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TIME OUT

Sono passata da Sblog e sono stata colpita da un suo post strabello che riprendeva le parole di una risposta, la leggerezza del non essere se stessi, per un po'.

Una sorta di time out, le mani a T che nello sport significano che si vuol prendere una pausa.  Non lasciare, non arrendersi, no, semplicemente concedersi un po' di tempo, un po' di spazio per riprendersi, per stabilire nuovamente le priorità, vedere dove si vuole andare, capire qual è il proprio posto, capire dove si vorrebbe essere, comprendere qual è la ragione di quel sottile malessere che talvolta non ti permette di essere pienamente felice, anche se le condizioni per esserlo ci sono quasi tutte.

Quanto a me, nel mio time out ho capito che mi manca il figlio di mezzo. Ho una terribile nostalgia delle sue scarpe in cui inciampavo all'ingresso; ho nostalgia della sua perenne ricerca delle chiavi dell'auto che ha appoggiato chissà dove un attimo primo; ho nostalgia del tempo che passa troppo in fretta e il piccolo non è più piccolo (oggi ha dato l'esame di psico linguistica, era quasi imbarazzato per il solito 30); nascondo la preoccupazione quando sento il grande parlare di Stati Uniti, Canada o Australia.

Il mio time out, inteso come fuga in un limbo senza pensieri, me lo prendo in archivio. Mii concentro così tanto sulle vicende storiche e familiari dei miei antenati, che, immersa nel passato, dimentico il presente.  Penso che riscoprire le nostre radici rinsaldi i legami attuali e futuri e, per me, ridimensiona le mie preoccupazioni.

Va ben, che parlando di presente, ho un lungo elenco di cose da fare e per quelle, non esiste time out.