Creato da carpediem56maestral0 il 23/09/2006

come le nuvole

le guardi e credi di poter parlare di loro, di aver catturato la loro essenza ed ecco che sono altro e ancora altro e non le puoi incasellare, descrivere e neppure toccare...

 

 

Bau...

Post n°613 pubblicato il 20 Settembre 2011 da carpediem56maestral0
 

"In generale gli scrittori sono convinti di essere letti da Dio!" (Giorgio Manganelli)

 

Stò partecipando ad una gara di racconti indetta dall’inarrivabile amica di blog ElliyWriter.

                                  

E, come ho già detto in qualche altro post, tra me  e lei si è instaurato un rapporto di tipo Pavloviano.

In che senso?

Bè, che là dove si aveva che il dott. Pavlov accendeva una lucetta rossa e il canuzzo iniziava a sbavare in attesa del gustoso pasto, ora si ha che Elliy indice una gara e subito la mia mente, non dico che inizi a sbavare (che schifo!), ma sicuramente entra in uno stato di forte euforia nell’attesa che lei lanci “il tema”.

                                         ebbene si, è la mia mente!

E’ quello “il pasto”, l’imput che le mie deliranti celluline grigie aspettano per potersi librare con qualsivoglia mezzo di lancio e volo (parapendii, paracaduti ad apertura ritardata, scivoli, trampolini, cerbottane e calci in culo), nello spazio aperto delle fantasie più sfrenate.

        uno dei metodi di lancio                                               

Ora dovete sapere che le mie celluline grigie (per farle sentire importanti adopero il plurale ma in realtà sono rimaste in tre e una è la reincarnazione di Groucho Marx), sono di natura pigra e di indole paciosa (e, se non temessi di incamminarmi su un terreno politicamente scorretto, oserei azzardare l’ipotesi che hanno origini messicane. Anzi che da parte di padre discendono da un  peones della pampas  e da parte di madre sono bradipi tartarugati).

Loro, ad esempio, si alzano tardi e sorbiscono il caffè ad occhi aperti ma con lo sguardo fisso di chi è ancora in piena fase REM, non puliscono casa perché seguaci della teoria che vuole che tutto torni allo stato in cui era all’origine,  per cui!

Arrivano a spacciare senza pudore il pisolino post prandiale per “meditazione trascendentale” e considerano l’adempiere alle mie facoltà primarie (che sarebbe quando organizzano il tutto affinché i miei muscoli si contraggono e io muova mani e piedi, sorrida, mangi, scriva sul blog e telefoni alle amiche), attività olimpioniche a causa delle quali a turno, accusano finti esaurimenti nervosi e inesistenti strappi muscolari.

Se non le ho ancora mandate al diavolo è perché il solo pensiero di dover scrivere una lettera di licenziamento mi stanca eccessivamente.

                                                                  

Ma tornando ad Elliy: lo spunto scelto per questa gara è  “Strane creature” e se qualcuno di voi ha capito anche solo un decimo di come funziona la mia perversità, sa che è un tema che và a toccare uno dei punti G della mia anatomia cerebrale.

Ne ho scritto infatti due.

Uno è in gara e non posso rivelarvi altro fino alla conclusione della singolar tenzone, l’altro si intitola “Così piccola e fragile” e a breve rimarrete folgorati dall’intensità della prosa e dall’originalità della trama, restando sintonizzati su questo blog.

                           

P.S.: Anche in questo caso debbo raccomandare di evitare commenti del genere “Non vedevo l’ora! Peccato che nei prossimi mesi sia al Polo Nord in gita aziendale!”,   “Oh, mio Dio, no!” ,   “E poi dicono che uno si butta a sinistra!” , e altre facezie simili!)

P.P.S:. Ma che lo dico a fare! Siete assolutamente indisciplinati!

                          

 
 
 

Al figliol prodigo...

Post n°612 pubblicato il 19 Settembre 2011 da carpediem56maestral0
 

“Una leggera febbretta può sfuggire all’attenzione, ma se aumenta e diventa autentica febbre che brucia, anche l’uomo più resistente ed avvezzo alle sofferenze è costretto ad ammettere l’ infermità.(Lucio Anneo Seneca)

 

 Alla ricerca di segnali autunnali, ho pensato bene di farmi venire la febbre a 38…

In questa invidiabile condizione mentale e fisica ho avuto delle visioni in cui mi è apparso Berlusconi a cavallo di un cammello le cui gobbe erano della misura esatta del reggiseno della Arcuri. L’ineffabile voleva vendermi una lattina di gnocca con l’obbligo di socializzarla il più possibile. Ho declinato la gentile proposta e ho scelto di acquistare un tappeto di calda merda italiana, richiedendo che mi fosse incartato in un verde vessillo padano.

                     

Prima che si passasse dalle innocue (seppur abominevoli) apparizioni alla successiva fase delle dolorose stigmate, una dose di provvidenziale Tachipirina 1000 ha messo fine a quello che poteva anche essere un tentativo di espandere le mie facoltà mentali e ho così potuto dedicarmi all’organizzazione della festa di bentornato per Acè.

                  

Acè, sono proprio contenta che tu sia tornata tra noi...

 
 
 

Vi cuntu un...

Post n°611 pubblicato il 13 Settembre 2011 da carpediem56maestral0
 

“Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all'anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: — Roba mia, vientene con me!”

 

Stimolata dal buon, vecchio (ahaha) Bob  ho fatto mente locale tra i tanti libri che ho letto nella mia vita, alla ricerca di uno su cui avessi voglia di scrivere una recensione.

Ne ho letto davvero molti e troppi bellissimi.

Per cui ricorrendo al metodo psicanalitico che prevede lo spegnimento di ogni controllo cosciente e l’affidamento del timone di comando all’amigdala (tecnica nota come “la prima cazzata che ti viene in mente scrivila”) eccomi pronta per una recensione.

                  la mia amigdala...

La storia è di quelle che lasciano il segno. I personaggi ti si imprimono nel cuore e a distanza di decenni mi capita di ragionare sulle loro vicissitudini e sofferenze, tutte da loro stessi causate e ottenute con pervicace accanimento.

Il nucleo oscuro, l’origine del Male e del dolore di tutta la narrazione è, a mio parere,  “la roba” nella sua accezione più brutale: l’accumulo di denaro, terreni, derrate alimentari, titoli e palazzi.

E non per vivere meglio e godersi la vita. Non per ottenerne amore e gioia, ma per un distorto senso di riscatto sociale, peraltro mai veramente ottenuto perché chi è nato senza sangue blu, pur divenendo ricco sfondato, non sarà accettato come pari tra i  veri “blu vertigo”: i nobili.

Il protagonista è infatti di umilissime origini. Uomo forte, intelligente e astuto, nonché gran lavoratore, con queste capacità, dal niente sale i gradini dell’arricchimento in una società che dava molte poche chance ai “tycoons” del tempo.

All’inizio della sua avventura umana ha una amante bellissima e di umili natali come lui. Lei lo venera e gli dà due figli maschi ma il nostro eroe, preso dal suo sogno di riscatto, l’abbandonerà. Placherà la coscienza pagando un povero cristo affinchè accetti di sposare la donna e fare da padre ai bambini. Questi ultimi cresceranno contadini e poveri e lui li ignorerà sempre, li rifiuterà portandoli ad odiarlo per come merita.

Quando ha accumulato abbastanza “roba” otterrà di sposare una nobile caduta nella miseria più nera. Lei si chiama Bianca ed è innamorata, ricambiata, di un altro aristocratico da cui aspetta un figlio.  L’aristocratico è debole e del tutto dipendente economicamente dalla dispotica madre che,  non ritenendo l’unione economicamente conveniente, costringe il figlio a lasciarla.

                                                      

La poverina accetta dunque di sposare l’arricchito in una tristissima cerimonia dove l’unico che sorride, indifferente all’atmosfera e all’evidente sofferenza della futura moglie, è il nostro (si fa per dire) eroe.

Nel corso della loro arida vita coniugale, lei lo disprezzerà sempre e proverà ribrezzo ogni qual volta  lui vorrà toccarla.

Il protagonista crescerà dunque, nel lusso e tra gli agi, la figlia di un altro mentre i suoi stessi figli patiscono la fame.

Come in una nemesi, quando la figlia si innamorerà di un giovane dai sentimenti nobili ma dagli introiti modesti preferirà, esercitando tutta la sua protervia di padre padrone, darla in moglie ad un nobile arrogante e dissipatore, che la impalma solo al fine di rimpinguare le vuote casse del casato.

I due condurranno, com’è ovvio, una vita di vacui divertimenti, intessuta di tradimenti ed infelicità grandissime.

Vedovo e oramai vecchio e malato, il protagonista di questa nera storia di accumulo andrà a vivere nel grande palazzo del genero, e lì verrà tenuto quasi segregato, perché ci si vergogna di presentare in società colui che paga tutti i conti di casa ma non è “loro pari”.

Vivrà gli ultimi anni accudito da servi che, annusandolo per loro consimile, lo disprezzano e lo trattano male, deridendolo.

Ciliegina sulla rancida torta, ecco che giunto in punto di morte, chiederà di poter abbracciare la figlia. Questa, avvertita del suo ultimo desiderio, si guarderà bene dall’esaudirlo.

Morirà dunque solo.

Il suo nome era Mastro Don Gesualdo.

 

 P.S.: Considerato che come conclusione a questo pregevole post mi sovvengono frasi come “la miseria non è vergogna ma manco prio”, “i soldi non danno la felicità” e l’ abominevole “anche i ricchi piangono” , mi vedo costretta a licenziare su due piedi quella mentecatta dell’amigdala e a reintegrare, al comando, le mie più alte funzioni intellettive…

(si avvisano i naviganti che non saranno tollerati commenti che riportino espressioni del tipo “non vediamo la differenza nella linea di comando”,  “alte funzioni intellettive, ahahahah” e “W l’amigdala” o “arridateci l’amigdala!”….Grazie!)

 una rara immagine dell' amigdala e delle mie più alte funzioni intelletive

 
 
 

Cari amici di penna e...

Post n°610 pubblicato il 08 Settembre 2011 da carpediem56maestral0
 

 “Nessuno riesce a legare un tuono e nessuno può appropriarsi dei cieli di un altro nel momento dell’abbandono!” (Luis Sepulveda)

 

Lo so già da me.

Non ci saranno foglie rosse e croccanti da calpestare su viali alberati, nè omini che offrono agli angoli delle strade caldarroste da palleggiare con dita intirizzite.

Nessuna nuvola viola farà da contrasto a vellutati cieli indaco e non vedrò fumo salire lento da camini in pietra. Non ci sarà bisogno di rialzarsi il bavero dell’impermeabile per ripararsi dal vento pungente e benigno di un ottobre thecnicolor nè intingerò stivaletti di plastica colorata in pozzanghere romantiche.

                                                    

Sono tutte illustrazioni da libro delle elementari, quelli di prima della guerra.

Non cose reali.

Immagini della mia mente distorta che spesso amerebbe vivere tra le pagine dei sussidiari, in un mondo perfetto e sereno. Logico e scandito da regole certe. Benigno e privo di male. Dove mamme rimboccano coperte, galli cantano quando il sole sorge dietro colline piccine picciò e i giorni sono cadenzati da istruzioni su come lavarsi bene le mani prima di andare a tavola, disegni pastello di torte appena sfornate, nonnine che invitano a regalarne una fetta al povero seduto all’angolo della chiesa e preparazione di doni per la festa del papà.

(a volte penso che a me l’Alzheimer mi farà un baffo!)

                            

La dura realtà prevede invece che si passi dall’estate torrida, all’inverno gelido senza la dolcezza dei segnali d’autunno.

Lo so da me, eppure qualcosa nel mio cuore si ostina a cercare simboli di involuzione e struggimento nel caldo torrido di questa fine estate.

Dove li trovo?

Semplice. Guardo desolata il mio cosiddetto “ spazio amici di blog” ed è già tutto un partire di note blues.

E’ sorprendente!

Se clicco sulla maggior parte di loro sento le note della canzone (Califano- Bindi) “ Eccoooo, la musica è finitaaa, gli amici se ne vanno, che inutile serata, amore mioooo!”

Ne ho di tutti i generi e per tutti i gusti.

Gli orrori alla John Carpenter dei “senza più profilo” ….(auahhhhhhh!).

Le tombe mummificate dei blog abbandonati di fretta, dove sul tavolo ci sono ancora i resti della colazione che suggeriscono un qualche disastro (nucleare? batteriologico? esistenziale?)  che ha costretto il proprietario all’evacuazione immediata. Autistici che hanno sviluppato allergia ai commenti e postano in altero e nobile eremitaggio laico.

                                

Alcuni assomigliano a conchiglie che un paguro inquieto ha abbandonato sulla battigia. Sospinti dalle onde sembrano andare via con la risacca, si insabbiano per poi riemergere, rotolano per un po’ sulla battigia, spariscono…

Altri ancora non vengono mai a trovarmi. Siamo amici, ma non ci frequentiamo più. Qualcosa nel tè delle cinque e nella conversazione concomitante deve essere andato storto e non escludo che la colpa sia mia.

Ogni tanto, come un profanatore di tombe, ne visito qualcuno. Spesso lascio laconici messaggi di rimpianto o l’augurio che trovino la formula per tornare in vita.

Nessuno risponde e c’è da augurarsi che la maledizione di un qualche sacerdote incacchiato non mi segua quando ne esco fuori.

                                                                      

Avendo fatto il classico so per certo che “panta rei”, e che “la noia esistenziale è una condizione degli animi nobili”, ma tuttavia la mancanza di certezze e di stabilità mi debilita.

                                

Se poi penso che ci si mette pure l’aumento dell’IVA su quel genere di conforto esistenziale che sono le superfluosissime scarpe, ecco che vedo barriere di sensi di colpa e rocce di granitico spirito critico ergersi tra me, le vetrine dei negozi e la porta di ingresso dei suddetti.

Ah, che tempi grami…

Qualcuno si ritrova un sussidiario di quarta elementare da prestare?

                          

P.S.: Uno di questi giorni farò un post su quelli che per me sono simili a ghost. Li vedo passare dal blog ma restano sempre silenti. Leggono? Strusciano le catene? Reprimono conati di vomito? Hanno messaggi del trisavolo che vuole finalmente rivelare dove ha seppellito la papalina ricamata col monogramma? Gli piaci o gli fai troppo schifo per lasciarti un commento? Magari temono potrebbe afflosciarsi definitivamente la tua già debilitata autostima... Non è dato saperlo...

Se tra voi c'è qualche medium...

 
 
 

Gargatua e...

Post n°609 pubblicato il 03 Settembre 2011 da carpediem56maestral0
 

“Questo è un paese di merda”  (Silvio Berlusconi)

 

 

Chi ha visitato anche solo di sfuggita il blog sa della mia insana passione per gli aforismi.

Ebbene oggi ne ho fatto una scorpacciata e mi sono sembrati, come sempre, lampi di genio in grado col loro brevissimo ma fulminante chiarore di mostrare la realtà in tutta la sua cruda e ilare essenza.

             

Riferito alla triade Tarantini, Lavitola e Lady Devenuto, quest’ultima moglie del primo e amante del secondo col pieno consenso del coniuge, che ve ne pare del detto popolare “i denti quando spuntano fanno male, ma poi ti servono per mangiare”?

Meraviglioso!

 

I tre d'altronde sono personcine così a modo che sicuramente sui tappetini davanti agli ingressi principale e secondario di casa, là dove molti di noi hanno scritte banali quali “Welcome” o  immagini di gattini e cani accucciati, hanno ricamato lettere rosse su fondo azzurro le parole “Etica” e “Morale”. Così, solo per il piacere di pulirvici sopra le suole delle scarpe.

                             

Marcello Marchesi sentenziava: “Dieci miliardi di mosche non possono avere torto. Mangiate merda!”

Solo dopo un congruo periodo di tale dieta potrete credere che il Berlusca, costretto dal Lavitola a ricevere un Tarantini senza sapere nemmeno chi fosse, nel sentire che il poverino aveva qualche problema di liquidità si è commosso fino alle lacrime e gli ha versato sull’unghia 500 mila euro più altri 20 mila al mese per le piccole spese casalinghe. Quindi nessun ricatto, solo carità cristiana e cuore generoso.

                                                      

Se poi proseguite stoicamente nella dieta allora non vi stupirà apprendere che il Lavitola, presente allo straziante colloquio, asciugandosi gli occhi, abbia ritenuto equo trattenere per se (secondo quello che oramai è un classico della letteratura per l’infanzia e che và sotto al titolo “Vespa e Lela Mora: una amicizia purissima” ) circa 400 dei 500 mila euro (d'altronde scoparsi la di lui consorte qualche remunerazione la meritava o no?).

 

Concluderò questo escatologico post con un riferimento alto.

Gabriel Garcia Marchez sentenziò in tempi non sospetti : “Il giorno che la merda avrà un valore i poveri nasceranno senza culo!”

              

Vogliatevi gradire, quale sottofondo e qualora riesca ad inserirlo,  “L’Inno del corpo sciolto” di Roberto Benigni, un profeta su ciò che sarebbe arrivato al potere in Italia.

                        

 
 
 

I...

Post n°608 pubblicato il 22 Agosto 2011 da carpediem56maestral0
 

  “Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente(Marcel Proust)

 

 

In un pomeriggio di caldo insopportabile ho disceso la scala a chiocciola che porta al mio archivio personale là dove sono stipati, dentro bauli da marinaio, cassetti decorati Liberty e nicchie nei muri, ricordi, immagini, sensazioni, musiche, nozioni varie e cianfrusaglie del tipo “non si sa mai mi dovesse tornare utile”.

Lì fa fresco.

                         

Il materiale vi è catalogato (almeno una sua parte) con cura, a seconda dell’argomento: “Scuola Elementare”, “Operazione alle tonsille”, “Ho trovato lavoro!”.

Altro và sotto lettere dell’alfabeto: D come dolore, A come amori adolescenziali, N come nonni.

I più recenti tuttavia, sono accatastati alla rinfusa, fogli su fogli, che quando ne tiri fuori uno ne vengono via attaccati almeno quattro, solo apparentemente scollegati tra loro.

Risalgono a dopo che, stanca di essere puntigliosa e precisina, ho aderito alla filosofia del “Tutto è polvere e polvere ritornerà”.

                                  

Aggirandomi nella capiente stanza mi sono resa conto di aver vissuto cose che sono quasi preistoria.

Se ve le racconto vi sembrerò Matusalemme e non lo sono, ma il Progresso marcia talmente veloce che è come se, nel corso della vita, avessi avuto accesso ad epoche diverse ( e ciò lo considero un privilegio).

Così, aprendo gli stipi di un comò dell’ottocento (preciso sputato a quello appartenuto alla mia nonna materna), sono stata investita dal suono ossessivo di un milione di cicale che tra rami d’ulivo centenari e muri in pietra, musicarono estati trascorse nella casa di campagna dei nonni paterni, là dove non arrivava l’energia elettrica.

                               

Davanti ai miei occhi si sono materializzati uomini curvi sotto enormi blocchi di ghiaccio, trasportati su spalle riparate da tela di sacco. Mia nonna li stipava dentro un mobiletto dalle pareti metalliche: “la ghiacciaia”.

Avvolte in carta regalo, fresche e deliziose, sono uscite fuori le mattine della “abbivirata” quando era tutto uno sguazzare con i piedi dentro i solchi che servivano per dare acqua agli alberi e la terra era marrone scuro, morbida come talco o crema.

Con quell’impasto dionisiaco facevo polpette e nutrivo bambole di plastica senza vestiti.

 

La sera lumi a petrolio o cetilene rischiaravano sarabande di bambini sporchi per i mille giochi sporchevoli, senza nessuna voglia di andare a dormire.

                                                                 

Socchiuso un cassettino decorato Rococò, eccoti il suono di una campanella che un omino, pedalando su una bicicletta con davanti un casciabanco a forma di ferro da stiro, agitava per avvertire del suo arrivo. Io correvo con i miei cugini per farmi riempire il bicchiere di gelato al limone (solo gusto esistente).

                                  

Sotto al sapore dei gelsi appena colti ho trovato le mattine in cui dopo aver fatto almeno un dettato e le quattro operazioni, mio padre ci portava al mare a piedi, passando  per campagne di fichi d’india ed ulivi, percorrendo stradelle polverose su cui si potevano raccogliere more selvatiche e riposare seduti su una pietra piatta al riparo di un albero di carruba.

Nel pomeriggio dondolavo, spinta dal mio sempre paziente padre, fino a toccare con la punta del piede la foglia del gelso sotto cui era attaccata l’altalena e di questa prodezza andavo estremamente fiera.

                           

Grazie al mio archivio sò di aver visto girini diventare rane e disdegnato orripilata il latte fresco appena munto da una mucca, preso botte da mia madre per essermi allontanata con la bicicletta e pianto disperata sotto un albero di limone.

Avevo sette anni e l’ho odiata.

Conservo sotto la voce “Ne vorrei una così!”, l’immagine della casetta al mare di un fratello di mio nonno.

Sorgeva proprio sulla spiaggia ed era talmente semplice e rustica da meritare la foto su una qualche rivista di architettura: una porta, due finestre, un tetto di tegole rosse.

Come riparo dal sole un pergolato in legno su cui si inerpicava una buganvillea dai fiori rossi. 

                         

Vicino, tirata a secco sulla rena bianca, una barchetta di legno con cui, se ne avevi voglia, andavi a pescare. Altrimenti passava il marinaio, un uomo dai vestiti sdruciti, i piedi scalzi sotto i pantaloni tirati su fino al polpaccio, con al braccio una cesta di vimini. Dentro, allineati, pesci coperti da alghe.

Niente musica, niente animazione estiva, niente motori strombazzanti o urla di gente “che si stà divertendo”. Solo la risacca e il fruscio del vento.

Aperto il baule da pirata, mischiate con conchiglie grandissime e feste da ballo sulla terrazza di casa di mia zia, ho rivisto spiagge con piantati al centro solo tre o quattro ombrelloni. Su di esse, dopo il tramonto solo buio, silenzio e stelle.

Di tutto questo non resta più nulla, nemmeno una pietra su pietra.

Non ci sono più le croste di pane secco che mio nonno conservava per le galline e che trovavo deliziose da sgranocchiare, non c’è il misterioso e buio solaio di mia nonna penetrato da sottili raggi di sole cascanti dalle assi del soffitto, svaniti i pulcini che mettevo nelle tasche della vestaglia.

Inutile correre a cercare (e poi trovare) rifugio dietro la lunga gonna nera di mia nonna. Non c’è più, né lei nè mio padre.

E’ stato sradicato il gelso e abbattuta la casetta sul mare. Al suo posto un aeroporto.

In spiaggia si arriva in macchina e si posteggia lontano. La luce inonda le notti e la musica fa da sottofondo ad ogni attività, che tu la voglia sentire o meno.

Tutto brulica: le coste sono tappezzate da miriadi di barche, la gente è ovunque, le macchine e i motorini girano senza sosta né requie.

                                                          

C’è talmente tanto affollamento in questo nostro mondo moderno che a volte me ne starei giorni chiusa dentro l’archivio.

    

Il problema è che lì manca la connessione ad Internet….

                        

 
 
 

Ma io mi domando e...

Post n°607 pubblicato il 18 Agosto 2011 da carpediem56maestral0
 

“Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo” (Ernesto Che Guevara)

 

A volte l’indignazione rende muti.

A volte lo sdegno ti fà gridare senza articolare parola.

Questo fenomeno si ha quando senti le braccia incapaci persino di levarsi al cielo per chiedere un fulmine che li incenerisca sul posto tutti quanti.

In questi momenti sei consapevole della tua impotenza, perchè il potere decisionale è in mano loro.

L’unica soluzione (come ben sapevano i cittadini francesi allorquando si tassò il grano ma non si pensò di tagliare nemmeno una festicciola pomeridiana in quel di Versaille), è fare la Rivoluzione: quella con i forconi e le fiamme purificatrici.

                           

E così si ha che i calciatori invochino lo Statuto dei Lavoratori pur di non versare un decimo delle loro immense ricchezze che manco se ne accorgerebbero, i deputati della Regione Sicilia si indignano contro il sopruso che vorrebbe non cumulassero più pensioni con stipendi, prebende con parcelle, sono stravolti al pensiero di non poter andare in pensione appena fuori dall’adolescenza e preferirebbero che donne con nipotini e vecchissimi genitori sulle spalle, restassero al lavoro fino alla morte per consunzione.

                                                          

L’integerrimo Murdoch risponde a Montezemolo che se vuole pagare di più essendo multimiliardario parli a nome proprio, chè lui non si sogna di essere solidale con nessuno che non sia se stesso.

La classe politica al Governo tra tagliare scranni e portaborse, sceglie di picchiare duro contro il dipendente pubblico da mille e duecento euro mensili, tra ridurre fantomatiche missioni all’estero su spiagge assolate e shopping compulsivo, opta per tassare inermi malati introducendo ticket, tra abolire pranzi completi a 3 euro e parrucchieri gratis, decide sia più equo abolire asili nido e autobus metropolitani.

              

Ora, a parte che ogni senso di Giustizia viene calpestato che manco Attila al meglio delle sue performance, mi chiedo: ma se noi volgo indifeso non avremo più potere d’acquisto chi comprerà le merci prodotte dalle industrie? Se bastonano le classi lavoratrici e i ceti medi, chi riavvierà la macchina produttiva del Paese? Può una nazione risollevarsi contando solo sulla vendita di borse Cartier,  yacht e vacanze al Billionere?

Ne dubito.

Ma io non sono una esperta di economia.

Sono una casalinga di Voghera che sa che quando in famiglia c’è da fare sacrifici, si comincia sempre eliminando il superfluo e sa che se vuole che la pace regni attorno al desco all’ora di cena, è opportuno iniziare a tagliare le spese partendo dai capifamiglia, e non limitarsi a togliere il latte in polvere all’ultimo arrivato contando sul fatto che non ha un significativo potere contrattuale.

                         

Ragazzi, come si dice qui  ai confini col Continente Nero, alle falde del Kilimangiaro, “cu tutto chi suggnu orbu, la viru niura” (nonostante sia cieco, la vedo nera!).

Saluti e baci e…

….in culo  al “prima le donne  e i bambini”, molto meglio “prima io e dopo di me il diluvio!”.

                        

 
 
 

Ma cosa stà...

Post n°606 pubblicato il 05 Agosto 2011 da carpediem56maestral0
 

“Quando un attore comico vuol fare una vacanza, recita in un ruolo drammatico” (Groucho Marx)

 

E mentre ancora pensavo ai lemmings (e soprattutto a come accedere alle foto e ai filmini del viaggio che da quando sono  “tecnologici”  e pertanto fuori dal mio controllo sono divenuti tema da seminario dal titolo:  “Esistono davvero le foto? Chi lo ha detto? Miti e credenze attorno alla tua illusione di scattare e filmare mentre sei in viaggio”), ecco che anche nella felicissima Norvegia è scoppiato il finimondo.

                                                               

E mentre rifletto, tirando un sospiro di sollievo, che facendo il bagno nelle acque al nord della Sicilia, le mie probabilità di imbattermi, nuotando a stile libero, nei cadaveri di Alì, Mustafà o Fatima sono scarse…

                

E mentre bestemmio in svedese cercando di assemblare il tubo A con la barra C per poi unirle nei punti G ed F ed ottenere il fantasmagorico dondolo “di cui all’immagine sulla scatola” …

E mentre le borse crollano con un effetto che a me, profana di finanza e somara in economia, pare  del tipo “piccolo sassolino che a breve diventerà valanga”…

                                             

E mentre, “come naufrago che giunto a riva si volge a retro a rimirar lo passo che non lasciò giammai persona viva”, mi rallegro al pensiero che sono sopravvissuta alla nausea e ai crampi legati ad una gastroenterite….

Ecco che mi sovviene la riflessione: ho proprio bisogno di una vacanza…

                          

 
 
 

Storie di....

Post n°605 pubblicato il 27 Luglio 2011 da carpediem56maestral0
 

"Heaven"

 

Erano già sei mesi che viveva in mezzo a loro, così ben mimetizzata che il suo musetto appuntito, il  pelo striato e folto, gli occhi tondi e vispi, avevano colpito molti dei maschi della specie e le sue serate erano  piacevoli, piene di inviti e corteggiatori.

Non che fosse tentata sessualmente da nessuno di loro: troppe erano le diversità morfologiche e solo il duro allenamento in Accademia e un animo libero da pregiudizi,  facevano  sì che trovasse divertente avere a che fare con specie tanto lontane dalla sua.

La sua missione era di andare alla ricerca di nuovi mondi, esplorare nuove civiltà e forme di vita e arrivare, come recitava il motto della Federazione, “là dove nessun uomo era mai giunto prima”.

Gli alieni del posto erano in generale simpatici, allegri e curiosi. Forse un po’ infantili e caotici, ma pacifici e dediti al godimento della vita.  L’esistenza sembrava riservare loro solo momenti gradevoli e l’ordinamento sociale prevedeva molto tempo libero, vita all’aria aperta, sport e fitte conversazioni con amici sempre numerosi e disponibili. Si mangiava vegetariano e l’ordine e  il rispetto per le leggi erano massime. Un vero paradiso.

Inviava regolarmente i suoi rapporti al Comando intergalattico, illustrando tradizioni e usi del posto ed era consapevole che quella missione cominciava ad assomigliare ad una lunga e rilassante licenza. Si trovava davvero a suo agio e comprendeva perché da qualche tempo le sue nuove amiche non facessero altro che annunciarle imminenti maternità.

In effetti la società prosperava, le derrate alimentari aumentavano ogni giorno  e il benessere e la dolcezza del vivere erano in decisa crescita. I mezzi di informazione sprizzavano ottimismo e invitavano al godimento e al consumismo più sfrenato, per cui era naturale, in quelle condizioni, avere  voglia di fare figli.

I soli momenti di disagio li viveva quando occhiate perplesse le comunicavano che era strano il suo  dichiararsi orgogliosamente single e senza prole.

Distesa su di un verde prato, cullata dalla brezza marina aspettava che  Cri, il suo migliore amico del momento,  le portasse l’aperitivo quando senti per la prima volta parlare del Giorno del Rinnovamento. La sua attenzione di etnologa si destò all’istante.

Quando Cri, porgendole il bicchiere ghiacciato, le chiese se poteva averla vicina quel  giorno, ricorse a mille astuzie per farsi spiegare cosa di speciale avvenisse, ma non riuscì a capirne granchè.

 Continuò pertanto a godersi la vita, nuotando nei freddi torrenti, facendo lunghe camminate in mezzo agli alberi secolari, andando a vela  e vivendo giornate di intensa socialità.

Poi arrivò la sera del Giorno del Rinnovamento e fu davvero gran festa.

Tutti erano vestiti con i loro abiti migliori e l’euforia era massima. La gente si riversava per le strade e cantava e ballava. Sembrava che ognuno trovasse spassosa qualsiasi frase detta dagli amici e rideva e si scambiava grandi manate amichevoli sulle spalle.

A mezzanotte le porsero un elegante calice con del liquido frizzante e colorato e tutti insieme alzarono i bicchieri verso la volta stellata per poi in un silenzio improvvisamente solenne, bere all’unisono.

Lei finse accostando le labbra ma non inghiottì, curiosa di osservare cosa sarebbe successo.

Caddero tutti addormentati là dove si trovavano e l’alba del giorno seguente illuminò solo un decimo della popolazione che riapriva gli occhi.

Tutti gli altri morirono. I più deboli, i malati, i fragili. Sopravvissero, a quello che scoprì essere un veleno potentissimo, solo i migliori, i più forti, i prescelti.

Ecco il prezzo del Paradiso, deI cibo abbondante e di una vita dolce. Ecco come si era concretizzata su quel pianeta la selezione naturale della specie.

Nella capsula di ritorno, mentre aspettava che un sonno lungo cinquant’anni calasse su di lei come una morbida coltre, considerò come quella mela mangiata per desiderio di conoscenza avesse bandito l’intero Universo dal Paradiso.

Poi, girandosi sul fianco destro fece un lungo sospiro e si addormentò.

                    

P.S.: Questa storia nasce dal racconto di una guida norvegese sui Lemming, una specie di roditori che vive in quei luoghi. Dapprima sembrava compissero  suicidio volontario  di massa gettandosi tutti assieme da un precipizio. Ciò avveniva quando, a causa della sovrabbondanza di cibo, la popolazione raggiungeva vette inammissibili di individui. Poi si scoprì che non si gettavano dai dirupi ma mangiavano volontariamente erbe velenose che facevano sì che solo i più forti sopravvivessero. Inutile dirvi che la storia mi ha molto colpito.

                        

 
 
 

Favole e...

Post n°604 pubblicato il 25 Luglio 2011 da carpediem56maestral0
 

“Per non ingannare i vostri bambini utile è terminare le favole con un “…e vissero a lungo infelici e scontenti!” (Ennio Flaiano)

 

Avevo dimenticato lo spirito “tragediatore” di Hans Christian Andersen.

 (di cui tuttavia ho capito la genesi allorquando, in quel di Copenaghen, mi hanno disperso le valigie ritrovate a distanza di una settimana per intercessione della Fata Madrina di più rosea e disneyana creazione).

                                                                

D'altronde chi, se non il nostro danese, ha raccontato la vicenda tristissima di una infanzia violata, di una ragazzina che nella gelida notte della vigilia del Natale, con occhi bramosi, spia da dietro i vetri delle finestre altrui, la serena, affettuosa e calda atmosfera dei camini accesi, delle  tavole riccamente imbandite, dei colorati pacchi dono ai piedi di alberi addobbati, e osserva la gioia familiare che altri vivono mentre lei trema dal freddo e non trova il coraggio di tornare alla sua catapecchia per paura delle botte che prenderà per non aver venduto sufficienti scatole di fiammiferi?  

Altro che vissero felici e contenti…

                                 

Lei muore congelata quella stessa magica notte, riversa ai margini di una strada in cui, indifferenti e frettolosi, i  passanti  corrono a casa.

Muore la bimba, ma non prima di aver tentato di scaldarsi accendendo piccole fiammelle dentro la cui luce appare, ultima e pietosa illusione, il sorriso della madre morta.

 Una cosa da strappare il cuore.

 Bè, ho avuto modo di rispolverare dalla viva ed autoctona voce della guida,  la storia di usura e ricatto, amore disperato ed impossibile della Sirenetta (prezzo della microbica statuina 12 euro).

                              

Or dunque si ha che la figlia del Re del Mare in occasione del raggiungimento della maggiore età ottiene il permesso di far capolino dagli abissi per conoscere il mondo (una specie di Erasmus dei Mari).

 Fato vuole che riemerga proprio nei pressi di una nave e destino impone che in quel fatidico momento,  affacciato a prua, vi sia un bellissimo ragazzo. E volete che non si scateni una tempesta? E che il ragazzo non stia per annegare?

Quando il volere degli Dei  incombe nessuno può sottrarsi e allora lei lo salva e lo trascina a riva e gli resta vicino parlandogli dolcemente mentre rinviene. Poi, obbediente al divieto di farsi vedere da occhi umani, ritorna in mare e lì si strugge d’amore.

Chiede allora aiuto alla Strega degli Abissi che, cattivissima ed avida com’è, gli chiede in cambio di due lunghe gambe, la sua melodiosa voce ( di cui Ulisse sapeva qualcosa).

Il ragazzo però, senza sentirla parlare non la riconosce e allora lei torna dalla Strega malefica che, da perfetta stronza, alza il tiro e per ridarle la sinuosa coda di sirena vuole in cambio il cuore dell’amato bene. Che fare? La sirenetta armata di coltello riemerge giusto il giorno che lui stà per sposarsi con un'altra e, non riuscendo a far del male a colui che ama, si uccide trasformandosi in schiuma di mare.

Adesso, se nuotando a lunghe bracciate, vedete formarsi accanto a voi della candida schiuma, non maledite l’inquinamento marino, ma porgete un affettuoso saluto alla Sirenetta e al suo amore disperato.

 (se però vedete galleggiare anche bottiglie di plastica e sacchetti stracciati, date libero sfogo alla vostra indignazione ed inveite liberamente contro quei disgraziati che non hanno ancora compreso che abbiamo solo questo pianeta dove vivere!)

                           

P.S.: Solo in una favola riuscirei a postare delle foto…Ed è certo che, se a scriverla fosse il danese Hans, nel guardarle diventereste ciechi…Brrrrrr…...

                            

 
 
 

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