Creato da: rara_utopia il 22/02/2005
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Post N° 40

Post n°40 pubblicato il 12 Luglio 2006 da rara_utopia

BRASIL. Um Paìs De Todos

(PARTE SESTA)

Giovedì 24 novembre

NELL’ALTO SOLIMOES: da Tabatinga a Benjamin Constant

Stamattina partiamo nuovamente per andare, via barca a motore, da Tabatinga a Benjamin Constant, dove ci fermeremo tutto il giorno e dove pernotteremo. A Benjamin Constant faremo la “consueta” presentazione della missione tecnica presso la Sala Municipale, alla presenza del Prefetto e degli altri organismi rappresentativi, per poi visitare la realtà produttiva locale (piscicoltura, industria del legname e del mobile, tessile, mangimistico, artigianato).

Il porto fluviale di Tabatinga ci accoglie, come ogni mattina, con la solita ridda di colori e di venditori, seduti a terra od appollaiati su sgabelli improvvisati (cassette di legno, contenitori vuoti, etc.). Proprio questa capacità di utilizzare/riutilizzare (per fini anche differenti da quelli originari) oggetti ed utensili che in Europa verrebbero gettati subito dopo l’uso mi fa immaginare di trovarmi esattamente nel mezzo di uno dei film di “Mad Max”, l’eroe degli anni ’80 impersonato da Mel Gibson, saga ambientata in un Pianeta Terra post-Guerra Nucleare, in cui ogni oggetto ed utensile che oggi scartiamo trovava, lì, un significato ed un’importanza propri. Insomma, un messaggio anticonsumista, a suo modo.

Rifletto, tra me e me, mentre aspettiamo la nostra imbarcazione: non è monotono vivere in un Paese in cui per dodici mesi l’anno la temperatura è pressoché costante e in cui, se non ci fosse la stagione delle piogge, le condizioni climatiche sarebbero quasi sempre le stesse? Poi, però, mi interrogo anche su quanto sia condizionante per la nostra vita quotidiana la netta differenza climatica tra stagioni cui siamo sottoposti, con quello che ne consegue in termini di abbigliamento, necessità di riscaldamento, etc.. In fondo, credo che non ci sia un clima migliore o uno peggiore in assoluto. Credo che ciascuno di noi sia legato alle condizioni climatiche del Paese in cui è nato e vissuto. Voglio intendere, cioè, che a me in genere non piacciono le giornate fredde e umide dei nostri autunni, ma è anche vero che non so quanto rinuncerei facilmente a riposare sotto un caldo piumone, al buio, con la sola luce proveniente dal fuoco di un camino a legna, ed il tintinnio della pioggia che dal tetto arriva fin dentro casa.

Digressione sentimentale a parte, siamo partiti e stiamo raggiungendo Benjamin Constant. Attraccando all’ancoradouro de embarcações (così sta scritto sulle pareti, anche se in effetti non è che un pontile galleggiante attraccato alla sponda del fiume) ci accorgiamo subito che qui tutto o quasi parla la lingua dei missionari italiani. Fin dal 1909 esiste infatti una comunità di frati cappuccini proveniente dall’Umbria (il responsabile attuale, padre Benigno, è di Grutti di S.Terenziano). Le strutture scolastiche e socio-ricreative sono tutte create e gestite dalla missione. Una, in particolare, mi colpirà. Si tratta della Casa da mãe gestante, una struttura in cui trovano ospitalità le ragazze minorenni che, restate incinta, vengono rifiutate dalle famiglie di provenienza. Ci informano, infatti, che il problema delle gravidanze in età minorile qui è abbastanza serio, per cui si è sentita la necessità di un luogo di ricovero e di recupero, anche sotto il profilo psicologico, di tali persone.

Il primo contatto con i missionari è toccante, così come l’accoglienza riservataci, con un coro di bimbi che cantavano e danzavano al nostro arrivo al porto fluviale e tanto di fuochi d’artificio e striscioni di benvenuto che recitavano così: Benjamin Constant saúda com boa vindas a comitiva Brasil ĺtalia.

La prima considerazione è ovvia, ma non mi esimo dal farla: saremo in grado di assolvere alle tante aspettative che la nostra missione sta suscitando?

E ancora: saremo messi nelle condizioni di concretizzare le nostre idee, i nostri progetti (considerazione che ora mi sento di fare, dato che ho visto come la politica anche qui reciti un ruolo di primaria importanza)?

Messi i piedi a terra, noto che la struttura dei Municipi in Alto Solimões è quasi sempre la stessa. Il mercato municipale, anche qui ricco di colori e di varietà di pesci e frutta, è vicinissimo al porto fluviale, anche se qui è organizzato in forma stabile, con tanto di tettoie con travature di legno e copertura fatta di foglie di palma. Subito dopo il mercato c’è un bel viale diritto, asfaltato e con uno spartitraffico in cemento e fiori al suo interno. Il viale è dotato di pubblica illuminazione, così come le principali vie secondarie. Superate le quali, però, domina la terra battuta e manca l’elettricità (oltre all’acqua corrente e alle fognature, assenti praticamente ovunque). L’asfalto è di buona qualità nel viale principale, mentre assai precario negli altri. Mi spiegano che qui per avere un buon asfalto occorre una manutenzione continua, visto che il sottofondo non è mai stato sistemato (in pratica, l’asfalto è poggiato sopra la terra battuta) e visto che le frequenti inondazioni del fiume ne rendono molto precaria la tenuta.

Superata la ormai consuetudinaria riunione di presentazione in Municipio (una bella sala al cui ingresso spicca la gigantesca scritta Poder Legislativo), ci dedichiamo ala visita dei siti produttivi di maggior pregio e prospettiva e all’incontro con i frati italiani.

Questi religiosi, ora che li abbiamo conosciuti meglio, sono persone che restano nel cuore, a lungo. Ero abbastanza curioso, devo dire la verità, e mi sono avvicinato a questo incontro senza preconcetti, con la mia personalità laica, ma pronta ad essere stimolata. Ora posso dirlo: questi sono religiosi veri, uomini che vivono in trincea, lavorano con i poveri ed i lebbrosi (ce ne sono oltre cento a Benjamin Constant, su una popolazione di circa 13.000 unità).

Uno di questi frati, padre Bianco, originario di Bergamo, ci accoglie con una bimba di cinque anni sulle braccia, occhi e capelli nerissimi, e ci racconta che tra un mese questa bimba (che porta un nome italiano, Maria) andrà in adozione ad una famiglia di Teramo. La bimba è stata raccolta sulla strada due anni fa, denutrita e segnata dalle percosse, e da allora vive con i frati. Padre Bianco, in t-shirt bianca e pantaloni leggeri, se non fosse per la lunga barba bianca, non sembrerebbe un frate. Troppo concreto nelle parole, troppo “operativo” nella pratica. Ma, come scrivevo prima, fare il frate qui è molto, molto diverso che in Italia. Attraverso le lenti dei suoi grandi occhiali (modello Romano Prodi, per intenderci), mentre ci racconta la storia di Maria, compare qualche lacrima, ingigantita e deformata dallo spessore delle lenti stesse. Ma la commozione, quella di certo, è reale e ci pervade tutti.

Pensando a Maria, un pensiero scaturisce spontaneo: quanto peserà la separazione per questi frati, che la amano come una propria figlia? E per la bimba? Quanto è giusto sradicare una bambina non più piccolissima da una realtà di questo genere per scaraventarla in Italia? Sinceramente: seppur sarà adorata dai suoi nuovi genitori, credo che la bimba starebbe stata meglio con i frati, nel suo ambiente.

Al termine del consuetudinario incontro con i rappresentanti istituzionali in Municipio visitiamo alcune aziende, tutte caratterizzate da un forte impegno statale nella loro creazione, tutte piuttosto difficoltose nella conduzione e nei processi produttivi in cui sono coinvolte. Quindi, saliamo su una lancia a motore ed andiamo a visitare un villaggio che ospita una comunità Ticuna, una delle tribù indigene di questa zona.

Questa, di certo, rimarrà una delle emozioni più forti di questa missione, una di quelle esperienze che non se ne andranno con il tempo. Arriviamo alla comunità Ticuna ed anche in questo caso ci attende un nugolo di bimbi e un bello striscione di benvenuto: A comunidade de Bom Camino da “Boas Vindas” a comitiva Brasil e ĺtalia. La comunità Ticuna è molto isolata geograficamente, vive di artigianato locale e dei sussidi provenienti da una delle tante progettualità statali e della diocesi. Ha accettato alcune forme di civiltà (abiti, elettricità), ma tiene fortemente e fieramente al mantenimento della propria origine.

Anche qui esiste un viale asfaltato e, ai lati, sono disseminate le palafitte (praticamente tutte le abitazioni sono palafitte, per tentare di riparasi dalle inondazioni del vicino fiume) in cui vive la comunità. Naturalmente non esistono porte né finestre. Esiste solo una scala di legno per raggiungere l’ingresso e, al massimo, una tenda che funge da porta.

Gli uomini adulti sono rari, forse sono al lavoro, mentre le donne e i bimbi sono ovunque: per strada, alle finestre, in acqua a fare il bagno (già, e con i piranha ed i Jacarè, cioè i caimani del Rio, come la mettiamo?).

Ho scattato tantissime foto in questa visita, spero che sarà visibile la mia emozione nel trovarmi circondato da una nuvola di bimbi che volevano a tutti i costi vedere le immagini dei loro volti fissate nella memoria della mia macchina fotografica digitale. Ho rischiato la commozione quando, mentre tornavamo verso la barca per ripartire, una ragazzina di 8-10 anni mi ha raggiunto di corsa per regalarmi un braccialetto artigianale, quale forma di ringraziamento (almeno credo) per essere stati un po’ assieme a loro. Quel braccialetto mi seguirà nella vita.

Tornati a Benjamin Constant, andiamo a cena alla missione, assieme ai frati. Parliamo a lungo, soprattutto con il frate umbro, che è goloso di informazioni provenienti dall’Italia. Non capita così spesso di averne di fresche, da queste parti. Ceniamo a base riso, pesce (rigorosamente di fiume) e frutta tropicale accompagnata da succhi di frutta e da una bibita frizzante a base di Guaranà, noto anche in Occidente, soprattutto agli atleti, per le proprietà stimolanti ed eccitanti della sua polvere, ricavata dalla tostatura di una pianta amazzonica.

Andiamo a riposare consapevoli di aver vissuto una giornata piena, stancante ed emozionante. L’hotel è il solito albergo stile carcere, in sostanza un corridoio con le cellette. I vetri delle finestre presentano quasi tutti dei buchi, per cui risulta inutile il condizionatore (che, tra l’altro, produce lo stesso rumore di un autoarticolato) e mi aspetto la visita notturna di scarafaggi e insetti di varia natura che, in effetti, di lì a poco rompono ogni forma di timidezza e cominciano a fare capolino. D’altronde, in un Municipio in cui il turismo è solo una voce del dizionario dal significato pressoché sconosciuto, non devo pretendere altro. Fiducioso sulla tenuta della profilassi che mi hanno imposto prima della partenza (febbre gialla, malaria, epatite, tifo, etc.) mi addormento. Domattina cambiamo Municipio. Con la solita barca (visto che di notte è prevista pioggia, l’unica strada in terra battuta sarà inutilizzabile) ci sposteremo a visitare Atalaia do Norte.

 
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Post N° 39

Post n°39 pubblicato il 17 Maggio 2006 da rara_utopia

BRASIL. Um Paìs De Todos 

(PARTE QUINTA)

Mercoledì 23 novembre

NELL’ALTO SOLIMOES: in barca con il vescovo nel territorio di Tabatinga

Mi sveglio alle sei, anche se la sveglia ufficiale sarebbe almeno un’ora più tardi.

Mi sono svegliato perché sono stato subito aggredito dalla temperatura già altissima e, ancor più, dalla umidità che rende asfissiante la mia stanza (in effetti, in ogni stanza c’è un climatizzatore, ma quello che è capitato a me non è regolabile, per cui ho preferito una temperatura alta al gelo siberiano).

Appena lavato (si fa per dire: in teoria i medici italiani imporrebbero di far bollire l’acqua anche solo per lavarsi i denti!) sono uscito a fare una passeggiata attorno all’Hotel. Ho potuto, così, notare come la vita comune dei residenti di Tabatinga sia molto anticipata rispetto alle nostre abitudini, proprio per lo stesso motivo che mi ha spinto ad uscire così presto, cioè il caldo. Alle 6,30 le strade sono popolate di alunni ed alunne che vanno a scuola, in bell’ordine e con le solite divise dello Stato di Amazonas che vedrò un po’ ovunque durante la missione. Noto anche, ad ogni angolo di strada, curiosi banchetti che vendono bottiglie in pvc piene di un liquido color rame. Curioso di conoscerne il contenuto, mi avvicino e mi accorgo che non i tratta di altro che di benzina. Più tardi ne capirò il motivo: è il mercato nero della benzina colombiana, acquistata a Leticia a basso costo (essendo zona franca, i carburanti sono defiscalizzati) e rivenduta a Tabatinga con una maggiorazione che, comunque, non supera il costo del carburante brasiliano. Questa situazione mi fa ricordare quello che vidi in Tunisia, laddove alla stessa maniera si vende benzina importata dalla confinante Libia. Insomma, è proprio vero che tutto il mondo è Paese!

Rientrato in Albergo, colazione (latte in polvere –in queste zone non ci sono mucche-, frutta tropicale a volontà, uova e pane di tapioca –non si mangia pane di grano-) e alle otto partiamo. Arriviamo al porto fluviale di Tabatinga, che funge anche da mercato popolare. Le sponde del fiume sono infatti ricche di venditori folcloristici che commerciano ogni genere di frutta, pesce e verdura.

I colori delle loro mercanzie sono accecanti. I volti dei venditori sono caratterizzati dalla pelle bruciata dal sole. Mi viene subito in mente come noi occidentali siamo tanto attenti a spalmarci il volto con creme protettive anche semplicemente per esporci al sole di Rimini, e un sorriso esce naturale dalle mie labbra.

Ci avventuriamo lungo le ripide sponde del fiume, che in questo periodo è molto basso e, quindi, le sponde risultano dei veri e propri “muri” e ci adagiamo, già tutti beli sudati, su  un paio di lance a motore per andare a vedere alcuni piccoli insediamenti lungo il Rio  Solimões. Ci accompagna il Prefetto (l’equivalente del nostro Sindaco) di Tabatinga e padre Alsimar, vescovo della Diocesi dell’Alto Solimões, personaggio unico, veramente unico, che lascerà un segno indelebile nei miei ricordi, per l’autorità e l’autorevolezza che esercita.

La prima sosta che facciamo è una sosta sui generis, perché è una sosta sospesa: ci fermiamo, infatti, in un’ansa del fiume dove il colore dell’acqua cambia nettamente di colore, passando dal bruno all’azzurro. Si tratta di un’isola lacustre, unica nel suo genere per caratteristiche connesse alla ricchissima biodiversità presente, e sulla quale il vescovo vorrebbe creare un vero e proprio laboratorio scientifico a cielo aperto.

La seconda tappa, sulla terraferma, è la visita a Porto Paz, una specie di azienda agraria sperimentale organizzata e gestita dalla diocesi. Qui, alcuni agricoltori vengono impegnati per coltivare una vasta varietà di frutta e sperimentare tecniche colturali all’avanguardia (per il luogo in cui ci troviamo, si intende). Scopro, passeggiando tra i filari delle piante incolonnate in bell’ordine, molte specie tipiche della zona, alcune delle quali a noi sconosciute. Accanto, infatti, a banane, lime, maracujà, troviamo i camu-camu, i buritì, la goiaba, la carambola.

Assaggiamo alcuni frutti e, per il loro gusto e per le caratteristiche organolettiche che riesco ad individuare, mi convinco che alcuni tra loro avrebbero ampie credenziali per “sfondare” nei nostri mercati. Ma le difficoltà di ordine tecnico-produttivo sono ostacoli quasi insuperabili. Non voglio annoiare chi avrà il “coraggio” di leggere queste mie riflessioni scritte in libertà, per cui non entro nei particolari.

Infine, andiamo a visitare una comunità indios che vive in un villaggio anch’esso organizzato dalla Diocesi. In questo villaggio vediamo la coltivazione della manioca, il tubero da cui si estrae la farina di tapioca, e la struttura di servizi scolastici presente, semplice ma efficiente. È stata una esperienza unica. Le foto che ho scattato lo testimonieranno, sebbene –temo- solo parzialmente.

Al rientro in Tabatinga, ci aspetta una cena a casa del Vescovo.

Qui “subiamo” l’ultima sorpresa della giornata, che arricchisce ulteriormente il volume di emozioni che già precedentemente abbiamo accumulato, facendoci rischiare la tracimazione emotiva. Scopriamo, infatti, che il Vescovo, da gran personaggio quale è, ha scelto di vivere in un fabbricato che altro non è che un capannone industriale dimesso. Vive con la sorella-attendente e, ogni settimana, ospita nella sua abitazione un gruppo di indios in difficoltà economiche. Insomma, garantisce un riparo alla povera gente. Sembrasse poco, in un’epoca in cui la Chiesa non si contraddistingue di certo per gesti di questo genere.

Alcimar è un vero prelato illuminato. Me ne convinco ancor più quando, guardando la foto del suo incontro con Papa Giovanni Paolo II appesa nel salone da pranzo, mi raccontano come quell’incontro fosse diventato un caso unico nel suo genere, trovando una vasta eco massmediatica. Alcimar, infatti, sfidò l’etichetta ecclesiastica rifiutandosi di baciare la mano al Papa, come segno di dissenso rispetto alla scarsa capacità della Chiesa cattolica di impegnarsi per i poveri dell’America Latina. Quale gesto migliore potevo immaginare da un personaggio quale Alsimar! Per un laico quale sono io, la conoscenza di un impegno come quello esercitato quotidianamente da Alsimar è una sorta di purificazione dell’anima. Insomma, se mai dovessi ricredermi sul giudizio che attualmente do rispetto all’operato della Chiesa, lo farei solo ed esclusivamente riferendomi ad Alsimar.

La giornata è stata veramente faticosa e densa di emozioni, per cui, dopo cena, ce ne andiamo a riposare, anche perché domani si riparte di nuovo (in battello) e ci trasferiamo nel Municipio di Benjamin Constant, dove incontreremo i frati della missione umbra in Alto Solimões.

 

 
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Post n°38 pubblicato il 17 Maggio 2006 da rara_utopia

BRASIL. Um Paìs De Todos 

(PARTE QUARTA) 

Martedì 22 novembre 

IN VIAGGIO PER L’ALTO SOLIMOES: da Manaus a Tabatinga  

Sveglia alle 6 (comincio a capire che mi dovrò abituare a queste alzatacce!) per raggiungere l’aeroporto che ci porterà a Tabatinga, nella regione dell’Alto Solimões, la vera foresta amazzonica, all’incrocio tra Brasile, Colombia e Perù.

Volo Manus – Tabatinga (Ricoh Airlines)

Il trasferimento da Manaus a Tabatinga (circa 1.500 km) è tranquillo. Sorvoliamo sempre la foresta che, in questa zona, è praticamente intatta. Quando iniziamo ad abbassarci, tutti si fanno la stessa domanda: dove atterreremo, visto che siamo in mezzo alla foresta?

La risposta è ovvia: atterriamo praticamente in mezzo alla foresta. Fa veramente impressione abbassarsi sugli alberi; fino all’atterraggio non si vede l’aeroporto, che in effetti non è altro che una striscia di asfalto ricavata tra gli alberi. La città, spostandoci dall’aeroporto verso il centro urbano, appare militarizzata. Passiamo infatti, accanto a diverse caserme militari dell’esercito brasiliano e colombiano.

Mi abituerò in questi giorni che trascorrerò in Alto Solimões: Tabatinga è difatti città di frontiera, limitrofa a Leticia, Colombia.

Torniamo a parlare di Tabatinga. È ormai sera, abbiamo lavorato tutto il giorno, incontrando in una sede della Diocesi i rappresentanti istituzionali ed imprenditoriali del luogo. Qualche buona idea sta finalmente uscendo fuori. Non annoio ulteriormente chi leggerà queste pagine circa il contenuto delle nostre discussioni “serie”.

Ora sono le sette di sera ed è buio (siamo a soli quattro gradi a sud dell’equatore, quindi qui ci sono quasi esattamente 12 ore di luce e 12 di buio, dalle 5 di mattina alle 5 di sera). Una doccia (fredda, qui non esiste riscaldamento dell’acqua) e un po’ di riposo, poi usciamo a cena, quando in Italia è già notte fonda, visto che nel frattempo, essendoci spostati sempre più verso ovest, siamo arrivati a meno sei ore sul fuso di Roma.

Andiamo a cena in Colombia, a Leticia, che dista appena un paio di chilometri da qui. Andare in Colombia da Tabatinga è una esperienza quasi surreale: si segue una strada che vede, in un crocevia, un posto di frontiera con le bandiere dei due Stati, ma non si viene né fermati né controllati. Insomma, c’è un libero passaggio tra le due Nazioni. Paradosso nel paradosso, appena arrivati in Colombia sembra di essere entrati in Brasile e non viceversa: colori, musica, passeggio ovunque. Ma è tutto normale: Leticia è infatti una zona franca della Colombia, strategica sotto il profilo militare per la sua posizione geografica e importante sotto il profilo commerciale per il porto fluviale sul Rio Solimões. 

Al termine di questa prima giornata nell’Alto Solimões, alcune considerazioni sono doverose.

Cosa dire di questa cittadina: siamo vicini all’equatore, quando esce il sole (alle 5 di mattina) fa subito caldo ed alle 6,30 occorre già ripararsi, ma è bello come una favola. Una vegetazione prorompente, uccelli di ogni genere, compresi minacciosi avvoltoi che fungono da spazzini delle carcasse di altri animali, colori esplosivi.

La popolazione è molto povera ma, come spesso accade, dignitosa nella sua povertà. Unico neo l’Hotel Taruma, in cui alloggiamo. Mentre a Manaus avevamo un bell’alloggio, qui ci hanno spedito in una struttura “al limite”. Per fortuna rimarremo solo due notti, più una terza tornando indietro dalla visita degli altri Municipi del Solimões.

Intanto si è fatta notte fonda e stanno uscendo i famigerati mosquitos, per cui doccia e un buono strato di Autan preventivo (nel corso della missione rinuncerò anche all’Autan, vista la quasi totale inutilità del rimedio).

Sono passati solo tre giorni dall’inizio della missione, ma mi sembra una vita che sono lontano da casa.

Sarà che le giornate sono lunghe e vissute in un luogo che a volte sembra senza tempo, sospeso in aria, sarà che le stesse giornate sono anche molto differenti senza gli impegni consueti, sarà che io sono curioso di conoscere e “succhiare” tutto quello che mi capita di fronte e quindi sono mille e mille le emozioni e le sensazioni che si appropriano di me, conquistandomi pian piano.

Lo spirito è buono.

Spero di poter continuare a vivere una bella, anche se faticosa, esperienza.

 
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Post N° 37

Post n°37 pubblicato il 22 Marzo 2006 da rara_utopia

BRASIL. Um Paìs De Todos 

(PARTE TERZA)

Lunedì 21 novembre

MANAUS: prima giornata di lavoro

Dopo (un po’ di) giusto e meritato (anche se non voglio esagerare, viaggiare è sempre meglio di lavorare!) riposo e il necessario recupero dal jet lag, stamane è iniziato il lavoro vero e proprio, con la presentazione ufficiale della missione di fronte ai membri del governo dello Stato di Amazonas, alla presenza dei rappresentanti della Presidenza della Repubblica Federale. Una giornata un po’ accademica, in effetti, ma tutto sommato interessante, che si è sostanziata con il susseguirsi di interventi da parte dei rappresentanti istituzionali e di quelli di esponenti dei principali settori produttivi. Ascoltiamo tutti gli interventi, irrigiditi dalla solita temperatura artificiale “semi-glaciale”.

La prima impressione che ho avuto è che non tutti giochino a carte scoperte. Alcuni, infatti, presentano progettualità e dinamiche produttive avanzate, per cui sembra di trovarsi in un Paese in piena fase di sviluppo. Altri sono più obiettivi, ed hanno parlato di opportunità di sviluppo, a fronte di problematiche su cui la nostra missione è chiamata a proporre alcune idee.

In effetti, appena ne ho avuto la possibilità, per mezzo di alcune domande mirate ho capito che non è tutto oro quello che luccica. Quelli, cioè, che sono visti come segmenti produttivi trainanti per il territorio, comportano la preventiva soluzione di serie problematiche (processi produttivi, caratterizzazione dei prodotti, commercializzazione, distribuzione) qualora si volesse lanciare i prodotti in un mercato, quello europeo, irrigidito da normative che, a tutela del consumatore, pongono ben determinate barriere all’ingresso.

In serata, al termine della riunione, abbiamo fatto una passeggiata lungo il fiume, il magnifico Rio Amazonas in zona Ponte Negra, ed abbiamo scoperto che, tra i tanti paradossi di questo immenso Paese, esiste anche quello della vita notturna. Cosa voglio intendere? Che, nel vissuto notturno, esiste una specie di mondo parallelo.

Uno ufficiale, selezionato e controllato dalla polizia, uno spontaneo e incontrollato.

Mi spiego meglio. Esiste il viale principale, asfaltato, con una bella illuminazione pubblica e i bistrò ben allineati. Questa è la zona popolata della Manaus “bene” e da quel poco di turismo che esiste. Qui abbiamo cenato e visto uno spettacolo di danza amazzonica (in effetti, semplici ballerini vestiti da indios, abbastanza triste il tutto!) Poi, presi da una certa curiosità circa questo panorama un po’ incravattato, siamo scesi più vicino al fiume, lungo le sponde, ed abbiamo capito una volta di più che in questo Paese non ci si può fidare delle apparenze. Scendendo vicino al fiume, infatti, inizia una nuova vita. Scopriamo una specie di balera lunga qualche km, con una catena di decine di piccoli locali pieni all’inverosimile di centinaia di giovani che si divertono e fanno di tutto (sottolineo, “di tutto”). Musica latino-americana sparata al massimo e confusa dalla musica altrettanto sparata del locale accanto, in una specie di battaglia dei decibel, balli sfrenati in costume da bagno (per le ragazze, parlare di costume mi sembra eccessivo, viste le misure iper-ridotte), alcool a volontà, soprattutto birra e l’immancabile caipiriñha.

La nostra passeggiata termina presto, perché siamo molto stanchi, sebbene alcuni di noi stiano supplicano gli altri di essere lasciati lì, persino sepolti in quel luogo di piacere e perdizione. Torniamo in albergo un po’ frastornati, per riposare e prepararsi ad affrontare al meglio la prossima giornata.

Domattina, infatti, il programma prevede sveglia all’alba e trasferimento nell’Alto Solimões. Resteremo lì per l’intera settimana, per poi tornare  Manaus e investigare il circondario della capitale nella seconda settimana.

Vado a dormire pieno di curiosità nei confronti di quello che troverò. L’Alto Solimões è “la” foresta Amazzonica. Territorio di confine incuneato tra Colombia e Perù, nella zona più occidentale del Brasile, con comunità indio diffuse e una presenza, quella del Rio Solimões, ancora più caratterizzante il tessuto urbano, di dimensione ridotte (i Municipi –quelli più grandi- sono dell’ordine di 15.000-20.000 abitanti). Si trova a circa 1.500 km dalla capitale Manaus e il trasferimento, neanche a dirlo, sarà aereo. Saremo sempre accompagnati dai rappresentanti del governo dello Stato di Amazonas e da quelli della Presidenza della Repubblica federale, ma i nostri principali referenti nell’Alto Solimões saranno la diocesi (mi hanno parlato a lungo del vescovo, don Alcimar, che scoprirò essere un grande personaggio) e le missioni francescane. La particolarità del territorio è, difatti, quella di una forte presenza dei francescani umbri. Nel 2009 si festeggerà il centenario dell’arrivo dei francescani umbri nell’Alto Solimões e uno dei compiti della nostra missione è quello di provare a legare i progetti di sviluppo economico dell’area alla organizzazione delle manifestazioni che suggelleranno tale ricorrenza. Insomma, tanta curiosità, tante aspettative. Tanto di tutto.

 
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Post N° 36

Post n°36 pubblicato il 21 Marzo 2006 da rara_utopia

BRASIL. Um Paìs De Todos 

(PARTE SECONDA)

Domenica 20 novembre 2005

IN VIAGGIO PER L’AMAZZONIA: da Rio de Janeiro a Brasilia. Da Brasilia a Manaus. Arrivo e prima conoscenza di Manaus

 

Rio de Janeiro: sono le 8,35 ora locale. Siamo scesi dall’aereo in attesa della coincidenza per Manaus. Il tempo per un caffè, una pasterella al formaggio (tipica di Rio, viene chiamata Pao de Queijo e venduta in franchiser chiamati Casa do Pao de Queijo) e una passeggiata fuori dall’aeroporto, ed è ora di partire di nuovo.

Stiamo ripartendo da Rio per raggiungere, finalmente, l’Amazzonia. Faremo scalo a Brasilia, capitale amministrativa del Brasile. Lasciamo una Rio piovosa, sonnacchiosa, molle, uggiosa. Ma, dopo il decollo, prima di salire sopra le nuvole, la città appare ai nostri occhi in tutta la sua bellezza. Vediamo la famosa collina chiamata “pan di zucchero”, la statua del Cristo che sovrasta la baia e, con le sue braccia aperte, sembra accogliere in sé tutta la città, notiamo la incongruenza urbanistica tra i quartieri “bene” e le numerose favelas presenti.    

Volo Rio – Manaus (Varig Airlines):

Arriviamo a Manaus alle 13,30 ora locale, dopo aver fatto scalo a Brasilia. Qui sono cinque le ore di fuso in meno rispetto all’Italia. Le prime impressioni su Manaus sono sorprendenti. Che strana città, questa Manaus! A oltre mille chilometri dal mare, grande, moderna, ma eternamente in bilico rispetto all’equilibrio di una foresta, quella amazzonica, che lambisce il suo territorio e che, con il verde della vegetazione e il colore indefinito della torbida acqua del Rio, sembra minacciare ogni giorno questa realtà urbana. L’hotel è un bell’edificio di venti piani (rispetto agli altri hotel che frequenteremo, direi che è molto bello!), mentre sulla efficienza non mi esprimo. Ad esempio, iniziando a parlare dei paradossi di questo grande Stato, rimango stupito di come un hotel a cinque stelle non abbia personale che parli inglese. Mi accorgerò, continuando la missione, che in Amazonas quasi nessuno, neanche i più giovani, parlano inglese. Sembra che sia una forma di chovinismo, un vezzo culturale, più che una cattiva predisposizione.

Parlavo di Manaus. Di giorno è praticamente invivibile, con i suoi  35-40 gradi di temperatura ed un tasso di umidità ben oltre l’80%. E siamo solo in primavera! Si sopravvive solamente con i condizionatori di aria spinti al massimo.

Stasera andremo a cena in ristorante e poi subito a riposo, perché domattina iniziano gli incontri di lavoro. Prima di cena facciamo appena in tempo a fare una passeggiata fino al porto turistico, vedere un bel tramonto e bere l’acqua di cocco direttamente dal frutto, che viene tassellato dinanzi a noi (non posso non ricordare che è la stessa scena vista nelle varie edizioni dell’Isola dei Famosi, e questo in effetti mi rattrista un po’, perché pensare all’Isola dei Famosi in Brasile è una specie di sacrilegio).

La accoglienza che ci hanno riservato è sontuosa: sembriamo quasi dei capi di stato. Ci avvertono che sicuramente sabato prossimo ci porteranno a visitare in forma privata il famoso teatro della città, il Teatro Amazonas che, con i suoi centro anni di vita, è uno dei monumenti più antichi del Brasile. Poi, domenica 27, clima permettendo, dovremmo fare una escursione unica nel suo genere, andando con la barca del Governatore dello Stato di Amazonas a vedere la confluenza tra il Rio delle Amazzoni e il Rio Negro. Mi dicono che sia uno spettacolo unico: le acque chiare del Rio delle Amazzoni e quelle scure del Rio Negro si incontrano e, per molti chilometri, continuano ad avanzare in forma separata, senza amalgamarsi a causa della loro differente densità e temperatura.

 
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Post N° 35

Post n°35 pubblicato il 19 Marzo 2006 da rara_utopia

BRASIL. Um Paìs De Todos 

(PARTE PRIMA)

Sabato 19 novembre 2005

IN VIAGGIO PER L’AMAZZONIA: da Roma a Francoforte. da Francoforte all’Atlantico

La missione sta partendo.

In effetti sta partendo solamente una parte della missione. Oggi, dall’aeroporto “Da Vinci” di Roma (noto a tutti come “Fiumicino”) parte la delegazione umbra. Quella marchigiana partirà da Ancona, quella emiliana da Bologna, quella toscana da Firenze.

Cosa andiamo a fare in Amazzonia? Molto difficile da spiegare. Ci provo. La missione italiana (anzi, la missão italiana, come d’ora in poi sentirò pronunciare in portoghese) nella Regione di Amazonas è composta da rappresentanti di quattro Regioni italiane (Umbria, Toscana, Marche ed Emilia Romagna) che, un anno fa, hanno siglato con il Governo della Repubblica del Brasile guidato dal Presidente Lula un protocollo di intesa per individuare le criticità del sistema economico-produttivo di alcune regioni brasiliane (il Brasile è una Repubblica federale, per cui le Regioni sono dei mini-stati, un po’ come avviene negli Usa). Al termine delle missioni tecnico-esplorative, le quattro Regioni italiane dovranno essere in grado di proporre al Governo brasiliano una serie di progetti per lo sviluppo economico sostenibile dei territori investigati, che saranno finanziati dal Governo brasiliano stesso e della cooperazione internazionale. La nostra è, quindi, una missione tecnico-esplorativa, composta di rappresentanti istituzionali e tecnici esperti di settore (agroalimentare ed agroindustria, legno e mobile, turismo e cultura, cooperativismo e commercializzazione) di quattro Regioni italiane per esplorare le dinamiche economico-imprenditoriali di una Regione dello Stato dell’Amazzonia brasiliana (la Regione di Amazonas, 1.500.000 chilometri quadrati –l’Italia è circa 1.300.000 chilometri quadrati-, meno di 2 milioni di abitanti). Accompagnati da rappresentanti della Presidenza della Repubblica brasiliana, visiteremo in particolare due aree, quella della capitale Manaus e del suo circondario (che si trova all’incirca a metà del polmone amazzonico) e quella dell’Alto Solimões (che si trova ad ovest dell’Amazzonia, al confine con Colombia e Perù.

Ore 17,40: partenza volo Roma – Francoforte (Lufthansa Airlines)

Il volo è confortevole e tranquillo. Arriviamo in una Francoforte fredda e in pieno clima di organizzazione per le prossime feste natalizie. Mentre percorriamo i corridoi dell’enorme aeroporto in cerca del nostro gate, si intravedono i tecnici delle luci che stanno pensando come rendere più attraenti i prodotti esposti nelle vetrine dei negozi e dei duty free. La maniacale precisione dei tedeschi è testimoniata perfettamente dalla cura che questi tecnici stanno mettendo nella installazione delle luci. Strano pensare che a Roma (culla del cattolicesimo) non si vede ancora traccia degli allestimenti per le festività natalizie mentre in Germania si è già in piena attività.

Ore 20: partenza volo Francoforte – Rio de Janeiro (Varig Airlines)

Il volo è molto lungo (oltre 11 ore senza scali) e soddisfacente per quanto riguarda le condizioni atmosferiche incontrate, anche se il mezzo è stracolmo e, considerata anche la sommaria educazione di parte dei passeggeri presenti, abbastanza disagevole. In particolare, la “scalata” umana per raggiungere i bagni è una impresa degna di un 8.000 metri di Messner. Prevedendo di arrivare a Rio di prima mattina, attorno alle sei i passeggeri più accorti, “armati” dei più variopinti beautycase, occupano per interminabili minuti i bagni, nel tentativo (credo, o almeno spero) di rendere più umano il proprio aspetto. Certo, i bagni degli aerei non sono certo così confortevoli per garantire un make-up completo, ma devo dire che alcune signore tornano veramente trasformate, a tal punto da farmi pensare che nel beauty-case abbiano un coiffeur gonfiabile, più che un pettine e una spazzola.

Come sarà il Brasile? Questa è la domanda che occupa gran parte dei miei pensieri in quelle interminabili undici ore di volo transoceanico. Leggo per pensarci meno possibile, tento di dormire e ci riesco per una manciata di minuti ogni volta.

Seguo con la coda dell’occhio la signora brasiliana al mio fianco che, per ore e ore, si lima unghia per unghia le dieci dita che tiene esposte.

Ad un certo punto, comincio a pensare che la ripetizione nei miei occhi di questa immagine sia causa della rarefazione dell’ossigeno. E invece è tutto reale. La signora continua a limarsi le dita, unghia per unghia. Allora penso che l’alternativa sia solo una: o la lima è di cartone oppure la signora ha una consistenza di ciascuna di ciascuna unghia simile a quella del marmo di Carrara. Va beh, invecchierò con questo dubbio.

Ho divagato un po’. Dicevo: come sarà il Brasile?

Immagino una miriade di colori, ampi spazi, tanta confusione e disordine. Musica ovunque. Beh, sono un viaggiatore che guarda la TV, per cui la mia immaginazione mi porta ad associare questo immenso Paese ai vari festival carnevalizi. In effetti so che non troverò quasi niente di tutto ciò, perché la zona verso cui siamo diretti e in cui lavoreremo è distante migliaia di chilometri dai territori del Samba e delle grandi rassegne carnevalizie.   

Associo alcune frasi a queste lunghe ore di trasvolata oceanica:

  • Caos nella mia sfera emotiva. Accuso anche in questo caso la rarefazione dell’ossigeno e l’altitudine.
  • Do uno sguardo ai monitor dislocati lungo l’aereo.
  • Stiamo sorvolando, lasciandola alle spalle, la Spagna e, quindi, l’Europa.
  • Rio appare lontana, separata da quell’Oceano in cui ci stiamo “tuffando”.
  • Voliamo a 31.000 piedi di altitudine.
  • In Italia è già domenica mattina. Stiamo per atterrare a Rio de Janeiro. Ci comunicano che a terra la temperatura è di 25 gradi. Non male per essere le cinque di mattina.
 
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A volte ritornano...

Post n°34 pubblicato il 31 Dicembre 2005 da rara_utopia

Scusate il titolo banale, abusato, fritto e rifritto...

...ma oggi sono carente di originalità. Sarà l'anno che sta terminando, saranno tutte queste luci natalizie che, assieme all'energia, assorbono anche la mia fantasia (la rima è del tutto casuale).

Allora. Torno a scrivere sul mio blog dopo tanti mesi di assenza.

Il lavoro mi ha tenuto lontano dall'Italia per molto tempo, ma questo spazio, seppur virtuale, mi è mancato.

Per cui riprendo in mano questo angolo di vita e ricomincio a scrivere.

Ricomincio a scrivere inserendo nel blog il diario dell'ultimo viaggio di lavoro, dell'ultima esperienza fatta. Perché di una esperienza, più che di un lavoro, si è trattato.

E' il diario del mio viaggio di lavoro nell'Amazzonia brasiliana, dal 19 novembre al 3 dicembre 2005.

 
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Post N° 33

Post n°33 pubblicato il 21 Aprile 2005 da rara_utopia

Ho trovato proprio oggi, tra i miei ricordi cartacei, una pagina ritagliata da una vecchia rivista  di poesia di diversi anni fa, almeno una decina.

Ho sempre conservato questo ritaglio perché trovo questa traccia (la definisco traccia, perché è un incrocio tra una poesia e un racconto breve) molto interessante.

Vi capita mai di leggere una storia che ha un finale non definito, oscuro, ed innamorarvene?

A me è capitato esattamente questo quando lessi questo brano, e ancora oggi mi affascina rileggerlo e dare risposte e finali diversi alla storia.

La traccia in questione è di una scrittrice irlandese contemporanea (nata nel 1952) che ha lavorato al recupero della tradizione letteraria gaelica, utilizzando immagini di forte suggestione emotiva e strizzando l’occhio al mito. Anzi, Nuala ritiene che il mito sia una base, una componente strutturante la nostra realtà e che il caos di sensazioni che talvolta pervade le nostre vite non derivi da altro che dalla nostra incapacità di  specchiarci nella semplicità della natura.

La scrittrice si chiama Nuala Nì Dhomhnaill.

Auguro a chi leggerà le stesse emozioni che provai io.

 

"Testimonianza della gente di Dunquin" di Nuala Nì Dhomhnaill:

           “ Cara, esiste veramente

            Hy-Breasil? Tu che ne pensi? ”

           “ Forse sì.

            Una volta abitavano qui vicino un uomo e sa moglie;

            avevano due figli, un maschio e una femmina.

            La madre morì e ogni giorno

            padre e figlio andavano a pesca

            mentre la figlia badava alla casa.

            Un giorno al loro rientro lei non c’era più.

            Era sparita senza lasciare traccia.

            Anni dopo stavano pescando al largo:

            scese una nebbiolina: e dissoltasi la nebbia,

            trovarono un’isola in un luogo in cui prima non era esistito niente.

            Lì, c’era la figlia che li accolse con affetto. “ 

            “ Tornò a casa con loro, e … ” 

            “ Penso di no. Dovette restare lì. ”

 
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Post N° 32

Post n°32 pubblicato il 14 Aprile 2005 da rara_utopia

“La globalizzazione tende a gravitare attorno alla legge di Moore, la quale stabilisce che la capacità di elaborazione di un microchip raddoppia in un periodo compreso fra i 18 e i 24 mesi, mentre il costo si dimezza.

Nel 1930 un minuto di conversazione telefonica tra New York e Londra costava l’equivalente di 300 dollari del 1996; oggi, con Internet, è quasi gratuito.”

Oggi vorrei brevemente parlare di globalizzazione. Lungi da me dare giudizi, anche se il testo che utilizzerò, “No logo” di Naomi Klein, è abbastanza significativo circa i miei intendimenti. Vorrei semplicemente che si riflettesse circa i brani che riporto. Neanche la Klein, in effetti, fornisce giudizi; si limita a riportare dati, dichiarazioni, avvenimenti, circa la tematica della globalizzazione. Alla sensibilità di ognuno di noi spetta ricavare una propria valutazione.

Da: “No logo”, di Naomi Klein:

(…) Le aziende sono ormai “promotrici di significati”, non produttori di merci. Sono aziende produttrici di marchi, non di prodotti. Chiunque può produrre una merce. Tali compiti possono essere affidati ad appaltatori e subappaltatori (preferibilmente nel Terzo Mondo, dove il lavoro ha prezzi bassissimi, le leggi e il fisco permissivi), la cui unica preoccupazione è quella di evadere l’ordine nel minore tempo ed al minor costo possibile.

(…) Alla fine degli anni ’70 l’alligatore della Lacoste scappò dai campi da gioco e se ne andò in giro per le strade, bene in evidenza sulle camicie. Questo logo aveva la stessa funzione sociale del cartellino del prezzo lasciato attaccato al vestito: tutti sapevano quale sovrapprezzo per il nome era disposto a pagare chi indossava quel capo. Il logo divenne un accessorio di moda.

(…) Negli Usa Channel One, emittente televisiva, ha chiesto di aprire le aule a due minuti al giorno di pubblicità televisiva, inserita all’interno di programmi su temi di attualità per adolescenti della durata di dodici minuti. Non solo gli studenti sono obbligati ad assistere, ma gli insegnanti non possono regolare il volume. Channel One fa pagare la pubblicità il doppio delle tariffe applicate normalmente, in quanto è in grado di offrire, “nessun calo di indice di ascolto”. Oggi, Channel One è presente in 12.000 scuole, e raggiunge circa 8 milioni di studenti.

(…) Il nostro obiettivo è concentrarsi al massimo su fattori quali marchio, marketing e design di prodotti, nell’ambito di un piano strategico che ci consentirà di soddisfare le aspettative e necessità dei consumatori di abbigliamento casual in Nord America. Il trasferimento di una parte cospicua della produzione dai mercati statunitensi e canadesi ad appaltatori di tutto il mondo consentirà alle aziende di destinare ai marchi risorse e capitali con una flessibilità maggiore. Se vogliamo restare competitivi, dobbiamo assolutamente seguire questa via. Così John Ermatinger, Presidente della Levi’s, spiega la decisione di chiudere 22 stabilimenti e licenziare 13.000 lavoratori tra novembre ’97 e febbraio ’99.

(…) Assieme ai posti di lavoro, svanisce anche il principio della responsabilità del produttore nei confronti della forza lavoro: è la globalizzazione a costo zero.

Interi paesi vengono trasformati in ghetti industriali con manodopera a basso costo.

Fidel Castro, all’Organizzazione Internazionale per il Commercio, nel maggio 1998: “Di cosa vivremo? (…) Che tipo di attività industriale ci verrà lasciata? Solo la produzione a basso contenuto tecnologico, altamente contaminante, che richiede ingenti quantità di lavoro e manodopera? Si vuole forse trasformare gran parte del Terzo Mondo in una enorme zona di libero scambio, piena di stabilimenti per l’assemblaggio che non pagano neanche le tasse?” (…)

 

 
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Post N° 31

Post n°31 pubblicato il 12 Aprile 2005 da rara_utopia

Oggi mi sento sentimentalmente ispirato, per cui inserisco questo stralcio de "La lettera d'amore" di Cathleen Schine, pubblicata da Adelphi.

Ammetto che la Schine è quanto di più lontano rispetto alle mie letture consuete, ma mi piaceva questo accostamento tra sentimenti umani e vesti animalesche: ditemi chi non si è mai immedesimato nel Montone o nella Capra della Schine.

(...)

" Cara Capra,
come ci si innamora? Si casca? Si inciampa? Si perde l'equilibrio e si cade sul marciapiede, sbucciandosi il ginocchio, sbucciandosi il cuore?
Ci si schianta per terra, sui sassi? O è come rimanere sospesi oltre l'orlo di un precipizio, per sempre? (...)
Come sempre,
Montone "

(...)

" Caro Montone,
ci sono varie ipotesi sull'innamoramento: per gli scienziati è colpa dell'ossitocina, per i parsimoniosi è colpa delle bollette, per i cinici è colpa della carriera, per i romantici è colpa di Cupido. Nessuno che dica mai che è "merito" di qualcuno e questo la dice lunga, molto lunga. Di chiunque sia la colpa, l'innamoramento è un vero flagello di Dio. Non solo si perde l'equilibrio e si cade
davvero, distratti come si è, ma si perde anche la ragione! Motivo per cui, è bene che le capre restino tra le capre, e i montoni tra i montoni! Se, per te, queste parole non costituiscono un deterrente, non ti resta che superare la soglia di quel precipizio a cui fai riferimento; a volte, bisogna beccare una buccia di banana e fare un rovinoso capitombolo per stare attenti a come si cammina. (... )
Con simpatia,
Capra "

(...)

 
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