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Messaggi del 17/11/2017

DALL'ANTICO EGITTO....

Post n°1522 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli

DA INTERNET

L'analisi del DNA ricavato da mummie egizie

mostra che il flusso genetico proveniente

dalle popolazioni sub-sahariane presente

nella popolazione odierna è piuttosto recente.

Le precedenti, floride colonie greche e romane

in Egitto non sembrano invece aver lasciato

una traccia apprezzabile di sè

geneticaarcheologiaGli antichi egizi erano

strettamente legati alle popolazioni del Medio

Oriente e alle popolazioni neolitiche della penisola

anatolica e dell'Europa. Nel genoma degli egiziani

di oggi si trovano invece chiare tracce di significative

interazioni con popolazioni sub-sahariane, del tutto

assenti negli egizi del tempo dei faraoni.

A stabilirlo è uno studio condotto da ricercatori

dell'Università di Tübingen e del Max Planck Institut

per la scienza della storia umana a Jena, che sono

riusciti a sequenziare il genoma mitocondriale e

nucleare tratto da antiche mummie. La ricerca è

descritta in un articolo su "Nature Communications".

Anche se questa non è la prima analisi condotta

su antico DNA ricavato da mummie egizie, gli autori

osservano che si tratta dei primi risultati veramente

affidabili, grazie al ricorso alle più avanzate tecniche

di sequenziamento e all'uso sistematico di test di

autenticità per garantire l'origine effettivamente

antica dei dati ottenuti.

"Il clima caldo egiziano, i livelli elevati di umidità

in molte tombe e alcune delle sostanze chimiche

usate nelle tecniche di mummificazione contribuiscono

al degrado del DNA. Si riteneva quindi che fosse

improbabile la sopravvivenza a lungo termine del

DNA nelle mummie egiziane", spiega Johannes Krause,

coautore dello studio.

A partire da 151 campioni prelevati da mummie

conservate in musei di Tübingen e Berlino, i ricercatori

sono riusciti a estrarre e sequenziare il genoma

mitocondriale di 90 individui e quello nucleare di tre.

Dal genoma delle mummie la storia degli antichi EgiziRicostruzione artistica del sito di Abusir (Heritage / AGF)

Le mummie prese in esame coprono un

lasso di tempo di circa 1300 anni, e provengono

tutte dal sito di di Abusir el-Meleq, nel Medio Egitto.

Le analisi hanno mostrato una stretta continuità

genetica nelle popolazioni di Abusir el-Meleq vissute

 in epoca pre-tolemaica (prima del 332 a.C.), tolemaica

(fra il 332 e il 30 a.C.) e romana (successiva al 30 a.C.),

indicando che a dispetto della notevole influenza

culturale e politica esercitate nel periodo più tardo da

greci e romani, il loro contributo genetico alla popolazione

egizia fu trascurabile.

È tuttavia possibile - osservano i ricercatori - che l'impatto

genetico dell'immigrazione greca e romana sia stato più

pronunciato nel Delta nord-occidentale del Nilo, nella

regione di Fayum, dove risiedeva un'importante colonia

greco-romana, oppure tra le classi più alte della società

egizia.

Probabilmente il mescolamento delle popolazioni fu

limitato a causa della politica di Roma di ostacolare i

matrimoni fra romani e locali. Sposandosi con un cittadino

romano, si acquisiva infatti la cittadinanza romana,

ambita per i privilegi che comportava.

Dal genoma delle mummie la storia degli antichi EgiziSarcofago proveniente dal sito di Abusir

(bpk/Aegyptisches Museum und Papyrussammlung,

SMB/Sandra Steiss)I dati suggeriscono anche che

il flusso genetico dalle regioni sub-sahariane - che

nella popolazione egiziana attuale costituisce l'8

per cento del genoma - si è verificato ben più tardi.

All'origine della mescolanza - ipotizzano i ricercatori -

vi fu forse il miglioramento della mobilità lungo il Nilo,

l'aumento dei commerci su lunga distanza tra l'Africa

sub-sahariana e l'Egitto e ancor più, la tratta degli

schiavi lungo le vie carovaniere che attraversano

il Sahara e che iniziò solo 1300 anni fa.                                                                          

 
 
 

REPERTI DI UN'ANTICHISSIMA AGRICOLTURA....

Post n°1521 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli

DA INTERNET

Ritrovati in un sito vicino all'isola di Wight

resti di grano domesticato risalenti a 2000

anni prima dell'arrivo dell'agricoltura in Gran

Bretagna. Le analisi hanno dimostrato che

non era stato coltivato sull'isola, ma importato

dal continente. La scoperta dimostra che i

rapporti fra le popolazioni autoctone di cacciatori

-raccoglitori e i primi coltivatori giunti da Oriente

non furono solo conflittuali.

archeologiaagricolturaGli antichi abitanti della

Gran Bretagna iniziarono a consumare grano

coltivato circa duemila anni prima che l'agricoltura

facesse la sua comparsa sull'isola, importandolo

dal continente. La scoperta, fatta da ricercatori

delle Università di Warwick, di Bradford e del

Dipartimento di archeologia marina del National

Oceanography Centre a  Southampton, indica

che i rapporti tra i cacciatori-raccoglitori e i primi

agricoltori furono evidentemente più complessi

del previsto, e non solamente conflittuali.

Il risultato ottenuto da Oliver Smith e colleghi,

descritto in un articolo pubblicato su "Science",

è il frutto dell'analisi genetica di reperti vegetali

scoperti nell'antico sito del Mesolitico britannico di

Bouldnor Cliff. Il sito attualmente riposa sotto i

sedimenti marini al largo della costa dell'isola di

Wight, ma all'epoca, quando il livello del mare era

più basso, si trovava sulla terraferma.

Un commercio del grano 2000 anni prima dell'agricolturaCortesia University of WarwickSotto i sedimenti,

in uno strato databile a circa 8000 anni

fa ricoperto da una torbiera, sono state

trovate tracce di strumenti in legno lavorato,

selce bruciata, gusci di nocciole e residui

vegetali, di cui i ricercatori hanno analizzato

l'antico DNA, scoprendo l'inaspettata presenza

di grano.

Anche se già 10.500 anni fa gruppi di contadini

dell'antica Anatolia potevano contare su piante

e animali domesticati, gli agricoltori arrivarono

nei Balcani solo tra 8000 e 9000 anni fa, per

poi diffondersi verso occidente attraverso il

Mediterraneo e a settentrione lungo il Danubio

e  raggiungere la Francia occidentale e la

Renania circa 7500 anni fa. La prima prova

della coltivazione di cereali in Gran Bretagna

risale a 6000 anni fa, molto tempo dopo rispetto

all'altra sponda della Manica.

La nuova scoperta smentisce l'idea che gli abitanti

dell'isola non consumassero grano ma conferma

indirettamente il ritardo nell'adozione dell'agricoltura.

L'analisi del DNA ha infatti mostrato che la varietà di

grano domesticato trovata era quella tipica delle

antiche coltivazioni nel Vicino Oriente, geneticamente

ben distinta da quelle che hanno caratterizzato la

diffusione dell'agricoltura in Nord Europa e nella

stessa Gran Bretagna.

La conclusione che si trattasse di derrate importate

è ulteriormente suffragata sia dall'assenza di qualsiasi

reperto archeologico riconducibile a pratiche agricole,

sia - e ancor più - dalla totale assenza di pollini di grano

negli strati sedimentari analizzati.

 
 
 

LE PIRAMIDI E L'ECONOMIA DELL'ANTICO EGITTO.....

Post n°1520 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli

DA INTERNET

Sfruttando i muoni prodotti dall'interazione dei

raggi cosmici con l'atmosfera per effettuare una

sorta di radiografia, è stato scoperto un vasto

spazio vuoto all'interno della piramide di Cheope

a Giza. Lungo almeno 30 metri, si trova al di sopra

della Grande Galleria ma la sua funzione è ancora

sconosciuta.

La moderna fisica delle particelle può dare una

grossa mano agli archeologi che si occupano di

civiltà antiche. Lo dimostra un nuovo studio

pubblicato su "Nature" da una collaborazione

franco-giapponese: utilizzando una tecnica di

imaging a base di raggi cosmici i ricercatori hanno

scoperto un grande spazio vuoto all'interno della

piramide di Cheope.


La piramide di Cheope è la più grande delle tre

che si trovano nella piana di Giza: è infatti alta 139

metri e larga 230 metri. Fu edificata durante il regno

del faraone da cui prende il nome, che regnò sull'Egitto

dal 2509 al 2483 a.C., ma malgrado le numerose ricerche

di cui è stata oggetto non è ancora chiaro in che modo

sia stata costruita.

I muoni scoprono una nuova camera nella piramide di CheopeLa piramide di Cheope

Erodoto ne descrisse la costruzione, ma il suo

resoconto risale al 440 a.C., cioè quasi 2000

anni dopo, mentre un papiro scoperto nel 2013

contiene la logistica della costruzione, come le

modalità di trasporto delle pietre utilizzate, ma

non parla delle tecniche costruttive.

Finora, all'interno della piramide erano note tre

camere, poste a differenti altezze ma tutte

orientate secondo la direzione nord-sud: la camera

sotterranea, la camera della regina, e la camera del re.

Queste camere sono collegate da diversi corridoi,

il più imponente dei quali è la cosiddetta Grande Galleria,

lunga 46,7 metri, con un'altezza di 8,6 metri e una

larghezza variabile tra uno e due metri. Si ritiene che

l'entrata originale sia il cosiddetto corridoio discendente,

che parte dalla facciata nord, ma attualmente i turisti

entrano nella piramide attraverso un tunnel attribuito

al califfo al-Ma'mun's, e costruito intorno all'anno 820 d.C..

I muoni scoprono una nuova camera nella piramide di Cheope

La grande cavità individuata potrebbe avere un

andamento parallelo al suolo, come mostrato

in questa immagine, o parallelo alla Grande Galleria.

(Cortesia ScanPyramids Mission)La difficoltà di esplorare

altri tunnel presenti all'interno della piramide ha spinto 

i ricercatori a rivolgersi a tecniche di analisi fisica. Grazie

a esse, già nel 1970 un gruppo di ricercatori stabilì che

nella piramide di Chefren, la seconda della piana di Giza,

non c'è alcuna camera nascosta.

Il risultato fu ottenuto con una tecnica basata sui raggi

cosmici e i muoni. I raggi cosmici sono particelle cariche

che costantemente provengono dallo spazio profondo e

investono la Terra. Interagendo con gli atomi dei gas che

si trovano negli strati più alti dell'atmosfera, i raggi cosmici

producono altre particelle chiamate muoni che si muovono

a una velocità prossima a quella della luce e investono

la superficie terrestre con un flusso di circa 10.000 particelle

per metro quadrato.

In modo simile ai raggi X, che possono penetrare

il corpo umano permettendo di visualizzare le ossa,

i muoni sono molto penetranti, ma hanno traiettorie

diverse quando si propagano nell'aria o all'interno

delle rocce, e quindi possono essere sfruttati per

distinguere i volumi pieni da quelli vuoti in strutture

complesse e di difficile accesso. Negli ultimi anni,

sono stati infatti usati con successo sia in archeologia,

per esempio nella piramide del Sole a Teotihuacan,

sia per studiare la densità del magma all'interno dei vulcani.

I muoni scoprono una nuova camera nella piramide di Cheope

Una fase della collocazione delle lastre per

la rilevazione dei muoni all'interno della piramide.

(ScanPyramids Mission)Sfruttando contemporaneamente

tre diverse tecniche di analisi basate sui muoni, più

precise e accurate di quelle usate nel 1970, Kunihiro

Morishima e colleghi ora sono riusciti a visualizzare

un grande vuoto all'interno della piramide di Cheope

e a determinarne forma e dimensioni. Si tratterebbe

di uno spazio lungo almeno 30 metri, con una sezione

simile alla Grande Galleria, che si trova proprio al di sotto.

La precisa struttura e il ruolo questo nuovo spazio

interno sono sconosciuti, ma la scoperta offre una

buona base di partenza per ulteriori studi sulla struttura

e le possibili tecniche costruttive della piramide di Cheope

e conferma l'utilità del ricorso a tecniche di fisica delle

particelle per indagare su antiche strutture.

 

 
 
 

LA STORIA DELLE MIGRAZIONI UMANE....

Post n°1519 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli

Olocene: così chiamano gli studiosi il periodo

di clima caldo e stabile in cui ci troviamo da

11.000 anni circa, durante il quale le migrazioni

umane in Europa sono aumentate considerevolmente,

ma non in modo graduale: si sono concentrate in tre

ondate distinte, secondo quanto stabilito da un nuovo

studio pubblicato su "Proceedings of the National

Academy of Sciences".

Il risultato è stato reso possibile dall'applicazione di

un nuovo metodo di datazione in grado di quantificare,

grazie all'analisi di dati genetici, i cambiamenti nelle

migrazioni degli ultimi 30.000 anni.

Le grandi migrazioni degli antichi europeiTassi di migrazione umana stimati durante lo studio

La storia delle migrazioni della nostra specie

è di estrema rilevanza per gli archeologi. La

mobilità umana ha infatti influenzato molti

aspetti della nostra evoluzione: ha plasmato

il nostro corredo genetico, contribuito a diffondere

idee e tecnologie e influenzato la nostra capacità

di adattamento all'ambiente.

Per ricostruire le dinamiche migratorie che hanno

preceduto l'avvento delle documentazioni scritte,

gli studiosi si concentrano anzitutto i cambiamenti

rilevabili nelle tecniche di realizzazione di manufatti

come utensili di pietra, vasellame e monete, o nelle

varietà agricole.

Purtroppo però i dati ricavati da questi studi spesso

possono dar luogo a varie interpretazioni. Un contributo

molto più affidabile viene dalla genetica: le recenti

tecniche di analisi del DNA estratto dagli antichi reperti

umani hanno infatti raggiunto una notevole accuratezza,

permettendo di confrontare i tassi di mobilità delle

popolazioni preistoriche in diversi periodi e in

diverse regioni geografiche.

Le grandi migrazioni degli antichi europeiRappresentazione artistica delle prime

attività di agricoltura

Secondo i risultati, la prima ondata migratoria

si verificò quando l'agricoltura si diffuse dal

Medio Oriente verso tutta l'Europa, a partire

da 9000 anni fa. La seconda coincise con l'inizio

dell'Età del bronzo (circa 5500 anni fa), quando 

iniziarono a fiorire le prime civiltà complesse,

si cominciarono a sfruttare i cavalli per il trasporto

e furono inventati il carro e la biga, e si stabilirono

nuove rotte commerciali attraverso l'Asia e l'Europa.

La terza ondata avvenne durante l'Età del ferro

(a partire da 3000 anni fa), un periodo che vide

un notevole incremento nella dimensione delle

popolazioni, dei commerci e delle guerre.

Al contrario, la mobilità umana fu bassa nelle

popolazioni di cacciatori-raccoglitori che vivevano

in Europa prima dell'arrivo degli agricoltori, in

particolare durante l'ultima glaciazione circa 20.000 anni fa.

I dati raccolti confermano l'esistenza di un forte legame

tra la mobilità umana e i cambiamenti tecnologici.

"Questi risultati sono interessanti: tradizionalmente,

gli studiosi hanno associato l'economia legata a caccia

e raccolta al nomadismo e all'elevata mobilità, e lo sviluppo

dei primi villaggi di agricoltori alle società sedentarie",

ha sottolineato Marta Mirazón Lahr della Università di

Cambridge coautrice dello studio. "Ora siamo venuti a

conoscenza di dinamiche meno scontate: i primi agricoltori

erano in movimento per cercare sempre più territori e

così soddisfare le necessità di popolazioni sempre più

grandi, mentre sembra che i cacciatori del periodo post

glaciale siano riusciti a soddisfare localmente le loro

necessità di sussistenza".

Uno degli aspetti più interessanti del nuovo studio è

che il metodo utilizzato non è limitato ai dati genetici

ma consente di studiare anche le variazioni di forma

degli antichi fossili.

"Questo è possibile perché l'impianto matematico

dietro il nostro metodo può essere esteso oltre gli

studi delle migrazioni umane", ha detto Liisa Loog,

che ha partecipato allo studio. "Potremmo  studiare

anche le migrazioni di animali estinti da molto tempo,

e in teoria anche dati culturali: questo ci permetterebbe

di identificare non solo le variazioni dei tassi delle

migrazioni delle popolazioni, ma anche i tassi di

diffusione delle idee e degli oggetti".

 
 
 

LE STRUTTURE SOCIALI PRIMITIVE......

Post n°1518 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli

DA INTERNET

Una serie di scavi archeologici condotti

nella regione tedesca del Lechtal, nella

parte meridionale della Baviera, ha rivelato

particolari inaspettati della struttura delle

società umane nel periodo a cavallo tra

l'Età della pietra e l'Età del bronzo, in particolare

sugli spostamenti delle persone e quindi degli

oggetti e delle idee che portavano con sé.

L'analisi dei resti di alcuni individui sepolti in

insediamenti dell'epoca, pubblicata sui "Proceedings

of the National Academy of Sciences" da Philipp

Stockhammer della Ludwig-Maximilians-Universität

di Monaco di Baviera e colleghi, mostra infatti

che mentre gli uomini erano originari della zona,

le donne venivano da altre località, probabilmente

dalla Boemia o dalla Germania centrale, secondo

una struttura sociale detta patrilocale. Sulla base

delle prove raccolte, gli autori sono convinti che la

mobilità femminile non fosse un fenomeno temporaneo,

perché durò per circa 800 anni, e neanche sporadico.


La mobilità femminile tra Neolitico ed Età del bronzo

Resti di uno scheletro di donna risalente a 4000 anni fa analizzati

durante lo studio (Credit: Stadtarchäologie Augsburg)

I ricercatori hanno analizzato i resti fossili di 84 individui

sepolti tra il 2500 a.C. e il 1650 a.C. in cimiteri che

contenevano fino ad alcune decine di sepolture nell'arco

di diverse generazioni. Dalle analisi genetiche e isotopiche,

in particolare del contenuto di stronzio dello smalto dentale,

associate a valutazioni archeologiche, è emerso che i

resti di individui di sesso femminile avevano una

notevole variabilità genetica.

Ciò indica che molte donne si stabilirono nella zona

provenendo da altri luoghi. Tuttavia, le loro sepolture

non erano diverse da quelle degli uomini, suggerendo,

secondo i ricercatori, che queste donne straniere erano

perfettamente integrate nelle strutture sociali che le accoglievano.

"Gli insediamenti erano collocati in una lingua di terreno

fertile nel mezzo della Valle del Lech: i villaggi di grandi

dimensioni non esistevano a quell'epoca", ha spiegato

Stockhammer. "La mobilità individuale era una delle

caratteristiche principali delle persone che vivevano

in Europa centrale nel terzo millennio prima di Cristo

e all'inizio del secondo millennio".

Dal punto di vista archeologico, i nuovi risultati

dimostrano l'importanza della mobilità femminile per

la cultura dell'Età del Bronzo. I ricercatori infatti ritengono

che questa mobilità vada vista sotto una luce del tutto

nuova, perché probabilmente aveva un ruolo

fondamentale nello scambio di oggetti e idee.

Insomma, era parte integrante della promozione

e lo sviluppo di nuove tecnologie.

"Con tutta evidenza, molti di questi scambi culturali

tradizionalmente associati alle migrazioni, erano in

realtà dovuti a una mobilità individuale delle donne,

così diffusa da far pensare che fosse istituzionalizzata".

 
 
 

ALTRE EVIDENZE SULLA SCOMPARSA DEGLI AZTECHI.....

Post n°1517 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli

DA LE SCIENZE

GLI AZTECHI SCOMPARVERO A CAUSA DI EPIDEMIE DI SALMONELLOSI?

Il sequenziamento di materiale genetico

estratto da antiche sepolture messicane

indica che il collasso della popolazione

indigena verificatosi nell'arco di un secolo

dall'arrivo deiConquistadores spagnoli può

essere stato causato da una forma

particolarmente virulenta di salmonellosi,

probabilmente proveniente dall'Europa

Una delle peggiori epidemie della storia

umana, la pestilenza del XVI secolo che

devastò la popolazione indigena del Messico,

potrebbe essere stata causata da una forma

mortale di salmonella proveniente dall'Europa,

secondo i risultati di due studi.

Nel primo studio, i ricercatori sostengono

di aver recuperato il DNA del batterio dello

stomaco da sepolture scoperte in Messico

e relative a un'infezione che ha ucciso fino

all'80 per cento degli abitanti del paese

nell'epidemia del 1540. Il gruppo riporta le

sue conclusioni in un preprint.

Il risultato potrebbe essere la prima documenta-

zione genetica del patogeno che causò il collasso

delle popolazioni indigene dopo la colonizzazione

europea, spiega Hannes Schroeder, paleogenetista

del Natural History Museum of Denmark a Copenhagen,

che non era coinvolto nel lavoro, secondo il quale

si tratta di "uno studio molto interessante".

Cadaveri e fosse
Si stima che nel 1519, quando le forze guidate dal 

conquistador spagnolo Hernando Cortés arrivarono

in Messico, la popolazione indigena fosse di circa 25

milioni di persone. Un secolo più tardi, dopo la vittoria

spagnola e una serie di epidemie, il numero si ridusse

a circa un milione.

Le più gravi di queste epidemie erano definite cocoliztli 

(che significa "pestilenza" in nahuatl, la lingua azteca).

Due importanti cocoliztli, iniziati nel 1545 e nel 1576,

uccisero dai 7 milioni ai 18 milioni di persone nelle

regioni montuose del Messico. "Nelle città e nei

grandi villaggi, si scavavano grandi fosse, e dal

mattino al tramonto i preti non facevano altro

che portare i cadaveri e gettarli nelle fosse",

annotava uno storico francescano che fu testimone

dell'epidemia del 1576.

Un'epidemia di salmonella dietro il collasso degli Aztechi?Guerrieri aztechi difendono la piramide di Tenochtitlán dai

conquistadores di Cortez (Heritage / AGF)Finora

 non c'era consenso sulla possibile causa dei cocoliztli,

anche se il morbillo, il vaiolo e il tifo sono stati tutti

chiamati in causa. Nel 2002, ricercatori della National

Autonomous University of Mexico (UNAM) a Città del

Messico ipotizzarono che dietro la carneficina vi fosse

una febbre emorragica virale, esacerbata da una siccità

catastrofica. Gli autori paragonarono le dimensioni

dell'epidemia del 1545 a quelle della peste nera nel

XIV secolo in Europa.

Genomica batterica
Nel tentativo di risolvere la questione, un gruppo

guidato dal genetista evoluzionista Johannes Krause

del Max-Planck-Institut per la scienza della storia umana

di Jena, in Germania, ha estratto e sequenziato il DNA

dai denti di 29 persone sepolte sugli altipiani di Oaxaca,

nel Messico meridionale.

Tutte, tranne cinque, erano correlate a un cocoliztli

che i ricercatori ritengono essersi verificato tra il 1545

e il 1550. L'antico DNA batterico recuperato da diversi

individui corrispondeva a quello di Salmonella, secondo

i confronti con un database di oltre 2.700 genomi

batterici moderni.

Un ulteriore sequenziamento di brevi frammenti

danneggiati di DNA, ricavati dai resti, ha permesso

al gruppo di ricostruire due genomi di un ceppo di 

Salmonella enterica noto come Paratyphi C. Oggi,

questo batterio provoca febbre enterica, una malattia

simile al tifo presente soprattutto nei paesi in via di

sviluppo che, se non trattata, uccide il 10-15 per

cento delle persone infettate.

Un'epidemia di salmonella dietro il collasso degli Aztechi?Microfotografia in falsi colori di del batterio

Salmonella (in rosso) (CC0 Public Domain)"

È perfettamente ragionevole che il batterio

possa aver causato questa epidemia", aggiunge

Schroeder. "L'ipotesi è ben argomentata". Ma Maria

Avila-Arcos, genetista dell'evoluzione dell'UNAM,

non è convinta. Osserva che alcuni ipotizzano che

a causare il cocoliztli sia stato un virus, che non

sarebbe stato individuato con il metodo utilizzato dal gruppo.

Il problema dell'origine
La tesi di Krause e colleghi è sostenuta anche

da un altro studio pubblicato la scorsa settimana su bioRxiv,

che solleva l'ipotesi cheSalmonella Paratyphi C sia arrivato

in Messico dal'Europa.

Un gruppo guidato da Mark Achtman, microbiologo

dell'Università di Warwick a Coventry, ha raccolto e

sequenziato il genoma del ceppo batterico estratto

dai resti di una giovane donna sepolta intorno al 1200

a Trondheim, in Norvegia. È la più antica documentazione

dell'ormai raro ceppo di Salmonella, e la prova che esso

circolava in Europa, secondo lo studio. (Entrambi i gruppi

hanno rifiutato di commentare le loro ricerche perché i loro

articoli sono stati sottoposti a una rivista peer-review.)

"Ciò che vorremmo fare è studiare i due ceppi insieme",

dice Hendrik Poinar, biologo evoluzionista della McMaster

University a Hamilton, in Canada. E se si potessero

raccogliere diversi genomi antichi in Europa e nelle

Americhe, dovrebbe essere possibile stabilire in modo

più definitivo se gli agenti patogeni mortali come

Salmonella arrivarono nel Nuovo Mondo dall'Europa.

L'esistenza di Salmonella Paratyphi C in Norvegia

300 anni prima della sua comparsa in Messico non

prova che gli europei trasmisero la febbre enterica

ai nativi messicani, dice Schroeder, ma si tratta di

un'ipotesi ragionevole.

Un'epidemia di salmonella dietro il collasso degli Aztechi?

Guerrieri aztechi in una illustrazione del IX libro

del Codice Fiorentino, l'ultima redazione della

Historia universal de las cosas de Nueva España,

di fra' Bernardino de Sahagún (CC0 Public Domain)

Una piccola percentuale di persone infette da Salmonella

Paratyphi C è portatrice sana del batterio: si può ipotizzare

che spagnoli sani abbiano infettato i messicani privi di una

resistenza naturale. Paratyphi C si trasmette attraverso la

materia fecale, e un collasso dell'ordine sociale durante la

conquista spagnola potrebbe aver portato alle cattive

condizioni sanitarie favorevoli alla diffusione di Salmonella,

spiegano nell'articolo Krause e il suo gruppo.

Lo studio di Krause indica una strada per individuare i

patogeni responsabili delle epidemie dell'antichità, dice

Schroeder. Il suo gruppo ha in programma di cercare gli

antichi agenti patogeni nei siti di sepoltura dei Caraibi

che sembrano legati alle catastrofiche epidemie che si

sono diffuse dopo l'arrivo degli europei. "Che alcune

di esse possano essere state causate da Salmonella

 è ormai una possibilità concreta", conclude.

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L'originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 16 febbraio 2017. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.

 
 
 

LA DOMESTICAZIONE DI ANTICHISSIME PIANTE...

Post n°1516 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli

DA INTERNET

L'analisi di resti carbonizzati rinvenuti

in numerosi siti non solo della Cina,

ma anche della Corea del Sud e del

Giappone indica che il processo di

domesticazione di questa pianta iniziò

presso differenti culture 2000 anni prima

di quanto si pensasse

lAlle origini del fagiolo comuneGeni,

cultura e dietaLe origini genetiche del

moderno granturcoIl frumento monococco

e l'origine dell'agricolturaLa coltivazione

preistorica del riso nell'Asia sudorientale

Sulla base della documentazione storica

e di dati genetici, finora si è ritenuto che

la domesticazione dei semi di soia (Glycine max)

fosse avvenuta per la prima volta nelle regioni

centrali della Cina circa 3000 anni fa, ma ora

una ricerca condotta da un gruppo internazionale

di archeologi - pubblicata sulla rivista on line ad

accesso pubblico "PLoS ONE" - indica che l'inizio

dello sfruttamento di questo legume sarebbe

avvenuto in tempi decisamente precedenti e

da parte di diverse culture, anche al di fuori

dei confini della Cina.

Per condurre la ricerca, gli scienziati hanno

confrontando 949 campioni di soia carbonizzati

- rinvenuti in scavi che avevano portato alla luce

resti di focolari, pavimenti e pozzi di d'interramento

di rifiuti - provenienti da 22 siti archeologici nel

nord della Cina, in Giappone e in Corea del Sud,

con 180 campioni moderni.

5500 anni fa la prima domesticazione della soia

Un fagiolo di soia carbonizzato ritrovato a Jinju,

Corea del Sud, risalente a 4,200 years ago.

Cortesia Gyoung-Ah Lee  "I fagioli di soia che

si sono conservati erano carbonizzati, e questo

ne distorce le dimensioni", ha detto Gyoung-Ah

Lee, coreano attualmente all'Università dell'Oregon.

"Così abbiamo eseguito degli esperimenti con soia

moderna, che abbiamo carbonizzato per confrontare

quanto ottenuto con i campioni storici.

Le diverse forme e dimensioni della soia possono

essere considerati indicativi di differenti tentativi

compiuti in tempi diversi da diversi gruppi culturali

in diverse aree."

Gli esperti sanno che i fagioli più grandi riflettono

la domesticazione della pianta, ma l'ampio periodo

di transizione tra la piccola soia selvatica e le varietà

ibridate più grandi è ancora in buona parte da

esplorare, ha osservato Lee. I fagioli di soia più piccoli

risultano databili a circa 9000 anni fa. Finora si disponeva

di testimonianze storiche che indicano una stretta

relazione tra l'uso della soia domesticata in Cina e

il regno della dinastia Zhou, circa 2000 anni fa,

potevano ma il nuovo studio retrodata la domesticazione

di questa leguminosa a ben 5500 anni fa.

"I fagioli di soia sembrano potersi collegare agli esseri

umani fin dai primi insediamenti sorti nel nord della Cina",

ha aggiunto Gary Crawford, dell'Università di Toronto a

Mississauga, coautore dello studio. "La soia sembra essere

una pianta che si adatta bene a un habitat sottoposto

all'impatto dell'uomo. A sua volta, l'uomo ha cominciato

presto a imparare la gustosità e l'utilità della soia."                                                                                                                                                                       

 
 
 

ANTICHI PRODIGI.....

Post n°1515 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli

DA INTERNET

4 marzo 2009

8700 anni fa la prima domesticazione del mais

8700 anni fa la prima domesticazione del mais

Le evidenze scientifiche indicano che il mais si è diffuso

a partire dall'attuale Panama circa 7600 anni fa ed era già

stabilmente presente nella parte settentrionale del Sud

America circa 6000 anni faLa lunga evoluzione del peperoncinoLa lunga evoluzione del peperoncino

5500 anni fa la prima domesticazione della soiaAlle origini del fagiolo comune

Alle origini del fagiolo comuneGeni, cultura e dieta

Le origini genetiche del moderno granturcoIl frumento

monococco e l'origine dell'agricolturaLa coltivazione

preistorica del riso nell'Asia sudorientale

 

Tra le centinaia di piante che sono state domesticate

nel Nuovo Mondo, nessuna ha ottenuto l'attenzione

ed è stata oggetto di un intenso dibattito come il mais

(Zea mays L.), probabilmente la coltivazione più importante

per l'intero continente americano.

La controversia riguarda soprattutto quale sia stato l'antenato

selvatico della pianta e quando è stato domesticato.

Ora un gruppo internazionale di scienziati guidati da Dolores

Piperno, archeobotanica dello Smithsonian's National Museum

of Natural History, ed Anthony Ranere, docente di antropologia

della Temple University di Philadelphia ha scoperto la prima

prova diretta che la domesticazione del mais è avvenuta circa

8700 anni fa, secondo le conclusioni di uno studio pubblicato

sull'ultimo numero della rivista "Proceedings of the National

Academy of Sciences".

Il fatto certo è che il mais sia stato domesticato in Messico da

una pianta chiamata "teosinte" e gli studi genetici delle popolazioni

moderne di tale pianta e del mais suggeriscono che tale processo

sia avvenuto nella valle del Rìo Balsas, una regione del Messico

tropicale sudoccidentale. Tuttavia, in quella zona non è mai stata

effettuata alcuna ricerca su insediamenti umani preistorici. 

La Piperno e il suo gruppo hanno ricercato in questa regione

del Messico siti che mostrassero tracce di insediamenti umani

per il periodo di tempo che si ritiene sia stato critico per la

domesticazione del mais, ovvero il periodo compreso tra

8000 e 9000 anni fa.

Sono così stati scoperti siti di quel periodo, dai quali sono

stati recuperati resti di utensili e specie vegetali. In particolare,

l'analisi si è focalizzata su microfossili provenienti da una caverna

nota con il nome di Xihuatoxtla.

"I nostri risultati confermano che la domesticazione del mais è

avvenuta nel primo Olocene", ha spiegato la Piperno. "Occorre

ancora molto lavoro nella regione del Central Balsas per studiare

periodi ancora precedenti in cui il teosinte deve essere stato sfruttato

dalle prime popolazioni umane e poi coltivato."

Queste evidenze scientifiche corroborano un'ampia messe di dati

ottenuti nelle ricerche precedenti svolte nel Messico meridionale

nella foresta tropicale da Piperno e da altri ricercatori che indicano

che il mais si è diffuso a partire dall'attuale Panama circa 7600 anni

fa e che era già stabilmente presente nella parte settentrionale del

Sud America circa 6000 anni fa. 

 
 
 

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