Creato da regina_crimilde il 25/10/2005

C'era una volta...

le fiabe sono solo dei ricordi d'infanzia o non sono piuttosto un codice da interpretare? Andiamo alla ricerca dei valori, dei miti, della storia profonda dell'umanità e dell'io che trasmettono.

 

 

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Barbablù e il sotterraneo

Post n°64 pubblicato il 21 Maggio 2006 da regina_crimilde
 
Foto di regina_crimilde

Le fiabe di Perrralt, tra cui compare Barbablù, furono pubblicate nel 1697, con il titolo I Racconti di Mamma Oca.
Perrault, essendo un Accademico alla corte di Luigi XIV, operò una trasformazione colta dei racconti popolari in cui trionfavano sangue, trame oscure e paure, le contadine diventavano nobili cortigiane, le case suntuosi castelli.

L’origine della fiaba si perde nella storia e nella leggenda e si intreccia con le vicende di Gilles De Rais, luogotenente di Giovanna d’Arco, condannato a morte il 26 ottobre del 1440 dopo un lungo processo che ne dimostrò la colpevolezza nell’uccisione di centinaia di ragazzini.

La moglie di Barbablù, per salvarsi deve rompere una legge, discendere negli abissi della cantina, deve capire cosa si nasconde nella grande casa dietro la porta chiusa.
La volontà di discendere negli abissi, di incontrare l’abiezione, diviene così più forte di qualsiasi divieto, di qualsiasi porta: è la necessità di “sporcarsi” con il sangue che si cela al di là dell’ignoto, di andare incontro alle proprie paure, di immergersi nei tombini per risalirne cambiati, diversi.
Ed è proprio questa volontà di sovvertire le regole sociali a far sì che la moglie di Barbablù apra la porta chiusa, la “camera di sangue”, come la riconvocata Angela Carter nella sua raccolta di racconti (The Bloody Chamber, 1984).

Ma la fiaba ricorda qanche Pandora e Persefone, Eva e Prometeo, simboli di un desiderio umano di ricerca e sovversione, emblemi della volontà di conoscenza che va al di là dei limiti posti dal divino.
La moglie di Barbablù, aprendo la porta proibita e attirando su di sé la punizione del marito, richiama alla mente Eva, che disubbidendo al volere divino viene cacciata dal paradiso terreste.
Il tema della caduta e della punizione, come quello della disobbedienza alla divinità, si ritrovano spesso anche nel mito: è Pandora che apre il vaso e, disubbidendo a Zeus, attira su di sé e sul genere umano tutte le pene che possono affliggere l’umanità; è Prometeo che ruba il fuoco e viene punito da Zeus, che lo incatena nudo alla vetta del Caucaso dove un avvoltoio gli divora il fegato per l’eternità.
La volontà dell’uomo di infrangere le leggi divine viene sempre punita: l’umano non può e non deve attraversare la soglia, inoltrarsi negli abissi, aprire la porta chiusa.

L’apertura della porta da parte della moglie di Barbablù simboleggia cela la volontà di scavare nelle proprie paure, nel proprio inconscio.
La fiaba è ambientata in uno spazio chiuso, ben definito: la casa diviene un corpus che fornisce all’uomo ragioni o illusioni di stabilità, diventa luogo del ricordo, topografia del nostro essere intimo.  La cantina è così il luogo dell’essere oscuro, animata dai fantasmi dell’inconscio, «l’essere che partecipa alle potenze sotterranee».
L’inabissarsi nella cantina rappresenta la volontà di affrontare il proprio inconscio, le forze oscure che animano la discesa e che si rafforzano in contrapposizione alla soffitta. 

 
 
 
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