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Siamo ancora oggetti...

Post n°841 pubblicato il 07 Ottobre 2010 da redazione_blog
 

U

na orribile storia finita in modo, ove possibile, ancora "più orribile".
Questa è la sensazione che provo oggi nel leggere le notizie sul caso di cronaca che ha tenuto col fiato sospeso per oltre 40 giorni gli italiani. Dovrei citare i nomi forse, pubblicare le foto del bruto o con lui di quell’angelo biondo violato in vita con attenzioni malsane e profanato dopo la morte per dar sfogo ad istinti immondi. Ma mi ripugna solo il pensiero di potere io stessa, attraverso un post , continuare a ledere quella vittima, alimentando le attenzioni talvolta morbose che certe notizie suscitano.
Ed allora, per quanto possibile cercherò di prescindere dalla notizia. La conosciamo tutti oramai, dalla tarda serata di ieri, ed essa ci ha lasciati agghiacciati e con lo stomaco rivoltato per i particolari abietti che l’hanno caratterizzata.
Leggo nei blog commenti pieni di rabbia, invocazioni alla pena di morte, appelli per l’introduzione di pene più severe. Non che sia facile, in casi come questo, prescindere dalla rabbia, ma mi domando quanto l’inasprimento delle pene, con la loro capacità deterrente, sia effettivamente capace di limitare fenomeni che hanno le loro radici in una cultura machista, maschilista e patriarcale ancora fortemente diffusa nella nostra società.
Si può dare la colpa al contesto retrogrado, all’ambiente chiuso di ogni piccolo aggregato di anime nel quale spesso, l’apparente tranquillità di superficie cela un sottobosco di perversioni inumane a loro volta coperte da  silenzi omertosi.
Quanto sarebbe vero tutto questo?
O non è piuttosto vero che ogni qualvolta un uomo pronuncia commenti pesanti verso una donna, già compie violenza verso tutto il genere femminile?
Lo fanno spesso fieri della propria virilità, (che non si sa poi per quale arcano motivo abbia bisogno di essere proclamata quasi in cerca di conferme) e, quei commenti, spesso vengono tollerati e lasciati passare come espressioni di una gergalità consentita e riconosciuta.

  - "Io quella me la farei"
  - "quella non me la dà"
  - "con quella ci prenderei un caffè" -


E molto altro ancora, spesso di più becero e pesante.

Per non parlare degli articoli ammiccanti e pruriginosi che riempiono le pagine dei giornali, sia sulla carta stampata, sia su internet.
Per non parlare del grande e del piccolo schermo, degli spot che utilizzano un sedere di donna persino per vendere una chiave inglese.
Quello che sconvolge i più, oggi, della vicenda di Avetrana è il particolare mostruoso di un assassino che si lascia andare, sul corpo esanime della sua giovane vittima, ad atti di necrofilia.
Quello che sconvolge me è che questi episodi abbiano tutti un denominatore unico: il considerare la donna come oggetto, come cosa, come mero strumento di appagamento per istinti sessuali e sulla quale, dunque,  è possibile esercitare diritto di possesso.
Quello che sconvolge me di questa storia, non è l’epilogo, tra l’altro scontato quanto temuto ma,  che quella subcultura che fa da embrione a certi episodi, sia ancora oggi profondamente radicata nella nostra società e non solo in ambienti degradati o retrogradi.

Quella subcultura è imperante intorno a noi, nelle case come nelle università, sulle pagine di un giornale come al tavolo di un pub di sabato sera, dove il solito coglione di turno si permette ancora oggi di dire: "io a quella lì gliela darei una passatina", conscio non solo di non suscitare biasimo, bensì di riscuotere approvazione e consenso o, nella peggiore delle ipotesi, un’ilarità anch’essa consenziente.

Qualcuno dica a questi eroi del materasso, a questi principi del sesso, a questi torelli scatenati e trapanatori incalliti, che istinti sessuali ne abbiamo anche noi donne, ma non per questo ci sentiamo in diritto di appagarli con la violenza.
Qualcuno dica a questi machi falliti, che più esibiscono la loro sessualità più sono i primi a metterne in dubbio le doti.
Qualcuno abbia il coraggio di dire a questa massa di idioti che si fa vanto di un pezzo di carne e delle sue misure, che il 90% di loro non è capace di fare del buon e sano sesso e meno che mai è capace di concepirne il livello più alto: l’erotismo.

Qualcuno abbia il coraggio di dire a noi donne, che questa cultura imperante e stramaledettamente diffusa va combattuta ogni giorno; non solo nel ruolo di madri ma in qualsiasi altra circostanza della nostra esistenza: spegnendo il telecomando su certe trasmissioni televisive, cambiando la propria home page sul computer, non acquistando i prodotti che usano il corpo della donna per  gli spot pubblicitari ed avendo la dignità di alzarsi dal tavolo di un pub, al sabato sera, quando il solito coglione di turno si lascia andare a commenti pesanti verso altre donne.

 
 
 
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