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« Percolato...LE ONDE NON HANNO ORARIO »

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Post n°23 pubblicato il 31 Agosto 2011 da casadecolmeia
 

Sto guidando lungo la costa in una limpida giornata di primo autunno: laggiù in basso un mare appena increspato sembra assorbire soddisfatto il calore del sole autunnale.
Accanto a me una signora ben vestita, funzionaria di un noto ente che si occupa di mare, sorride soddisfatta ed a ragione: è una persona che fa onestamente e diligentemente il lavoro per cui viene pagata dall'ente pubblico. E' un viaggio di lavoro il nostro, non certo per turismo, ma siamo in anticipo per l'appuntamento... perchè non goderci anche noi un attimo di sole magari con un buon caffè?
Il caffè ha un terrazzo, il terrazzo è al sole, dal terrazzo di vede un ampio settore del Golfo. Ordiniamo due caffè.
-Che spettacolo di blu -  dice la signora.
- Vero...peccato che laggiù ci sia qualcosa che perturba il blu -
- Dove? Non vedo niente...-
- Guarda bene...osserva con attenzione...prendi come riferimento quel gruppo di villette rosate e cerca di tirare una linea immaginaria verso il promontorio...circa a metà..vedi?-
- Sì...una piccola macchia più chiara, la vedo..però, che occhi allenati che hai...-
- Secondo me c'è un impianto di maricoltura...scommettiamo?
La signora mi guarda sconcertata.
- Non ricordo ci sia da queste parti, ma se vuoi chiamo in ufficio e faccio una verifica -
Celulare, poche frasi, un paio di minuti.
- Vero, c'è un piccolo impianto, un paio di gabbie in tutto , realizzato pochi mesi fa, mi è sfuggito -
- Sai quanto inquina quel piccolo impianto?-
- Daiiiiiii...han fatto tutti gli studi di impatto ambientale, la legge lo impone, lo sai meglio di me-
-Appunto, ma la certificazione, o quanto meno l'accettazione toccano al tuo ufficio...sarebbe interessante documentarsi su quanto avete esaminato -
- Sai che sono onesta, e che i miei colleghi sono altrettanto onesti...l'esame non l'ho fatto certo io, come ti ho appena detto nemmeno lo sapevo, ma chiunque sia stato non avrebbe fatto passare un progetto inquinante -
- Di questo sono sicurissimo amica mia...ma qual'è l'attendibilità degli studi esistenti? Chi di voi ha l'esperienza e le conoscenze di base per valutare lo studio di cui disponete? Nessuno, lo sai bene. Siete, se mi permetti il termine, degli "incompetenti" e non certamente per colpa vostra . Sai quanto è grande la mia stima per te, ma le tue competenze e quelle dei tuoi colleghi sono squisitamente biologiche, e in uno studio  di impatto marino la biologia è solo una delle componenti-
Mi bevo il mio caffè...so di averla messa in crisi perchè è persona seria e coscienzosa. So anche che mi stima e accetta senza  battere ciglio critiche sensate.
- Una volta passati dal mio ufficio gli studi sono pubblici, non ho nessuna difficoltà a farteli leggere...ora li devi leggere, lo devi fare...per me -
Stavolta mi ha fregato, ha ragione: ora lo devo fare. Risaliamo in macchina, andiamo al nostro appuntamento di lavoro. Ci salutiamo da buoni amici, come sempre.

Il giorno dopo mi arriva via internet un corposissimo dotto studio: vado all'ultima pagina, leggo la conclusione: "da quanto analizzato è dunque possibile concludere che l'impatto sull'ambiente marino può essere considerato del tutto trascurabile". Ovvio, lo sapevo, e quando mai si trova qualcuno che scrive che l'impatto è pazzesco? (Sì, qualcuno c'è, grazie al cielo). Salto qua e là tra i vari capitoli, i valori calcolati sono quasi accettabili, la conclusione sembra dunque pertinente. Ma io so per esperienza diretta quanto un impianto di maricoltura produce come "scorie". E le scorie sono le feci, le urine, il cibo non ingerito.
Passo la domenica a esaminare la relazione, mi rifaccio alcuni conti semplici ma un po' più seri di quelli contenuti nel rapporto...il rapporto è errato nelle ipotesi, nelle assunzioni, nella metodologia...i numeri da me calcolati  sono ben diversi da quelli della relazione, anzi..fanno paura, ma forse son stato troppo affrettato, devo aver sbagliato qualcosa. Decido di rifare i conti per bene. Dopo 3 giorni mando un mail alla mia amica in cui sintetizzo i miei risultati. Il giorno dopo una telefonata.
-Ho letto...dimmi cosa ne pensi, sinceramente-
-Onestamente? l'impianto andrebbe chiuso...se non lo puoi imporre, pretendi almeno di dimezzare il numero di pesci da allevare-
-Secondo te non dovremmo costruire impianti di maricoltura...è questo che vorresti...ma sono necessari...-
- No amica mia, credo sinceramente che gli impianti di itticoltura siano indispensabili, ma vanno previste profonde modifiche nella fase di progettazione e di analisi...e poi secondo me la gente deve essere informata su cosa mangia...nella fattispecie, tradotto in termini spiccioli significa: cosa mangia il pesce? Qual'è la qualità delle acque in cui vive? Poi, come sempre, le persone sensibili arriveranno sì e no al 5% della popolazione...ma questa è un'altra storia.
 
Due mesi dopo. Come sempre ci pensa il mare. Arriva l'inverno, una grossa mareggiata, le ancore vengono strappate, le gabbie distrutte, i pesci tornano liberi. Il mare ha sempre ragione.
Si scoprirà poi che anche il progetto era sbagliato, che le forze calcolate erano sottostimate. Questo avveniva nell'inverno di 5 anni fa.

La situazione attuale è migliorata? Voi che ne pensate?

Per chi ne vuole sapere di più:


L’acquacoltura è un’attività molto antica, le cui origini risalgono ad oltre 5.000 anni fa.
Nella tomba di Aktihetep (risalente al 2.500 a.C.), è stato ritrovato un bassorilievo raffigurante un uomo mentre raccoglie tilapie (pesci d’acqua dolce) da uno stagno.
Nello stesso periodo si sviluppò la carpicoltura in Cina. Proprio qui si pensa che nacquero i primi stagni per l’allevamento dei pesci; Fan Li scrisse nel 500 a.C. il primo trattato conosciuto di piscicoltura e raccolse note sul comportamento e sull’accrescimento dei pesci allevati.
L’attenzione posta da Fenici, Etruschi e Romani nelle attività piscicole nelle aree costiere trae certamente origine dalle antiche pratiche egizie.
E ai nostri giorni? Ora l'acquacultura è praticamente indispensabile. Infatti, a causa degli equipaggiamenti sempre più sofisticati, con navi grandi appositamente costruite, stive adeguate, impianti di congelamento direttamente a bordo e, soprattutto, disponibilità di sonar ultrapotenti, si è assistito ad un eccessivo sfruttamento della risorsa ittica che iniziò ad andare in crisi intorno agli anni ’80 e che portò rapidamente al collasso di alcune zone di pesca: è infatti noto che , ad esempio, nel 1992 la pesca dei merluzzi in Canada si esaurì. Oggi sembrano al collasso gli stock di merluzzo nel Mare del Nord e nel Mar Baltico.
Secondo la FAO, le catture in mare aperto sono ancora sufficienti, ma si sono ormai stabilizzate perché il grande sfruttamento dello stock ittico non ha il tempo sufficiente per rigenerarsi; in altre parole è stato intaccato il naturale ciclo generazionale.

Con il termine itticoltura si intende l'allevamento di specie ittiche, ovvero di pesci, in grado di garantire una produzione costante e programmabile di uova, larve e giovanili. Nel caso dell'allevamento intensivo in mare aperto, i pesci vengono allevati in grosse gabbie galleggianti o sommerse. Le specie oggetto di maricoltura intensiva sono perlopiù la spigola, l'orata, la ricciola e il tonno. Gran parte di questi allevamenti sono a ciclo chiuso, ossia vengono effettuate tutte le operazioni che portano al completamento dell'intero ciclo biologico della specie allevata, dalla riproduzione fino al raggiungimento della taglia commerciale.

Pesca responsabile e acquacoltura eco-compatibile, un binomio di cui negli ultimi anni si parla spesso. Ma al di là del significato immediato che i termini evidenziano, fornire una definizione di eco-compatibilità  è tutt’altro che immediato: se infatti entrambi i termini richiamano alla mente il concetto di sviluppo compatibile, legato cioè alla crescita economica rispettosa dei limiti ambientali  - e che si contrappone quindi allo sviluppo tradizionale che si caratterizza invece per il rapporto di correlazione inversa con l'ambiente naturale – fornire una adeguata definizione di cosa si intenda con eco-compatibilità di un impianto di acquacoltura non è semplice.
Un altro termine spesso ricorrente è acquacoltura biologica, che ha il significato di estendere la zootecnia biologica anche all’allevamento ittico, con alimentazione esclusivamente composta da risorse naturali, divieto di utilizzare antibiotici e stimolanti nella crescita e altri agenti potenzialmente tossici (oggi questo divieto non sembra ancora esistere per l'allevamento ittico, nonostante vari tentativi di proposte di legge).
Numerosi infatti  sono gli aspetti negativi che riguardano l’impatto sull’ambiente marino: quelli connessi con il rilascio e la dispersione dei reflui che sono di varia natura e origine come mangime non ingerito, cataboliti (feci e secrezioni urinarie), disinfettanti e chemioterapeutici, sostanze chimiche (stabilizzanti, minerali e pigmenti nel mangime; plasticizzanti, assorbenti raggi UV, sostanze antifouling), microrganismi e parassiti, organismi alloctoni.
L’uso di vernici  antifouling per la manutenzione delle gabbie o di farmaci usati per la cura dei pesci, rappresentano un’altra consistente sorgente di impatto che può creare effetti indesiderati sull'ambiente marino e quindi contribuire al suo degrado.

 

 
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