Creato da plumbook il 23/07/2009
Tutto è voluto da Dio.
 

Blog dedicato a Luigi Bracco (1918-1996) che per tutta la sua Vita, pazientemente ha ripetuto pochi e chiari concetti, sia pure con infinite sfumature:

1- Tutto è voluto da Dio, beni e mali, Dio non è stato il Creatore, è il Creatore di ogni fatto piccolo o grande che avviene nella nostra vita.

2-Dio abita nel nostro pensiero, è un pensiero apparentemente uguale agli altri, come Cristo era un uomo apparentemente uguale agli altri.

3-Ogni uomo è stato creato per conoscere personalmente Dio, non per convertire gli altri, non per fare apostolato, non per aiutare i poveri, i malati o gli handicappati, non per cambiare il mondo come piace a lui, il mondo è e sarà come piace a Dio.

4-A Dio si giunge esclusivamente con il pensiero, non con sacrifici, rinunce, regole, istituzioni, creature, riti, canti, feste o modi di comportamento.

5-La vita eterna inizia quando conoscere Dio diventa il nostro prima di tutto nel pensiero.

 

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La luce, prima cratteristica.


La luce è ciò che ci annuncia il suo principio.Anzi la luce è l'unico esistente che non si separa mai dal suo principio. Tutti gli altri esistenti si separano dal principio, anche l'uomo ha la possibilità di separarsi dal suo principio e si separa dal suo principio. Tutte le creature si separano dal loro principio, i figli si separano dalla madre, tutte le cose si separano dal loro principio. La luce è l'unico esistente che non si separa mai dal suo principio e proprio per questo è luce perché ci riporta sempre alla sua origine. Ci annuncia la sua origine.


 

La luce, 2° caratteristica.


La seconda caratteristica della luce è l'invisibilità. Sembra una contraddizione: proprio la luce che ci fa vedere tutte le cose è invisibile. Eppure abbiamo anche detto che la luce non ha bisogno di testimonianze, perché quando c'è si vede e quando non c'è non si vede. La luce è invisibile, quello che rende visibile la luce è soltanto ciò che non è luce. Quello che evidenzia la presenza della luce è l'effetto che la luce opera su ciò che luce non è. Quello che rende evidente la presenza della luce è l'impurità, la luce si vede in quanto c'è un corpo diverso su cui la luce opera. È questa la Luce che arriva ad ogni uomo, che illumina ogni uomo e che ogni uomo avverte, avverte per l'impurità che porta con sé.


 

La luce, 3° caratteristica.

La terza caratteristica della luce è che è infinita, cioè la luce non finisce. Anche come segno la luce riesce ad attraversare miliardi di anni e non si estingue, questo è segno dell'intenzione, perché là dove c'è l'unità, dove c'è l'essere cosciente e l'essere cosciente è uno, lì c'è l'infinito. Il che vuole dire che questa intenzione infinita giunge dappertutto. Siccome noi siamo uno, abbiamo il pensiero del nostro io, noi portiamo con noi questa intenzione che ha la possibilità di riflettersi su tutto. Per cui se noi non raccogliamo in Dio, l'intenzione che noi proiettiamo sulle cose a un certo momento invade tutto e tutti, tutta la creazione di Dio e anche Dio stesso.

(Luigi Bracco)

 

La clorofilla.

La caratteristica della luce è collegare il punto in cui ci troviamo alla fonte della luce stessa. La parola di Dio proprio in quanto è comunicazione del Principio, dell'assoluto, è luce, è luce per noi. Ma la parola va assimilata e cosa c'è in noi che dà a noi la possibilità di assimilare la parola di Dio? Non ci sarebbe niente sulla terra se non ci fossero gli alberi. Tutta la vita viene dal mondo verde. La caratteristica dell'albero è la fotosintesi cioè la captazione della luce. L'albero ha la possibilità, di captare la luce e di trasformarla in energia e attraverso questa energia produce tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno per vivere.  La clorofilla nell'albero è quello che assimila la luce.L'uomo capta in quanto è in sintonia con-. Ma la sintonia vuol dire stessa presenza di-. Cioè soltanto se nell'uomo c'è la stessa presenza di ciò che gli viene comunicato, l'uomo può captare quello che gli viene comunicato, soltanto se nell'uomo c'è un punto infinito, l'uomo può captare l'infinito di Dio che si comunica all'uomo. Allora la parola di Dio non fa altro che evocare ciò che in noi c'è di Dio e che il più delle volte è trascurato. Questo qualche cosa di Dio che portiamo in noi è il Pensiero di Dio. L'albero è luce trasformata e tutto ciò che è vivo nel mondo, è luce trasformata e anche noi spiritualmente siamo vivi soltanto in quanto siamo Luce trasformata.La luce ha questa meravigliosa possibilità che trasforma in luce tutto ciò in cui penetra. Trasforma in luce o riduce in cenere.  La clorofilla significa per noi questa capacità di assimilare la luce e questa capacità di assimilare la luce è data a noi dal Pensiero di Dio.Ma questo Pensiero di Dio deve essere attualmente presente nel nostro pensiero.

 

La notte.

Se ci fosse soltanto il pensiero del nostro io e non ci fosse il Pensiero di Dio, noi saremmo illuminati, avremmo la luce del nostro io: il cane non ha mica problema per vedere, l'animale vede. La notte non esiste, è fatta dalla luce. Due luci creano la zona di tenebre, è fisica. Due luci ti creano la notte, è la presenza di due luci, è l'interferenza di due luci che ti crea la zona d'ombra. Tu metti due candele, a un certo punto hai una zona nera, tu metti due candele, metti un foglio in mezzo e vedi un punto nero, c'è il punto cieco, c'è la notte, perché la notte viene data dall'interferenza di due luci. Se tu vuoi la luce devi avere una luce sola che t'illumina. Se tu sei illuminato da due cose c'è la notte. Il dubbio è dato dalla presenza di due cose, tutto lì. L'assenza è determinata da due presenze, la mancanza d'amore non è data dal non avere amore, ma dall'avere tanti amori.Non c'è uno che non abbia amore, c'è uno che ha tanti amori e allora i tanti amori ti creano l'assenza d'amore. (Luigi Bracco)

 

Il Cielo.

 Il pensiero di Dio l'hai, non sai che cosa sia, però il pensiero di Dio ce l'hai. Tu hai il pensiero di Dio, puoi trascurarlo, puoi dire che non ci credi, però ce l'hai. Il pensiero di Dio è dato a tutti. Non siamo noi i creatori, come faccio a dire che non siamo noi i creatori? Per dire che io non sono il creatore, devo avere in me il pensiero del Creatore, altrimenti non potrei dirlo e questo è il pensiero di Dio. Il fatto di accorgermi che non sono io a fare le cose vuol dire che ho presente Uno che fa le cose, pur non conoscendolo ancora. Questo è il luogo.Questo pensiero io l'ho in mezzo a tanti altri pensieri: ho il pensiero dell'albero, del marito, della montagna, dei fiori, ho tanti pensieri e tra questi pensieri c'è anche il pensiero di Dio. La nostra mente è un po' come il cielo stellato. Ci sono tante stelle. Tra tutte le stelle c'è n'è una particolare, diciamo la stella Polare, allora guarda che in quel punto lì, in quella stella lì tu trovi quella cosa lì. Quello diventa un luogo. (Luigi Bracco)

 

Il buco nero.

Noi siamo creati per diventare pensiero di Dio ma diventiamo quello che Dio ci ha voluti, soltanto in quanto noi superando noi stessi pensiamo Dio. Se invece noi pensiamo a noi, diventiamo pensiero del nostro pensiero: ci annulliamo, diventiamo niente. Proiettiamo il nostro pensiero su tutti i doni di Dio ma proprio proiettando ed estendendo il nostro pensiero, il pensiero del nostro io sul tutto di Dio, annulliamo tutto, perché nel pensiero del nostro io non si giustifica niente. La vita ci viene là nella conoscenza, là dove c'era giustificazione, la giustificazione in Dio. Il pensiero del nostro io è un recettore, non è un creatore. Il nostro io deve essere giustificato e deve trovare la sua giustificazione. Quindi noi proiettando il pensiero del nostro io su tutte le cose e lo proiettiamo perché abbiamo la passione dell'assoluto e non possiamo farne a meno, proiettando il pensiero del nostro io su tutti doni di Dio, su tutto l'universo, su tutte le cose, cioè estendendo il pensiero del nostro io all'infinito, noi ci riduciamo a zero, a niente. Cioè ci collassiamo nel nostro finito. Ecco il significato del buco nero, il nostro pensiero è come una stella che a un certo momento collassa tutta su se stessa e diventa un annientamento di tutto l'universo, perché tutto l'universo precipita in questo niente. Ѐ un segno del nostro io che parlando di sé, pensando a sé, si riduce a niente, collassando tutto l'universo su se stesso.

 

L'universo.

L'infinito ha la caratteristica di non poter essere scomponibile, non è divisibile. Vuol dire che l'infinito è infinito in ogni suo punto. Noi abbiamo già questo nel campo dei segni, poiché Dio in tutta la sua opera, non fa altro che significare Se stesso ed essendo Egli infinito perché è Uno, significa Se stesso e noi vediamo che nella creazione, l'universo intero che apparentemente per noi è infinito, è infinito in ogni suo punto. In ogni punto dell'universo c'è tutto l'universo! Non è necessario correre attraverso l'universo, di qua o di là, per conoscere universo: basta fermarsi in un punto dell'universo per scoprire tutto l'universo, perché l'infinito è infinito in ogni suo punto. La realtà è questa: in ogni punto dell'universo c'è tutto l'universo, in ogni punto dell'infinito c'è tutto l'infinito. Noi ci mettiamo a correre per il mondo per conoscere il mondo e facciamo un errore. Se vogliamo veramente conoscere il mondo non dobbiamo correre ma, dobbiamo fermarci in un punto e approfondire, perché in quel punto mi è dato tutto l'universo: è questione di profondità.

 

La stella alpina.

La verità ha bisogno di una dimensione interiore, altrimenti non possiamo identificarla, non possiamo dire:"È vero". Non possiamo dire: "Questo è vero" se non l'abbiamo già dentro di noi. Abbiamo fatto l'esempio delle stelle alpine e qualcuno si è anche stufato... Ma l'esempio delle stelle alpine è molto efficace.... È sufficiente richiamare quello che si è detto in questi giorni: "Beati sui monti i passi di Colui che viene parlandoci di Dio" e abbiamo detto che i passi sui monti sono proprio queste stelle alpine, perché la stella alpina vuol dire "Piede del Leone" e Gesù Cristo nemmeno a farlo apposta è il Leone di Giuda ("Ma uno degli anziani mi disse: «Non piangere; ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli".)Ap 5.5 Quindi c'è un rapporto e anche queste cose servono, anche le stelle alpine servono a glorificare Dio. Abbiamo detto che la condizione per riconoscere, individuare una stella alpina è quella di averla dentro di noi. Uno che non sappia personalmente, nel suo intelletto che cosa sia una stella alpina, può trovarsi di fronte a migliaia di stelle alpine ma non la può individuare e non può dire :"Questa è una stella alpina". La stella alpina, bisogna che prima sia concepita da noi e si concepisce in quanto si fa il confronto fra la stella alpina e tutti gli altri fiori e quindi si arriva ad individuare la singolarità della stella alpina: quello che determina la singolarità della stella alpina. Conosciuta questa singolarità, adesso, trovando la realtà la possiamo individuare e riconoscere. La realtà è opera di Dio, non è opera del nostro pensiero però il nostro pensiero è la condizione essenziale per poter riconoscere la stella alpina, per poterla individuare. Ecco che noi abbiamo la sintesi. L'individuazione, l'identificazione della stella alpina, è opera di Dio creatore che crea la stella alpina, ma richiede il nostro pensiero.

 

La stella d'assenzio.

La stella di cui parla l'Apocalisse si chiama Assenzio, e precipitando sulla terra avvelena, intossica tutte le acque. Questa stella sono le scienze dell'uomo che sono costruite su due grandi categorie di causa ed effetto ma non considerano il fine. Ma proprio perché non considerano il fine delle cose non tengono presente Dio e proprio in questo diventano motivo di annullamento del significato delle cose. Attraverso le scienze dell'uomo fa asservire tutte le opere di Dio ai suoi fini ma, proprio facendole servire ai suoi fini, l'uomo si priva del significato vero delle cose. Privandosi del significato delle cose, si priva della vita. Possiamo anche dire che tra le scienze e la vita c'è un conflitto. Le scienze hanno poco a che fare con la vita vera dell'uomo, perché non parlano del fine delle cose, le scienze rendono il mondo invivibile all'uomo. Non bastano le lotte degli ecologisti per riparare il mondo da questa invivibilità alla quale approda la conoscenza dell'uomo, perché se l'uomo non ha Dio come fine, per la passione di assoluto che porta in sé, deve distruggere tutto, perché deve asservire a sè tutto, deve fare il niente e facendo niente lui stesso diventa niente. L'unica soluzione per rendere vivibile il mondo, è quella di collegare tutte le opere di Dio con il loro Fine. Perché la Vita sta nel Fine e il fine è il Pensiero di Dio e solo se noi cerchiamo in tutto il Pensiero di Dio, anche l'ambiente attorno a noi diventerà per noi aiuto di vita. In caso diverso noi verremo a trovarci con un mondo che c'intossica e renda a noi impossibile il vivere.

 

Il luogo dei funghi.

Il luogo di Dio è il suo pensiero. Ma il luogo per essere luogo deve essere comune anche a colui che cerca. Quindi deve essere comune all'uomo. Perché se non è comune, se non c'è un punto in comune, non c'è la possibilità di passare, di trovare colui che si trova in quel luogo. Se io non conosco il luogo dei funghi certamente non posso trovare i funghi. I funghi non li vedo, però andando in un certo luogo ho la possibilità di trovarli. Perché i funghi si trovano lì. Tutto è segno ed è segno di Dio, segno di Dio per noi. Dio ci significa che soltanto se noi cerchiamo Lui nel suo luogo, non nei nostri luoghi, lo possiamo trovare. Perché il suo luogo è il suo pensiero, la sua Intenzione, non le nostre intenzioni. Qui possiamo capire perché l'uomo, fintanto che non cerca Dio nel Pensiero di Dio, non trova Dio. Ma abbiamo detto però che questo sfuggire di Dio non è per sottrarsi ma è per dare a noi la possibilità di trovarlo. Lui sfuggendo ci indica il luogo in cui Lui si trova. Quindi fintanto che noi lo cerchiamo altrove, non nel Pensiero di Dio, ma in altro da Dio, proprio questo suo sottrarsi a poco per volta ci fa pensare. Se io non trovo i funghi in un campo di grano sono costretto a pensare.

 

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Il Battesimo di Giovanni.

La preparazione di Giovanni sta sopratutto nella giustizia. Dare a Dio quello che è di Dio. Tutto viene da Dio e tutto va riportato a Dio. Questo è il battesimo di Giovanni Battista. Quindi tutte le cose che arrivano a noi vanno riferite a questa giustizia. Da questa giustizia nasce l'interesse, nasce l'amore che tende a vedere tutto come lo vede l'essere amato, ad ascoltare tutto ciò che dice l'essere amato, a desiderare di capire, tutto ciò che capisce e tutto ciò che fa l'essere amato. Perché l'amore si trasferisce nell'essere amato. Vive nel pensiero dell'altro.  

 

Il niente.

Il niente non è concepibile perché non esiste. Se esistesse non si direbbe niente. Eppure l'uomo lo esperimenta. La parola "niente" è una delle più usate dalla bocca degli uomini. Il niente di per sé non esiste. Esiste in relazione a ciò che noi desideriamo. Quando è che noi diciamo "niente"? Quando cerchiamo una cosa, quando abbiamo una cosa presente nel nostro pensiero, però non la notiamo davanti a noi, non l'abbiamo presente nella realtà sensibile in cui la cerchiamo. C'è niente in relazione a quello che io ho in testa. Quindi il niente è relativo a un nostro desiderio quando questo desiderio non trova esaudimento.

 

Il paradiso e l'inferno.

Il paradiso o l’inferno sei tu; paradiso o inferno è ognuno di noi, è uno stato d’animo. L’anima che è capace, che ha la grazia, che ha la possibilità di conoscere Dio, di pensare Dio, di guardare le cose dal punto di vista di Dio è nella pienezza della gioia: Paradiso. L’anima che ad un certo momento si è chiusa, si è fossilizzata nel pensiero dell’io, che è diventata una pietra, che non riesce più a ricevere niente d’altro, quella diventa inferno.


 

Il Purgatorio.

Adamo era nel tempo perché stava crescendo. Anche il purgatorio è nel tempo. Il purgatorio è soggetto al tempo, perché sono creature in formazione. Quando io dico che la morte è mandata da Dio, io me la debbo digerire nel purgatorio, altrimenti non entro mica. E quindi mi devo digerire tutto, non sono più disturbato dai problemi del mondo ma sono sempre nel tempo. Sono in maturazione come Adamo era in maturazione. C'era tutto questo divenire che tende verso questa grande conclusione: concepire Dio, altrimenti non puoi dire chi è Dio.


 

Il Demonio.

Non ci sono due creatori. Ed è per questo che non puoi attribuire nulla di ciò che esiste o avviene ad altro da Dio. Il demonio è uno che non raccoglie in Dio e non riferisce le cose a Dio. E questo può essere il nostro io, perché il demonio ha un io che non riferisce le cose a Dio ma non è per nulla creatore come nessuno di noi è creatore. Uno solo è il Creatore vuol dire che non devi riferire nulla di tutto ciò che esiste e accade ad altro da Dio.


 

Il peccato.

Il peccato sta nel disunire le opere di Dio da Dio, nel non riportare a Dio le cose che Dio ci fa arrivare.Tutto è di Dio e il peccato sta nel non dare a Dio quello che è di Dio.C'è in noi questa possibilità: non riportare a Dio quello che è di Dio, disunire le creature, le cose dal Creatore,.Tutte le cose arrivano a noi da Dio e non tutte le cose vengono riportate a Dio da noi. Quello che non riportiamo a Dio, forma in noi il peccato.


 

 

« La ricerca della felicità.L'ultimo giorno di festa. »

La scoperta del pensiero di Dio oggettivo in noi.

Post n°37 pubblicato il 07 Aprile 2020 da plumbook

Qui si parla di ultimo giorno della festa. La festa era quella dei Tabernacoli. Ultimo giorno fa pensare che la festa stia passando. Il concetto di festa è legato al concetto di riposo. Riposo da che cosa e riposo per che cosa? Normalmente si dice che la festa è riposo dai lavori servili e che sia sufficiente questo. L’interpretazione del mondo è che la festa è data per recuperare le forze. C’è anche una interpretazione religiosa della festa che si richiama al riposo del Creatore nel sabato, dopo avere fatto tutta la creazione. Per cui secondo l’interpretazione religiosa, il giorno di festa bisogna andare a messa e compiere certi doveri. Ma è tutto un concetto di festa inteso come assenza di occupazione nel mondo. Invece quello che è sopratutto efficace nel concetto di festa è il riposo per-, per quale motivo? Cioè essendo tutto opera di Dio, dobbiamo chiederci perché nell’ultimo giorno Dio si riposò. Cioè tutto quello che Dio ha fatto, lo ha fatto per noi. Se l’ha fatto per noi dobbiamo chiederci quale possa essere il significato di questo suo riposo. Questo riposo di Dio è un invito all’uomo ad entrare nel riposo di Dio, nella pace di Dio. C’è questo silenzio, questa assenza d’impegni nella creazione, affinché la nostra anima possa essere disponibile ad occuparsi delle cose di Dio, ad entrare nel riposo di Dio, nella pace di Dio. San Paolo nella sua lettera agli ebrei dice: “Se tu oggi ascolti la parola di Dio affrettati ad entrare nel suo riposo, nella sua pace affinché non t’avvenga come avvenne a quegli ebrei che non poterono entrare nella terra promessa, perché mancò loro la fede”. Qui ci fa capire che la fede è quel sostegno che ci deve condurre e introdurre nella terra promessa, cioè che ci deve introdurre nella pace del Signore. Questa pace viene a noi dalla scoperta oggettiva della presenza di Dio tra noi e in noi. Quando si parla di pace s’intende un accordo con-, un armonia con-. L’accordo è presentare un rapporto tra due termini, tra due esseri. L’elemento fondamentale del rapporto è sempre il termine fisso a cui si rapporta ogni cosa. Nel rapporto ci sono due termini, uno è fisso e l’altro si misura su quello. Quello fisso serve come misura per l’altro. Tutto dipende da ciò che nel rapporto teniamo come punto fisso di riferimento. Per cui possiamo stabilire in noi dei rapporti sbagliati, oppure possiamo stabilire dei rapporti giusti. Il rapporto è sbagliato, quando il termine fisso a cui noi rapportiamo non è quello vero, se ad esempio noi abbiamo come termine fisso di rapporto il pensiero di noi stessi, tutto ciò che noi riferiamo al pensiero del nostro io, crea in noi dei rapporto sbagliati. Perché il nostro io non è un punto fisso di riferimento. Da questi rapporti sbagliati, ne deriva che le soluzioni sono sbagliate: anziché pace, noi troviamo inquietudine, noi troviamo incertezza, noi troviamo dubbi. Lo sbaglio consiste nell’avere messo come punto fisso di riferimento a cui rapportare ogni dato, ogni cosa, ogni parola, ogni pensiero. Ne consegue che le soluzioni sono sbagliate, quindi noi non troviamo la pace. Questo è quello che ogni uomo verifica. Noi tutti verifichiamo questa tristezza di vita in cui non troviamo un luogo di pace. Quello che è difficile a noi è fare la diagnosi di questa malattia. Cioè è difficile identificare il punto fisso di riferimento sbagliato che noi mettiamo nella nostra vita. Certamente avendo come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io, noi riteniamo realtà, dato oggettivo, tutto quello che si riferisce al nostro io, ci appare realtà ma non è Realtà, sono effetti della Realtà e quindi tutti i nostri giudizi restano sbagliati. Questo è il campo di soggettività, in cui noi veniamo a trovarci, un cerchio chiuso da cui noi da soli, assolutamente non ne possiamo uscire. E poi c’è il rapporto giusto, il rapporto giusto è quando noi mettiamo come termine, come principio, come termine fisso di riferimento quello che veramente è, il termine fisso di riferimento è il Creatore. Dio è il vero principio “In principio era il Verbo”. Questo è il dato, il “Principio”. Ci viene detto affinché ognuno di noi lo metta come principio, e non abbia quindi a stabilire dei rapporti sbagliati e non abbia a venirsi a trovare in situazione di impossibilità di entrare nella pace. Se noi mettiamo come principio, quindi come termine fisso di riferimento, quello che è il vero Principio, cioè Dio, allora le soluzioni vengono giuste, allora noi entriamo nella pace di Dio. E la pace di Dio vuol dire certezza, vuol dire riposo, vuol dire luce, vuol dire conoscenza. E questa è la festa. Ora, questo principio, questo punto fisso di riferimento è in noi, perché Dio abita in noi. Dio creando l’uomo ha fatto dell’uomo il suo santuario, il suo tempio, la sua abitazione, la sua casa ma l’ha fatta senza di noi, per cui Dio è presente in noi, Dio è in noi senza di noi e forma la nostra stessa coscienza. Noi non ci rendiamo conto ma il nostro sapere di essere è sapere l’Essere, è la presenza dell’Essere in noi. Dio si è dato a noi senza di noi, però non si fa conoscere senza di noi. Farsi conoscere per noi è entrare nella pace di Dio ma in questa pace noi non entriamo senza di noi, perché la pace è effetto di un rapporto giusto. Non basta quindi avere Dio presente in noi, bisogna rapportare a Dio, tutto quello che Dio ci presenta, le sue parole, i fatti, le opere, il pensiero stesso del nostro io. Il pensiero stesso del nostro io, rapportato a Dio come Principio, come termine fisso di riferimento, è una cosa buona e c’illumina, ci porta nella pace. Se invece il pensiero del nostro io viene posto come principio a cui rapportare tutto diventa principio d’inquietudine, di tenebre e d’incertezza. Il pensiero di Dio è in noi, lo portiamo in noi. Ogni uomo lo porta in sé ma la grande difficoltà è giungere alla scoperta oggettiva di questa presenza del pensiero oggettivo di Dio in noi. Abbiamo visto l’impotenza dell’uomo a giungere nel luogo in cui si trova il Figlio, il luogo cioè in cui il pensiero di Dio ha l’essere, esiste indipendentemente da noi. L’uomo è impotente da solo a giungere in questo luogo: “Dove Io sono, voi non potete venire”, cioè dove Lui ha l’essere. Noi entriamo in questo luogo soltanto ascoltando la parola di Dio, è la parola di Dio che ci conduce a trovare questa presenza oggettiva di Dio, cioè indipendente da noi, cioè non riferita a noi. Campo soggettivo è tutto ciò che si riferisce al nostro io come punto fisso di riferimento, per cui quando diciamo: “Questa cosa è così perché io la vedo così”, noi facciamo riferimento a un principio (il nostro io) che non è un principio e allora noi stabiliamo un campo di soggettività, di dubbio, d’incertezza da cui da soli non ne possiamo assolutamente uscire. Soltanto se noi abbiamo la grazia, la possibilità di scoprire il vero principio e cominciare a guardare da questo punto di vista, dal punto di vista di Dio, noi cominciamo a stabilire questo campo di oggettività, in cui troviamo la nostra pace, in cui entriamo nella festa. Ma abbiamo detto che c’è una festa che sta passando...se festa è avere la possibilità di stabilire questo rapporto con il vero Principio e se per potere stabilire questo rapporto con il principio è necessario giungere a individuare, a scoprire la presenza oggettiva del pensiero di Dio in noi, questo ci fa capire che soltanto con la presenza fisica del Cristo che parla con noi, con la sua parola noi, potendo giungere alla scoperta della presenza oggettiva del pensiero di Dio in noi, abbiamo la possibilità che è grazia, di stabilire dei rapporti giusti e quindi di entrare nella nostra pace, cioè nella pace di Dio. Ho detto “possibilità”, perché non è detto che avendo scoperto la presenza del pensiero oggettivo di Dio in noi, si sia già entrati nella pace. La pace viene nella misura e per quello che noi rapportiamo a questo dato oggettivo, a questo principio ed è tutto un lavoro interiore, perché questo principio è dentro di noi, quindi è tutto un lavoro di raccolta, di subordinazione di ogni cosa a questo dato oggettivo in cui noi abbiamo la possibilità di raccogliere tutto e raccogliendo possiamo trovare la nostra pace. Ora, se la possibilità di entrare in questa festa ci viene data dalla presenza del Cristo che parla a noi, ecco che abbiamo un nuovo concetto di festa: il concetto di essere con-. Cioè c’è una festa che è data dalla presenza di Cristo nel nostro mondo e fintanto che è nel nostro mondo. Una festa che passa, perché Gesù stesso dice: “Non sempre avrete Me”. “Fintanto che Io sono nel mondo, sono luce del mondo”, fintanto! Quindi Lui entrando nel nostro mondo inaugura una festa, poiché inaugura un “essere con-“, soltanto se il Verbo di Dio entra nel nostro cerchio di soggettività in cui noi ci siamo chiusi, dà a noi la possibilità di spezzare questo cerchio e di uscire e di recuperare un dato oggettivo, di recuperare cioè il Principio che è poi il principio della nostra pace e della nostra salvezza. Però questa presenza del Cristo tra noi è transitoria e la transitorietà da cosa è determinata? La parola di Dio, cioè la presenza del Cristo tra i Giudei e la sua parola, siano state frustrate. Mentre Gesù diceva: “Mi cercherete e non mi troverete...” Lui era il Verbo di Dio con loro che parlava a loro. E quindi era una festa, essere con- è la festa, il paradiso terrestre era essere con-, l’impossibilità di essere con un altro, cioè essere soli, non è più festa: l’uomo che non riesce a uscire dal pensiero di se stesso, l’uomo che parla sempre con sé, anche quando parla con altri, è un essere che non può godere della pace, che non può godere della festa. La festa è data dall’essere con un altro. Se l’Altro viene a noi, in quanto è con noi, anche se è transitoriamente con noi, inaugura un giorno di festa. Però questa festa sta passando, l’occasione temporanea offerta da questa presenza transitoria è determinata dal Cristo che parla a noi e dalla risposta che noi diamo. Cioè il tempo di questa festa è determinato dallo spazio che passa tra la parola di Dio che arriva a noi e la ricerca da parte nostra del pensiero di Dio in essa o il rivestimento della parola stessa di Dio del pensiero del nostro io. Come noi rivestiamo la parola di Dio della nostra realtà che ha come punto fisso di riferimento il pensiero del nostro io, noi usciamo dalla festa, la festa è terminata. Qui questi giudei, hanno perso l’occasione del “Cristo con loro”. Perché Cristo mentre diceva loro: “Mi cercherete e non mi troverete, dove Io sono, voi non potete venire” offriva loro l’occasione della scoperta oggettiva del pensiero di Dio in loro. Poiché il parlare del Cristo è un parlare di salvezza, non è un parlare di giudizio o di condanna, mentre apparentemente sembra escluderli, realmente Lui apre una strada. Però questa strada è necessario percorrerla e per percorrerla è necessario intendere le parole del Cristo che giungono a noi nel pensiero di Dio e non nel pensiero del nostro io. Se noi intendiamo le parole di Cristo nel punto fisso di riferimento del pensiero del nostro io, noi proiettiamo sulle parole del Cristo il nostro campo di soggettività e quindi usciamo dalla festa. Perdiamo cioè l’occasione della salvezza offertaci dal Cristo stesso. Abbiamo visto in questi giorni un brano di Ezechiele che è molto interessante. Nel capitolo 37 versetto 28 di Ezechiele: “Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele quando il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre”. “Il mio santuario” è il suo pensiero, Dio abita nel suo pensiero. Santificare vuol dire fare entrare nel giorno del riposo, della festa. “Per sempre” cioè oggettivamente, non dipendente da loro. Soltanto quando l’uomo sa, trova, per grazia della parola del Cristo che giunge a lui, trova questa presenza oggettiva del pensiero di Dio in sé, ha la possibilità di sapere che “Io sono il Signore”, per sempre, quindi indipendente dall’uomo. 

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