Creato da carpediem56maestral0 il 23/09/2006

come le nuvole

le guardi e credi di poter parlare di loro, di aver catturato la loro essenza ed ecco che sono altro e ancora altro e non le puoi incasellare, descrivere e neppure toccare...

 

 

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Incubi e...

Post n°622 pubblicato il 04 Novembre 2011 da carpediem56maestral0
 

 "Io sono colui che urla nella notte, io sono colui che geme nella neve, io sono colui che mai vide la luce, io sono colui che ascende dall'abisso. Il mio cocchio è il cocchio della morte e il mio respiro è il soffio del maestrale. Le mie prede sono i freddi morti" (Howard Philips Lovecraft)

 

Tempo fa scrissi un post sulle mie paure infantili.

Niente di originale, solo paure che molti hanno sperimentato.

In una elencazione non gerarchicamente significativa una delle principali era quella di non permettere mai che una mano o un piede mi penzolassero fuori dal bordo del letto nelle notti buie.

Chi mi avrebbe garantito che una adunca mano nera, dotata di unghie ricurve e vene in evidenza, non fosse in agguato sotto il letto aspettando solo un input adeguato per artigliarmi e trascinarmi nel suo mondo di orrori senza nome?

                          

E che dire di quando una inestinguibile arsura mi convinceva a lasciare il mio caldo e sicuro letticciolo per percorrere il corridoio di casa dei miei e giungere tremebonda fino alla rassicurante luce del frigo aperto, vero faro nei procellosi mari delle mie angosce infantili?

In quella disgraziata evenienza sulla strada del ritorno, mi sforzavo di non pensare al qualcuno che, dietro le mie spalle, ancora troppo lontano per sfiorarmi la spalla ma in progressivo ed inarrestabile avvicinamento, mi avrebbe prima o poi agguantato.

Era uno sforzo immane. Proseguivo un passo dopo l’altro in un corridoio improvvisamente lungo ed ostile e nel silenzio, evitavo di ricercare conferme alla presenza dell’innominabile putridità, bavosa e strisciante, perché anche un leggero respiro, uno scricchiolio, uno spostamento d’aria me ne avrebbero dato conferma e allora sarei stata persa.

Per questo ho sempre adorato avere per casa un gatto cui attribuire suoni e movimenti originatisi dal sonno della ragione. 

 

E che dire di una stanza in penombra? Quando le ombre inghiottono la luce e la risputano fuori con nuove identità?

Ed ecco che il giaccone verde col cappuccio contornato di pelliccia si trasforma in un uomo seduto sulla sedia, i capelli ritti sulla testa e la lama di un coltello che sbarluccica là dove la luce di un abajour acceso in fretta, rivelerà un innocuo gancio della zip.

                                                      

Ieri notte, e non mi accadeva da tempo, ho sognato un qualcosa di non amichevole che mi rimboccava le coperte, stringendomele sulle spalle.

Il suo tocco sul piumone era sempre più pressante e presto non avrei più avuto dubbi e lo avrei guardato dritto in faccia: un essere estraneo ed alieno con me nella notte, sul mio letto, accanto al mio corpo dormiente.

Nella dimensione spazio temporale che consentiva la nostra coesistenza, agitavo convulsamente le gambe senza ottenere movimenti significativi. Ero paralizzata.

Gridavo disperatamente, ma non usciva fuori nessun suono che servisse ad allertare mio marito disteso accanto a me, rassicurante ed irraggiungibile.

Gridavo “Mammaaaaaa!” perché, quando l’indescrivibile stava per avere la meglio sulla mia mente, ero tornata ai miei sei anni.

Il tempo era fermo, io ero immobile e nessun suono usciva fuori per raggiungere il mondo ordinato e rassicurante in cui di solito vivo.

Poi, con uno sforzo immane ecco che un mugolio, un semplice “ummmhmmm” è riuscito a trovare un varco nella mia gola e mio marito si è mosso debolmente.

Ce l’avevo fatta. Ero rientrata in questa dimensione e per un po’ sono rimasta attonita ad analizzare l’incubo con una prudenziale mano a contatto della schiena del maritonzo.

                     

La mattina seguente davanti a caffè e TV  vedo un orripilante Scilipoti artigliare senza pietà ne ritegno neri e gay. Una classe al potere di abominevoli uomini con la pappagorgia disposti a vendersi la madre pur di non intaccare acquisite prebende, triple pensioni e consulenze in una riedizione della Corte di Versailles e che, per sanare il debito, vogliono scuoiare vivi pensionati ed operai.

Ed allora, istintivamente, ho teso la mano a colui che sotto al mio letto aspetta fiducioso, ho cercato la bava bolliforme che striscia nei corridoi bui e sorriso all’uomo nero seduto di fronte al mio letto in penombra.

Li ho invitati tutti a mangiare una pizza per sabato prossimo. Preferisco avere in circolo dosi massicce di adrenalina che sopportare gli attuali conati di vomito.

 

                      

 
 
 
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