Creato da aliantelibero il 15/08/2008
ovvero il fratello dello scemo del villaggio

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L'intento di questo blog è di far conoscere da un punto di vista "altro" il mondo della malattia mentale e del disagio psichico. I contenuti del blog, in bilico fra cronaca quotidiana, letteratura scientifica e presunzione letteraria affronteranno con ironia e creatività, ma pur sempre con serietà e correttezza i temi più vari che attengono alla vita delle persone con disagio psichico e i loro familiari.

I contenuti e le immagini non intendono offendere nè stigmatizzare persone con disagio psichico o loro familiari. Termini crudi e forti sono usati, e talvolta abusati, non per connotare le persone in condizione di disagio psichico, ma per sottolineare e stigmatizzare precisi luoghi comuni e stereotipi sociali di cui è spesso intriso il linguaggio e il pensiero corrente

Il blog non pretende di far divulgazione nè scientifica nè di altra natura, ma offre solo le riflessioni e gli sfoghi di una persona che nel mondo della malattia mentale, per professione e per affetti familiari, ci vive ogni giorno.

Il personaggio narrante è frutto di pura fantasia e tutte le vicende narrate, devono intendersi fortemente romanzate, senza alcun riferimento intenzionale a persone reali... in quanto ai fatti, quando sarà necessario i riferimenti saranno seri e circostanziati e sotto stretta responsabilità dell'autore.

 

Foto e video pubblicati su questo blog, laddove reperiti sulla rete, sono utilizzati in perfetta buonafede e con l'intento di divulgare un messaggio sociale di promozione dell'integrazione.

Chiunque possa vantare diritti di proprietà o di utilizzo del materiale citato, e si ritenga leso dall'uso del materiale in oggetto, può richiederne l'immediata rimozione utilizzando uno qualsiasi dei canali di contatto con l'autore

 

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L'uomo che accende le luci nelle case altrui

Post n°104 pubblicato il 01 Febbraio 2014 da aliantelibero
 

C'è stato un tempo in cui, per mettere da parte qualce soldino per affrontare i miei studi universitari fuori sede, l'estate lavoravo come operaio di una ditta di impianti elettrici.

Era un lavoro che mi piaceva.

Mi piaceva soprattuto entrare nelle case della gente, la mattina, appena al risveglio.

Lo confesso, era una sensazione un po' voyeuristica. Mi affascinava guardare i piccoli universi privati di una persona, o di una famiglia, nel momento di quella intima fragilità che è il risveglio, sospesi fra il torpore della notte appena dormita e la necessità di riguadagnare vitalità.

Le case del mattino sono un universo vario e variegato... talvolta avariato...

C'erano quelle case che sembrava non ci avessero neanche dormito. Linde e ordinate, senza profumo di caffè e marmellata.

Poi c'erano le case di quelli che si svegliavano con te. Quelli che ti aprivano la porta con i capelli ancora arruffati e biascicando qualche mezza parola ti accomodavano in cucina, mettevano sul fuoco la moka del caffè e ti chiedevano di spegnerla, casomai... prima di sparire nei bagni per infinite toelette

C'erano le case con le donne fantasma... quelle che non comparivano mai, che sentivi sfaccendare nelle altre stanze senza che s'affacciassero neanche per darti il buongiorno. E poi c'erano le case con le donne ammiccanti...  che ti giravano intorno chiedendo mille cose e lasciandoti intravedere scampoli di pelle sotto vestaglie slacciate ad arte. A volte c'erano le donne materne... quelle che si preccupavano ogni dieci minuti della tua sete, della tua fame, della tua incolumità mentre armeggiavi con i ferri del mestiere

Ma c'erano soprattutto le case con gli uomini...

Le case con gli uomini mariti che prendevano ferie dal lavoro, perchè sia mai le loro moglie fossero sole in casa con un rappresentante del sesso maschile.

Le case con gli uomini suoceri, quando i mariti proprio non potevano esser guerrieri pronti ad attendere alla difesa dell'onorata virtù dell'angelo del domestico focolare.

Le case con gli uomini mariti che con studiata nonchalance s'assicuravano tu potessi vedere un letto così disfatto, da sembrarci essere passata una mandria di buoi, e con l'ebete sorriso sulla ebete faccia cercavano di farti immaginare di quale notturna foga fosse stato testimone quel talamo...

Mi piaceva entrare nelle case al mattino presto, perchè entrare in una casa al mattino presto è un po' come entrare nella vita di una persona quando è più indifesa.

Questa è una cosa che non ho capito subito, però...

Anzi è una cosa che ho capito solo ora...

ora che nelle case ci entro lo stesso per lavoro, ma non più per accendere le lampadine appese al muro quanto per provare ad accendere luci di nuove speranze nelle persone.

 

 
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Storie di padri e figli

Post n°103 pubblicato il 23 Settembre 2013 da aliantelibero

Da qualche tempo Amerigo ha cominciato ad appassionarsi ad internet.

Un giorno, senza alcun preavviso mi disse che voleva anche lui un suo profilo su facebook e che voleva capire come si "trovano le cose" su "Gugol"

I primi giorni abbiamo condiviso il mio pc. Ogni volta che a me non serviva, lui si metteva a smanettare e navigare.

Dopo qualche settimana notai nella cronologia delle ricerche, delle parole chiave abbastanza emblematiche: dottoresse attizzate, infermiere di notte, segretarie aggressive, casalinghe sole...

Capii che era ora che Amerigo avesse un pc tutto per se, e con pazienza recuperai un vecchio portatile che avevo messo da parte.

Quello che però mi colpì veramente, mentre ripulivo le tracce delle sue ricerche fu un nome:

Pier Manfredo Santacroce


Suo padre



Amerigo aveva cercato notizie su l'uomo che dopo averlo messo al mondo si era praticamente dimenticato di lui e della donna con cui l'aveva concepito, per sparire come neve al sole di primavera.

Era da molto tempo che Amerigo non mi faceva domande su quell'uomo. Pensavo che in qualche modo l'avesse riposto nel cassetto dei ricordi inutili.

Non era così.

Scoprire questo suo bisogno di sapere di suo padre mi stranii anche se in fondo non c'è nulla di così trascendentale in esso.

Volevo trovare un modo per parlare con lui di questo senza fargli comprendere che avessi visto le sue navigazioni online. 

Fu così che mi sono ritrovato a pensare a Pepe e Ramon, padre e figlio messicani che incontrai a Tel Aviv...

Avevo preso un letto in un ostello.

Una camerata da 10.

Quando mi capita di viaggiare da solo, scelgo spesso questa soluzione.

La condivisione della stanza è sempre un buon viatico per conoscere qualcuno e quindi rimediare temporanea compagnia.

Arrivai in ostello a notte fonda. C'era un silenzio profondo nei corridoi.

Quando aprii la porta della camerata mi colpì la scena di due sagome curve sul piccolo tavolino che studiavano, alla luce di una piccola torcia, una grande cartina geografica.

Di sottofondo si udivano dei rantolii e un sommesso russare.

I letti della stanza erano, come in quasi tutti gli ostelli, a castello.

Il mio posto era al livello superiore, giusto di fronte al tavolo.

Salutai le due sagome, che mi risposero con un cenno della testa. Sistemai la mia borsa quasi al buio cercando di fare meno rumore possibile e mi accucciai sulla mia brandina.

La sagoma più anziana mi chiese, in inglese, se avessi fastidio della loro luce.

Li tranquillizzai e mi rannicchiai per provare a dormire.

Parlavano con voce flebile, ma riuscii a comprendere che parlavano in spagnolo. Capii che stavano pianificando un viaggio e che erano in disaccordo. Li ascoltai per qualche minuto, poi mi abbandonai al sonno.

Quando la mattina scesi nella sala colazione, trovai l'uomo spagnolo che preparava un caffè. Mi riconobbe e si propose di prepararlo anche per me. Mi disse che si chiamava Pepe e che era messicano. Parlammo a lungo e mi raccontò la sua storia. Nel frattempo anche Ramon si era unito a noi.

Pepe era un sindacalista. Antigovernativo. Nel 1990 aveva avuto parte attiva nell'organizzazione dello sciopero dei lavoratori della Birreria Modelo di Città del Messico, contro la decisione del sindacato nazionale di riconoscere i propri dirigenti locali e contro il rifiuto del governo di riconoscere il loro diritto di sciopero.

Lo sciopero fu sedato dalla polizia antisommossa che, armata, attaccò picchetti fuori dalla fabbrica portando via gli scioperanti, che furono picchiati ed arrestati.

Pepe fu condannato a 18 anni di prigione nel giro di pochi giorni. La moglie era incinta da 5 mesi.

Suo figlio, Ramon, nacque senza che egli potè vederlo e per tutti gli anni della prigionia non gli fui mai concesso di riceverlo in visita.

La prima volta che Pepe vide suo figlio fu al suo rilascio. Ramon era ad attenderlo fuori dal cancello della prigione. Era già un uomo. Pepe aveva mancato tutte le tappe della sua crescita.

Aveva 18 anni d'amore e di paternità da recuperare.

Dopo pochi mesi, riempirono uno zaino a spalla e decisero di conoscersi andandosene in giro per il mondo...

Sembrava una storia da romanzo, ma era vera.

Pepe e Ramon erano lì.

Pepe e Ramon erano i due che prendevano il caffè con me

Pepe e Ramon erano i due che si accingevano a percorrere un'altra tappa del loro avventuroso viaggio: Damasco, in Siria.

Ho ripensato a Pepe, pensando ad Amerigo che cerca notizie di Pier Manfredo.

Ho ripensato a me, al mio desiderio di paternità frustrato dalle sfilacciature e crepe delle storie in cui mi sono sempre impelagato. Storie che non mi hanno mai portato a pensare seriamente a mettere al mondo una mia progenie.

Pepe e Ramon, Amerigo e Pier Manfredo, io e...

Storie di padri e figli. Padri e figli perduti, padri e figli ritrovati, padri e figli mancati

Chissà dove saranno ora Pepe e Ramon,

Chissà dov'è Pier Manfredo...

Chissà dove sarei stato io se avessi avuto un figlio...

 
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La felicità perfetta

Post n°102 pubblicato il 17 Ottobre 2012 da aliantelibero
 

Ricordi che tornano a galla...

Era la sera di un giorno di Luglio del 2008, quella sera sul treno da Bari verso casa.

Ero stanco... ma mi sentivo importante...

Quello era l'ultimo tratto di un viaggio molto più lungo...

Partenza da Gerusalemme verso l'aeroporto di TelAviv alle 4 del mattino. Nella navetta dell'hotel poche persone... il mio sguardo cade su una ragazza più o meno coetanea. Stanchezza e sonno, nessuna parola.

All'aeroporto prendiamo direzioni diverse.

La ritrovo al gate d'imbarco dopo tutti gli impicci del check in. Stesso volo, direzione Praga. Siamo seduti in un posto un po' defilato della sala. Ci guardiamo e ci riconosciamo.

Scambiamo qualche parola, ma è solo circostanza... dopo pochi istanti le nostre labbra sono incollate in un bacio senza passato e senza futuro.

Lungo e dolce...  Silenzioso...

Poi l'imbarco...

Il tentativo vano di trovare il modo di sedere accanto e la promessa, mancata, di ritrovarci all'arrivo a Praga. 

Una birra solitaria per ingannare la nuova attesa e quindi l'altro volo in direzione Roma e ancora un volo per Bari. Da lì il treno, verso le 20.30 di sera.

Ero stanco... ma mi sentivo importante...

Ero stato in Israele per un progetto di contrasto alla violenza minorile nel conflitto israelo-palestinese.

Avevo incontrato il ministro dell'istruzione Israeliana...

Avevo incrociato il futuro presidente USA, Barack Obama nel suo tour internazionale pre-elezioni, e conosciuto gli agenti della sua scorta per uno stupido "equivoco fotografico"...

Ero scampato ad un attentato per sole poche centinaia di metri di distanza...

Ero stanco... ma mi sentivo importante...

Nel mio scomparto entrò un ragazzo, credo trentenne, con un bellissimo bambino di 6 o 7 anni...
ridevano e scherzavano...

il piccolo faceva le domande più strampalate...

lui rispondeva con semplicità, ma con molta attenzione e partecipazione...

si sono seduti di fronte a me e lo scricciolo si è accoccolato sul padre...

erano visibilmente e semplicemente... Felici

Li guardavo...

Ero stanco...

...e ho smesso di sentirmi importante...

Tutto il mio vanesio orgoglio non valeva quanto la felicità semplice e perfetta di quei due in quel momento...

 
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è sempre troppo tardi

Post n°101 pubblicato il 31 Agosto 2012 da aliantelibero
 

ho imparato a scrivere tardi...

non parlo di ortografia, naturalmente. La capacita di accostare alcune lettere per comporre parole di senso compiuto, anzi, è arrivata sin da prima della frequenza delle scuole.

Merito di Amerigo.

Avermi al suo fianco era la discriminante per poter fare i suoi compiti a casa.

E' stato lui a spiegarmi i rudimenti delle composizione dei segni alfabetici...

"La lettera O si fa con un cerchio... la lettera A è una O con una gambetta a fianco... la lettera G è una O con la coda sotto..."

ripensandoci, mi accorgo che il suo personalissimo metodo di ricordare la grafia delle lettere, era tutto incentrato sulla O... chissà perchè...

ma, come già anticipavo, non parlo della capacità di accostare lettere per formare parole, quanto invece della capacità di

accostare

impilare

incastrare

cesellare

parole per formare concetti.

in realtà ho imparato tardi a fare diverse cose, e molte altre, ormai penso, non imparerò mai più a farle.

Una di queste cose, certamente, è capire come relazionarmi con "l'altra parte della mela".

ll buon Paolo Benvegnù nel suo "mare verticale" una sua soluzione la suggerisce pure:

"...ma io lascio che le cose passino

e mi sfiorino perchè

non sono ancora in grado di comprenderle..."

ma il mio problema è l'incapacità di seguire i buoni consigli e invece di provare a defilarmi dalla traiettoria delle sbandate e delle infatuazioni a buon mercato, mi ci metto giusto in mezzo,

si sa...

fra il sapere cosa è sbagliato fare, e il non fare quello che è sbagliato fare, c'è di mezzo il mare (giusto per associazione di idee)

Si sa pure, però, che con un po' di fantasia, si riesce a trovare qualcosa di positivo anche nelle peggiori tragedie.

Una volta Luigi Tenco rispose alla domanda

"perchè scrivi solo canzoni tristi?"

affermando:

"perchè quando sono felice esco"

Più o meno è andata così, anche per me...

L'aspetto positivo (forse) di tutto questo mio sbattere contro questo infrangibile muro di incapacità alla relazione affettiva, è che... del nero dei miei lividi ne ho fatto inchiostro per scrivere parole

Ne ho buone scorte di quell'inchiostro e, nonostante i miei buoni propositi, non manco periodicamente di rimpinguare i magazzini.

Se Tenco non scriveva perchè usciva, le mie pagine bianche non sono sempre ritempranti passeggiate all'aria aperta, ma qualche volta, penose convalescenze di scontri così violenti da annichilire finanche la mobilità delle dita...

Amerigo mio caro... sarebbe stato meglio, in quei giorni dell'infanzia, se invece di insegnarmi a mettere le gambette alle O, m'avessi spiegato come si fa a metterle al cuore, un bel paio di gambe robuste e muscolose, capaci di farlo fuggire ad ogni approssimarsi d'amore...

 

 
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strade parallele

Post n°100 pubblicato il 28 Luglio 2012 da aliantelibero
 

Li incontro quasi ogni giorno mentre vado in città

Lei è una donna minuta. Esile nel suo aspetto, dai canuti capelli bianchi tagliati corti, così corti da non aver bisogno di essere pettinati mai.
Un segno di praticità, come tutto, nel suo incedere, fra l'altro, conferma. Si muove con passi misurati. Si guarda intorno con movimenti millimetrici. Potrebbe avere 70 anni. Forse qualcuno in più, ma portati bene. Indossa sempre una gonna al ginocchio, nera o comunque scura e, in questi mesi estivi, camicette chiare sempre molto sobrie. Le scarpe sono curate e con un accenno di tacco.

Lui è un ragazzone goffo. Capelli arruffati, con un perenne accenno di barba mal curata. Indossa occhiali spessi e cammina ingobbito. Ha una piccola protuberanza sulla schiena e una curvatura pronunciata. Pantaloni e magliette, o camicie talvolta, sono sempre molto sgargianti. L'aspetto, nel complesso, è trasandato. Regge sempre delle buste che sembrano contenere della spesa.

Camminano sempre accanto. Il passo misurato di lei sembra essere simbiotico all'andamento strascicato di lui. Non mi è mai capitato di vederli sfalsati. Mai uno dietro l'altro. Sarà il frutto di un'allenamento di molti anni.

Di solito li costeggio mentre camminano lungo il marciapiede di una strada stretta. Sfilo piano accanto a loro, per non turbarli con la sensazione di un incedere troppo veloce in uno spazio troppo stretto, ma soprattutto per guardarli con attenzione, per cogliere qualche particolare che possa spezzare quel senso di fatalismo in questo nostro incontrarci.

Lei non mi ha mai guardato, quantomeno, non ha mai voluto concedermi un gesto che potesse farmi avere certezza di un suo interesse.

Lui ha cominciato a salutarmi con un cenno del capo dopo un paio d'incontri. Di più non poteva fare d'altronde, visto il perenne fardello che sembra destinato a condurre.

Qualche volta Amerigo è in macchina con me. Non so se li abbia mai notati.

Amerigo c'era anche qualche settimana fa. Discutevamo un po' animatamente, per un suo capriccio che non riusciva a ridimensionare nonostante avesse compreso una certa difficoltà ad accontentarlo. Capitò quindi di passare accanto a quella strana coppia senza ricambiare il saluto di lui. Appena realizzato d'averli superare li cercai nello specchietto. Ebbi la sensazione netta di aver colto un velo di delusione nello sguardo di lui e come una accenno di durezza in quello di lei.

Quella sera sarei partito per un viaggio di lavoro e sarei stato assente per diverso tempo. Proseguii verso la mia meta con uno strano senso di disagio.

Al mio ritorno, ripresa la routine verso la città, li incontrai puntualmente. Tutto era come sempre. Nulla era cambiato ma lui... lui non mi porse il consueto cenno del capo per salutarmi.

Accadde la stessa cosa il giorno dopo.

Ero stranito, mi spiaceva averlo ferito. Mi erano due sconosciuti, ma stranamente erano nei miei affetti. Soprattutto lui. Pur senza conoscer nulla della sua storia, avevo pensato che quel ragazzone fosse un altro Amerigo e questo me lo rendeva naturalmente e geneticamente simpatico e vicino

Poi ieri...

Li incontrai mentre scrosciava un temporale. Stranamente non erano premuniti. Non avevano ombrelli o altro che potesse ripararli.

Lei camminava imperterrita sotto l'acqua, solo più attenta a dove posare i piedi. Lui era più agitato. Frignava un po'.

Mi chiedevo come fosse possibile, che quella donna così pragmatica avesse potuto uscir di casa senza prevedere quello scroscio che pure era annunciato fin dalla notte prima, da cupi nuvoloni e fragorosi tuoni.

Senza pensarci più del necessario fermai al loro fianco e abbassato il finestrino mi offrii di accompagnarli.

Ci fu un attimo d'empasse. La donna sembrava non aver compreso. Per un attimo la sicurezza dei suoi modi aveva mostrato un'incrinatura. La incalzai di nuovo. Dietro, alcuni automobilisti impaziente strombazzavano feroci. Fu lui a rompere l'indugio e aperto lo sportello posteriore si infilò dentro con un sorriso finalmente rassicurato.

Sorpresa e forse un po' stizzita da ques'iniziativa s'arrese e salì. Prima ancora che potessi dire qualcosa mi diede delle indicazioni sulla strada da fare.

Non era distante. Mi incamminai lento pensando a qualcosa da dire per rompere il ghiaccio. In un qualche modo, quella donna era riuscita a creare un'atmosfera tale per cui sentivo quasi di dovermi scusare d'aver avuto quel moto di solidarietà e gentilezza. Ma ancora una volta, fu lei a rubare il tempo e parlare prima di me.

Mi disse il suo nome... Lena... Pensai a mia madre, Maddalena... chissà se era il diminutivo dello stesso nome. Prese coraggio e parola anche lui da dietro, annunciando il suo nome... Francesco...

Poi arrivammo alla loro casa. Lei disse che ero stato gentilissimo ad aver così premura per loro, con un tono che mi fece comprendere che la gentilezza dovesse esser qualcosa a cui non erano più abituati. Riuscii finalmente a incontrare il suo sguardo. Il suo viso. Capii che doveva esser stata una donna bellissima in gioventù. I suoi occhi erano velati di stanchezza e solitudine. Ci salutammo.

Chissà come sarà reincontrarli la prossima volta...

 
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LA FAMIGLIA BUONOFIGLIO

Amerigo Santacroce… mio fratello.

Uno dei tanti nati verso la fine degli anni 60, quando i parti si facevano in casa e il nascituro doveva affidare la sua sorte nelle mani di qualche buona praticona...

Lui non ebbe culo: una banale complicazione, una levatrice leggermente impreparata, un principio di embolia che blocca l’afflusso d’ossigeno al cervello e… buona notte al secchio…

Ecco dunque a voi, signore e signori l’iperbolica genesi dell’attuale detentore del titolo di “scemo del villaggio” di questo ameno borgo del sud Italia.


Io.. io sono Adalberto.

Adalberto Buonofiglio per la precisione. Figlio di secondo letto di mia madre. Potete tranquillamente risparmiarvi l’ironia a buon mercato sul mio nome: la conosco da quando sono nato. Per l’esattezza 7 anni dopo. In ospedale questa volta, a scanso di equivoci…


PierManfredo Santacroce, padre d’Amerigo era un artista di quelli che la critica colta ama chiamare “eclettico”. La gente comune, più grossolanamente, “svitato”. Di origine geografica ignota, girovago fin dall’adolescenza, la leggenda narra che non abbia soggiornato in un luogo mai più a lungo di 3 anni consecutivi.

Il matrimonio e la convivenza con mamma non contraddissero questa regola. Si racconta infatti che all’alba del mille e dodicesimo giorno di stanzialità nel nostro paese raccolse i suoi vestiti ed i suoi silenzi lasciando come ricordo di se un letto vuoto, un amore interrotto ed un figlio che era il giusto frutto di cotanto genitore.


Di Antonio Buonofiglio, mio padre c’è poca storia da raccontare… Buon uomo senza arte e senza dote. Semplicemente l’unico partito per rimediare alla “bianca vedovanza” di mia madre


Su Maddalena Santacroce Buonofiglio, angelo del focolare di questa nostra laconica famiglia, concedetemidi conservare un devoto silenzio, ché gia troppe son le parole spese su di lei…

 

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