Creato da: franco_rovati il 03/03/2009
Come stiamo cambiando.

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"La democrazia è cancerogena e gli uffici sono il suo cancro"

W. Burroughs

"La parola 'democrazia' mi destava una insofferenza fisica, come l'odore stantio dei vecchi cassetti; sentivo nell'aria un odore di muffa, di umida miseria, un odore di cavoli lessi nelle scale della nuova società come in certe vecchie portinerie, un odore di farisei."

Leo Longanesi

“[An upside down flag is] an international distress signal. It means ‘we’re in a whole lot of trouble, so come save our ass b’cause we don’t have a prayer in hell of saving ourselves.’” - Sgt Hank Deerfield, from In the Valley of Elah.

 

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Calano i tassi medi dei mutui

Post n°88 pubblicato il 12 Settembre 2009 da franco_rovati
 
Tag: case, crisi

Ancora in calo il tasso medio per i mutui casa. E' quanto emerge dal supplemento al Bollettino statistico di Bankitalia: a luglio si attesta al 3,38% in calo dal 3,64% di giugno.
Il Taeg, comprensivo delle spese accessorie, è al 3,51% in luglio dal 3,79% di giugno.
I tassi sono invece sostanzialmente fermi per i mutui casa di durata superiore ai dieci anni.
Per quelli stipulati a luglio il tasso medio rilevato da via Nazionale è del 5,17% contro il 5,18% indicato per giugno. Evidente comunque il calo registrato nel corso di un anno: nel luglio 2008 era al 6,08%.

Fonte: newspages.it

 
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Saldi flop, vendite a meno 15 %

Post n°87 pubblicato il 14 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Tag: saldi
Foto di franco_rovati

I negozianti ci avevano sperato nei saldi: una boccata d´ossigeno per le finanze già massacrate e scaffali finalmente vuoti. E invece è stato un flop. E´ andata male. Molto male. Peggio dello scorso anno: 15% in meno di vendite.
Il dato arriva dalla Confesercenti che a pochi giorni dalla fine della stagione degli sconti estivi (termineranno questo sabato) tira il bilancio di un anno davvero nero per i commercianti alle prese con la crisi, il calo dei consumi, gli affitti dei locali lievitati. «Il risultato di questa brutta annata è sotto gli occhi di tutti - dice Valter Giammaria, presidente della Confesercenti - . E´ la settimana di Ferragosto e tutti i negozi sono ancora aperti, nella speranza di poter alzare ancora un po´ di soldi. E fino allo scorso anno non era così. Dopo il 15 di agosto poi, pensiamo addirittura che 60% degli esercizi commerciali possa decidere di rimanere con la saracinesca alzata».
Roma dunque, per la prima volta, non sarà la città del tutto chiuso per ferie, ma la capitale del "venite gente che qui la roba quasi si regala". A stare più in difficoltà sono i commercianti di abbigliamento e calzature dove il calo delle vendite è ormai strutturale. E ad attirare la clientela non sono serviti neanche i megasconti fino al 70% proposti sin dai primi giorni di svendite. In realtà all´inizio molti avevano sperato nel miracolo. «Perché le prime settimane sono andate benino - spiega Giammaria - c´era stata una buona risposta di pubblico interessata specialmente all´acquisto di capi di buona qualità». Si erano viste le file da Cenci, da Fendi. L´assalto nel week - end del 6 luglio nei centri commerciali e negli Outlet. «Ma è stato un fuoco di paglia. Chi doveva acquistare lo ha fatto scegliendo articoli ad hoc - continua il presidente - poi tutto s´è fermato».
La ripresa dopo l´estate sarà dura. Perché segnali di miglioramento non ce ne stanno. Anzi. E bisogna intervenire subito, secondo la Confesercenti, in maniera strutturale e con azioni mirate. «Come bloccare l´aumento vertiginoso degli affitti - suggerisce Giammaria - . C´è gente, come nel caso di un nostro consociato con azienda a viale Europa, che nel giro di un anno si è visto portare il canone di locazione da 5.500 a 11.000 euro al mese. In pratica, raddoppiato. Un costo insostenibile per qualsiasi piccola impresa, specie in un momento difficile come questo».
Anche gli sgravi fiscali per l´Associazione potrebbero servire ad alleggerire in qualche modo la pressione. Di certo, bisogna fare qualcosa, ammonisce il presidente della Confesercenti. «Invece non si fa nulla - dice - . Come nel caso dei centri commerciali che sono troppo ma continuano a spuntare come funghi alterando il mercato di intere zone della città».

Fonte: l'Espresso

 
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Produzione industriale giù: -19% a giugno. Crolla l'auto: -32%

Post n°86 pubblicato il 14 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Tag: auto, crisi
Foto di franco_rovati

Produzione industriale in forte calo a giugno: l'indice ha segnato una diminuzione dell'1,2% rispetto al mese di maggio e del 19,7% rispetto allo stesso mese del 2008. Lo rende noto l'Istat in un comunicato precisando che nel periodo gennaio-giugno l'indice è diminuito del 22,2%. Tenendo conto degli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 21 contro i 20 di giugno 2008) la flessione sale al 21,9%.

Le diminuzioni più marcate riguardano i settori delle apparecchiature elettriche e per uso domestico non elettriche (-37,6%), i macchinari e attrezzature (-37,1%), i mezzi di trasporto (-33%) e la metallurgia e prodotti in metallo (-32,4%). In crescita invece il settore dei prodotti farmaceutici (+5,3%).

La produzione di auto è crollata invece del 31,9% (-35,2% corretto per i giorni lavorativi). Nel primo semestre dell'anno si è invece avuta una diminuzione tendenziale, depurata dagli effetti di calendario, pari a 36,1%.

I dati diffusi dall'Istat sono «molto preoccupanti e richiedono da parte del Governo un intervento anticiclico più forte e più mirato». Così in una nota il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti. Per la Uil è necessario utilizzare la leva fiscale, diminuendo le tasse su lavoratori dipendenti e pensionati. Un intervento «indispensabile per favorire la ripresa dei consumi e sostenere così il rilancio della produzione e della nostra economia», conclude Proietti.

Fonte: ilgazzettino.it

 
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La Cina scopre la disoccupazione

Post n°85 pubblicato il 14 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

PECHINO - Il primo a vedere la fessura nella diga occupazionale cinese è stato Jin Jiangbo. Ha 36 anni. Non è un economista. Fa il fotografo. Un anno fa, quando ancora Pechino macinava record produttivi, è sceso lungo il delta del fiume delle Perle. Nel Guadong, epicentro mondiale delle esportazioni, ha ripreso fabbriche chiuse, dormitori vuoti, capannoni abbandonati. Un deserto sconosciuto, che lui stesso non capiva. Le sue immagini, all'inizio, sono state censurate. Un anno dopo, ora che la crisi dell'Occidente è maturata anche ad Oriente, quegli scatti profetici sono diventati il simbolo della Cina. Il Paese che produce tutto, a sessant'anni dalla rivoluzione comunista, è minato dalla prima, grande crisi del suo capitalismo.

Un esercito di nuovi disoccupati, in fuga dalle città costiere dove stanno chiudendo fino a sette aziende su dieci, torna nei villaggi contadini lasciati negli ultimi vent'anni. Per la terza economia del mondo, che ha appena annunciato il prossimo sorpasso sul Giappone, è uno choc. Oltre venti milioni di ex contadini, emigrati e trasformati in operai, rientrano in famiglia. Il controesodo dei nuovi disoccupati, vittime del più impressionante boom industriale della storia, cambia anche il profilo del paesaggio.

Si spopolano, e cadono in rovina, avveniristiche e sconfinate periferie urbane, appena costruite. Le campagne antiche dell'interno, rimaste prive di servizi, popolate di vecchi, scoppiano e si gonfiano di baracche. I dati ufficiali fissano la disoccupazione al 4,1%. Gli esperti spostano però il livello reale poco sotto il 20. Dietro il cortocircuito cinese, la recessione in America ed Europa. Le esportazioni, a luglio, sono calate del 22,9%. Le importazioni segnano un meno 14,9%. Migliaia di aziende dipendono dall'export fino all'80%. Su 6 milioni di nuovi laureati, 3 milioni sono senza lavoro.


I 586 miliardi stanziati dal governo sostengono credito e investimenti. Non bastano però per arrestare i licenziamenti. Nelle fabbriche, in questi giorni, si attendevano gli ordini per i regali di Natale di tutto il mondo. L'ultima spiaggia del 2009: giocattoli, hi-tech, moda. Invece niente. Il consumatore globale aspetta e l'ex coltivatore di riso cinese, che nel frattempo ha ceduto la sua terra, perde il posto. Gli specialisti di flussi migratori si dicono certi: nel sudest asiatico, ma anche in Europa e Africa, con l'autunno la Cina non spedirà merce, ma nuovamente braccia.

Nessuno, tra Shanghai e Shenzhen, era preparato a contrastare i tagli delle imprese, privatizzate per il 95% in trent'anni. Le conseguenze sono drammatiche. Milioni di persone, che hanno perso tutto, coprono due o tremila chilometri per rientrare, da sconfitti, in irriconoscibili luoghi d'origine. Nelle fabbriche la tensione sale. Senza straordinari, la paga crolla da 250 a 40 euro al mese. Gli operai non riescono più a spedire soldi a casa, o a pagare gli studi ai figli. Gli anziani, privi di pensione e assistenza medica, perdono la sola fonte per la sussistenza.

Entro il 2030, secondo le proiezioni, 320 milioni di ultra sessantacinquenni faranno saltare il nascente welfare made in China. Chiamata dagli Usa a "salvare il mondo", questa nuova Cina dominante inizia così a temere di non riuscire a salvare nemmeno se stessa. Centinaia di sommosse, sfociate in conflitti e omicidi, hanno sconvolto nelle ultime settimane la vita delle aziende. I manager, che fino all'ultimo tacciono fallimenti o fusioni, scelgono la notte per scappare.

Per conservare il posto, o per ottenerne uno, i lavoratori sono costretti a pagare i dirigenti che restano. Le assunzioni, ha rivelato ieri il governativo China Daily preannunciando arresti, finiscono anche all'asta per 10 mila yuan. In alcuni casi le imprese chiedono "anticipi retributivi" ai dipendenti, con la promessa di restituirli entro quattro anni. Nelle università, comprese quelle di Pechino, migliaia di laureandi fingono di essere stati assunti per poter discutere la tesi e non essere retrocessi in atenei di provincia. L'ordine del governo è perentorio: le previsioni occupazionali, assai ottimistiche, devono avverarsi.

Tra allievi e professori, da gennaio, si registra un boom di suicidi. Liu Wei, laureanda in informatica nello Hebei, ha lasciato un diario. La sua testimonianza, diffusa in internet, è diventata lo specchio del dramma nascosto dalle autorità. "Mi vergogno - si legge - perché i miei hanno fatto grandi sacrifici per non ridurmi a seguire la loro fine. Ora non possono più pagare la mia retta e io non troverò un lavoro per mantenerli". Si è uccisa per 70 euro al mese.

Milioni di falsi contratti sarebbero stati scritti con la complicità dei dirigenti comunisti di numerose province. Secondo il partito centrale, la crescita cinese resta all'8%, la produzione industriale di luglio segna un più 11% e l'occupazione nel primo semestre 2009 avrebbe segnato un più 0,13%. Nessuno si fida più di nessuno. La popolazione assiste infatti alla rotta di quella che stava diventando la classe media e al ritorno nel Medioevo agricolo della metropolitanizzata "generazione Ikea".

"Non sorprende - dice il Tao Li, docente alla School of Business di Shenzhen - che i dati ufficiali sulla disoccupazione siano ampiamente sottovalutati. Chi perde il lavoro si registra solo per ottenere sussidi pubblici. Ma questi sono limitati, o soggetti a corruzione e clientele politiche. I disoccupati-fantasma sono l'effetto della nuova sfiducia interna cinese". L'incertezza taciuta, del resto, è chiara. Milioni di cause per insolvenza assediano i tribunali. Le banche faticano a recuperare i crediti per immobili e arredi a basso costo. I venti milioni di "nuovi disoccupati cinesi made in Usa" si sommano ai 140 milioni di migranti che lavorano spostandosi di provincia in provincia. Il consumo di energia industriale, in sei mesi, è diminuito del 48%.

Anche nella capitale la spesa alimentare, da gennaio, è stata tagliata del 32%. Lo stesso Global Times, voce indiretta del partito comunista, ha riferito ieri che la gente ha reagito "con ironia" alla notizia che i salari urbani sarebbero cresciuti del 13%, fino a 2142 dollari al mese. Alti funzionari pubblici, coperti dall'anonimato, riferiscono di un governo "in forte fibrillazione". Le ondate di disoccupati, per la prima volta, scuotono il potere. Da settimane seminano insoddisfazione e rabbia nella pancia della nazione.

Alla vigilia del sessantesimo anniversario dalla rivoluzione di Mao, il primo ottobre, Pechino teme che le sommosse davanti ai cancelli chiusi si saldino con le rivolte etniche finora represse nel sangue. I nuovi disoccupati dello Guangdong, fanno però più paura di uiguri e tibetani. Gli "incidenti di massa", in un anno, sono stati oltre 80 mila.

Da minoranza, gli ex operai possono infatti diventare maggioranza e incrinare il trionfante nazionalismo capitalista degli han. Con i colletti bianchi rispediti nei campi, gli intellettuali appesi a "rimborsi spese" a termine, i braccianti affamati dal crollo dei prezzi e i separatisti sempre più infiltrati dall'integralismo religioso, possono formare un blocco sociale difficile da contrastare. "E' il lavoro - dice Shi Xiao, direttore dell'Osservatorio sociale di Shanghai - il vero nervo scoperto di questo potere. Ha puntato tutto sul denaro, facendo dimenticare al Paese i suoi diritti. Se fallisce sull'occupazione, il partito potrebbe presto sentirsi rivolgere domande sulla democrazia".

Preoccupato da ogni forma di contestazione, il generale Meng Guoping ha annunciato un piano per "gestire in modo più efficace sommosse, emergenze e scontri etnici". E' il primo, a 82 anni dalla fondazione dell'Armata popolare di liberazione. "Viene presentato come lotta al terrorismo - dice l'economista Eric Fishwick - ma la cerchia del presidente Hu Jintao pensa a come gestire i milioni di cinesi che stanno perdendo tutto".

Pechino sa che "il futuro è incerto" e che l'economia finanziaria è sfuggita anche dalle sue mani. Per ordine dell'Ufficio nazionale delle statistiche, garante estremo della crescita cinese, si rifugia così nella tradizione poetica. "Sono fiero di essere un mattone nell'edificio occupazionale della repubblica", ha scritto ieri Guo Zhenglan, licenziato di Changping, aderendo alla "campagna di Stato per il lavoro". L'ha superato Yan Qiao, che fino a giugno costruiva sfere con la neve finta per il mercato europeo. "Grazie alla statistica - ha dichiarato - posso riordinare le mie stelle nel cielo della fabbrica".

Fonte: repubblica.it

 
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LA VIA FINANZIARIA ALL'AMERICAN DREAM

Post n°84 pubblicato il 06 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Tag: crisi
Foto di franco_rovati

Un libro sulla crisi finanziaria che è anche una scorrevole lettura per l'estate, tanto che un recensore ha chiosato: "Il racconto è avvincente come un giallo di Camilleri". Il libro, "I nodi al pettine" (Laterza, 202 pagine, 15 euro), è stato scritto da Marco Onado per ripercorrere eventi e spiegare meccanismi complessi anche al lettore non esperto di finanza. Offriamo un assaggio di queste pagine, preceduto dalla presentazione pubblicata sulla quarta di copertina.

La finanza è diventata sempre più grande, sempre più opaca, sempre più incontrollata. Anziché essere dispensatrice di benessere per tutti, è stata colta da una sorta di ambizione luciferina che l’ha portata a mostrare il suo volto peggiore.
La teoria economica dominante si è arroccata attorno all’ipotesi che il sistema finanziario fosse intrinsecamente efficiente e che potesse trovare autonomamente regole adeguate. E che il mercato, nella sua infinita saggezza ed efficienza, potesse determinare il livello ottimale di capitale necessario a garantire la stabilità delle banche. Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò.
Il problema non sono le regole abolite, ma quelle che non sono mai state scritte. Non si tratta di scegliere tra Stato e mercato. Si tratta di avere più Stato per scrivere le regole necessarie a far funzionare i mercati finanziari in modo efficiente, così che non assumano più le orride sembianze di Mr. Hyde.

LA VIA FINANZIARIA ALL’AMERICAN DREAM

Tutte le crisi seguono percorsi simili, anche se – come le famiglie infelici di Tolstoi – ciascuna ha la sua specificità. Vedremo che negli ultimi venti anni il credito è cresciuto ad un ritmo mai conosciuto in passato fino a perdere ogni riferimento alla realtà produttiva sottostante. La causa ultima va ricercata nella politica monetaria della banca centrale americana, (la Federal Reserve System, Fed per gli amici) che ha creato moneta con straordinaria generosità, sotto la regia del suo presidente di allora Alan Greenspan. Il credito non era mai stato così abbondante e i tassi di interesse non erano mai stati così bassi. Il terreno ideale per far crescere le tre grandi bolle speculative degli ultimi anni: quella delle azioni (in particolare tecnologiche); quella delle fusioni e acquisizioni (la cosidetta merger-mania); quella delle case. Di ciascuna di queste tre bolle parleremo più avanti. Per ora, la questione cruciale è capire quali sono le motivazioni di un uso così deciso della leva monetaria. La risposta sta nell’impulso che una politica di denaro a buon mercato ha dato all’espansione dei consumi delle famiglie americane anche oltre i limiti del reddito corrente grazie soprattutto al continuo aumento dei loro debiti con le banche.
La straordinaria crescita dell’economia americana degli ultimi venti anni è avvenuta in un contesto generale di salari sostanzialmente fermi in termini di potere d’acquisto e di forte aumento nelle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e, ancora di più della ricchezza. Come conciliare reddito costante (soprattutto per larghi strati della popolazione) e consumi crescenti? Ma con il credito, si capisce. E dunque alle banche è stata aperta una prateria, in cui si sono buttate come ai tempi della conquista dei territori del West. Grazie al credito molte famiglie americane hanno consumato più di quanto guadagnassero, in parole povere hanno vissuto al disopra dei propri mezzi e hanno mutato radicalmente la loro posizione rispetto al sistema finanziario. Prima risparmiavano (dunque non consumavano) per i tempi futuri e investivano in depositi bancari, obbligazioni, azioni, quote di fondi comuni. A loro volta, questi strumenti servivano a finanziare gli investimenti e il deficit pubblico. Nell’era Greenspan si indebitavano per consumare, cioè il loro risparmio è diventato negativo, in quanto consumano più del reddito disponibile.
Come conseguenza, gli Stati Uniti nel loro insieme hanno vissuto per oltre dieci anni al di sopra dei propri mezzi, consumando più di quanto producevano. Per un paese nel suo complesso, l’eccesso di consumi sul reddito si registra nella bilancia dei pagamenti, cioè nei conti con il resto del mondo, nella parte definita saldo di parte corrente (la differenza fra importazioni ed esportazioni di beni e servizi). Gli Stati Uniti hanno registrato deficit in quasi tutti gli ultimi venti anni; nei tempi più recenti erano arrivati al 6-7 per cento del loro Pil.
Deficit nazionali così elevati e così persistenti non sono fisiologici. Non a caso, le autorità internazionali consideravano la situazione degli Stati Uniti come uno dei principali fattori di squilibrio finanziario. Ma vi era la fiducia che il meccanismo potesse reggere proprio grazie alla globalizzazione che consentiva di attingere il risparmio da ogni angolo del mondo. Perché preoccuparsi se le classi medio-basse americane non risparmiavano più e si caricavano di debiti quando c’erano i cinesi che riuscivano a conciliare tassi di crescita a due cifre con una propensione al risparmio da formichine prudenti? Oppure i paesi petroliferi che accumulavano riserve a più non posso? Qualcuno, a cominciare da Ben Bernanke, parlò di savings glut, abbondanza di risparmio a livello mondiale.
I paesi in surplus erano ben lieti di  questa situazione che li vedeva accumulare crediti nei confronti degli Stati Uniti e degli altri paesi industrializzati. Si tratta dei paesi produttori di petrolio, del Giappone, anche della Cina che riesce nel miracolo di conciliare una crescita a due cifre con un surplus impressionante. E’ il loro biglietto di ingresso nel club delle potenze mondiali. Tutti contenti dunque: la prova è data dal fatto che almeno fino a quando è durata la bolla azionaria, il dollaro ha continuato a rivalutarsi, nonostante l’ampliamento del suo deficit estero. Un risultato anomalo: come può un bene (in questo caso il biglietto verde) aumentare di prezzo quando la sua offerta cresce? La risposta dell’economista è semplice: perché si era spostata la curva di domanda, nel nostro caso perché gli investitori internazionali erano disposti a chiedere più dollari ad un prezzo superiore. Anche gli investitori esteri erano irretiti dai fantastici guadagni che la borsa americana (e in genere la finanza americana) sembra in grado di offrire.
Per gli Stati Uniti questo ha significato davvero avere la botte piena e la moglie ubriaca. E non a caso è il periodo di massima popolarità di Alan Greenspan, in patria e all’estero. Ogni volta che prende la parola, tutti pendono dalle sue labbra e cercano di intuire le sue intenzioni: continuerà la politica americana ad essere “amica di Wall Street” e alimentare la crescita dei corsi di borsa? Le parole di Greenspan per la verità sono più difficili da decifrare dell’oracolo di Delfi, ma alla fine le scelte della Fed sono quelle che il mercato vuole. E il processo di beatificazione del banchiere centrale americano (Maestro – in italiano nel testo – in una famosa biografia) diviene un plebiscito popolare.
In quei tempi il mercato azionario sembra davvero l’albero dagli zecchini d’oro. Il cittadino medio magari non vede aumentare il suo stipendio, ma vede crescere il valore delle sue azioni e in particolare il saldo dello speciale conto in cui gli americani investono per la pensione, dato che negli Stati Uniti la previdenza è in gran parte privatistica e individuale. La straordinaria crescita dei valori azionari negli anni Novanta dispensa a piene mani euforia e benessere, anche se di carta. Nei primi cinque anni del decennio l’indice Dow Jones aumenta del 33 per cento e nella seconda parte addirittura del 180 per cento. Nel Nasdaq, il mercato dei titoli tecnologici, gli incrementi erano ancora più favolosi.
L’aumento della ricchezza investita in azioni è il fattore decisivo per cui le famiglie si decidono ad aumentare  in modo significativo il loro indebitamento e le banche allargano con decisione la loro offerta di prestiti. A fronte vi è la nuova ricchezza del mercato azionario, dunque al netto sembra non esserci problema. Meglio: non ci sarebbe stato problema se i prezzi delle azioni fossero saliti per sempre o comunque non fossero scesi. Allo scoppio, inevitabile della bolla speculativa del mercato azionario, la Fed si è sentita in qualche modo costretta a far ripartire una nuova fase di politica del denaro facile che questa volta ha  alimentato la domanda di mutui ipotecari e il boom edilizio (oltre che le operazioni di fusione e acquisizione). In questo modo, la bolla speculativa si è spostata dal mercato azionario al mercato immobiliare e quello delle concentrazioni aziendali. Il tutto avvolto nella grande bolla del credito, che a sua volta ha trascinato quella dei profitti bancari. La domanda interna americana ha così continuato ad espandersi a ritmi elevati, grazie all’indebitamento garantito dalla case:  negli ultimi anni, il credito ipotecario ha finanziato in larga misura l’acquisto di elettrodomestici, l’auto, le tasse universitarie per i figli.
E dove va a finire l’enorme massa di strumenti finanziari prodotta senza sosta dalla grandiosa macchina da guerra del sistema bancario mondiale? In giro per il mondo, naturalmente, grazie alla globalizzazione. A livello microeconomico c’è un americano che si indebita con le banche per comprare la casa o il suv; a livello macro gli Stati Uniti si indebitano verso il resto del mondo cedendo i prodotti dell’innovazione finanziaria. La possibilità di trasferire fuori dai bilanci delle banche e addirittura fuori dal paese, i rischi di un credito facile e basato su aspettative troppo ottimistiche ha rappresentato una specie di dispensa divina dalle responsabilità.
Un gioco che i manager  amano definire, con uno dei tanti orridi termini cari ai consulenti aziendali, win-win, cioè una situazione in cui guadagnano tutti. Contenti gli Usa che finanziano il loro eccesso di spesa; contenti gli investitori dei paesi esteri che ottengono rendimenti superiori a quelli dei titoli di Stato. Insomma, per venti anni ha funzionato un meccanismo che potremmo definire la via finanziaria all’American Dream. Poiché la ricetta americana è stata seguita da molti paesi (come il Regno Unito, ma non l’Italia va detto subito) questo spiega l’enorme crescita dei debiti del settore privato e in particolare delle famiglie, negli ultimi venti anni.
Il boom dei prestiti, in particolare di quelli immobiliari coincide con una svolta radicale nel
modus operandi delle banche, che inizia dalle grandi banche americane. Non più concessione di prestiti da detenere fino a scadenza, ma trasferimento ad altri del rischio. La parola d’ordine è securitisation. I prestiti alle famiglie vengono “impacchettati”; ceduti a veicoli societari appositi, che a loro volta emettono titoli garantiti dai prestiti. Questi titoli, sottoposti al giudizio delle società di rating, danno luogo a varie classi di rischiosità e possono essere ceduti ad una larga platea di investitori internazionali: quelli che si fregiano della mitica tripla-A sembrano adattarsi perfettamente a coloro che sono disposti a sopportare bassi rischi e poi via le successive categorie si rivolgono agli investitori più propensi al rischio. Ma non basta: per una serie di motivazioni tecniche, da questi titoli vengono prodotti altri titoli, strumenti derivati e così via in un vero e proprio processo di produzione di “finanza a mezzo di finanza”, come avrebbe detto Piero Sraffa. I volumi complessivi della finanza si dilatano a vista  d’occhio, a parità di rapporti finali con i debitori. Detto in parole povere, per ogni euro di mutuo ipotecario si generano un multiplo di strumenti finanziari di vario tipo, che naturalmente dilatano le opportunità di ricavo e profitto per le banche.
Non solo: queste innovazioni modificano radicalmente la posizione della banca nel sistema finanziario e la sua strategia operativa. I mutui non vengono più erogati per mantenere il rapporto con il cliente per tutta la durata del prestito e assumere il rischio in prima persona (nel gergo della finanza: originate to hold, originare per detenere fino a scadenza), Piuttosto, si concede il prestito per trasferirlo il più presto possibile alla platea più ampia possibile di investitori (originate to distribuite). Questo mutamento drastico della strategia del banchiere ha avuto effetti potenzialmente positivi, ma ha generato anche gravi distorsioni. In particolare, ne è derivata una cesura  della relazione fra rischio e responsabilità del banchiere, dunque  un allentamento dei criteri di concessione del credito e di valutazione del rischio, che sono i riferimenti fondamentali della funzione del banchiere. L’importante non è più concedere finanziamenti che possano essere rimborsati alla scadenza, ma massimizzare il volume dei prestiti erogati e dunque le commissioni da incassare.
Del resto, in quegli anni c’era una domanda fortissima di titoli capaci di offrire rendimenti superiori ai titoli di stato, cioè l’emittente che per definizione offre titoli esenti da rischio. I grandi investitori istituzionali, che per legge devono scegliere solo titoli con rating elevati, si trovavano in difficoltà in un momento perché i tassi del debito statale erano bassi e perché l’offerta di titoli pubblici si rarefaceva perché alcuni paesi, a cominciare dagli Stati Uniti registravano surplus statali e quindi ritiravano titoli dal mercato.
La finanza americana somiglia a Wolf di Pulp Fiction. Risolve problemi. Consente alle famiglie di consumare più del loro reddito; consente all’America di coprire i suoi deficit di parte corrente; consente agli investitori di tutto il mondo di avere titoli che offrono rendimenti interessanti. E’ un’autentica alluvione di nuovi strumenti finanziari che si riversa sugli investitori di tutti i paesi. Sono quelli che verranno definiti prodotti “tossici” ma allora nessuno lo sapeva o se aveva qualche dubbio, se lo teneva ben stretto.

Marco Onado

Fonte: la voce.info 

 
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INNSE cariche polizia: intervista ad operaio

Post n°83 pubblicato il 05 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

 

 10/02/2009

 
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Presidio Innse, quattro operai su una gru

Post n°82 pubblicato il 05 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

Ripreso lo smantellamento dei macchinari venduti dopo il vertice in Prefettura. Pd: «Fermare l'uso della forza»

MILANO - Situazione ancora incandescente alla Innse di via Rubattino. Quattro operai sono saliti nelle cabine di alcune gru alte dieci metri, dopo essersi introdotti nello stabilimento intorno alle 11.30, chiedendo che sia fermato lo smantellamento dei macchinari e minacciando in un primo momento di lanciarsi nel vuoto. Altri lavoratori, una ventina, hanno raggiunto in corteo la stazione ferroviaria di Lambrate con striscioni «Giù le mani dalla Innse». Una situazione esplosiva, in cui il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini ha chiesto «un incontro e un intervento» del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ritenendo insufficiente la disponibilità della Prefettura a sospendere per alcuni giorni le operazioni di smontaggio dei macchinari. Le richieste del sindacato sono: la sospensione dello smontaggio per tutto il mese di agosto, l'allontanamento del presidio delle forze dell'ordine e l'apertura di un tavolo negoziale.

«VOGLIAMO TRATTATIVA VERA» - Nello stabilimento intanto si organizza la resistenza a oltranza. «Rimarremo quassù per tutta la notte e oltre, fino a che non ci sarà una trattativa vera, perché non si può smantellare una fabbrica di queste dimensioni - dice un funzionario della Fiom salito sulla gru assieme ai quattro operai -. Appena entrati abbiamo chiesto che tutti i lavoratori che stavano smontando i macchinari smettessero di farlo, cosa che è poi successa». I quattro, dai 30 ai 60 anni, sono entrati nella fabbrica aggirando il cordone delle forze dell'ordine che da giorni presidia l'area e poi sono stati raggiunti dal segretario milanese della Fiom Marina Sciancati e da Rinaldini, che, scortati da Digos e carabinieri, hanno portato loro panini e acqua. «Stanno bene, ma non scenderanno fino a che non ci sarà una risposta. Hanno visto che è già stato smontato il primo macchinario - spiega Sciancati -. Non ci sono ancora spiragli aperti». Il gesto di protesta ha di fatto portato al blocco dei lavori di smantellamento, effettuati da operai di due ditte di Arluno e Vicenza chiamati dal proprietario Silvano Genta.

PD: «NO ALL'USO DELLA FORZA» - E si allarga la solidarietà ai 49 dipendenti della Innse: martedì, dalle 15 alle 17, c'è stato uno sciopero indetto dalla Fiom nelle aziende metalmeccaniche della provincia di Milano. Nello stabilimento di via Rubattino il presidio non si ferma. Martedì mattina ci sono stati nuovi tafferugli tra i manifestanti, i giovani dei centri sociali e le forze dell'ordine. Una situazione condannata dal Pd: Cesare Damiano, responsabile lavoro, e Emanuele Fiano, deputato lombardo dei Democratici, hanno fatto un appello ai ministri Maroni e Scajola perché la vertenza non si risolva con l'uso della forza. «Occorre sospendere lo sgombero e lo smontaggio dei macchinari della fabbrica - affermano - e riaprire un tavolo di confronto per la piena tutela occupazionale di tutti i lavoratori». I due esponenti del Pd chiedono anche a Regione e Comune «di dare un segnale concreto e coerente». Il senatore del Pd Paolo Nerozzi ha chiesto al governo con un'interrogazione urgente interventi immediati per uscire dalla crisi: «Dobbiamo purtroppo registrare un aumento del grado di tensione all'interno dello stabilimento Innse - ha detto -. Torniamo a chiedere l'urgente apertura di un tavolo di consultazione».

SMONTAGGIO MACCHINARI - Nella sede della storica azienda in liquidazione alla periferia est di Milano erano riprese martedì mattina le operazioni di smontaggio dei macchinari. I 49 dipendenti, che chiedono di poter continuare a lavorare, spiegano che resisteranno «fino all'ultimo davanti alla fabbrica». Messi in mobilità a maggio 2008, ora si augurano che «arrivino altre persone per darci una mano. Già stiamo aumentando di numero e così potremo prendere forti iniziative di protesta». Al presidio sono presenti i sindacalisti della Fiom-Cgil, tra cui il segretario milanese Maria Sciancati. Lunedì il sindacato ha partecipato a un incontro in Prefettura con rappresentanti della Regione e della Provincia, al termine del quale il viceprefetto ha chiarito di dover far rispettare il decreto ingiuntivo per la consegna dei macchinari venduti. Così nella fabbrica sono entrati gli operai delle ditte acquirenti che hanno ripreso le operazioni di smontaggio. «Il tavolo con le istituzioni che abbiamo chiesto ci è stato negato e per ora non sono previsti nuovi incontri» spiega il sindacato.

POLEMICA CASTELLI-PRC - Sulla vicenda della Innse si consuma anche una polemica politica tra il Prc lombardo e il viceministro leghista alle Infrastrutture Roberto Castelli. Alfio Nicotra, portavoce regionale di Rifondazione, parla di un «dramma sociale e umano», di cui sono responsabili «il bucaniere dell’economia Silvano Genta e chi gli ha consentito di ottenere per appena 700mila euro la proprietà di macchinari che valgono venti volte tanto». «In questa storia - prosegue Nicotra - ci sono responsabilità politiche enormi, a cominciare da quella del sottosegretario Castelli che, in base alla legge Prodi, presentò padron Genta alla provincia di Milano spacciandolo per imprenditore, quando invece era semplicemente un rottamatore». La replica di Castelli: «Dalle forze della sinistra extraparlamentare solo volgari bugie. Ho sempre fatto di tutto per salvare non solo questa, ma altre aziende in difficoltà del nostro territorio. Non posso invitare gli esponenti del Prc a dimettersi, perché sono già stati dimessi dal popolo italiano con il voto del 2008».

Fonte: corriere.it

 
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I lavoratori della Innse: non ci muoviamo

Post n°81 pubblicato il 05 Agosto 2009 da franco_rovati
 
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Ancora tensioni nello stabilimento. Fiom: ora tocca agli operai decidere cosa fare, 2 ore di sciopero di solidarietà

MILANO - Sono sempre determinati, gli operai della Innse. Nono­stante il defilarsi, uno dopo l’altro degli interlocutori del­la partita. Nonostante tutto. Erano 50 un anno e mezzo fa, all’inizio di questa vicen­da. Oggi sono 49. E l’unico che manca non ha mollato per cercare un altro lavoro: si è arreso a un'infarto, a 49 anni, dopo una notte passata a presidiare i reparti. Lunedì sera, davanti alla pre­fettura, le maestranze della Innse volgevano lo sguardo in alto, verso le stanze dove è proseguito fino a tarda sera l’incontro del viceprefetto, Renato Saccone, con i rappre­sentanti della Regione e il sindacato. Che poi in questo caso vuol dire la Cgil regiona­le e il vertice nazionale della Fiom, con il segretario gene­rale Gianni Rinaldini e il se­gretario Giorgio Cremaschi. Alle 9 di sera, quando è ter­minata la riunione, i lampio­ni di corso Monforte hanno illuminato la delusione dei 49: lo smantellamento dei macchinari, sospeso per da­re corso alla trattativa, ri­prenderà già da oggi. Nessu­na disponibilità da parte del­la prefettura a impostare un nuovo tavolo senza novità di sostanza.

Resta quindi alta la tensio­ne in via Rubattino 81. La Fiom ha indetto due ore di sciopero in provincia. Intan­to nel deserto produttivo del­la periferia di Milano, tra scheletri di capannoni e fab­briche vuote, i reduci della Innse promettono battaglia. Cremaschi l’aveva già detto fin dalla mattina di lunedì: «Da qui non ci muoviamo. Posso­no smontare i macchinari ma non li lasceremo certo uscire da qui. Questa non è la fine della Innse ma l’inizio di un dramma». Per la Fiom «se il governo non difende i posti di lavoro sani figuria­moci quelli delle aziende in crisi». Il candidato alla guida del Pd, Pierluigi Bersani, ha tele­fonato al ministro dell’Inter­no, Roberto Maroni: «Gli ho detto che quando un proble­ma è così acuto bisogna fer­mare le macchine e discute­re. Avendo fatto il ministro dell'Industria posso dire che ogni volta che si smantella un'attività è un pezzo di noi che se ne va». «Mi auguro che queste vicenda si risolva al più presto e per il meglio» ha detto il segretario del Pd, Dario Franceschini. Paolo Ferrero, segretario del Prc, chiede al ministro Maroni di ritirare subito la forza pubbli­ca a protezione dello sman­tellamento delle macchine.

Nel merito della vicenda, lunedì è stata la giornata dei pas­si indietro. La Regione - che pure si era molto adope­rata nei mesi scorsi - ha da­to forfait. In prefettura assen­ti Comune e Provincia. Il Pi­rellone lascia il cerino nelle mani della magistratura che «avrebbe potuto anche deci­dere di sospendere lo sgom­bero». E dei potenziali acqui­renti: «C'è stato chi si era det­to in un primo tempo interes­sato, ma poi si è tirato indie­tro». Facile leggere tra le ri­ghe il nome della Ormis di Bergamo. L’azienda non in­terviene. Ma già nei mesi scorsi fonti interne lasciava­no intendere che la partita fosse ormai difficile da recu­perare: «Il nostro interesse era sincero, se ci fosse stata davvero l’intenzione di anda­re verso un rilancio della Inn­se a quest’ora la partita sareb­be già chiusa. E le macchine non si sarebbero fermate». Certo è che la trattativa non è mai entrata nel vivo. Mai si è parlato di soldi per l’acquisto della Innse. Dal canto suo Stefano Genta, il proprietario dell’azienda («acquisita sull’orlo del falli­mento a 750 mila euro» ricor­da la Cgil) deve ad Aedes una consistente somma per l’affitto dell’area. Di qui la causa della stessa Aedes. La vendita dei mac­chinari alla Mpc di Santorso (Vicen­za) e alla Lombar­dmet di Arluno (Mi). E la senten­za dello scorso maggio che auto­rizza la loro uscita dall’azienda.

Se la vicenda si concluderà con lo smantellamento della Innse, nulla più impedirà la realizzazione del piano di riqualificazione urbana della zona varato negli anni 90. Al posto dei capannoni si parla di università, residenziale, parchi. Dal canto suo il Co­mune assicura che a fronte di un piano industriale con qualche prospettiva sarebbe stato pronto a cambiare il progetto sull’area. Ma la Cgil insiste: «L’azienda è vittima della speculazione edilizia». Così - dopo un anno mez­zo di trattative, presidi, pro­poste - i 49 tornano soli. A scrivere l’ultimo capitolo del­la loro storia all’Innse.

Fonte: corriere.it

 
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Lettera a un automobilista in coda

Post n°80 pubblicato il 04 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

"Caro automobilista in coda,
sei un uomo in fuga dalla città. In fila con la tua famiglia su un'autostrada, una tangenziale, uno svincolo. Sei in buona compagnia, milioni in coda come te ti guardano, ti sorpassano di due metri, poi tu li sopravanzi di un metro. E' un gioco che va avanti interi pomeriggi. Da cosa fuggi e perché fuggi dalla tua casa? Hai il guinzaglio corto, sai che tornerai indietro e presto. Fuggi dalle città di cemento e macchine. Le meravigliose città italiane di Stendhal diventate dormitori e parcheggi, carceri a cielo aperto. Da cosa fuggi? E chi ti paga la fuga se non hai più soldi? Fuggi dalla cassa integrazione, dal precariato, dagli straordinari non pagati, dalle rate del mutuo in scadenza. Ti distrai sull'asfalto bollente per arrivare un giorno prima da qualche parte. Qualunque parte. La tua non è una vacanza, è una rimozione della realtà. Un sogno di un paio di settimane di mezza estate. Un sogno povero e neppure bello. Un ultimo ballo da ballare a qualunque costo. Tu sei l'alibi del benessere, la caricatura del progresso. Otto, dieci, venti milioni di italiani in viaggio sono il simbolo dell'opulenza, della crisi che si allontana, anzi che non c'è mai stata. La giustificazione a folli autostrade a quattro, cinque, sei corsie, ai Passanti da cui non si passa. Ai Ponti sugli Stretti e ai Corridoi dentro le montagne dalla Val di Susa al Brennero. Sei tu il vero "uomo economico", il detonatore del PIL, con la tua macchina immobile, la tua benzina, la tua strada di asfalto sempre più larga. Viaggi informato, la radio ti avverte della coda di 10 chilometri al Brennero se ti ritrovi fermo da ore senza un perché sulla Salerno Reggio Calabria. Per la calura insopportabile dentro l'abitacolo c'è la bottiglietta d'acqua di San Bertolaso. Meglio dell'acqua di Lourdes. La Protezione Civile disseta milioni di automobilisti, forse dall'alto, con i Canadair. Ascolti la musica e gli ultimi dati sull'inflazione che non c'è più. E' scomparsa insieme al valore del denaro. Se il pedaggio autostradale è aumentato in un anno del 10, 20% è solo perché non è nel paniere. La partenza intelligente te la sei giocata. Ti rimangono il superenalotto e il rientro stupido. Se l'asfalto brucia, l'autunno sarà flambè. "Hit the road, Jack and don't you come back no more, no more, no more, no more.." Beppe Grillo

Fonte: blog di Beppe Grillo

 
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La crisi va in vacanza: a Mestre in tilt il Passante, aerei e treni stracolmi

Post n°79 pubblicato il 03 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

Trenta chilometri di coda sul Passante di Mestre. L’immagine simbolo della partenza estiva 2009 è questa: un unico serpentone di auto. Di vacanzieri. Che a dispetto della crisi partono; o, proprio a causa della crisi, partono. E quest’anno ancor più degli anni scorsi. Per il Coa (Centro operativo autostradale) il flusso medio di traffico registrato ieri, di 2.500-3.000 vetture l’ora, era «superiore all’analogo periodo dello scorso anno». Per parte loro le Ferrovie dello Stato fanno sapere che tra venerdì e oggi saranno oltre un milione gli italiani in viaggio, reparto d’élite dell’esercito dei vacanzieri da strada ferrata che secondo Trenitalia sarà composto quest’estate da circa venti milioni di «soldati», tra italiani e stranieri. Tutti in fila sulla pensilina col biglietto e l’ombrellone. A chiudere il trittico delle diapositive da primo giorno d’esodo uno scorcio dell’area check-in dell’aeroporto di Fiumicino, dove ieri i super-manager della neonata compagnia di bandiera si sono rimboccati le maniche (letteralmente) e hanno aiutato il personale di terra nella gestione dei bagagli dei passeggeri che, dichiarava soddisfatto l’amministratore delegato Rocco Sabelli, «sono tantissimi».
Due le letture della giornata di ieri: che a livello infrastrutturale in Italia c’è ancora tanto da fare, visto che quella che doveva essere la «grande opera» risolutiva di uno degli snodi critici-cronici della viabilità italiana si è rivelata una trappola d’asfalto (l’Anas ha aperto un’inchiesta sull’accaduto); e che gli italiani alla vacanza, crisi o non crisi, non rinunciano. «Oggi il viaggio da bene voluttuario si è trasformato in bene primario - spiega Corrado Peraboni, amministratore delegato dell’Expocts, società che annualmente organizza a Milano la Borsa internazionale del turismo - e anche nei momenti di crisi non vi si rinuncia. Magari si adattano meglio meta e durata alle proprie disponibilità».
E nella corsa all’ombrellone gli italiani dimostrano essere i primi. Un’indagine condotta dall’istituto di ricerche Ipsos per «Europ Assistance» (società specializzata nell’assistenza privata) sull’attitudine degli europei per le vacanze estive evidenzia che gli italiani sono i più propensi a partire nel continente: 76% contro una media europea del 64%. E la meta preferita dai viaggiatori europei, secondo la ricerca, è l’Italia, indicata come destinazione dal 21% degli intervistati. Il Bel Paese si conferma dunque la meta più ambita, e gli italiani sono vacanzieri incalliti, anche se da quest’anno più economi: ogni nucleo familiare italiano spenderà in media 2.204 euro (il 4% in meno rispetto al 2008) e preferirà le vacanze brevi. Anche quest’anno i soggiorni da una settimana saranno a livello europeo appannaggio nazionale (41% dei soggiorni, contro una media Ue del 29%).
Di fronte a questi numeri, i gridi di allarme o le dichiarazioni di soddisfazione sono i paletti che dividono gli operatori del turismo tra chi ha saputo rimodulare le proprie offerte al nuovo trend e chi no. Se Federalberghi parla di un crollo del giro di affari del 15%, dall’altra bed&breakfast e agriturismi fanno segnare un trend positivo. Se le agenzia di viaggio lanciano l’allarme - meno 25% di turisti da un anno all’altro secondo la Fipe Confcommercio - i siti internet che permettono di prenotare le vacanze senza i costi dell’agenzia vanno alla grande: secondo l’Osservatorio Europcar-Doxa il 42% degli italiani risparmierà sui viaggi mettendo a confronto tutte le offerte disponibili in rete.
Fonte: ilgiornale.it

 
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Mercato immobiliare europeo

Post n°78 pubblicato il 02 Agosto 2009 da franco_rovati
 

Mercato immobiliare europeo e mercato immobiliare italiano. Come viene visto da un operatore che ha una visione europea.

Ne abbiamo parlato con Jesús Encinar fondatore di idealista.com

Di Pierpaolo Molinengo

Come si sta sviluppando il mercato immobiliare europeo? Quali sono le differenze tra il mercato Italiano e quello delle altre nazioni europee?

Il ciclo immobiliare è cambiato in molti paesi europei già a partire dalla fine del 2007, per ragioni che cambiano da paese a paese.

La crisi immobiliare che minaccia il vecchio continente, ha provocato lo scoppio della bolla immobiliare in Irlanda, Spagna e Regno Unito, ed è giunta anche in Italia dove però le quotazioni sono scese ma non crollate e dove si può parlare di sopravvalutazione del valore delle case.

Il 2008 in Italia si è chiuso con un saldo negativo delle compravendite (-15% su base annua) ed erogazione di mutui . Le previsioni per quest'anno parlano di 604.000 compravendite entro la fine del 2009, meno delle 686.587 transazioni dello scorso anno e delle 809 mila effettuate nel 2007 secondo l'Agenzia del Territorio.

Le previsioni parlano di un calo dei prezzi che a fine anno potrebbero perdere tra l'8% e il 10% su scala nazionale, mentre lo scorso anno il prezzo delle abitazioni è sceso del 2%.

Per molti i prezzi dovrebbero stabilizzarsi a partire dal 2010, tuttavia come idealista non possiamo fare a meno di rilevare una forbice sempre più ampia tra prezzo e redditi medi.

Proprio in un recente studio abbiamo rilevato come a Milano sia pressoché impossibile comprare casa (bilocale 65 m2 circa) al reddito calcolato dall'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), pari a meno di 16 mila euro netti l'anno (1.300 euro al mese). Un'estremizzazione che però fa emergere il problema in maniera inequivocabile. Così solare da sembrare banale.

In realtà i prezzi delle case in Italia sono più che raddoppiati nell'ultimo decennio a fronte di un potere di acquisto fermo al '93. Ragioni che inducono a pensare che la ripresa non sarà rapida e che per invertire la tendenza i prezzi dovranno scendere in maniera più marcata.

 Come viene vista l'Italia dagli altri paesi? Una nazione dove comprare ed investire? O ci sono ancora troppi limiti burocratici?

L'Italia è un mercato realmente interessante per gli investitori spagnoli. Ci sono molti cose in comune e una maniera simile di fare business.  

Probabilmente assisteremo anche ad un calo delle commissioni fisse pretese dai professionisti immobiliari, mentre ci saranno più commissioni personalizzate, a seconda del tipo di servizio che l'utente richiede al proprio agente e di quanto è disposto a pagarlo. 

Fonte: newspages.it 

 
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Il mercato immobiliare sui laghi

Post n°77 pubblicato il 02 Agosto 2009 da franco_rovati
 
Tag: case, crisi

Secondo Gabetti, le quotazioni sono diminuite lo scorso anno, e la frenata nel numero di transazioni è stata considerevole, ma il peggio sembra passato.
Si tratta di un mercato emergente, elitario, in cui la tranquillità è un aspetto rilevante nelle determinanti per la scelta, come la prossimità alle uscite autostradali.
Le località in riva ai laghi offrono grandi possibilità di utilizzo, vista la vicinanza ai capoluoghi e si sono moltiplicate le attività sportive e gli intrattenimenti, per i periodi di villeggiatura. Le offerte di nuovo sono complessivamente non eccessive. Si tratta di un tipo di mercato molto amato dagli stranieri del nord europa e anche in misura crescente dell'est.

Fonte: newspages.it

 
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Gabetti analizza il mercato turistico

Post n°76 pubblicato il 02 Agosto 2009 da franco_rovati
 

Il mercato della seconda casa vive una fase di rallentamento evidente. Le quotazioni hanno fatto registrare una flessione del 7.1% in linea con quella del mercato residenziale. Questa contrazione è stata comunque abbastanza generalizzata, per quel che riguarda le diverse regioni e i target di mercato. E' andata riducendosi la disponibilità di spesa media per l'acquisto di una seconda casa. Nelle regioni marittime del nord è in media di 150-200 mila €, che sale a 200-300 mila € in quelle più rinomate, e si punta di solito su soluzioni molto compatte.
Nel centro Italia si aggira fra i 100 e i 150 mila €. Nei piccoli comuni non particolarmente famosi del sud, la disponibilità di spesa è intorno a 60-70 mila €. I tempi di vendita si sono allungati a 6-8 mesi (nel lusso si è intorno all'anno). Gli affitti stagionali sono segnalati ovunque in netto calo.
Complessiva diminuzione di acquirenti stranieri,
soprattutto inglesi, che hanno lasciato spazio a russi, olandesi-belgi e svizzeri.

Liguria

Quotazioni sostanzialmente stabili nella rinomata Alassio, con rivisitazione comunque dei prezzi fuori mercato.I compratori cercano un corretto rapporto qualità-prezzo e non sono disposti a fare follie. Le zona più domandate sono quelle del levante (Borgo Coscia) e la zone vicino al mare. Per soluzioni fronte mare si spendono da 12 a 14 mila € al mq.
Modesta e lenta ripresa della domanda a Rapallo, dove le seconde case sono sempre meno richieste. I residenti (che compongono circa la metà della domanda d'acquisto) hanno problemi a sostenere i costi lievitati negli ultimi anni. La domanda da parte degli immigrati, legati al settore turistico-alberghiero, è circa ¼ del totale, con una capacità di spesa non superiore a 200 mila €. Chi cerca la seconda casa, sia per uso diretto che per investimento, punta sulle soluzioni a buon prezzo.
Si domandano soluzioni centrali o vicino al mare. I top prices per il signorile ristrutturato sono in media di 5.000 € al mq.
Nelle zone intorno a La Spezia le zone più rinomate e richieste sono Lerici e Portovenere. Nella clientela, molti milanesi, lombardi ed emiliani. I prezzi e il numero di transazioni sono in calo. Lo sconto è nell'ordine del 15% fra la richiesta iniziale del venditore e la
conclusione. Dopo una fase di difficoltà nella seconda parte del 2008, si assiste ad un miglioramento nella prima parte dell'anno in corso.
I progetti più rilevanti della zona riguardano il nuovo waterfront di La Spezia e il progetto Marinella-Fiumaretta che prevede interventi di natura immobiliare, turistica, nautica e agricola.

Emilia Romagna
Quotazioni dei valori in flessione nell'ordine del 7% a Riccione, rispetto allo scorso anno.
La domanda è buona, ma a patto che ci siano sconti sui prezzi. I tempi medi di vendita si sono allungati. In media si aggirano sui 6 mesi, ma vi sono punte superiori all'anno, in caso di problematicità legate all'immobile.
La disponibilità di spesa dei clienti si concentra nella fascia da 200 a 300 mila €, per cercare soluzioni all'interno, anche da ristrutturare, soprattutto due-tre locali.
Sale a 500 a 700 mila € per cercare tre locali vicino al mare. Manca quasi la fascia intermedia di richiesta.

Fonte: newspages.it

 
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Il mercato immobiliare al vaglio di Idealista

Post n°75 pubblicato il 02 Agosto 2009 da franco_rovati
 

Nuova frenata del prezzo degli immobili a Milano. Dopo un primo trimestre promettente, con i prezzi in crescita del 2%, le quotazioni sono rimaste pressoché invariate tra aprile e giugno (+0,3%).
Sono 3 le zone che fanno registrare cali al di sopra del 2%. la caduta più significativa in zona Forlanini (-2,9%; 3.241 euro/m2), seguita da Certosa (-2,2%; 2.925 euro/m2) e Chiesa Rossa-Gratosoglio (-2%; 2.997 euro/m2).
Continua la discesa dei prezzi in altre zone periferiche della città, come Lorenteggio-Bande Nere (-1,6%; 3.349 euro/m2) e Famagosta Barona (-1,3%; 3.098 euro/m2) che, insieme al quartiere Certosa, hanno segnato 2 cali consecutivi da inizio anno.
Giù anche Vigentino-Chiaravalle (-1,5%; 3.122 euro/m2) e Corvetto-Rogoredo (-1%; 2.945 euro/m2). Timida flessione per i quartieri Comasina-Bicocca (-0,2%; 2.796 euro/m2), invariati invece i prezzi degli immobili in Vialba-Gallaratese,
la zona meno cara della città, dove un immobile costa 2.525 euro/m2, esattamente come tre mesi fa.
Torino
Tornano a salire i prezzi delle case a Torino nel secondo trimestre 2009, in modo più deciso rispetto al lieve rialzo registrato nei primi tre mesi dell'anno (+0,3%)
Da aprile a giugno, le quotazioni immobiliari sotto la mole sono aumentate mediamente del 3,5%, portando il prezzo medio delle case a 2.347 euro/m2 .
Scendendo nel dettaglio delle zone cittadine, le uniche flessioni riguardano la zona Borgo Vittoria – Vallette
(-0,8%; 1.905 euro/m2) e soprattutto il centro storico, dove i prezzi calano per il secondo trimestre consecutivo (-1,4%; 2.990 euro/m2).

Fonte: newspages.it

 
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Costruzioni in Piemonte: la crisi si estende

Post n°74 pubblicato il 02 Agosto 2009 da franco_rovati
 

«Il settore delle costruzioni in Provincia di Torino è passato da una parziale a una complessiva situazione di crisi», ha commentato Alessandro Cherio, Presidente del Collegio Costruttori di Torino, in occasione dell'assemblea annuale dei soci tenutasi oggi. “Le imprese hanno toccato con mano gli effetti della stretta creditizia e del calo della fiducia, a cui si è aggiunto il problema dei ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione a fronte di lavori eseguiti. Ci uniamo all'appello di Emma Marcegaglia affinché vangano sospesi i paletti imposti da Basilea 2. Si tratta di vincoli pensati per una situazione di dinamismo economico oggi inesistente”.
Le opere pubbliche nella Provincia di Torino registrano per il 2008 un calo di circa 50 milioni rispetto al 2007 (581 i bandi pubblicati per poco più di 600 milioni). Il dato del primo semestre 2009 è di circa 251 milioni: -9,36% rispetto al I semestre 2008 (i bandi di gara sono passati da 341 a 231). Il Comune di Torino ha appaltato lavori per circa 51 milioni e conferma dunque il dato dell'anno passato, ben lontano dagli anni olimpici 2004/2005; mentre i comuni della provincia hanno prodotto 104 bandi per un totale di circa 70 milioni. «Chiediamo al Governo che vengano create le condizioni di rilancio di un settore che rappresenta il 10% del PIL», ha dichiarato Cherio. L'indagine congiunturale del Collegio Costruttori per il I semestre 2009 mostra che circa il 46% delle imprese si attende una riduzione di fatturato, percentuale che sale al 50% nel caso delle imprese che svolgono prevalentemente lavori pubblici. Quasi la metà delle imprese pronostica una riduzione dell'occupazione e circa il 66% di esse non prevede investimenti nei prossimi sei mesi. «Occorre utilizzare la leva fiscale, ad esempio consentendo il recupero dell'IVA per l'acquisto della casa; mentre a livello locale chiediamo un'accelerazione delle decisioni sulle nuove aree di trasformazione della città, come quelle coinvolte dalla Variante 200», ha concluso il Presidente Cherio.

Fonte: newspages.it

 
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Tremonti: «L'Italia non è in declino»

Post n°73 pubblicato il 31 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Foto di franco_rovati

Il ministro all'Economia in Senato:
Il sistema economico tiene e va meglio di altri Paesi

«L'Italia non è in declino» lo spiega il ministro dell'Economia Giulio Tremonti nel corso della replica in Senato sul Dpef. E intanto il Parlamento ha votato sì alla risoluzione Pdl-Lega sul dpef relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2010-2013, presentata identica in entrambi i rami del Parlamento. La risoluzione chiede impegni al governo per contenere il debito pubblico, per le infrastrutture per il Sud, per approvare entro novembre il ddl sulla riforma di bilancio. Inoltre, si impegna l'esecutivo a trasmettere al parlamento le delibere del Cipe contenute nel Dpef, in modo che le commissioni competenti possano esprimere il parere come richiesto per legge.

LA PRUDENZA- Il ministro dell'Economia, durante il suo intervento in Senato spiega che «la scelta prudente e razionale di fiducia fatta da questo governo sia stata la scelta giusta è la scelta che è stata oggetto del consenso nelle ultime tornate elettorali, è la scelta che questo governo, la prudenza la fiducia, intende continuare a fare». Anche perché l'Italia «non è in declino», il sistema economico «tiene» e va anche meglio rispetto ad altri paesi europei. Ecco l'esempio: «Per la prima volta negli anni recenti la dinamica del deficit e del debito italiano è sotto la media europea e questi sono i numeri che si acquisiscono in Europa». E sull'evasione spiega: «Ma voi pensate davvero che un evasione fiscale, che è evidentemente presente e su scala di massa in questo paese, si possa contrastare senza mettere in campo i governi locali? Io credo l'Italia sia l'unico Paese che non ha finanza locale vera». Per Tremonti «la finanza locale è fondamentale anche come principio di azione per battere l'evasione fiscale e su questo credo che sia fondamentale l'azione del governo, l'azione della maggioranza e anche l'azione dell'opposizione. Se volete davvero contrastare l'evasione fiscale serve anche l'azione dei governi locali, essendo che questo è uno dei differenziali che ci separano dal resto d'Europa».

LE REAZIONI- Per Angela Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, «non c'è niente di sostanzioso rispetto agli orientamenti e alle scelte che questo Governo avrebbe dovuto fare in una situazione di crisi». In altre parole «il Dpef testimonia dell'assoluto disastro a cui questa scellerata gestione del governo Berlusconi ha portato questo paese». Critica anche l'Mpa che ancora una volta, in segno di protesta, il gruppo alla Camera non ha partecipato al voto perché il Documento «è una lista della spesa fatta per il Nord». Carmelo Lo Monte spiega che «non hanno accolto la nostra risoluzione e in quella di Pdl e Lega non c'è quello che ci aspettavamo». E quindi Alfonso Mascitelli, il capogruppo dell’Italia dei Valori in Commissione Bilancio al Senato, sottolinea che « Nel Dpef non ci sono proposte di alcun genere relativamente a quelle che sono le riforme necessarie ed essenziali per il Paese». Intanto Giuseppe Marinello, vicepresidente commissione Bilancio Camera, attacca: «Il dibattito durante l'approvazione del Dpef ha dimostrato la carenza di argomentazioni e l'assoluta demagogia dell'opposizione».

 

 

 
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Obama:"La crisi è quasi finita"

Post n°72 pubblicato il 31 Luglio 2009 da franco_rovati
 
Tag: crisi, obama
Foto di franco_rovati

Il presidente americano ottimista.
Poi rilancio sulla liforma sanitaria:
è «cruciale» per futuro economico
WASHINGTON
L’inizio della fine della recessione che ha messo in ginocchio gli Stati Uniti potrebbe essere arrivato. Lo ha detto il presidente Barack Obama, secondo cui però il futuro economico del Paese è legato a doppio filo all’approvazione della riforma sanitaria, un tasto su cui il presidente batte con insistenza da settimane.

«È vero che abbiamo fermato la caduta libera dell’economia, i mercati azionari sono in rialzo, il sistema finanziario non è più a un passo dal collasso e la perdita di posti di lavoro è dimezzata rispetto a quando sono salito alla Casa Bianca sei mesi fa. Per questo forse si sta cominciando a vedere l’inizio della fine della recessione», ha detto Obama nel corso di un incontro con i cittadini di Raleigh, in Nord Carolina. Il presidente ha comunque optato per la cautela, definendo «un pò sorprendente» la copertina del settimanale Newsweek che dà per conclusa la recessione (sul numero di questa settimana, a piena pagina la scritta «recession is over», la recessione è finita).

Obama, pur difendendo la strada intrapresa dall’amministrazione per fare fronte alla crisi, ha sottolineato che anche se la situazione è in qualche modo migliorata, questo è di «scarso sollievo per coloro che hanno perso il proprio posto di lavoro e non ne hanno ancora trovato un altro».
Fonte: lastampa.it

 
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Istat: il 4, 9% degli italiani in poverta' assoluta

Post n°71 pubblicato il 31 Luglio 2009 da franco_rovati
 

ROMA, 30 LUG - Nel 2008 in Italia 1.126.000 famiglie e' risultato in condizioni di poverta' assoluta: e' il 4,9% dell'intera popolazione, secondo l'Istat. Sono 8 milioni 78mila le persone povere, il 13,6% della popolazione. Le famiglie in condizioni di poverta' relativa sono stimate nel 2008 in 2 milioni e 737mila (11,3%). Il fenomeno e' piu' diffuso al sud (23,8%), dove l'incidenza di poverta' relativa e' quasi 5 volte superiore a quella del resto del Paese ed e' in crescita tra le famiglie piu' ampie.

Fonte: ansa.it

 
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Risanamento, il pm chiede il fallimento: cda lunedì

Post n°70 pubblicato il 31 Luglio 2009 da franco_rovati
 

Il Tribunale di Milano ha convocato Risanamento, invitandola a comparire in udienza il 29 luglio prossimo, per la dichiarazione di fallimento. La società immobiliare che fa capo a Luigi Zunino, in accordo con le banche, sta lavorando alla cessione di asset per rientrare del debito ma il pm Roberto Pellicano, si è mosso in autonomia muovendosi nell'ambito dell'inchiesta Italease.

Il Tribunale ha quindi convocato la società per il 29 luglio per accertare i presupposti della dichiarazione di fallimento. Per preparare una difesa il consiglio di amministrazione della società è stato convocato d'urgenza per lunedì prossimo, 20 luglio. Piazza Affari resta per ora alla finestra: le azioni sono rimaste sospese giovedì per l'intera seduta (lo sono anche oggi e lo saranno fino a lunedì, ha fatto sapere questa mattina Borsa Italiana).

Il pm, nell'ambito dell'inchiesta su Italease ha raccolto una serie di elementi che lo hanno portato a chiedere la dichiarazione di fallimento per il gruppo di Zunino, vicenda sulla quale sta lavorando la Guardia di Finanza. Risanamento, secondo quanto riferiscono fonti vicine alla società, è pronta a dare al Tribunale tutte le rassicurazioni necessarie. Il piano di ristrutturazione, confermano le stesse fonti, sarebbe sostanzialmente pronto e anzi ora si attende un'accelerazione in seguito al procedimento in corso. Sulla società pesa un'indebitamento di 2,76 miliardi che si sarebbe dovuto alleggerire con le cessioni dell'ex area Falck, ma la trattativa avviata con Limitless (gruppo Dubai World) è fallita.

Risanamento è passata a valutare un piano alternativo e una delle ipotesi allo studio è la creazione di un fondo in cui far confluire l'area di Sesto San Giovanni, oltre un milione di metri quadrati di fabbriche dismesse ridisegnate da Renzo Piano. Il confronto con i principali istituti creditori, con l'ausilio del consulente Banca Leonardo, stava andando avanti e, secondo indiscrezioni di stampa, sarebbe stata individuata anche la società di gestione, Castello sgr, per la predisposizione del fondo.

Allo studio la sottoscrizione delle quote da parte, secondo fonti finanziarie, sia delle banche (oltre a Intesa Sanpaolo, la principale creditrice con 476 milioni di euro, anche Unicredit e Banco Popolare) sia degli enti locali, mentre a Zunino sarebbe potuta rimanere una piccolissima quota. In cantiere anche piccole cessioni all'interno dell'area Santa Giulia che, secondo fonti vicine all'operazione, avrebbero potuto dare ossigeno per altri 6-7 mesi.

Infine, mai del tutto abbandonata, ci sarebbe anche l'ipotesi dell'apertura a un nuovo socio. Risanamento è controllata al 73% da Luigi Zunino, anche se il 19% circa è in pegno a Intesa Sanpaolo e oltre il 26% a Unicredit. Il 23% è sul mercato, il 4% è di altri investitori, di cui il principale è il fondo di gestione del risparmio European investors incorportated che, secondo gli ultimi prospetti Consob, detiene il 2% del pacchetto azionario. Il gruppo stima di avere un portafoglio immobiliare totale di circa 2,5 milioni di metri quadrati, per un valore di cinque miliardi di euro. Le maggiori proprietà sono a Milano e Parigi.

Fonte: ilsole24ore.com

 
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British Airways, stop ai pasti

Post n°69 pubblicato il 31 Luglio 2009 da franco_rovati
 

LONDRA (29 luglio) – In tempi di crisi anche il pranzo a bordo diventa un lusso, la pensa così la British Airways che non offrirà più panini, bevande e pasti gratuiti dopo le 10 di mattina per i passeggeri che affrontano un viaggio di meno di due ore e mezza. Il provvedimento, annunciato ieri sera dalla compagnia aerea, avrà effetto da lunedì.

L'azienda spera così di tagliare i costi e limitare le forti perdite sofferte di recente. «British Airways ha sempre fornito un catering di alto livello a bordo - ha detto una portavoce della compagnia al Daily Mail - che, a differenza di altre compagnie aeree, era gratuito. Non è strano fare piccoli cambiamenti per evitare perdite e risparmiare se le scelte sono sensate e riflettono i cambiamenti di gusti dei nostri passeggeri».

È un nuovo dirigente, Mark Hassel, che lo ha deciso, sostenendo che la misura - che riguarda anche i voli da Londra per Roma, oltre che per altre destinazioni europee come Barcellona e Malaga - permetterà di risparmiare circa 22 milioni di sterline l'anno. A restare gratuiti saranno solo gli snack e l'acqua in bicchiere mentre i pasti veri e propri rimarranno solo per i voli a lungo raggio, dove però sarà ridotto il menù per i passeggeri di prima classe, che non includerà più cioccolata e snack.

 
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