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IL TENENTE COLOMBO, QUATANT'ANNI DI SUCCESSI

Post n°539 pubblicato il 27 Febbraio 2011 da Convallaria_majalis
 
Foto di Convallaria_majalis

“Io sospettare di lei?” I quarant'anni di giallo di un tenente improbabile e geniale

 


Osteggiato all'inizio, immortale oggi. Le puntate di "Columbo" con protagonista Peter Falk, e una serie di grandi nomi nei panni dei colpevoli, continuano ad andare in onda e essere ristampate in dvd.
Senza invecchiare mai.

"Io sospettare di lei? No. Mai. E' solo che sto cercando di riannodare dei fili sospesi".
Far tornare i conti di un delitto di cui il pubblico sa tutto e lui, l'italo-americano Colombo, niente. Modalità hitchcockiana.
Richard Lewinson e William Link, gli ideatori della serie, la traslocano in tv, la modernizzano, la standardizzano. Negli studios hollywoodiani tante cose non tornano: "C'erano montagne di interni inutilizzati alla Nbc". La maggior parte di queste location aveva pareti marroni, a ricordare il legno e un decoro vagamente imbalsamato che però bisognava sfruttare, "visto che erano stati spesi comunque dei soldi".

La puntata pilota di "Columbo", con la "u" al posto della "o”, aveva lasciato l'amaro in bocca. La tv non l'aveva capita, il cinema non poteva farlo.

In onda. Il primo episodio ufficiale del poliziotto Peter Falk viene trasmesso, rompendo il ghiaccio della paura del flop, in America nel 1971.
Quarant'anni fa.
Lo dirige Steven Spielberg ancor prima di dedicarsi a "Duel" (l'episodio esce nel '71 ma in realtà viene prodotto nel '68 e tenuto segreto per ben tre anni, forse per paura).
Il lieutenant Columbo/Colombo è un uomo senza nome proprio dotato di una moglie invisibile che incide costantemente sulle sue scelte professionali, del cane più pigro del mondo e di una scalcinata Peugeot 403 cabriolet del '59 disegnata da Pininfarina: "Guardi che è una rarità", spiega continuamente ai suoi interlocutori, schifati, che non gli credono.
All'epoca di quella "poohjo" esistevano solo tre modelli in tutti gli Stati Uniti.

Colombo è anche pervaso di un senso dell'opportunità che lo rende sistematicamente simpatico e invadente a chiunque gli si avvicini.
I poliziotti di servizio lo cacciano scambiandolo per un importuno.
I vigili della strada vorrebbero sequestrargli la macchina.
Ha la patente scaduta.
La moglie un giorno gli regala un impermeabile marrone a doppio petto.
Lui lo lascia in macchina e dice al cane: "Questo lo lascio qui, se qualcuno passa e se lo ruba tu fa finta di niente".
E' ficcanaso e cortese. I suoi capi compaiono, come per errore, soltanto in due o tre occasioni.
Per il resto sono dei fantasmi col distintivo e, si suppone, una scrivania dietro la quale impartiscono ordini che non vediamo né sentiamo.
Il colpevole è raccontato con dovizia di particolari. I suoi delitti altrettanto. Il gioco, come in "Delitto perfetto", sta nel capire come un uomo mediamente normale possa arrivare alla verità.
La dinamica conta quanto il movente.
Colombo è asfissiante come pochi eroi del giallo.
Somiglia a tanti di loro ma se ne tiene anche a debita distanza perché come nessun altro è capace di ostentare un permanente, maniacale "understatement", una discrezione falsa e irritante.
Secondo molti dei suoi assassini la sua strategia "è quella di sembrare scemo".

Nel primo episodio, "Murder by the book", per rendere omaggio al genere, i protagonisti sono una coppia scrittori di gialli, diventati famosi per aver creato il personaggio della signora Melville. Uno scrive davvero, l'altro fa pubbliche relazioni. Il secondo ammazza il primo. Sullo sfondo c'è Los Angeles. Non più la "Chandlertown" di Philip Marlowe, non più la spietata combinazione di male, ricchezza e caprifoglio della "Fiamma del peccato" di Billy Wilder. Ma comunque una città suggestiva, mortalmente attraente e vera. Con le case principesche di Bel Air e i malaffari di Bay City. Le montagne e il deserto, le pompe di benzina e i diners. La Los Angeles di Colombo è la Los Angeles dei Doors e di Jackson Browne, della California appena ripiegata su se stessa dopo aver innaffiato i sogni floreali dell'estate dell'amore, passata la luce dei Beach Boys.
La colonna sonora di Colombo non tiene conto della natura malinconica da cui la sua Los Angeles proviene. Scappa da un'altra parte. E' impettita, dura, quasi sperimentale. Più vicina al jazz del cinema francese (anche il Miles Davis di "Ascensore per il patibolo") che alle contemporanee soluzioni jazz-funk degli altri serial ("Sulle strade di San Francisco", "Starsky & Hutch"). Ci misero le mani Dave Grusin e Billy Goldenberg.

Tra le maglie dei sassofoni e dei pianoforti pizzicati, Peter Falk si muove come il classico elefante nella classica cristalleria. Devasta per l'aria stracciona e per le sue condizioni fisiche, spesso è influenzato, rauco, a volte ha mal di stomaco e chiede aiuto all'assassino.
Chiede caffè a tutti. Si porta l'uovo sodo da casa e lo sbuccia sulla scena del delitto. Manda tutto al laboratorio ma poi risolve i casi prima che intervenga la scienza. C'è un momento in cui gli autori lo costringono a meravigliarsi del fax, potenza della tecnologia, o della segreteria telefonica. Gli sfilano accanto attori d'ogni specie, da Ray Milland (e torniamo a "Delitto perfetto"...) a William Shatner, Leonard Nimoy, Donald Pleasance, Martin Landau, Leslie Nielsen, George Hamilton. Decine.
Uno degli episodi più amati è quello con Johnny Cash, la star del country che interpreta una specie di se stesso schiavo del fanatismo religioso della moglie.

Senza tempo.
Pare invecchiato, Colombo. Non lo è. E' gradevole. Lo conosci eppure lo rivedi. La fase storica, in America, va dal '71 al '78.
Se ne realizzano 63 episodi, undici stagioni in tutto, l'ultima nel '94, quando Falk aveva gli occhi talmente chiusi e l'incedere era talmente paradossale da temere che fosse una parodia o qualcosa di malriuscito (erano anche puntate più lunghe, troppo lunghe).

In Italia è arrivato nel '77. Continuano a trasmetterlo Retequattro e Fox Retro. Molti episodi sono reperibili in dvd. Falk aveva una voce nasale, stridula, masticata.
Da noi lo doppiò Giampiero Albertini e dopo la sua morte Antonio Guidi. Una volta anche Ferruccio Amendola. Tutti implicati. Tutti coinvolti nel tentare di "riannodare quei fili sospesi".

 

 

 

(ENRICO SISTI)

 

 

 
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