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Messaggi del 17/11/2017
Post n°1522 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
DA INTERNET L'analisi del DNA ricavato da mummie egizie mostra che il flusso genetico proveniente dalle popolazioni sub-sahariane presente nella popolazione odierna è piuttosto recente. Le precedenti, floride colonie greche e romane in Egitto non sembrano invece aver lasciato una traccia apprezzabile di sè geneticaarcheologiaGli antichi egizi erano strettamente legati alle popolazioni del Medio Oriente e alle popolazioni neolitiche della penisola anatolica e dell'Europa. Nel genoma degli egiziani di oggi si trovano invece chiare tracce di significative interazioni con popolazioni sub-sahariane, del tutto assenti negli egizi del tempo dei faraoni. dell'Università di Tübingen e del Max Planck Institut per la scienza della storia umana a Jena, che sono riusciti a sequenziare il genoma mitocondriale e nucleare tratto da antiche mummie. La ricerca è descritta in un articolo su "Nature Communications". su antico DNA ricavato da mummie egizie, gli autori osservano che si tratta dei primi risultati veramente affidabili, grazie al ricorso alle più avanzate tecniche di sequenziamento e all'uso sistematico di test di autenticità per garantire l'origine effettivamente antica dei dati ottenuti. in molte tombe e alcune delle sostanze chimiche usate nelle tecniche di mummificazione contribuiscono al degrado del DNA. Si riteneva quindi che fosse improbabile la sopravvivenza a lungo termine del DNA nelle mummie egiziane", spiega Johannes Krause, coautore dello studio. conservate in musei di Tübingen e Berlino, i ricercatori sono riusciti a estrarre e sequenziare il genoma mitocondriale di 90 individui e quello nucleare di tre. Le mummie prese in esame coprono un lasso di tempo di circa 1300 anni, e provengono tutte dal sito di di Abusir el-Meleq, nel Medio Egitto. genetica nelle popolazioni di Abusir el-Meleq vissute in epoca pre-tolemaica (prima del 332 a.C.), tolemaica (fra il 332 e il 30 a.C.) e romana (successiva al 30 a.C.), indicando che a dispetto della notevole influenza culturale e politica esercitate nel periodo più tardo da greci e romani, il loro contributo genetico alla popolazione egizia fu trascurabile. genetico dell'immigrazione greca e romana sia stato più pronunciato nel Delta nord-occidentale del Nilo, nella regione di Fayum, dove risiedeva un'importante colonia greco-romana, oppure tra le classi più alte della società egizia. limitato a causa della politica di Roma di ostacolare i matrimoni fra romani e locali. Sposandosi con un cittadino romano, si acquisiva infatti la cittadinanza romana, ambita per i privilegi che comportava. (bpk/Aegyptisches Museum und Papyrussammlung, SMB/Sandra Steiss)I dati suggeriscono anche che il flusso genetico dalle regioni sub-sahariane - che nella popolazione egiziana attuale costituisce l'8 per cento del genoma - si è verificato ben più tardi. All'origine della mescolanza - ipotizzano i ricercatori - vi fu forse il miglioramento della mobilità lungo il Nilo, l'aumento dei commerci su lunga distanza tra l'Africa sub-sahariana e l'Egitto e ancor più, la tratta degli schiavi lungo le vie carovaniere che attraversano il Sahara e che iniziò solo 1300 anni fa. |
Post n°1521 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
DA INTERNET Ritrovati in un sito vicino all'isola di Wight resti di grano domesticato risalenti a 2000 anni prima dell'arrivo dell'agricoltura in Gran Bretagna. Le analisi hanno dimostrato che non era stato coltivato sull'isola, ma importato dal continente. La scoperta dimostra che i rapporti fra le popolazioni autoctone di cacciatori -raccoglitori e i primi coltivatori giunti da Oriente non furono solo conflittuali. archeologiaagricolturaGli antichi abitanti della Gran Bretagna iniziarono a consumare grano coltivato circa duemila anni prima che l'agricoltura facesse la sua comparsa sull'isola, importandolo dal continente. La scoperta, fatta da ricercatori delle Università di Warwick, di Bradford e del Dipartimento di archeologia marina del National Oceanography Centre a Southampton, indica che i rapporti tra i cacciatori-raccoglitori e i primi agricoltori furono evidentemente più complessi del previsto, e non solamente conflittuali. descritto in un articolo pubblicato su "Science", è il frutto dell'analisi genetica di reperti vegetali scoperti nell'antico sito del Mesolitico britannico di Bouldnor Cliff. Il sito attualmente riposa sotto i sedimenti marini al largo della costa dell'isola di Wight, ma all'epoca, quando il livello del mare era più basso, si trovava sulla terraferma. in uno strato databile a circa 8000 anni fa ricoperto da una torbiera, sono state trovate tracce di strumenti in legno lavorato, selce bruciata, gusci di nocciole e residui vegetali, di cui i ricercatori hanno analizzato l'antico DNA, scoprendo l'inaspettata presenza di grano. dell'antica Anatolia potevano contare su piante e animali domesticati, gli agricoltori arrivarono nei Balcani solo tra 8000 e 9000 anni fa, per poi diffondersi verso occidente attraverso il Mediterraneo e a settentrione lungo il Danubio e raggiungere la Francia occidentale e la Renania circa 7500 anni fa. La prima prova della coltivazione di cereali in Gran Bretagna risale a 6000 anni fa, molto tempo dopo rispetto all'altra sponda della Manica. dell'isola non consumassero grano ma conferma indirettamente il ritardo nell'adozione dell'agricoltura. L'analisi del DNA ha infatti mostrato che la varietà di grano domesticato trovata era quella tipica delle antiche coltivazioni nel Vicino Oriente, geneticamente ben distinta da quelle che hanno caratterizzato la diffusione dell'agricoltura in Nord Europa e nella stessa Gran Bretagna. è ulteriormente suffragata sia dall'assenza di qualsiasi reperto archeologico riconducibile a pratiche agricole, sia - e ancor più - dalla totale assenza di pollini di grano negli strati sedimentari analizzati. |
Post n°1520 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
DA INTERNET Sfruttando i muoni prodotti dall'interazione dei raggi cosmici con l'atmosfera per effettuare una sorta di radiografia, è stato scoperto un vasto spazio vuoto all'interno della piramide di Cheope a Giza. Lungo almeno 30 metri, si trova al di sopra della Grande Galleria ma la sua funzione è ancora sconosciuta. La moderna fisica delle particelle può dare una grossa mano agli archeologi che si occupano di civiltà antiche. Lo dimostra un nuovo studio pubblicato su "Nature" da una collaborazione franco-giapponese: utilizzando una tecnica di imaging a base di raggi cosmici i ricercatori hanno scoperto un grande spazio vuoto all'interno della piramide di Cheope.
che si trovano nella piana di Giza: è infatti alta 139 metri e larga 230 metri. Fu edificata durante il regno del faraone da cui prende il nome, che regnò sull'Egitto dal 2509 al 2483 a.C., ma malgrado le numerose ricerche di cui è stata oggetto non è ancora chiaro in che modo sia stata costruita. Erodoto ne descrisse la costruzione, ma il suo resoconto risale al 440 a.C., cioè quasi 2000 anni dopo, mentre un papiro scoperto nel 2013 contiene la logistica della costruzione, come le modalità di trasporto delle pietre utilizzate, ma non parla delle tecniche costruttive. camere, poste a differenti altezze ma tutte orientate secondo la direzione nord-sud: la camera sotterranea, la camera della regina, e la camera del re. il più imponente dei quali è la cosiddetta Grande Galleria, lunga 46,7 metri, con un'altezza di 8,6 metri e una larghezza variabile tra uno e due metri. Si ritiene che l'entrata originale sia il cosiddetto corridoio discendente, che parte dalla facciata nord, ma attualmente i turisti entrano nella piramide attraverso un tunnel attribuito al califfo al-Ma'mun's, e costruito intorno all'anno 820 d.C.. La grande cavità individuata potrebbe avere un andamento parallelo al suolo, come mostrato in questa immagine, o parallelo alla Grande Galleria. (Cortesia ScanPyramids Mission)La difficoltà di esplorare altri tunnel presenti all'interno della piramide ha spinto i ricercatori a rivolgersi a tecniche di analisi fisica. Grazie a esse, già nel 1970 un gruppo di ricercatori stabilì che nella piramide di Chefren, la seconda della piana di Giza, non c'è alcuna camera nascosta. cosmici e i muoni. I raggi cosmici sono particelle cariche che costantemente provengono dallo spazio profondo e investono la Terra. Interagendo con gli atomi dei gas che si trovano negli strati più alti dell'atmosfera, i raggi cosmici producono altre particelle chiamate muoni che si muovono a una velocità prossima a quella della luce e investono la superficie terrestre con un flusso di circa 10.000 particelle per metro quadrato. il corpo umano permettendo di visualizzare le ossa, i muoni sono molto penetranti, ma hanno traiettorie diverse quando si propagano nell'aria o all'interno delle rocce, e quindi possono essere sfruttati per distinguere i volumi pieni da quelli vuoti in strutture complesse e di difficile accesso. Negli ultimi anni, sono stati infatti usati con successo sia in archeologia, per esempio nella piramide del Sole a Teotihuacan, sia per studiare la densità del magma all'interno dei vulcani. Una fase della collocazione delle lastre per la rilevazione dei muoni all'interno della piramide. (ScanPyramids Mission)Sfruttando contemporaneamente tre diverse tecniche di analisi basate sui muoni, più precise e accurate di quelle usate nel 1970, Kunihiro Morishima e colleghi ora sono riusciti a visualizzare un grande vuoto all'interno della piramide di Cheope e a determinarne forma e dimensioni. Si tratterebbe di uno spazio lungo almeno 30 metri, con una sezione simile alla Grande Galleria, che si trova proprio al di sotto. interno sono sconosciuti, ma la scoperta offre una buona base di partenza per ulteriori studi sulla struttura e le possibili tecniche costruttive della piramide di Cheope e conferma l'utilità del ricorso a tecniche di fisica delle particelle per indagare su antiche strutture.
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Post n°1519 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
Olocene: così chiamano gli studiosi il periodo di clima caldo e stabile in cui ci troviamo da 11.000 anni circa, durante il quale le migrazioni umane in Europa sono aumentate considerevolmente, ma non in modo graduale: si sono concentrate in tre ondate distinte, secondo quanto stabilito da un nuovo studio pubblicato su "Proceedings of the National Academy of Sciences". un nuovo metodo di datazione in grado di quantificare, grazie all'analisi di dati genetici, i cambiamenti nelle migrazioni degli ultimi 30.000 anni. La storia delle migrazioni della nostra specie è di estrema rilevanza per gli archeologi. La mobilità umana ha infatti influenzato molti aspetti della nostra evoluzione: ha plasmato il nostro corredo genetico, contribuito a diffondere idee e tecnologie e influenzato la nostra capacità di adattamento all'ambiente. preceduto l'avvento delle documentazioni scritte, gli studiosi si concentrano anzitutto i cambiamenti rilevabili nelle tecniche di realizzazione di manufatti come utensili di pietra, vasellame e monete, o nelle varietà agricole. possono dar luogo a varie interpretazioni. Un contributo molto più affidabile viene dalla genetica: le recenti tecniche di analisi del DNA estratto dagli antichi reperti umani hanno infatti raggiunto una notevole accuratezza, permettendo di confrontare i tassi di mobilità delle popolazioni preistoriche in diversi periodi e in diverse regioni geografiche. attività di agricoltura Secondo i risultati, la prima ondata migratoria si verificò quando l'agricoltura si diffuse dal Medio Oriente verso tutta l'Europa, a partire da 9000 anni fa. La seconda coincise con l'inizio dell'Età del bronzo (circa 5500 anni fa), quando iniziarono a fiorire le prime civiltà complesse, si cominciarono a sfruttare i cavalli per il trasporto e furono inventati il carro e la biga, e si stabilirono nuove rotte commerciali attraverso l'Asia e l'Europa. La terza ondata avvenne durante l'Età del ferro (a partire da 3000 anni fa), un periodo che vide un notevole incremento nella dimensione delle popolazioni, dei commerci e delle guerre. popolazioni di cacciatori-raccoglitori che vivevano in Europa prima dell'arrivo degli agricoltori, in particolare durante l'ultima glaciazione circa 20.000 anni fa. tra la mobilità umana e i cambiamenti tecnologici. "Questi risultati sono interessanti: tradizionalmente, gli studiosi hanno associato l'economia legata a caccia e raccolta al nomadismo e all'elevata mobilità, e lo sviluppo dei primi villaggi di agricoltori alle società sedentarie", ha sottolineato Marta Mirazón Lahr della Università di Cambridge coautrice dello studio. "Ora siamo venuti a conoscenza di dinamiche meno scontate: i primi agricoltori erano in movimento per cercare sempre più territori e così soddisfare le necessità di popolazioni sempre più grandi, mentre sembra che i cacciatori del periodo post glaciale siano riusciti a soddisfare localmente le loro necessità di sussistenza". che il metodo utilizzato non è limitato ai dati genetici ma consente di studiare anche le variazioni di forma degli antichi fossili. dietro il nostro metodo può essere esteso oltre gli studi delle migrazioni umane", ha detto Liisa Loog, che ha partecipato allo studio. "Potremmo studiare anche le migrazioni di animali estinti da molto tempo, e in teoria anche dati culturali: questo ci permetterebbe di identificare non solo le variazioni dei tassi delle migrazioni delle popolazioni, ma anche i tassi di diffusione delle idee e degli oggetti". |
Post n°1518 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
DA INTERNET Una serie di scavi archeologici condotti nella regione tedesca del Lechtal, nella parte meridionale della Baviera, ha rivelato particolari inaspettati della struttura delle società umane nel periodo a cavallo tra l'Età della pietra e l'Età del bronzo, in particolare sugli spostamenti delle persone e quindi degli oggetti e delle idee che portavano con sé. L'analisi dei resti di alcuni individui sepolti in insediamenti dell'epoca, pubblicata sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" da Philipp Stockhammer della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera e colleghi, mostra infatti che mentre gli uomini erano originari della zona, le donne venivano da altre località, probabilmente dalla Boemia o dalla Germania centrale, secondo una struttura sociale detta patrilocale. Sulla base delle prove raccolte, gli autori sono convinti che la mobilità femminile non fosse un fenomeno temporaneo, perché durò per circa 800 anni, e neanche sporadico. Resti di uno scheletro di donna risalente a 4000 anni fa analizzati durante lo studio (Credit: Stadtarchäologie Augsburg) I ricercatori hanno analizzato i resti fossili di 84 individui sepolti tra il 2500 a.C. e il 1650 a.C. in cimiteri che contenevano fino ad alcune decine di sepolture nell'arco di diverse generazioni. Dalle analisi genetiche e isotopiche, in particolare del contenuto di stronzio dello smalto dentale, associate a valutazioni archeologiche, è emerso che i resti di individui di sesso femminile avevano una notevole variabilità genetica. provenendo da altri luoghi. Tuttavia, le loro sepolture non erano diverse da quelle degli uomini, suggerendo, secondo i ricercatori, che queste donne straniere erano perfettamente integrate nelle strutture sociali che le accoglievano. fertile nel mezzo della Valle del Lech: i villaggi di grandi dimensioni non esistevano a quell'epoca", ha spiegato Stockhammer. "La mobilità individuale era una delle caratteristiche principali delle persone che vivevano in Europa centrale nel terzo millennio prima di Cristo e all'inizio del secondo millennio". dimostrano l'importanza della mobilità femminile per la cultura dell'Età del Bronzo. I ricercatori infatti ritengono che questa mobilità vada vista sotto una luce del tutto nuova, perché probabilmente aveva un ruolo fondamentale nello scambio di oggetti e idee. Insomma, era parte integrante della promozione e lo sviluppo di nuove tecnologie. tradizionalmente associati alle migrazioni, erano in realtà dovuti a una mobilità individuale delle donne, così diffusa da far pensare che fosse istituzionalizzata". |
Post n°1517 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
DA LE SCIENZE GLI AZTECHI SCOMPARVERO A CAUSA DI EPIDEMIE DI SALMONELLOSI? Il sequenziamento di materiale genetico estratto da antiche sepolture messicane indica che il collasso della popolazione indigena verificatosi nell'arco di un secolo dall'arrivo deiConquistadores spagnoli può essere stato causato da una forma particolarmente virulenta di salmonellosi, probabilmente proveniente dall'Europa Una delle peggiori epidemie della storia umana, la pestilenza del XVI secolo che devastò la popolazione indigena del Messico, potrebbe essere stata causata da una forma mortale di salmonella proveniente dall'Europa, secondo i risultati di due studi. Nel primo studio, i ricercatori sostengono di aver recuperato il DNA del batterio dello stomaco da sepolture scoperte in Messico e relative a un'infezione che ha ucciso fino all'80 per cento degli abitanti del paese nell'epidemia del 1540. Il gruppo riporta le sue conclusioni in un preprint. Il risultato potrebbe essere la prima documenta- zione genetica del patogeno che causò il collasso delle popolazioni indigene dopo la colonizzazione europea, spiega Hannes Schroeder, paleogenetista del Natural History Museum of Denmark a Copenhagen, che non era coinvolto nel lavoro, secondo il quale si tratta di "uno studio molto interessante". conquistador spagnolo Hernando Cortés arrivarono in Messico, la popolazione indigena fosse di circa 25 milioni di persone. Un secolo più tardi, dopo la vittoria spagnola e una serie di epidemie, il numero si ridusse a circa un milione. (che significa "pestilenza" in nahuatl, la lingua azteca). Due importanti cocoliztli, iniziati nel 1545 e nel 1576, uccisero dai 7 milioni ai 18 milioni di persone nelle regioni montuose del Messico. "Nelle città e nei grandi villaggi, si scavavano grandi fosse, e dal mattino al tramonto i preti non facevano altro che portare i cadaveri e gettarli nelle fosse", annotava uno storico francescano che fu testimone dell'epidemia del 1576. conquistadores di Cortez (Heritage / AGF)Finora non c'era consenso sulla possibile causa dei cocoliztli, anche se il morbillo, il vaiolo e il tifo sono stati tutti chiamati in causa. Nel 2002, ricercatori della National Autonomous University of Mexico (UNAM) a Città del Messico ipotizzarono che dietro la carneficina vi fosse una febbre emorragica virale, esacerbata da una siccità catastrofica. Gli autori paragonarono le dimensioni dell'epidemia del 1545 a quelle della peste nera nel XIV secolo in Europa. guidato dal genetista evoluzionista Johannes Krause del Max-Planck-Institut per la scienza della storia umana di Jena, in Germania, ha estratto e sequenziato il DNA dai denti di 29 persone sepolte sugli altipiani di Oaxaca, nel Messico meridionale. che i ricercatori ritengono essersi verificato tra il 1545 e il 1550. L'antico DNA batterico recuperato da diversi individui corrispondeva a quello di Salmonella, secondo i confronti con un database di oltre 2.700 genomi batterici moderni. danneggiati di DNA, ricavati dai resti, ha permesso al gruppo di ricostruire due genomi di un ceppo di Salmonella enterica noto come Paratyphi C. Oggi, questo batterio provoca febbre enterica, una malattia simile al tifo presente soprattutto nei paesi in via di sviluppo che, se non trattata, uccide il 10-15 per cento delle persone infettate. Salmonella (in rosso) (CC0 Public Domain)" È perfettamente ragionevole che il batterio possa aver causato questa epidemia", aggiunge Schroeder. "L'ipotesi è ben argomentata". Ma Maria Avila-Arcos, genetista dell'evoluzione dell'UNAM, non è convinta. Osserva che alcuni ipotizzano che a causare il cocoliztli sia stato un virus, che non sarebbe stato individuato con il metodo utilizzato dal gruppo. da un altro studio pubblicato la scorsa settimana su bioRxiv, che solleva l'ipotesi cheSalmonella Paratyphi C sia arrivato in Messico dal'Europa. dell'Università di Warwick a Coventry, ha raccolto e sequenziato il genoma del ceppo batterico estratto dai resti di una giovane donna sepolta intorno al 1200 a Trondheim, in Norvegia. È la più antica documentazione dell'ormai raro ceppo di Salmonella, e la prova che esso circolava in Europa, secondo lo studio. (Entrambi i gruppi hanno rifiutato di commentare le loro ricerche perché i loro articoli sono stati sottoposti a una rivista peer-review.) dice Hendrik Poinar, biologo evoluzionista della McMaster University a Hamilton, in Canada. E se si potessero raccogliere diversi genomi antichi in Europa e nelle Americhe, dovrebbe essere possibile stabilire in modo più definitivo se gli agenti patogeni mortali come Salmonella arrivarono nel Nuovo Mondo dall'Europa. 300 anni prima della sua comparsa in Messico non prova che gli europei trasmisero la febbre enterica ai nativi messicani, dice Schroeder, ma si tratta di un'ipotesi ragionevole. Guerrieri aztechi in una illustrazione del IX libro del Codice Fiorentino, l'ultima redazione della Historia universal de las cosas de Nueva España, di fra' Bernardino de Sahagún (CC0 Public Domain) Una piccola percentuale di persone infette da Salmonella Paratyphi C è portatrice sana del batterio: si può ipotizzare che spagnoli sani abbiano infettato i messicani privi di una resistenza naturale. Paratyphi C si trasmette attraverso la materia fecale, e un collasso dell'ordine sociale durante la conquista spagnola potrebbe aver portato alle cattive condizioni sanitarie favorevoli alla diffusione di Salmonella, spiegano nell'articolo Krause e il suo gruppo. patogeni responsabili delle epidemie dell'antichità, dice Schroeder. Il suo gruppo ha in programma di cercare gli antichi agenti patogeni nei siti di sepoltura dei Caraibi che sembrano legati alle catastrofiche epidemie che si sono diffuse dopo l'arrivo degli europei. "Che alcune di esse possano essere state causate da Salmonella è ormai una possibilità concreta", conclude. |
Post n°1516 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
DA INTERNET L'analisi di resti carbonizzati rinvenuti in numerosi siti non solo della Cina, ma anche della Corea del Sud e del Giappone indica che il processo di domesticazione di questa pianta iniziò presso differenti culture 2000 anni prima di quanto si pensasse lAlle origini del fagiolo comuneGeni, cultura e dietaLe origini genetiche del moderno granturcoIl frumento monococco e l'origine dell'agricolturaLa coltivazione preistorica del riso nell'Asia sudorientale Sulla base della documentazione storica e di dati genetici, finora si è ritenuto che la domesticazione dei semi di soia (Glycine max) fosse avvenuta per la prima volta nelle regioni centrali della Cina circa 3000 anni fa, ma ora una ricerca condotta da un gruppo internazionale di archeologi - pubblicata sulla rivista on line ad accesso pubblico "PLoS ONE" - indica che l'inizio dello sfruttamento di questo legume sarebbe avvenuto in tempi decisamente precedenti e da parte di diverse culture, anche al di fuori dei confini della Cina. confrontando 949 campioni di soia carbonizzati - rinvenuti in scavi che avevano portato alla luce resti di focolari, pavimenti e pozzi di d'interramento di rifiuti - provenienti da 22 siti archeologici nel nord della Cina, in Giappone e in Corea del Sud, con 180 campioni moderni. Un fagiolo di soia carbonizzato ritrovato a Jinju, Corea del Sud, risalente a 4,200 years ago. Cortesia Gyoung-Ah Lee "I fagioli di soia che si sono conservati erano carbonizzati, e questo ne distorce le dimensioni", ha detto Gyoung-Ah Lee, coreano attualmente all'Università dell'Oregon. "Così abbiamo eseguito degli esperimenti con soia moderna, che abbiamo carbonizzato per confrontare quanto ottenuto con i campioni storici. Le diverse forme e dimensioni della soia possono essere considerati indicativi di differenti tentativi compiuti in tempi diversi da diversi gruppi culturali in diverse aree." la domesticazione della pianta, ma l'ampio periodo di transizione tra la piccola soia selvatica e le varietà ibridate più grandi è ancora in buona parte da esplorare, ha osservato Lee. I fagioli di soia più piccoli risultano databili a circa 9000 anni fa. Finora si disponeva di testimonianze storiche che indicano una stretta relazione tra l'uso della soia domesticata in Cina e il regno della dinastia Zhou, circa 2000 anni fa, potevano ma il nuovo studio retrodata la domesticazione di questa leguminosa a ben 5500 anni fa. umani fin dai primi insediamenti sorti nel nord della Cina", ha aggiunto Gary Crawford, dell'Università di Toronto a Mississauga, coautore dello studio. "La soia sembra essere una pianta che si adatta bene a un habitat sottoposto all'impatto dell'uomo. A sua volta, l'uomo ha cominciato presto a imparare la gustosità e l'utilità della soia." |
Post n°1515 pubblicato il 17 Novembre 2017 da blogtecaolivelli
DA INTERNET 4 marzo 2009 8700 anni fa la prima domesticazione del mais Le evidenze scientifiche indicano che il mais si è diffuso a partire dall'attuale Panama circa 7600 anni fa ed era già stabilmente presente nella parte settentrionale del Sud America circa 6000 anni faLa lunga evoluzione del peperoncino 5500 anni fa la prima domesticazione della soia Alle origini del fagiolo comuneGeni, cultura e dieta Le origini genetiche del moderno granturcoIl frumento monococco e l'origine dell'agricolturaLa coltivazione preistorica del riso nell'Asia sudorientale
Tra le centinaia di piante che sono state domesticate nel Nuovo Mondo, nessuna ha ottenuto l'attenzione ed è stata oggetto di un intenso dibattito come il mais (Zea mays L.), probabilmente la coltivazione più importante per l'intero continente americano. selvatico della pianta e quando è stato domesticato. Piperno, archeobotanica dello Smithsonian's National Museum of Natural History, ed Anthony Ranere, docente di antropologia della Temple University di Philadelphia ha scoperto la prima prova diretta che la domesticazione del mais è avvenuta circa 8700 anni fa, secondo le conclusioni di uno studio pubblicato sull'ultimo numero della rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences". una pianta chiamata "teosinte" e gli studi genetici delle popolazioni moderne di tale pianta e del mais suggeriscono che tale processo sia avvenuto nella valle del Rìo Balsas, una regione del Messico tropicale sudoccidentale. Tuttavia, in quella zona non è mai stata effettuata alcuna ricerca su insediamenti umani preistorici. del Messico siti che mostrassero tracce di insediamenti umani per il periodo di tempo che si ritiene sia stato critico per la domesticazione del mais, ovvero il periodo compreso tra 8000 e 9000 anni fa. stati recuperati resti di utensili e specie vegetali. In particolare, l'analisi si è focalizzata su microfossili provenienti da una caverna nota con il nome di Xihuatoxtla. avvenuta nel primo Olocene", ha spiegato la Piperno. "Occorre ancora molto lavoro nella regione del Central Balsas per studiare periodi ancora precedenti in cui il teosinte deve essere stato sfruttato dalle prime popolazioni umane e poi coltivato." ottenuti nelle ricerche precedenti svolte nel Messico meridionale nella foresta tropicale da Piperno e da altri ricercatori che indicano che il mais si è diffuso a partire dall'attuale Panama circa 7600 anni fa e che era già stabilmente presente nella parte settentrionale del Sud America circa 6000 anni fa. |
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