Creato da aliantelibero il 15/08/2008
ovvero il fratello dello scemo del villaggio

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L'intento di questo blog è di far conoscere da un punto di vista "altro" il mondo della malattia mentale e del disagio psichico. I contenuti del blog, in bilico fra cronaca quotidiana, letteratura scientifica e presunzione letteraria affronteranno con ironia e creatività, ma pur sempre con serietà e correttezza i temi più vari che attengono alla vita delle persone con disagio psichico e i loro familiari.

I contenuti e le immagini non intendono offendere nè stigmatizzare persone con disagio psichico o loro familiari. Termini crudi e forti sono usati, e talvolta abusati, non per connotare le persone in condizione di disagio psichico, ma per sottolineare e stigmatizzare precisi luoghi comuni e stereotipi sociali di cui è spesso intriso il linguaggio e il pensiero corrente

Il blog non pretende di far divulgazione nè scientifica nè di altra natura, ma offre solo le riflessioni e gli sfoghi di una persona che nel mondo della malattia mentale, per professione e per affetti familiari, ci vive ogni giorno.

Il personaggio narrante è frutto di pura fantasia e tutte le vicende narrate, devono intendersi fortemente romanzate, senza alcun riferimento intenzionale a persone reali... in quanto ai fatti, quando sarà necessario i riferimenti saranno seri e circostanziati e sotto stretta responsabilità dell'autore.

 

Foto e video pubblicati su questo blog, laddove reperiti sulla rete, sono utilizzati in perfetta buonafede e con l'intento di divulgare un messaggio sociale di promozione dell'integrazione.

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Le parole del dopo

Post n°94 pubblicato il 27 Gennaio 2012 da aliantelibero
 

Le parole del dopo:

quelle che maledettamente mancano

e

quelle che sono maledettamente troppe

Le parole che ho cercato per spiegare a mio fratello il perchè sia potuta accadere l'assurda tragedia di un padre che toglie la vita al proprio figlio.

Di quel padre che tante volte ha incontrato e con cui tante volte ha riso e scherzato.

Di quel figlio che aveva sempre un sorriso caldo e piccole grandi attenzioni.
Gesti minimali talvolta, ma  densi di sensibilità e affetto, come ad esempio il raccogliere il week end i tagliandi dei biglietti del cinema in cui lavorava, perchè poi i suoi amici potessero andare a vedere un film con lo sconto il giovedì.

Cercare il mostro è uno sport sin troppo praticato in questi ultimi tempi

mi ritornano sulle labbra (anzi, sulle dita) le parole che ho speso pochi giorni fa, riflettendo sull'episodio della crociera affondata...


"Ma si sa, l'italiano ha da tempo smesso di essere popolo e ormai s'accontenta d'esser bianco muro su cui affiggere fugaci icone"


e in questo caso l'icona è bella e pronta. Così tanto pronta che, forse, c'è anche un po' di rammarico per quel pizzico di mistero mancato, che magari avrebbe reso più succulento il chiacchiericcio del villaggio. Avetrana insegna da queste parti

Ho percorso, in corteo, il tratto di strada dalla camera ardente alla chiesa, in compagnia di una persona che non incontro spesso, ma di cui ho una stima profonda e radicata.

Entrambi siamo, in un qualche modo, investiti del dovere di rimettere in sesto, per quanto possibile,  le macerie di una famiglia devastata dall'assurdità di quest'evento.

Abbiamo scambiato molte parole condividendo sgomento, rabbia e preoccupazioni per quello che sarebbe stato da quel momento in poi.

Abbiamo parlato di Giovanni. Ricordi preziosi, densi di affetto e commozione.

Ma abbiamo anche parlato di quel padre e, per quanto oggi possa sembrare impossibile e retorico, sono emerse alla memoria una sequela di fotografie dai colori chiari e luminosi.

Una in particolare mi è vivida e pregnante. Una giornata in barca, alla fonda, nel cristallino mare di Gallipoli, nella quale padre e figlio insegnavano a pescare ai nostri ragazzi dell'associazione.

Una giornata di sorrisi, di ilarità, di complicità, di affetto che galleggia negli occhi e nei pensieri di tutti. I sorrisi di quell'uomo, a volte accalorato, ma mai burbero con gli amici di sua figlia. 
Una giornata, fra le tante, che rende ancora più incredibile ed inspiegabile quanto è accaduto.


Non posso e non voglio fare apologie dell'accaduto, ma non riesco a tollerare il coro da stadio che inneggia al mostro per comodità di cronaca.

Ci sarà una giustizia, che spero ferma ma umana, per presentare il conto di un gesto orribile e irreparabile, ad un uomo che già, allo svanire dei fumi dell'alcool, ha cominciato una personale espiazione molto più feroce e inconciliante della retorica legale.

Ma c'è anche una giustizia sociale a cui non si dovrebbe abdicare. O forse, più correttamente, ci dovrebbe essere una giustezza sociale a cui non si dovrebbe abdicare, soprattutto quando il proprio narrare non è chiacchiera da comare di paese, ma compito scelto per  professione.

Ho letto con profondo disgusto innumerevoli articoli in cui la cronaca, ormai esaurita, o sufficientemente intuibile, ha lasciato il posto ad un voyeuristico gossip da necrofili dell'anima.

L'ho già detto prima, non cerco pietistiche apologie sociologiche dell'accaduto.

Il paese è piccolo e la gente ha già mormorato. Ognuno già sa i giusti chi, come, cosa e perchè.

Lo sa anche chi avrebbe potuto fare qualcosa di più prima, e che invece ci costringe a sperare che non faccia qualcosa di troppo ora.

La verità, signori è che proprio non ci serve un novello De Falco, che a nave affondata, si metta ad urlare un altro vada a bordo, cazzo

 
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Commenti al Post:
aniram1959
aniram1959 il 27/01/12 alle 23:17 via WEB
dopo...quando è tardi...ma quel "vada a bordo...cazzo"...non sarebbe servito...se un pavido non fosse scappato...come forse non ci sarebbe stato da piangere giovanni...se il paese avesse urlato...e non mormorato
(Rispondi)
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LA FAMIGLIA BUONOFIGLIO

Amerigo Santacroce… mio fratello.

Uno dei tanti nati verso la fine degli anni 60, quando i parti si facevano in casa e il nascituro doveva affidare la sua sorte nelle mani di qualche buona praticona...

Lui non ebbe culo: una banale complicazione, una levatrice leggermente impreparata, un principio di embolia che blocca l’afflusso d’ossigeno al cervello e… buona notte al secchio…

Ecco dunque a voi, signore e signori l’iperbolica genesi dell’attuale detentore del titolo di “scemo del villaggio” di questo ameno borgo del sud Italia.


Io.. io sono Adalberto.

Adalberto Buonofiglio per la precisione. Figlio di secondo letto di mia madre. Potete tranquillamente risparmiarvi l’ironia a buon mercato sul mio nome: la conosco da quando sono nato. Per l’esattezza 7 anni dopo. In ospedale questa volta, a scanso di equivoci…


PierManfredo Santacroce, padre d’Amerigo era un artista di quelli che la critica colta ama chiamare “eclettico”. La gente comune, più grossolanamente, “svitato”. Di origine geografica ignota, girovago fin dall’adolescenza, la leggenda narra che non abbia soggiornato in un luogo mai più a lungo di 3 anni consecutivi.

Il matrimonio e la convivenza con mamma non contraddissero questa regola. Si racconta infatti che all’alba del mille e dodicesimo giorno di stanzialità nel nostro paese raccolse i suoi vestiti ed i suoi silenzi lasciando come ricordo di se un letto vuoto, un amore interrotto ed un figlio che era il giusto frutto di cotanto genitore.


Di Antonio Buonofiglio, mio padre c’è poca storia da raccontare… Buon uomo senza arte e senza dote. Semplicemente l’unico partito per rimediare alla “bianca vedovanza” di mia madre


Su Maddalena Santacroce Buonofiglio, angelo del focolare di questa nostra laconica famiglia, concedetemidi conservare un devoto silenzio, ché gia troppe son le parole spese su di lei…

 

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