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Menzogna Romantica e verità romanzesca di René Girard

Post n°1287 pubblicato il 08 Marzo 2017 da blogtecaolivelli

Il sacrificio esige perciò che vi sia un'apparenza di continuità tra la vittima realmente immolata e gli altri esseri umani a cui tale vittima viene sostituita22. Talvolta si assiste però al rovesciamento catastrofico del sacrificio: ad esempio, il vero tema della Follia di Eracle di Euripide - dove Eracle in un momento di follia mentre offre un sacrificio uccide la sua prima moglie Megara ed i figli - è il fallimento di un sacrificio, è la violenza sacrificale che prende una brutta piega. Il sacrificio attira la violenza sulla vittima e poi la lascia spandersi tutt'attorno: il sacrificio allora non è più atto a svolgere il proprio compito, ma ingrossa il torrente della violenza impura senza riuscire nemmeno più a canalizzarla. Anche nelle Trachinie di Sofocle, nell'episodio della tunica di Nesso inviata alla giovane Iole da Deianira per riconquistare l'amore del marito Eracle, la violenza si scatena contro quegli stessi esseri che il sacrificio avrebbe dovuto proteggere. In entrambe le opere un'impurità particolare è legata al guerriero che rientra nella città, ebbro ancora delle carneficine alle quali ha da poco partecipato: i1 guerriero che torna a casa rischia di portare la violenza di cui è impregnato all'interno della comunità. Se si esamina attentamente il meccanisno della violenza nelle due tragedie ci si accorge che il sacrificio quando 'prende una brutta piega' provoca una reazione a catena23. I1 ritorno del guerriero si lascia interpretare in termini sociologici o psicologici: le due tragedie ci presentano così in forma quasi aneddotica fenomeni che non hannno senso se non a livello dell'intera comunità24. Con la nozione di crisi sacrificale si possono pertanto chiarire certi aspetti della tragedia che evoca la crisi sacrificale soltanto attraverso figure leggendarie i cui contorni sono fissati dalla tradizione. La disputa tragica è una disputa senza soluzione: "la tragedia è l'equilibrio della bilancia della violenza, non della giustizia"25. Tra gli antagonisti tragici non vi sono differenze perché vengono cancellate dalla violenza: ciascuno ricorre alle stesse tattiche, usa gli stessi metodi e mira alla distruzione del proprio avversario, contribuendo così tutti alla distruzione di quell'ordine che tutti pretendono di consolidare26.

Nella religione primitiva e nella tragedia opera lo stesso principio, sempre implicito ma fondamentale, che l'ordine e la pace27 riposano sulle differenze culturali. Non sono le differenze, ma è la loro perdita a provocare una rivalità e una lotta incontrollabili tra gli uomini di una stessa società. La crisi sacrificale, ossia la perdita del sacrificio, si definisce come crisi delle differenze, cioè dell'ordine culturale (che non è che un sistema organizzato di differenze) nel suo insieme. Una volta perduta tale differenza si perde pure quella fra violenza impura e violenza purificatrice e allora non esiste più purificazione possibile e la violenza impura, che è contagiosa, si diffonde nella comunità28. Anche la tragedia, che si radica in una crisi del rituale e di tutte le differenze, parla quindi della distruzione dell'ordine culturale. Essa può aiutarci nella comprensione di tale crisi e di tutti i problemi, da essa inseparabili, della religione primitiva che ha sempre l'unico scopo di impedire il ritorno della violenza reciproca: la tragedia fornisce dunque una via di accesso privilegiata ai grandi problemi dell'etnologia religiosa29. Contrariamente a quanto accade nel pensiero moderno, per il pensiero primitivo l'assimilazione della violenza alla non-differenziazione è un fatto immediatamente evidente. Girard analizza uno dei fenomeni religiosi più spettacolari sul piano dell'etnologia religiosa: il fatto che in numerose società primitive i gemelli ispirano uno straordinario terrore30. Ma non c'è da stupirsi che i gemelli facciano paura, poiché essi sembrano annunciare la violenza indifferenziata, cioè il pericolo maggiore per qualunque società primitiva. Anche gli esempi mitologici, letterari, storici, sono quasi tutti esempi di conflitto: la presenza di fratelli nemici in certi miti greci e nelle tragedie ci suggerisce una presenza costante della crisi sacrificale riportata con unico stesso meccanismo simbolico31. Girard, che considera i miti come delle riletture a ritroso fatte a partire dall'ordine culturale nato dalla crisi, ritiene che nei miti le tracce della crisi sacrificale siano però più difficilmente decifrabili che nella tragedia. In essa, spiegazione sempre parziale dei motivi mitici, il poeta fa invece rinascere la reciprocità violenta: tutto diventa antagonismo nel tentativo di riequilibrare ciò che il mito rende squilibrato. La tragedia, diffondendo e moltiplicando la violenza all'infinito, riconduce tutti i rapporti umani all'unità di uno stesso antagonismo tragico, tendendo così a dissolvere i temi del mito nella loro violenza originaria: la tragedia è strettamente legata alla violenza, è "figlia della crisi sacrificale"32.

 

Per delineare la figura della vittima espiatoria Girard analizza il mito di Edipo attraverso l'analisi della tragedia Edipo re di Sofocle.

Nella tragedia l'ira è presente ovunque: non è Edipo ad avere il monopolio dell'ira, giacché non vi sarebbe disputa tragica se anche gli altri protagonisti non andassero in collera. Le loro ire seguono quelle dell'eroe solo con un certo ritardo, per cui si è tentati di riconoscere in loro "giuste rappresaglie, ire seconde e perdonabili rispetto all'ira prima e imperdonabile di Edipo. Ma l'ira di Edipo è sempre preceduta e determinata da un'ira anteriore. E nemmeno questa è veramente originaria"33. La sola differenza tra Edipo e i suoi avversari sta nel fatto che Edipo, poiché è il primo ad entrare in gioco nella tragedia, è sempre in anticipo sugli altri. Ciascuno si crede capace di padroneggiare la violenza mentre in realtà è la violenza che trascina successivamente tutti i protagonisti inserendoli, sebbene inconsapevoli, nel gioco di quella reciprocità violenta a cui credono sempre di sfuggire. I protagonisti della tragedia si riducono tutti all'identità di una stessa violenza e sono ugualmente responsabili poiché tutti partecipano alla distruzione dell'ordine culturale; ognuno vede nell'altro l'usurpatore di una legittimità che crede di difendere ma che in realtà non smette di indebolire34.

Il mito non pone però esplicitamente il problema della differenza ma lo risolve tramite il parricidio e l'incesto. Nel mito non si parla infatti di identità e di reciprocità tra Edipo e gli altri: di Edipo si può affermare però almeno una cosa che non è valida per nessun altro e cioè che egli solo è colpevole del parricidio e dell'incesto. Queste colpe si presentano come un'eccezione così mostruosa che Edipo non assomiglia a nessuno e nessuno assomiglia ad Edipo: ma la sua caduta non è una mostruosità eccezionale, bensì è il risultato della sconfitta nello scontro tragico35. Sono pertanto il parricidio e l'incesto a completare il processo dell'indifferenziazione violenta. In primo luogo il parricidio è l'instaurazione della reciprocità violenta tra padre e figlio, è la trasformazione del rapporto paterno in fraternità conflittuale. Assorbendo persino il rapporto tra padre e figlio la reciprocità violenta non lascia più nulla fuori del suo raggio: assorbe quel rapporto facendone una rivalità non per un oggetto qualsiasi ma per la madre, vale a dire per l'oggetto più formalmente riservato al padre e più rigorosamente vietato al figlio. In secondo luogo anche l'incesto è una violenza estrema che distrugge la differenza principale entro la famiglia36. Il parricidio e l' incesto acquisiscono quindi il loro significato soltanto entro la crisi sacrificale e in relazione ad essa: entrambi mascherano più che chiarire la crisi sacrificale. I delitti di Edipo significano la fine di ogni differenza ma diventano, per il fatto di essere attribuiti ad un individuo particolare, una nuova differenza, la mostruosità del solo Edipo. Alla violenza reciproca ovunque diffusa il mito sostituisce la tremenda trasgressione di un individuo unico, Edipo, che è il responsabile per eccellenza delle sventure della città: il suo ruolo è quello di un vero e proprio capro espiatorio umano. Una sola vittima può pertanto sostituirsi a tutte le vittime potenziali: tutti i rancori sparsi su tanti individui differenti convergono così su un unico individuo, sulla vittima espiatoria. Quanto siano sottovalutati gli effetti della violenza collettiva37 ci è mostrato dalla presenza del mito edipico in tempi e luoghi differenti, dal carattere imprescrittibile dei suoi temi, dal rispetto quasi religioso di cui la cultura moderna continua a circondarlo. I1 meccanismo della violenza reciproca può essere descritto come un circolo vizioso in termini di vendetta e di rappresaglia dal quale la comunità, una volta inseritasi, non è più in grado di uscire. Finché entro la comunità vi è un capitale di odio e di diffidenza accumulati, gli uomini continuano ad attingervi: ciascuno si prepara contro l'aggressione probabile del vicino e interpreta i suoi preparativi come la conferma delle sue tendenze aggressive.

Alla violenza va riconosciuto un carattere mimetico di intensità tale che la violenza non potrebbe morire da sé una volta innestata nella comunità. Gli uomini tendono a convincersi che uno solo di loro è responsabile di tutta la mimesis violenta, che in lui si trova la macchia che li contamina tutti: distruggendo la vittima espiatoria gli uomini crederanno allora possibile sbarazzarsi del loro male ed effettivamente se ne libereranno poiché tra loro non ci sarà più la violenza fascinatrice. Girard ritiene che noi moderni concediamo invece solo un'importanza minima al meccanismo della vittima espiatoria, poiché essa dissimula agli uomini la verità della loro violenza38; egli sente la violenza come qualcosa di 'comunicabile'. Per guarire la città bisogna identificare ed allontanare l'essere impuro la cui presenza contamina tutta la città: è cioé necessario che tutti si mettano d'accordo sull'identità di un unico colpevole e sono il parricidio e l'incesto a procurare alla comunità ciò di cui essa ha bisogno per cancellare la crisi sacrificale39.

La funzione del sacrificio descritta da Girard richiede "il fondamento della vittima espiatoria, ossia dell'unanimità violenta; nel sacrificio rituale la vittima realmente immolata svia la violenza dai suoi oggetti naturali che si trovano all'interno della comunità. Ma a chi è sostituita questa vittima?"40. La vittima rituale non è mai sostituita né a un membro della comunità né alla comunità intera, ma viene sempre sostituita alla vittima espiatoria. Poiché tale vittima viene sostituita a tutti i membri della comunità, la sostituzione sacrificale svolge proprio il ruolo che già le è stato attribuito: tramite la vittima espiatoria protegge tutti i membri della comunità dalle loro rispettive violenze. La violenza originaria è unica e spontanea, mentre i sacrifici rituali sono invece molteplici e ripetuti41. I1 sacrificio rituale è pertanto fondato su una duplice sostituzione: la prima, che non si scorge mai, è la sostituzione di tutti i membri della comunità a uno solo e poggia sul meccanismo della vittima espiatoria; la seconda, la sola propriamente rituale, si sovrappone alla prima e sostituisce alla vittima originaria una vittima appartenente a una categoria sacrificale. Va messo in evidenza che la vittima espiatoria è interna alla comunità mentre la vittima rituale è esterna. Riconosciamo infine il carattere fondamentalmente mimetico del sacrificio rispetto alla violenza fondatrice42: la violenza, per conservare la sua efficacia, deve affascinare e perciò nel rito la violenza reale persiste ancora, anche se esso è essenzialmente orientato verso l'ordine e la pace. Persino i riti più violenti mirano realmente a scacciare la violenza, in quanto se i riti sono violenti si tratta sempre di mettere in atto una violenza minore a baluardo di una violenza peggiore; i riti cercano sempre di riallacciarsi alla pace più grande che la comunità conosca, quella che dopo l'uccisione risulta dall'unanimità attorno alla vittima. Il rito è possibile perché gli uomini fanno sempre una differenza entro la violenza: il rito elegge una certa forma di violenza come 'buona' e necessaria all'unità della comunità, contrapposta ad un'altra violenza che rimane 'cattiva' perché resta assimilata alla cattiva reciprocità.

 

Analizzando il fenomeno religioso Girard si imbatte continuamente in due fondamentali componenti, il mito e il rito, delle quali è importante riuscire a conoscere il rapporto che le lega. Due sono le tesi che gli studiosi contrappongono: una riconduce il rituale al mito43, l'altra riconduce il mito al rituale44. L'ipotesi storico-genetica secondo cui "il mito dipende dal rito" o, più ampiamente, i miti sono intimamente associati ai rituali, ove si tende chiaramente a privilegiare il rito nei confronti del mito, è stata abbozzata da Robertson Smith45 ed ottiene poi ampi consensi quando viene accettata dal Frazer e assunta come presupposto fondamentale del Ramo d'oro46. A favore di questa teoria si schierano poi classicisti47, storici delle religioni del vicino Oriente48 e antropologi49. A proposito di questo rapporto mito-rito Girard riporta la tesi di Hubert e Mauss che "riconduce al rituale non solo i miti e gli dèi ma, in Grecia, anche la tragedia e le altre forme culturali"50. I1 sacrificio appare quindi a Hubert e Mauss51 come l'origine di tutto il religioso, per cui i due antropologi non ritengono necessario interessarsi né dell'origine né della funzione del sacrificio. Si dedicano invece alla descrizione sistematica dei sacrifici dalla quale emerge che la somiglianza dei riti nelle diverse culture che praticano il sacrificio è stupefacente e che le variazioni da cultura a cultura non sono mai sufficienti per compromettere la specificità del fenomeno. Girard critica quella che definisce come 'posizione rinunciataria' dei contemporanei che accettano la tendenza prefigurata da Hubert e Mauss di descrivere il sacrificio al di fuori di ogni cultura particolare, come se si trattasse di una specie di tecnica52 e non si preoccupano più né di riferire il rituale al mito né il mito al rituale. Girard rimpiange la curiosità dei predecessori perché "non basta dichiarare formalmente inesistenti certi problemi con una benedizione puramente 'simbolica', per insediarsi, senza incontrare opposizioni, nella scienza. La scienza non è una soluzione di ripiego rispetto alle ambizioni della filosofia, una saggia rassegnazione. E' un'altra maniera di soddisfare quelle ambizioni''53. Si rallegra invece del fatto che di tanto in tanto si levi però una voce, cita ad esempio quella di Jensen, a ricordare la stranezza di un'istituzione quale il sacrificio, dal momento che "ci saranno volute esperienze particolarmente sconvolgenti per portare l'uomo a introdurre nella sua vita atti tanto crudeli. Quali ne furono i motivi? ... Il pensiero mitico ritorna sempre a ciò che è accaduto la prima volta, all'atto creatore, ritenendo a giusto titolo che è quello a fornire su un dato fatto la testimonianza più viva''54.

Allontanandosi dalla 'rinuncia' di Mauss e avvicinandosi a Jensen nel ritenere importante stabilire ciò che è accaduto la prima volta, Girard approfitta per specificare ulteriormente la sua tesi fondamentale. Innanzitutto crede che a questo punto sia obbligatorio chiedersi se "la prima volta non sia realmente accaduto qualcosa di decisivo. Bisogna ricominciare a porre le domande tradizionali in un quadro rinnovato dal rigore metodologico dei nostri tempi''55. Se esiste un'origine reale che i miti non smettono di rammentare e che i rituali non smettono di commemorare, deve trattarsi di un evento che ha fatto sugli uomini un'impressione che, sebbene sia cancellabile dal momento che essi finiscono per dimenticarla, è tuttavia molto forte. La molteplicità delle "commemorazioni rituali che consistono in una condanna a morte fa pensare che l'evento originario sia di norma un'uccisione''56. Un pò ovunque si ritrovano tracce della tesi che fa del rituale l'imitazione e la ripetizione di una violenza unanime e in realtà basta porla in evidenza per chiarire nelle forme rituali e mitiche certe analogie che passano spesso inosservate: spicca ad esempio che in uno straordinario numero di sacrifici deve essere soddisfatta l'esigenza di partecipazione collettiva, perlomeno sotto forma simbolica57. La considerevole uniformità dei sacrifici fa inoltre pensare che si tratti proprio dello "stesso tipo d'uccisione in tutte le società"58. La soluzione proposta da Girard è, ancora una volta, rintracciabile nella crisi sacrificale e nel meccanismo della vittima espiatoria. E' a questo punto che si presenta nuovamente allo studioso francese l'occasione di delineare ancora piu chiaramente la sua posizione funzionalista: benché il religioso sia l'unica istituzione sociale di cui la scienza non sia mai riuscita ad individuare l'autentica funzione, egli identifica la funzione del religioso nel perpetuare o nel rinnovare gli effetti del meccanisno della vittima espiatoria, ossia nel mantenere la violenza fuori dalla comunità. Girard pensa che la violenza contro la vittima espiatoria potrebbe essere fondatrice nel senso che, ponendo fine al circolo vizioso della violenza, avvia un altro circolo vizioso, quello del sacrificio rituale, che potrebbe essere proprio quello dell'intera cultura. Tutti i miti d'origine che si rifanno all'uccisione di una creatura mitica affermano, anche se non apertamente, che la violenza fondatrice costituisce realmente l'origine di tutto ciò che gli uomini tendono maggiormente a preservare: è una violenza dunque ad essere indicata come la fondatrice dell'ordine culturale59. L'individuazione del meccanismo della vittima espiatoria permette di comprendere che i sacrificatori mirano allo scopo di riprodurre il più esattamente possibile il modello di una crisi anteriore che si è risolta grazie al meccanismo della vittima espiatoria. Tutti i pericoli che minacciano la comunità vengono assimilati alla crisi sacrificale, il pericolo più terribile che possa affrontare una società. "Il rito è la ripetizione di un primo linciaggio spontaneo che ha riportato l'ordine nella comunità perchè ha ricreato contro la vittima espiatoria e attorno ad essa l'unità perduta nella violenza reciproca"60 .

Fra gli esempi portati da Girard al fine di avvalorare la sua tesi interessante è quello sui sacrifici animali. Poichè ritiene che non ci sia differenza essenziale tra il sacrificio umano e il sacrificio animale, Girard pensa che anche il sacrificio animale possa definirsi come mimesi di un omicidio collettivo fondatore. Allo scopo di mostrare che anche un sacrificio animale ha per modello la morte di una vittima espiatoria si rivolge a una società in cui il sacrificio è ancora vivo ed "è stato descritto da un etnologo competente''61. Lo studioso francese si riferisce a Lienhardt che ha dettagliatamente descritto parecchie cerimonie sacrificali osservate tra i Dinka e che "definisce la vittima come scapegoat, un capro espiatorio che diviene il veicolo delle passioni umane''62: "è nel momento immediatamente precedente la morte fisica della bestia, quando l'ultima invocazione risuona più alta e la lancia viene conficcata più in profondità, che quelli che partecipano alla cerimonia sono più chiaramente membri di un solo corpo indifferenziato, tesi ad un unico scopo comune. Dopo l'uccisione della vittima i loro caratteri individuali, le loro differenze personali e familiari e le diverse esigenze e diritti pertinenti al lorostatus appaiono di nuovo chiaramente"63. L'etnologo in questo passo, descrivendo il sacrificio Dinka, intendeva delineare le fasi di aggregazione e di segmentazione che caratterizzano la maggior parte dei rituali: gli individui e i gruppi si riuniscono per rappresentare un rituale durante il quale abbandonano gradualmente il loro senso di identità separata per sentirsi parte di una più vasta totalità sociale unita da legami di parentela, di commensalità, di scopo comune. Lienhardt osserva che il momento in cui finisce l'aggregazione e comincia la fase di segmentazione è quello in cui la vittima viene uccisa e la sua carne divisa: la segmentazione sociale coincide con la divisione sacrificale della carne, mentre l'aggregazione fa riferimento ad una vittima intera che contiene già nel suo corpo la potenzialità di essere divisa in pezzi differenti. Anche Girard sottolinea "l'esigenza di partecipazione collettiva, perlomeno sotto forma simbolica"64 dei rituali e conclude che la funzione del sacrificio "non solo permette ma richiede il fondamento della vittima espiatoria, ossia dell'unanimità violenta"65. La funzione essenziale del rito consiste nell'evitare il ritorno della crisi sacrificale e nel convertire la violenza 'cattiva' e 'contagiosa' in valori culturali positivi: "il rito elegge una certa forma di violenza come 'buona', palesemente necessaria all'unità della comunità, di fronte a un'altra violenza che rimane 'cattiva' perché resta assimilata alla cattiva reciprocità"66.

Dunque Girard individua uno speciale rapporto fra rito e mito, un rapporto in funzione del quale l'azione rituale è interpretata come ripetizione, rinnovamento, ricostituzione di un modello prototipico. L'atto sacrificale diventa ripetizione rituale di sacrificio: in tal senso il rituale sacrificale di tipo ripetitivo potrebbe rientrare nei riti di rifondazione di beni ed istituti culturali, nella misura in cui il sacrificio costituisce un istituto che conserva e garantisce una struttura culturale67. E' invece del tutto assente l'aspetto del ricordo, della commemorazione, della memoria: è costante l'oblio dei meccanismi costitutivi del sacro, nascosti dalla testualità mitica e dai comportamenti sacralizzati. I testi mitico-religiosi, i racconti delle gesta eroiche dei fondatori, i riti studiati dall'etnologia, sono l'ambito in cui la verità nascosta del meccanismo fondatore è presente ma non del tutto chiara, poiché viene occultata dalla necessità stessa del suo funzionamento. Il polarizzarsi della violenza collettiva su una vittima espiatoria68 dà vita ad un sistema di rappresentazione articolato in miti e riti con strategie che saranno poi prolungate anche nel lavoro e nella scienza. "La 'rottura epistemologica' ci permette di non riconoscere nel rito il nostro educatore di sempre, il primo e fondamentale modo d'esplorazione e di trasformazione del reale"69. Se il meccanismo della vittima vuole avere successo deve dissimularsi: la verità del capro espiatorio (la sua innocenza) è sovversiva in quanto presenta l'inerme e dilacerato corpo della vittima come mezzo per attuare la riconciliazione del gruppo sociale.

 
 
 
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