piu’ intime nell’abbraccio della morte.

L’uomo ancor troppo figlio dell’istinto, ancora troppo radicato nella Biosfera, si ribella a queste sofferenze esistenziali. La sua condizione e’ beffarda come quella di Abramo che dopo essersi consumato per raggiungere la terra promessa, muore nel momento in cui arriva alle sue porte senza poterci entrare. L’uomo sta camminando verso la Noosfera, i suoi contorni si delineano dinnanzi ai suoi occhi, ma in maniera crudele in essa non gli e’ dato di entrare, almeno non in pienezza.

Solo al Cristo e alla comunione dei suoi santi (credenti e non credenti) la vera chiave di accesso al nuovo Regno viene donata: “Nel corso della sua Passione, Gesu’ ha sentito gravare sulla sua anima, abbandonata e affranta, il peso di tutti i dolori umani in una prodigiosa e ineffabile sintesi. Li ha tutti assunti, sperimentati...E, introducendoli nel campo della sua coscienza, Egli li ha trasfigurati” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza). Attraverso Cristo all’uomo e’ dato di capire “che, per lui, non v’era modo piu’ efficace di progredire se non quello dell’utilizzo dell’orribile e repellente dolore” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza).

E’ forse tempo di chiedermi se non sia proprio nella mia coscienza di credente o di  non credente che devo trovare una soluzione tra la contraddizione costante che nasce tra il “mio entusiasmo per collaborare ad un’opera, ad una Realta’, piu’ duratura di me” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza) e il senso di diminuizione e di dolore che pago come inevitabile pegno per questo entusiasmo.

E’ forse tempo di chiedermi se non sia proprio nella mia coscienza, nelle mie azioni e sulla scena che mi e’ stata preparata che io debba mettermi alla sequela dell’uomo della Passione e della sua ‘Ricerca nel Mondo’.

Iniziata in una disposizione di dolce abbandono, poi perseguita con spirito di conquistala Ricerca nel Mondo giunge logicamente ad un amplesso appassionato e doloroso tra le braccia della Croce...Ora, al termine delle esperienze e della lunga maturazione delle proprie prospettive, essa si accorge che nessun lavoro e’ piu’ efficace e pacificante del raccogliere la Sofferenza del Mondo,...nessun atteggiamento e’ piu’ dilatante per essa dell’aprirsi, largamente e teneramente...alla simpatia per ogni Dolore, alla ‘Compassione cosmica’ ” (Teilhard de Chardin, La Sofferenza)

  Matteo Santin

 (tratto da ISAIAH, , n 6 febbraio  2005, sito web: www.isaiah.it)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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Post N° 142

Post n°142 pubblicato il 13 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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Teilhard Anche il cosmo aspetta la totale redenzione

Nasce a Sarcenal, in Alvernia nel 1881 e muore a New York nel 1955. Entra a far parte della Compagnia di Gesù nel 1899. È stato scienziato (paleontologo e geologo), nonché filosofo e teologo. Dal 1920 al 1923 insegna geologia e Paleontologia nell'Istituto Cattolico di Parigi. Dal 1926 partecipa a numerose spedizioni in Oriente, in Cina, in Birmania a Giava e in India, contribuendo al rinvenimento del cosiddetto "uomo di Pechino" (Sinanthropus pekinensis), l'ominide fossile vissuto nel Pleistocene medio (200-300.000 anni fa). Il suo pensiero matura in un periodo di grande fermento scientifico: da un lato il positivismo va in crisi, dall'altro gli studiosi umanisti si interrogano sul futuro della civiltà occidentale. Tehilard critica la debolezza delle basi teoriche su cui si fondano queste tesi, intuendo tutta una serie di "estrapolazioni" che gli permettono di pensare ad una vera "scienza dell'avvenire". Amplia il campo della ricerca scientifica al dibattito cosmologico-teologico e ancora oggi risulta assai importante il suo tentativo di conciliazione tra le tesi evoluzioniste e la dottrina cattolica.
Sono tesi espresse nel saggio "Il fenomeno umano", pubblicato solo nel 1955, in cui ogni evento è intuito in funzione di una realizzazione del progetto divino, che non si conclude con la comparsa dell'uomo sulla terra, ma è destinato a proseguire.
Tehilard parla di una "noogenesi", una specie di divinizzazione dell'universo, attraverso la quale trovano unificazione i destini sia dell'uomo che dell'intero cosmo. L'evoluzione dalla pre-vita (mondo inorganico) alla vita ("biosfera") porta alla formazione del mondo dell'uomo e del pensiero ("noosfera"), suo culmine, anche se l'uomo non è visto come l'approdo finale: l'universo e l'uomo tendono ad un punto omega: il Cristo cosmico, punto di aggregazione di tutta l'umanità. Le sue posizioni sono viste con un certo sospetto dagli ambienti ufficiali della Chiesa Cattolica di allora e tutti i suoi libri più importanti escono postumi: dal già citato "Il fenomeno umano" (1955) a "La comparsa dell'uomo" (1956), da "La visione del passato" (1957) a "L'ambiente divino" (1957) fino a "L'avvenire dell'uomo" (1959). Dopo l'edizione completa delle sue opere pubblicate da Il Saggiatore e non più reperibili, è ora l'editrice Queriniana a pubblicare Teilhard de Chardin in Italia. Tra i volumi disponibili: "L'ambiente divino", "Il cuore della materia", "Le direzioni del futuro", "La messa sul fondo", "Il fattore umano", "Inno all'universo". Per conoscere la biografia e il pensiero dell'autore si segnala "Teilhard de Chardin mistico e scienziato", di Jules Carles e Andrè Dupleix, pubblicato nel 1998 dalle Edizioni Paoline.

Fulvio  Panzieri

da: Avvenire 8 agosto 2000

 
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Post N° 144

Post n°144 pubblicato il 15 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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Ricetta per la felicità

 

Il titolo di questo breve discorso non vuole essere ironico: soprattutto non lo vuole, perché di un P.Teilhard de Chardin (e di un particolare aspetto del pensiero di lui che qui intendiamo occuparci)  sarebbe ingiusto e irriverente parlare con spirito meno che serio.

Quale è, dunque, per questo “gesuita proibito - - come lo chiama Giancarlo Vuigorelli nel suo perspicace ed interessante studio sulla vita e l’opera dell’insigne religioso – la ricetta per la felicità?

La si può compiutamente vedere nelle “ Reflexions sur le bonheur”, di cui lo stesso Vigorelli ci offre in italiano il testo integrale (nel numero 9-10 della rivista Europa Letteraria, giugno-agosto 1961 pag. 18-35. Il testo si trova oggi anche nel volume : Pierre Teilhard de Chardin, Le Direzioni del Futuro, SEI Editrice, Torino, 1996, pag. 131 -158. Il tersto può essere letto anche sul sito www.riflessioni.it . N.d.r.), non perché sul piano ideologico di Teilhard  esso costituisca uno scritto di primaria importanza (trattasi di una conferenza da lui tenuta a Pechino,  nel 1943, davanti ad un pubblico mondano, occasionale),  ma perché particolarmente atto a introdurre nel pensiero e nel linguaggio del battagliero gesuita,  il cui principio fondamentale e che “ la stessa fede in Dio – come si esprime Vigorelli – e  incompleta, se non ha dietro di sé la fede nell’uomo;  e che credere  nell’uomo vuol dire determinare,in ogni direzione e dimensione,  il progresso”.

Se non che, poter dire “ecco la ricetta per la felicità”, comporta  come è ovvio, poter prima stabilire che cosa sia la felicità: problema che, se pur non teorizzato, deve aver sempre messo in turbamento profondo l’animo dell’uomo, finchè presentato non si fu chiaramente, e con tutta la sua urgenza, alla  mente di Socrate.  Ed è proprio il nome di Socrate che ci piace qui fare, perché anch’egli, in certo modo, col suo noto asserto che la felicità “è vita secondo scienza” , parrebbe quasi anticipare  l’atteggiamento di Teilhard, seppure il filosofo greco, nel suo tentativo di definire “oggettivamente”  tanto la felicità quanto la scienza, si trovasse chiuso in un circolo.  In che consiste, si chiedeva egli infatti, la felicità?  Nella virtù.  E questa? Nella scienza.  Ma che cosa è la scienza? Conoscenza della virtù…

L’avvenimento, ora che abbiamo osato, tra Socrate e Teilhard, parrebbe affatto arbitrario:  ma un certo punto di incontro,  come accennavamo,  nell’atteggiamento dell’uno e dell’altro rispetto al problema della felicità, lo si può, a nostro avviso,  riconoscere:  quello, si vuol dire, di una cieca fede nella “scienza”: ( né importa se la scienza biologica del secondo ben poco abbia a che fare con la “episteme” dell’altro)

Fede nella scienza, dunque, e, in Teilhard, fede anche, si sa, nella  “fede”: entrambe tetragone.  Tale è la posizione del “gesuita proibito”: ed è la prima fede, che maggiormente lo induce verso quell’euforico ottimismo, che,  certamente non è  l’unico o principale volto del pensiero cristiano,  Perché, mentre Socrate, in fondo, il problema della felicità – anche se in sommo grado -  lo risolve per suo conto, De Chardin è più convinto di poterlo risolvere per sé e per ognuno: solo che ognuno sappia e voglia appoggiarsi – contro ogni invito pascaliano o kierkegaardiano – all’insegnamento della Scienza e della Biologia, al credo, in una parola, evoluzionistico.

Tre tipi di Uomo, egli osserva, si possono distinguere rispetto al problema della felicità:  gli “stanchi”, i “buontemponi”, gli “ardenti”.  Per  i primi, esistere è uno sbaglio, un fallimento, meglio, dunque, non essere.  Per i secondi, invece è meglio essere, purchè ci si appigli al sapore d’ogni suo frutto , al carpediem,  tendenza che,  dall’antico edonismo di Epicuro  non ha mai cessato, sostanzialmente, di mostrarsi allettevole sino ai nostri giorni, sino a un Paul Morand, a un Montherlant e, in forma assai più sottile, ad un Gide, (quello di Nourritures terrestres) .  Per  gli ultimi, infine,  per gli “ardenti”, i quali vedono nella vita una continua ascensione, una perenne scoperta, la felicità consiste nella possibilità di scalare vetta dopo vetta verso la Terra di Domani.

Or non è che qui si osi, neanche lontanamente,  sfiorare la questione della possibilità di una conciliazione tre l’Origine della specie (per intenderci in breve) e la fede cattolica: solo bastando – a noi profani -  dir questo:  sembrarci di palmare evidenza, una volta ammessa l’esistenza di una Verità unica (il rinascimentale criterio della doppia verità, a nostro avviso, ebbe carattere troppo opportunistico) non poter esservi conflitto tra scienza e religione, pena la falsità dell’una e dell’altra “ La vita – scrive Teilhard – progredisce metodicamente, iirrevocabilemte, verso stati  di coscienza sempre più elevati”.

Questa è la sua certezza: ond’è che, stare a discutere (e sono secoli e secoli che di ciò di discute) quele debbe essere il nostro atteggiamento migliore di fronte alla vita, è come se, viaggiando su un rapido Parigi Marsiglia, ce ne stessimo  ancora a ragionare  circa la convenienza di andare al Nord o al Sud…

D’accordo: ma poi che il supremo insegnamento del Cristianesimo, oggi, sul piano morale, è, si potrebbe dire, accettato da tutti,.credenti e non credenti (“perché non possiamo non dirci cristiani”9, parrebbe che il ricorso di Teilhard alla teoria dell’evoluzione, per meglio convincere l’uomo in genere,  cioè comune, a cercare la sua felicità (“felicità di crescita”, come egli la chiama) nel continuo superamento, in ogni direzione e dimensione, di se stesso, dovesse essere, se non d’impaccio, per lo meno non giovevole alla immediata intuizione di una verità, la quale indubbiamente meglio si presta ad essere colta nell’area della relazione e della socialità, che in quella della scienza e della biologia.

Anche Socrate (per ribadire quanto s’è accennato) opinava di poter condurre l’uomo verso il vero bene per mezzo del suo “intellettualismo etico”, ma in effetto, più del suo magistero “scientifico”, fu l’esempio di tutto il suo vivere che  potè largamente convincere come solo nell’operare virtuoso consistesse il vero bene, ossia la felicità.

A proposito della quale, vorremmo anche dire che essa viene  sovente – ma erroneamente –identificata col piacere, come dall’altro lato col suo opposto, il dolore, viene identificata l’infelicità..

De Chardin, dal canto proprio, con la distinzione che fa tra “felicità di tranquillità” (quella degli “stanchi”), “felicità di piacere” (quella dei buontemponi”) e la già vista “felicità di crescita” (quella degli  “ardenti” ),  parrebbe voler evitare (diciamo: parrebbe, e ne vedremo il perchè) la pur diffusa confusione.  

Io posso trovarmi, infatti, in uno stato di dolore ed essere felice.  Felicità e infelicità sono, vorremmo dire, come  ottimismo e pessimismo, due costanti fondamentali dello spirito, sulle quali dolore e piacere sogliono strisciar via a guisa di nembo su plaga ferace, o di zeffiro su landa riarsa, attenuandone rispettivamente, di volta in volta, la carica, ma senza, almeno generalmente, cambiandone natura..

E in che cosa potrebbe mai consistere la felicità se non nell’amore?  E in che cosa la felicità, se non nella impossibilità, giustappunto, di amore?  L’infermo, pertanto,non sono gli altri, l’inferno siamo noi.

Teilhard, cristiano, celebra ed esalta, come è ovvio, la sublime importanza della Carità.  Ma c’è su questa un suo pensiero – estraneo alle “Reflexions” – che indubbiamente ne scema l’assoluta sovranità, e non ci pare di poter quindi condividere.

Eccolo: “ La Carità è unitiva, ma in sé stazionaria”.  Stazionaria?  Non è, la sua potenzialità inesauribile come ogni altra potenzialità dello spirito ?  Neanche la pace  - che pur sembrerebbe equivalere a una sorta di beata stasi – neanche la pace – che pure è la prima destinata a chi vive essa Carità, e  certamente costituisce la suprema, unica felicità attingibile in terra – subisce a vedere bene, qualsiasi minimo arresto.  Pensare pertanto, come Teilhard pensa, che il perfezionamento naturale dello spirito, vale a dire la conquista della felicità, non si ottenga nella sua pienezza se non con lo sforzo combinato di ogni Scienza, di ogni Estetica, di ogni Morale, e così via, parrebbe dover rendere la già difficile marcia verso la felicità tanto più difficile e quindi non da tutti, anzi da pochissimi, condotta a fondo.

Né questo manca di avvertire lo stesso De Chardin, se crede necessario prevenir subito l’obiezione – che potrebbe essergli rivolta – così: “Il che non porta, rassicuratevi, a compiere delle cose importanti, straordinarie ( aveva egli infatti, pochi attimi prima, ricordati i Curie,Termier, Nansen, gli insigni pensatori, in una parola, della civiltà) ma soltanto, e tutti lo possono, a fare grandemente la più piccola cosa, appena divenuti consapevoli della nostra solidarietà vivente con una grande Cosa.  Aggiungere un esiguo punto al magnifico richiamo della Vita, distinguere l’Immenso che sta e ci attira al centro e al termine delle nostre  attività più dimesse: questo è alla fine il grande segreto della felicità”.

Ora, qui, sia ben chiaro, non è che si voglia in alcun modo ironeggiare, più o meno leopardianamente, su “le magnifiche sorti e progressive “, e neanche mettere in dubbio la sacralità della forza che le promuove (anche se poi distorte – basti pensare allo spettro H  - dal loro altissimo fine), ma ci sembra che quella coscienza di “solidarietà vivente con una grande Cosa”, di sapore prettamente scientifico, non possa essere conseguita – come sopra si diceva – se non da pochissimi.  Come attingerla, infatti, se non attraverso quell’iter, che i pionieri per l’appunto, sieno pur modesti, della civiltà, soli riescono a percorrere?

No: la vera felicità (da non confondere neppure – e così chiarifichiamo la riserva da noi fatta circa la sopra citata “felicità di crescita” – con la “soddisfazione”, con la “gioia” di chi scopre, di chi inventa) la vera felicità non può non essere che per tutti: per i grandi non meno che per gli umili, per gli scienziati non meno che per gli ignari, i quali intendono la Carità, semplicemente, come amore di dio e del prossimo, e non certo come amore altresì dell’Universo nel suo perenne divenire, cioè  veduto alla luce di ogni ultima conquista della Fisica e della Biologia.

Ora non è, si capisce, che la via della felicità, per il “Darwin cristiano”, possa allontanarsi di un minimo  di quella indicata da Chi disse di sé: “Io sono la  Via, la Verità, la Vita”.  Ma questa pertinace fatica di lui (persino commovente) tesa ad abbinare (stavamo per scrivere puntellare) l’insegnamento di Gesù con quello dell’Evoluzionismo, parrebbe essere cosa assai pericolosa o per lo meno supeflua.

 

Mario Blasi

Città di Vita 1965

 

 

 

 
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Post N° 145

Post n°145 pubblicato il 17 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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MATERIA  EVOLUZIONE   SPERANZA

Pensando al  Duemila….

(sintesi della relazione tenuta dal Prof. Lucio Lombardo Radice al Convegno tenutosi a Firenze, presso l’Istituto Stensen,  in occasione del centenario della nascita di Pierre Teilhard de Chardin s.j.  , il 25 aprile 1981)

 

La planetizzazione di tutti i problemi è motivo fondamentale, continuamente ricorrente, del pensiero di Teilhard de Chardin; si può ben dire per quaranta anni dagli scritti che precedono la prima guerra mondiale, fino agli ultimi.  C’è, innanzitutto, la constatazione della “planetizzazione come fatto: il più semplice e modesto contadino, isolato in campagna”, non può  ormai più vivere senza “  tenere conto, e preoccuparsi ad ogni istante,  di New York, di Mosca o della Cina”. Ma c’è anche la planetizzazione come problema, e come problema nuovo, inedito, di qualità diversa da tutti i precedenti.   Infatti, “l’umanità sembra arrivata al suo punto critico di socializzazione”,  perché le scelte che fa oggi l’uomo hanno ripercussioni su “miriadi di esseri viventi”.

Di più, Teilhard prende in considerazione tutti i possibili sbocchi del processo di planetizzazione, dal catastrofico “suicidio” al “prodigioso avvenire umano”.  Ora, mentre la consapevolezza della “globalità dei problemi” è andata aumentando dopo la morte di Teilhartd, del tutto insufficiente appare l’impegno prospettico, ideale, teorico della cultura nei loro confronti.  Ad un catastrofismo ecologico occidentale  talvolta oratorio  (Roger Garaudy nell’ultimo suo, per molti aspetti valido,  “Appello ai viventi”), tra l’altro fondato su calcoli privi di dialettica, si contrappone un perdurante  ottimismo tecnologico da parte dei più autorevoli futurologi sovietici (si legga “Identikit del 2000” di Eduard Arab Ogl) .  La sinistra marxista non dogmatica tedesca ha compiuto la elaborazione più importante: Robert Havemann,  ma specialmente Rudolph Bahro hanno correttamente posto il problema di nuove grandi ipotesi di sviluppo non consumistico della economia, e quello di un nuovo blocco storico capace di creare tale nuovo orientamento  (interessante notare che la richiesta di una nuova politica di fronte ai rischi di catastrofi ecologiche viene in Germania anche dal moderato Gruhl).

Tuttavia la crescente incapacità tanto di egemonia quanto di collaborazione costruttiva delle massime potenze mondiali, la riduzione, a livello della coscienza delle masse, degli incombenti problemi planetari a miti,  a semplificazioni (energia atomica si o no); la crisi dell’internazionalismo operaio e democratico; il riemergere e l’esplodere di culture oppresse o dimenticate in forme “fanatiche” –tutto questo intreccio di fenomeni impone un salto di qualità dell’interesse degli intellettuali-politici e dei politici-intellettuali nei confronti dei problemi globali, planetari.  L’attualità del pensiero di Teilhard. Sulla planetizzazione non è, e non può essere, di contenuti; sta nel suo orientamento generale.  Potremmo riassumerlo

così: “ convergenza verso una unità sempre più piena nel perdurante pluralismo delle culture”.

Dopo i tre grandi periodi della evoluzione naturale, della ominizzazione, della umanizzazione, il “processo biologico attualmente in corso consiste nella elaborazione di una coscienza umana collettiva”.  Una nuova evoluzione, che è insieme in avanti e verso  l’alto: una “marcia verso l’improbabile”, verso il sempre più organizzato, e quindi contro la tendenza del  mondo lasciato a  se stesso verso un disordine crescente.

Questa idea grandiosa della “convergenza planetaria di diversi” che tali restano, in una “terra che si contrae a vista d’occhio”, ha come retroterra personale il “vissuto” di Teilhard de Chardin in diversi Continenti, a contatto con  le diverse grandi religioni e civiltà, la sua esperienza di fede cristiana aperta alle  idealità del socialismo e al  movimento operaio

Di più, la ispirazione  del gesuita scienziato è di fede cristiana, L’avvenire terrestre nei secoli futuri è il compimento di Cristo, del Cristo Evolutore e Redentore insieme.

Il “linguaggio” di Teilhard de Chardin, spesso carico di neologismi di stampo mistico, o di teismo animistico, ha respinto e respinge molti liberi pensatori che pur potrebbero trovare alimento importante alle loro elaborazioni, del tutto “laiche”, nella “sostanza” della visione del mondo del gesuita francese.  (Abbastanza tipico l’atteggiamento di Jacques Monod, colpito dalla “mancanza di rigore e di austerità intellettuale” di Teilhard).

Mi pare che si debba invitare i liberi pensatori che rimangono infastiditi da una ispirazione di fede a ricordare le parole di Giovanni XXIII nella “Pacem in Terris che esortava a cercare importanti verità dentro l’involucro di false filosofie.

L’umanista ateo moderno rimane impoverito se esclude i testi di Teilhard dai libri che lo formano, lo orientano, talvolta lo guidano.  A tanti atei che si proclamano umanisti,, e che tali si sforzano di essere, possono essere d’esempio i molti, i moltissimi umanisti cristiani che non hanno esitato a far entrare nel loro patrimonio culturale, politico, etico, l’ateo Karl Marx, non certo in quanto ateo,  ma,  perché, pur partendo da una ispirazione atea, aveva scoperto verità importanti per tutti.

Teilhard de Chardin non deve appartenere solo al pensiero cristiano innovatore e progressista; la sua esperienza di una evoluzione verso l’alto, di una umanità convergente pur nella sua irriducibile  diversità, può e deve essere un’idea-forza anche di chi non crede al Regno, al punto Omega.

LUCIO LOMBARDO RADICE

 (sintesi pubblicata sull’Unità del 28 aprile 1981)

 

 

 

 

 
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Post N° 146

Post n°146 pubblicato il 18 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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IL CRISTICO

 

 

E’ questo testo l’ultima riflessione di Teilhard de Chardin, pochi giorni prima della sua morte,avvenuta, come sapete, nel giorno di Pasqua del 1955.

Questa riflessione, che consiglio  ad ogni cristiano di leggere,  riguarda esclusivamente il Cristo, che è la quintessenza di tutta la visione teilhardiana.

E’ possibile trovare il testo completo nell’opera: Teilhard de Chardin: Il Cuore della Materia,  Queriniana Editrice, 1998, pag.67- 86.

E’ un testo straordinario quale solo i grandi uomini di fede e i mistici  come Teilhard sono capaci di scrivere,  frutto della sua  intensa vita vissuta immersa perdutamente in quella del Cristo Redentore.

Quialche anno  prima di morire, Teilhard scriveva  una lettera a Jeanne Mortier, che sarebbe diventata la sua legata testamentaria: “ Questo straordinario Cristico: non vorrei morire prima di averlo espresso più o meno come l’intravedo, con uno stupore che non smette di crescere”

Ed infatti IL CRISTICO venne finito nel marzo del 1955.

Il 9 febbraio del 1955 Teilhard scriveva  ancora a Jean Mortier: “ Comincio  decisamente il Cristico, senza ben sapere il tono e l’andamento che  la cosa assumerà.  Preghi perché io faccia meglio che possa – perché venga il suo Regno”.

Il Cristico è diviso in 4 capitoli più l’Introduzione e la Conclusione.

I capitoli sono:

Introduzione: l’Amorizzazione dell’Universo;

  1. La Convergenza dell’Universo;

  2. l’Emergenza del Cristo;

  3. L’Universo Cristificato

a- Consumazione dell’Universo mediante il Cristo

b – La consumazione del Cristo mediante l’Universo

c – L’Ambiente Divino

      4    La Religione di Domani

  Conclusione: Terra Promessa

Dalla lettura di questo testo traspare condensato tutto l’amore per il Cristo e  tutta la sofferenza ( per non essere stato compreso) della sua vita e preannuncia , in qualche modo, l’imminente abbandono della vita terrena.

Ma è anche  sentendosi solo la sua fede in Dio e nel Mondo rimane salda e “vede” la Diafania che ha impregnato tutto e “sa” che la sua visione diverrà l’orizzonte di un numero sempre più crescente di persone nel Mondo.: Infatti Egli dice: “Basta, per la Verità, apparire una sola volta, in una sola mente, perché nulla possa mai più impedirle d’invadere tutto e d’incendiare tutto”.

Non posso  pubblicare tutto il testo perché è lungo, ma nell’invitarvi a leggere e meditare il testo voglio almeno pubblicare il capitolo finale del Cristico: Terra Promessa.

 

IL CRISTICO

………….

Conclusione: Terra Promessa

 

L’Energia che diventa Presenza….

E pertanto la possibilità  che si scopre, che si apre all’Uomo, son solo di credere e di sperare, ma (cosa ben più inattesa e preziosa!) d’amare, coestensivamente e coorganicamente, assieme all’intero passato, anche il presente ed il futuro d’un Universo in corso di auto concentrazione….

Sembrerebbe che un solo raggio d’una siffatta luce, cadendo come una scintilla in un qualsiasi punto della Noosfera,  dovesse provocare un’esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi sull’istante la faccia della Terra.

Allora, per quale motivo, guardando attorno a me ed ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovo quasi solo della mia specie? Solo ad aver “visto”…  incapace pertanto, quando me lo si chiede,  di citare un solo autore, un solo scritto, in cui si riconosca, in termini chiari, la meravigliosa “Diafania” che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto?

E, soprattutto, per quale motivo, “sceso dalla montagna”, e nonostante la magnificenza che riempie i miei occhi, io mi ritrovo così poco migliorato, così poco pacificato, così incapace di far passare nel mio agire, e pertanto di comunicare effettivamente agli altri, la meravigliosa unità in cui mi sento immerso?...

Il Cristo Universale? L’Ambiente Divino?...

Tutto sommato, non sarei  forse  soltanto la vittima di un miraggio interiore?...

Ecco ciò che spesso mi domando.

Ma ecco pure ciò contro cui, dal fondo di me stesso, ogni volta che mi assale il dubbio, tre successive onde d’evidenze insorgono, - spazzando via dalla mia mente il falso timore che il mio “Cristico” possa essere una semplice illusione.

Dapprima l’evidenza della “coerenza” che questo ineffabile Elemento ( o Ambiente)  stabilisce nel più profondo del mio pensiero e del mio cuore.  Certo ( e lo so anche troppo…), nonostante l’ambizioso splendore delle mie idee , rimango, in pratica, in uno stato d’imperfezione che mi preoccupa.  A dispetto  delle  pretese della sua formazione, la mia fede non realizza in me altretanta carità reale, altrettanta calma fiducia che,  nell’umile persona inginocchiata accanto a me,  produce il catechismo che insegnano ancora ai bambini.  Ma so anche che questa Fede raffinata, che uso così male,  è l’unica che io possa sopportare, l’unica che mi soddisfi, - e persino (non posso dubitarne) l’unica che sia capace di bastare ai “ carbonai” ed alle “comari” di domani.

Evidenza, poi,  della “potenza contagiosa” d’una forma di Carità in cui diventa possibile amare Dio non solo  “con tutto il corpo e tutta l’anima”, ma con tutto l’Universo-in-Evoluzione.  Ho testè confessato la mia attuale impossibilità di citare una sola “autorità”  (religiosa o laica) , in cui potessi riconoscermi totalmente, sia dalla parte “visione cosmica” che dalla parte “visione cristica”.  Eppure come non sentir vibrare attorno a me (anche solo dal vedere come “le mie idee”  si diffondono) la massa di tutti coloro – dai confini dell’incredulità sino al fondo dei conventi –pensano, sentono, o almeno presentono proprio come me? – Coscienza riconfortante, in verità, di non scoprire nulla da me, ma di risonare molto semplicemente a ciò che necessariamente ( dato un certo stato del  Cristianesimo e del Mondo) vibra dovunque nelle anime che mi circondano.  E pertanto coscienza esaltante di non essere né me  né solo, - ma d’essere una legione – ma d’essere persino “tutti”, nella misura  in cui riconosco,  palpitante nelle mie profondità, l’umanità di domani.

Evidenza, infine della “superiorità” (seppure ad un tempo “l’identità “) di ciò che vedo rispetto a ciò che mi è stato insegnato.  Per la loro stessa funzione, né Dio che ci attira può essere meno perfetto, né il Mondo con cui evolviamo può essere meno stimolante di quanto lo concepiamo e di quanto ne abbiamo bisogno.  In un caso come nell’altro ( a meno d’ammettere una positiva disarmonia nella stessa stoffa delle Cose), la verità si trova nella direzione del grado massimale, - Ora, abbiamo visto in precedenza, è nel “Cristico” che, nel nostro secolo, il Divino raggiunge il fastigio dell’adorabile, e l’Evolutivo il sommo potere d’attivazione. – Allora che cosa concludere, fuorchè riconoscere che, proprio da quella parte, inevitabilmente, l’Umanità propende e, presto o tardi, s’unificherà?

Ed ecco che, questa volta si spiegano molto naturalmente il mio isolamento e la mia apparente singolarità.

Dappertutto sulla Terra, in questo momento, in seno alla nuova atmosfera creata dall’apparizione dell’idea d’evoluzione, fluttuano in uno stato estremo di reciproca sensibilizzazione l’amore di Dio e la fede nel Mondo: la due componenti essenziali essenziali dell’Ultraumano.

Le due componenti sono dovunque “nell’aria”, ma in genere non abbastanza forti, “tutte due insieme” per combinarsi l’una con l’altra,  “in uno stesso individuo”.  In me, per puro caso (temperamento,educazione,ambiente…)  la proporzione dell’una e dell’altra trovantesi favorevole, la fusione si è operata spontaneamente, - troppo debole ancora per propagarsi esplosivamente – eppure sufficiente per accertare che la reazione è possibile e che, “un giorno o l’altro, la catena si stabilirà.

Prova nuova che basta,  per la Verità, apparire una sola volta, in una sola mente, perché nulla possa mai più impedirle d’invadere tutto e d’incendiare tutto-

 

Pierre Teilhard de Chardin s.j.

New York, marzo 1955

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Post N° 147

Post n°147 pubblicato il 18 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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IL CARRETTO DEI LIBRI

 

Girando tra gli scaffali della libreria mi è ricapitato in mano il libro di Hans KUNG: L’inizio di tutte le cose – Creazione o evoluzione? Scienza e religione a confronto, edito da Rizzoli nel 2006.

Kung è un prestigioso teologo, esponente di spicco della ricerca teologica e del dialogo tra le fedi e con questa sua opera ci invita a ripensare l’opposizione tra evoluzionismo e creazionismo.

Un libro estremamente documentato e chiaro nelle sue argomentazioni tanto che Joseph Ratzinger, ora papa Benedetto XVI lo ha indicato come un’importante contributo per il rilancio del dialogo tra la fede e la scienza.

A pag. 118 c’è un sottocapitolo dedicato all’opera di Teilhard de Chardin.

Ve lo  ripropongo invitandovi nel contempo a leggere integralmente il volume di Kung.

 

 

L’EVOLUZIONE VERSO DIO: TEILHARD DE CHARDIN

 

L’evoluzione della natura e del cosmo fu il campo di attività dell’importante geologo e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955).  Egli considerò il compito della sua vita quello di conciliare le conoscenze delle scienze naturali con i concetti teologici.  A questo pensatore, fortemente influenzato dalla filosofia spirituale e vitalistica di Heiìnri Bergson (1839-1941) e dalla sua idea dell’evoluzione creatrice (èlan vital), la natura appare come un enorme processo di sviluppo che, andando avanti gradualmente con una complessità e un’interiorizzazione della materia sempre più forti:  Dio per lui non è solo l’origine e lo scopo della creazione: E’ esso stesso in evoluzione, partecipa a questa evoluzione, dalle particelle elementari  e dalla smisurate distanze del cosmo, oltre la biosfera del mondo vegetale e animale, fin nella noosfera delle spirito umano.

Nella visione del mondo di Teilhard de Chardin anche l’uomo stesso non è ancora concluso.  Egli è un essere in divenire: la formazione dell’uomo, l’antropogenesi non è ancora terminata.  Essa è sospinta sulla cristo genesi, la cristo genesi infine sulla sua futura pienezza, il suo “pleroma” (in graco pienezza), nel “ punto omega”, dove l’avventura collettiva e individuale dell’uomo trova fine e compimento, dove il compimento del mondo e quello di Dio convergono.

Questa “pleromizzazione”, questo giungere-alla-pienezza, questo sviluppo del cosmo e dell’uomo in avanti e verso l’alto culmina nel Cristo universale cosmico, che per Teilhard personifica l’unità della realtà di Dio e di quella del mondo.  Tutto ciò, naturalmente, non è per lui una visione della pura ragione, bensì della fede che riconosce,  Nel suo scritto “Comment je crois” egli formula il suo credo:

“Credo che il cosmo sia un’evoluzione. Credo che l’evoluzione tenda allo spirito. Credo che lo spirito si compia in un qualche Personale. Credo che il Personale supremo sia il Cristo universale”.

Teilhard è un mistico che suppone l’importanza evolutiva e cosmica dell’incarnazione di Dio in Cristo.  La maggior parte degli scienziati non lo seguianno in tali ardite ipotesi scientifiche, i  teologi trovano scoperte alcune delle sue opinioni teologiche, formulate spesso in modo unilaterale o – rispetto alla vita e alla croce di Gesù – insufficienti.  E forse oggi entrambe le parti rifiutano soprattutto il suo ottimismo – che riflette troppo poco sul problema della sofferenza e del male – la sua fede nel progresso e nel suo orientamento verso il “punto omega”.  A ogni  modo, Pierre Teilhard de Chardin ha il merito mai abbastanza lodato, di aver per primo pensato insieme in modo geniale la teologia e le scienze naturali e di aver portato, in modo provocatorio, gli scienziati e i teologi a conoscenza della “problematica comune”.  A lui premeva l’importanza religiosa dell’evoluzione e la portata evoluzionistica della  religione.  Non era per niente ingenuo e non vedeva alcun semplice “concordiamo” tra la Bibbia e le scienze naturali, come quello favorito da Roma.  Egli rifiutò decisamente certi tentativi di conciliazione fanciulleschi e immaturi, che mescolano le fonti e i livelli della conoscenza e che hanno portato solo a strutture incostanti e mostruose. Egli voleva  però in compenso una “coerenza fondata in profondità, con la quale divenisse visibile un tutto positivo ben costruito, nel quale le parti si sostengono e si completano a vicenda l’un l’altro sempre meglio.

Roma e i suoi luogotenenti furono immobilizzati da un’interpretazione statica della creazione da parte di Dio per molti decenni su quell’ideologia di un “creazionismo” che, di fronte alla dottrina darwiniana dell’evoluzione difende un “fissismo” e un “concordiamo”, come esso viene espresso per esempio di rfegola nei volumi del “Dictionnaire de la Bible”:  Perciò non meraviglia che a Teilhard entrato nel 1889 a diciotto anni nell’ordine dei gesuiti, i suoi superiori sotto la pressione di Roma, neghino già nel 1926 la cattedra all’Istituto Cattolico di Parigi:  In seguito essi sopprimono tutti i suoi scritti filosofici-scientifici e nel  1947 gli ordinano di non trattare più alcun tema filosofico.  Teilhard viene completamente isolato: nel 1948 gli viene vietato di accettare una nomina al College de France, nel 1951 – l’enciclica Humani generis di Pio XII viene “applicata” – lo si esilia dall’Europa all’Istituto di ricerca della Werner-Gren Foundation di New York.  Ancora  nell’anno della sua morte, il 1955, gli viene vietato di partecipare al Congresso Internazionale di Paleontologia:  Solo pochi uomini casualmente presenti seguono il feretro quando egli, morto la domenica di Pasqua a 160 chilometri da New York, viene seppellito nel cimitero del Collegio dei gesuiti (nel frattempo soppresso) sul fiume Hudson; solo con fatica potei trovare, durante il mio semestre come ospite a New York, nel 1968, la tomba di Teilhard.

In compenso, l’indice delle sue opere compiuto da Claude Cuenot annovera già 380 titoli.  Ma Teilhard potè pubblicare solo i saggi puramente scientifici.  Nel corso della sua vita non gli fu concesso di veder stampata neppure una delle sue opere principali.  Esse vennero pubblicate da un comitato internazionale di personalità illustri perché Teilhard aveva lasciato per testamento i diritti, invece che all’ordine, alla sua collaboratrice.

Il 6 dicembre 1957, però, due anni dopo la sua morte, venne emanato un ordine del Santo Uffizio di allontanare i libri di Teilhard dalle biblioteche, di non venderli nelle librerie cattoliche e di non tradurli in altre lingue.

“Dammatio memoriae” – cancellare il nome negli atti e così bandire dalla memoria – come gli antichi romani definivano questa pratica.  Solo dal Conciclio Vaticano II, in effetti, gli scritti di Teilhard hanno trovato anche nella chiesa e nella teologia cattolica il meritato riconoscimento.  Tuttavia il suo nome non è uscito dalle labbra di nessun papa:  Le autorità ecclesiastiche non hanno sino ad oggi ringraziato Teilhard  per la sua opera du conciliazione.  Lo stesso Concilio Vaticano II non potè decidersi, nonostante un coraggioso discorso dell’Arcivescovo di Strasburdo Leon Arthur Elchinger, né nel suo né nel  nel caso di Galilei, peruna chiara riabilitazione di chi è stato condannato a torto, perseguitato e calunniato (in questi ultimi tempi si sta parlando molto di Galileo e alcuni ecclesiastici vogliono farlo beato, ma su Teilhard silenzio assoluto, n.d.r.)

In questo modo anche la storia della sofferenza di questo pensatore teologico rimane una vergognosa testimonianza della povertà dello “spirito della persecuzione dei dissidenti nel sistema romano”,fino ad oggi assolutamente non scomparso e che certi aspetti non è dissimile da quello del sistema sovietico (Sacharow).  Ma né il “teologo politico” J.B.Metz, né il filosofo critico Jurgen Habermas osarono ricordare a Joseph Ratzinger, allora alla guida della “Congregazione per la dottrina della fede”, questo fenomeno profondamente anticristiano (recentissimo grave caso la destituzione del caporedattore della stimata rivista gesuita “America”, Thomas Reese).

 

Hans KUNG

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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Rodolfo Arata

Post n°148 pubblicato il 20 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera
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"Attendere l'inatteso" nel pensiero di Teilhard de Chardin

FEDE APERTA PER L'UOMO DI OGGI

Due ostacoli hanno contrassegnato ed ancora oggi accompagnani il pensiero di  Teilhard de Chardin: la critica pregiudiziale e l'apologia incondizionata.

Lungo  la  traccia della prima categoria or non è molto uno storico professionale pretendeva di liquidare in poche parole il paleontologo che nelle millenarie rughe della terra, intravvide la perenne giovinezza dell'uomo.  Ricordo che mentre ascoltavo l'autorevole ben pensante faceva in me capolino la valutazione non mai abbastanza citata di un grande storico, Arnold Toynbee, il quale non temette di compromettere la sua fama mondiale  scrive3ndo: " Teilhard sarebbe già un grande  dell'intelligenza se si fosse limitato alla paleontologia soltanto, ma di fatto,è anche un grqnde poeta e un cristiano, e ciò fa di lui un gigante sia della spiritualità, sia dell'intelligenza.  Egli spezza le barriere fra le discipline specializzate che separano i mandarini accademici, perchè possiede un intelletto che va al di là delle convenzionali dicotomie del pensiero... Le Phenomene huomain è un atto di leberazione spirituale.  La sua visione unitaria va incontro a un bisogno spirituale del nostro tempo".

Inutile aggiungere che fra lo sbrigativo pregiudizio del primo e il moderato giudizio del secondo,  la  pigrizia la pigrizia si attesta automaticamente sulla linea del conformismo: quella che ripete gli stanchi formulari e ripudia le nuove motivazioni, sorda all'evoluzione del tempo e ferma su posizioni tagliate fuori dalla storia.  Perfino l'arcaico dualismo tra la scienza e la fede religiosa perde ilvalore di un confronto e scade in un monologo, dove sovente l'ascolto è solo formalistico.  Nessuno stupore se nella latitanza di un impegno è sorta la denuncia di una fede ancora impigliata nel chiuso della cosmogonia medioevale, che lasciava spazio ed iniziativa all'elaborarsi della dottrina materialista, ed alle forze dell'ateismo.  Teilhard de Chardin interrompe codesto percorso collocandosi al centro di una strategia in cui le due tensioni della sua sofferta esperienza personale - Dio e il cosmo - maturano e sanciscono la superiorità globale della concezione cristiana.

La strada è antica e nuova.  Ma i miopi non vedono le sorgenti e i presbiti hanno paura di avere coraggio.  A peggiorare la situazione sopraggiungono i panegiristi assai più sensibili alle rituali classificazioni delle analisi che non alle conseguenti definizioni della sintesi.  Vengono così contraffatte le basi della sua dottrina, i lineamenti della sua personalità:  E a seconda degli umori preferenziali di questo o quel commentatore, Teilhard viene posto fra questa o quella schiera di eterodossi.  Sembra che anche i suoi esaltatori siano in gara per inquadrarlo in un bersaglio di agevole colpibilità.

Si esercitano al tiro i discettatori dell'erudizione spicciola ed i "benemeriti" della centralità burocratica, che scambiano disinrteressatamente le "battaglie ideali" con i gradi della carriera.  Sennonchè nemmeno il fuoco incrociato della sospettosa malizia  riesce a cancellare i caratteri distintivi della concezione teilhardiana.  Come infatti essa poteva sopportare l'accusa di cedere alle illusioni e alle lusinghe di un fallace naturalismo,  che esaurisce in se stesso le prove di una falsa divinità, quando ogni aspetto di studio,  di indagine e di investigazione è rivolto a stabilire le profonde  relazioni intercorrenti  fra le strutture dell'universo e la complessione dell'uomo nella trascendente sovranità di Dio?.  Con l'anticipazione di settecento anni il maestro della scolastica Tommaso d'Aquino aveva segnato la strada che Teilhard doveva percorrere con l'ausilio del  nuovo patrimonio conoscitivo della scienza: "L'ultimo traguardo -  scrive  l'Aquinate - di tutto il processo della creazione è l'anima umana, e a questa tende la materia quale sua forma finale...perchè il traguardo di tutto il processo creativo è l'uomo".

Jacques Maritan, nel tanto discusso libro: Il Contadino Della Garonna" quasi pentito di aver riconosciuto nella incrollabile certezza della realtà del mondo" il punto di incontro fra S.Tommaso e il sacerdote-paleontologo, cerca di sminuirne il valore,  facendo slittare la valutazione dal piano filosofico, teologico e scientifico a quello immaginativo della poesia.

Un comodo stratagemma per evitare il dibattito suelle questioni aperte e arroccarsi nei turriti castelli di una prevalenza assai più enunciata che acquisita e dimostrata.

Sembra che con il mutare dei tempi non cambi il destino di Teilhard, mentre mutano gli orientamenti ed i pronunciamenti del veneraldo filosofo e del prestigioso diplomatico.  Fin dall'inizio, infatti della mistica  e scientifica peregrinazioni cosmica, il gesuita aveva chiesto che le proprie intuizioni ancora frammentarie sulla crescente convergenza liberatrice delle forze fisiche ed umane, fossero poste al vaglio di un dibattito ampio e approfondito.  Egli avvertiva la difficoltà di versare il vin nuovo nei vecchi otri o, se più aggrada, di sistemare le idee insorgenti dalle continue trasformazioni della realtà nel quadro della speculazione filosofica e teologica.  Ebbe risposte evasive o imperative:  le une avrebbero incoraggiato all'errore se errore vi fosse stato; le altre per naturale reazione avrebbero rafforzato il perseguimento della verità.

Mancò comunque l'incontro o  lo scontro delle idee inutilemte coperte da una forzata clandestinità che fece fiorire una sintomatica aneddotica.  Ad uno dei tentennanti amici che fra l'amletico essere o non essere, cli chiesero di ritrattare una locuzione, Teilhard risponde: " non si tratta di mutar parole ma di discuterne il senso.  Le ritrattazioni non servono: quella di Galileo fu solenne, ma non per questo la terra cessò di girare intorno al sole.  I fatti sono più grandi  dei vocaboli che tentano di designarli e di raffigurarli.  L'ingresso del consorzio umano nell'età cosmica non si può frmare con i formulari accademici, è tangibilmente e visibilmente in atto".

Ad un altro candido consigliere che vuol porre  Teilhard al riparo da fastidiosi contrasti e gli chiede se vale la pena di provocarli e di subirli, definì con Eraclito vano ed ozioso  l'interrogativo.  Se non "t'aspetti l'inaspetttato" abbandona i grandi temi dela civiltà e della cultura.

Colombo sapeva di poter raggiungere l'Oriente dall'Occidente attraverso una strada diretta, ma preferì avventurarsi nell'ignoto e l'inatteso. lo premiò con la visione di nuove terre.  La scoperta dell'elio nell'atmosfera solare  e della emissione del radio con il numero di elio acquisirono elementi conoscitivi, che dovevano avviarci alla rivelata frammentazione dell'atomo.

A chi voleva confonderlo menando il can per l'aia dellepompose e togate citazioni buone a tutto fare, suggeriva la saggia letturadi quanto galileo aveva scritto tre secoli e mezzo prima sul "saggiatore": "Parmi di avere per lunghe esperienze osservato, tale essere la condizione umana, intorno alle cose intellettuali che quanti altri meno ne intende e  ne sa, tanto più risolutamente voglia discuterne e che, all'incontro, la moltitudine delle cose conosciute e intese renda più lento e irresoluto al sentenziare circa qualche novità".

Ma a prescinde dagli episodi più o meno veritieri sta il fatto che Teilhard dovette superare difficoltà spesso contraddittorie per restare fedele alla Chiesa ed ai suoi ideali: quando enunciava pensieri isolati ma pur sempre obbedienti all'organicità di un disegno, veniva tacitatodi frammentarismo dispersivo: allorchè fromulava studi completi nelle premesse, nello svolgimento e nelle conclusioni era accusato di invadere campi proibiti, discipline riservate all'empireo dell'ufficilità.

Eppure nelle svolte più significative e tormentose non cedette mai alla tentazione di allentare i prorpri vincoli con la comunità cristiana:"Veramente - (e prroprio in forza di tutta la struttura del mio pensiero ) scriveva nell'ottobre del 1951 - mi sento più irrimediabilmente legato all Chiesa gerarchica e al Cristo del Vangelo di quanto lo si stato mai in alcun momento della mia vita".

 RODOLFO ARATA

da Il Popolo 20 febbraio 1971

 
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Federico Garcia Lorca

Post n°149 pubblicato il 21 Gennaio 2009 da bioantroponoosfera

Gli incontri di una lumaca avventurosa

 

Certamente tutti voi conoscerete questa bellissima poesia di Garcia Lorca
Mi sono ritrovato a  rileggerla in questi giorni e non ho potuto fare a meno di pensare che alcuni passi di questa lode ben si prestavano, e mi scuso per l’ardire del confronto, ma è soltanto una “licenza” che mi sono preso, a illustrare in pochi versi la vita e il dramma di  Pierre Teilhard de Chardin. Non dico altro se non spingervi alla lettura di questi  pochi versi tratti dalla poesia citara

………………………………………….

La povera lumaca
torna indietro. Si diffonde
dal viale sul sentiero
un silenzio ondulato.
S'incontra con un gruppo
di formiche rosse.
Sono tutte eccitate
hanno un gran da fare
per trascinare una compagna
che ha le antenne rotte.
La lumaca esclama:
"Pazienza, formichette.
Perché maltrattate così
una vostra compagna?
Ditemi cos'ha fatto.
Giudicherò io in coscienza.
Raccontalo, tu, formichetta."

La formica mezza morta
dice triste triste:
"Ho visto le stelle"
"Cosa son le stelle?"
dicono le formiche inquiete.
E la lumaca domanda
pensierosa: "Stelle?"
"Si", ripete la formica,
"Ho visto le stelle,
son salita sull'albero
più alto del viale
e ho visto mille occhi
nelle tenebre."
La lumaca domanda :
"Ma cosa son le stelle?"
"Sono luci che portiamo
sulla nostra testa".
"Ma noi non le vediamo",
commentano le formiche.
E la lumaca: " La mia vista
non va più in là dell'erba."

Agitando le antenne
le formiche esclamano:
"Ti ammazzeremo; sei
perversa e pigra.
La tua legge é il lavoro".
"Ma io ho visto le stelle";
dice la formica ferita.
Sentenzia la lumaca:
"Lasciate che se ne vada,
seguitate le vostre faccende.
D'altronde forse tra poco morirà":

Nell'aria dolce
é volata un'ape.
La formica in agonia
avverte l'immensa sera
e dice: "Ecco chi viene
a portarmi su una stella".

Le altre formichette
se ne vanno nel vederla morta.

La lumaca sospira
e stordita s'allontana
tutta confusa
circa l'eternità. "Il sentiero
non ha fine", esclama.
"Forse di qui
si arriva alle stelle.
Ma questa gran pigrizia
mi impedirà di giungerci.
E' bene non pensarci più".

Ogni cosa appariva soffusa
di nebbia e sole pallido.
Campane in lontananza
invitano la gente in chiesa
e la lumaca, pacifico
borghese della strada,
stordita ed irrequieta
ammira il paesaggio

.
(Federico Garcia Lorca)
 


 

 
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RIFLESSIONI TEILHARDIANE

"  La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto.  Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori?  Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva.  E' una distinzione illusoria.  La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente,  la Verità "   

                                                                                                                                                          

 

" Senza che si possa dire per ora in quali termini esatti, ma senza che vanga perduto un solo frammento del dato, sia rivelato che definitivamente dimostrato, sul problema scottante delle origini umane, l'accordo si farà senza sforzo, a poco a poco, tra la Scienza e il Dogma.  Intanto, evitiamo di respingere anche il minimo raggio di luce, sia da una parte che dall'altra.  La fede ha bisogno di tutta la verità". (da Les Hommes fossiles, marzo 1921) 
 
" Inventariare tutto, provare tutto, capire tutto. Ciò che è in alto, più lontano di quanto è respirabile, e  ciò che è in basso, più profondo della luce.  Ciò che si perde nelle distanze siderali, e ciò che si dissimula sotto gli elementi... Il sole si alza in avanti... Il Passato è una cosa superata...  La sola scoperta degna dei nostri sforzi è come costruire l'Avvenire". (La découverte du passé, 5 settembre 1935)
 

"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.

Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno...  Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)

 
"  Chiniamoci dunque con rispetto sotto il soffio che gonfia i nostri cuori per le ansie e le gioie di "tutto tentare e di tutto trovare".  L'onda  che sentiamo passare non si è formata in noi stessi.  Essa giunge a noi da molto lontano, partita contemporaneamente alla luce delle prime stelle.  Essa ci raggiunge dopo aver creato tutto lungo il suo cammino.  Lo spirito di ricerca e di conquista è l'anima permanente dell'Evoluzione" (Il Fenomeno Umano 1940)
 

" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando...  E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto...  Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro.  Manovra impossibile e fatale.  La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide.  Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936) 

 
" L'Energia diventa Presenza...  Sembrerebbe che un solo  raggio di una tale luce, cadendo come una scintilla in qualsiasi punto della Noosfera, dovesse provocare un'esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi di colpo la faccia della Terra. Allora, come è possibile che, guardando attorno a me, è ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovi pressochè solo della mia specie?  Solo ad aver "visto"?...  Incapace, quindi, quando me lo si chiede, di citare un solo autore, un solo testo, in cui si riconosca, chiaramente espressa, la meravigliosa "Diafania" che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto ?"  (Le Christique, marzo 1955) 
 
....IN QUESTA APERTURA VERSO QUALCHE COSA CHE SFUGGE ALLA MORTE TOTALE, L'EVOLUZIONE E' LA MANO DI DIO CHE CI RICONDUCE A  LUI . ( La Biologie, poussee à fond,peut-elle nous  conduire à èmerger dans le transcendant?  Maggio 1951)
 

Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio.  "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)

 

" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.

Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.

Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?

Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)

 

" Nel Cuore della Materia.

   Un Cuore del  Mondo,

    Il Cuore d' un Dio"

        (da Le  Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)

 
" Nella peggiore delle ipotesi, se ogni possibilità futura di parlare e di scrivere si chiudesse davanti a me, mi rimarrebbe, con l'aiuto di Gesù, quella di compiere questo gesto, affermazione e somma testimonianza della mia fede: scomparire,m inabissarmi in uno spirito di Suprema Comunione con le forze  cristiche  dell'Evoluzione  (da Note di esercizi spirituali, 22 ottobre 1945) 
 
 
 

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