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Questa mattina a Jenin

Post n°287 pubblicato il 13 Marzo 2013 da mettweflower
 

La terra sobbalza sotto ai nostri corpi, stanchi e deboli, distrutti dalla guerra e dall'orrore, dalle fatiche e dalle ingiustizie, la terra sobbalza e io e Yussef ci svegliamo improvvisamente, guardandoci l'un l'altro con uno sguardo colmo di terrore.
Gli ebrei riprendono ad attaccare e le grida sofferenti dei feriti, le urla delle donne e i pianti soffocanti dei bambini lo confermano.
Yussef corre da sua madre Dalia e sua sorella Amal, ordinando loro di restare barricate in casa o meglio ancora di nascondersi in cantina, mentre io mi affretto da Susan, mia sorella minore e unica mia parente rimasta, migliore amica di Amal.
<<Fa' ciò che ti dico, segui Dalia e non fare domande. Andrà tutto bene fidati!>> Ecco quello che ordino a mia sorella, cercando di rassicurarla, ma prima ancora avrei dovuto cercare di convincere me stesso.
E' impossibile che vada tutto bene, ma l'amore per lei mi costringe a mentirle.
Nel frastuono di bombe e spari, Yussef ed io ci dirigiamo in cucina e solleviamo alcune mattonelle sotto le quali sono nascoste abilmente rozze armi da guerra, fucili, bombe a mano e qualche pistola, che risultano giocattoli per poppanti, se messe a confronto con "l'artiglieria" degli ebrei.
Usciti di casa io e Yussef ci nascondiamo dietro una "trincea" di sacchi di mattoni, che avevamo preparato in previsione di un ennesimo attacco.
<<"Sahim! Non sei costretto a morire! Sei molto piccolo ancora!>>
Mi urla Yussef mentre schegge di legno e pietra si sollevano nello spazio che ci divide e una forte esplosione rimbomba nelle nostre orecchie.
<<Sahim corri via! Rientra dentro e nasconditi!>> aggiunge ancora.
Ma io non lo faccio e anzi, gli salvo la vita, uccidendo, con un colpo di fucile, un ebreo che da una finestra, come un cecchino, mirava certamente alle tempie di Yussef.
Mi guarda negli occhi, mentre una goccia di sudore, segna il suo volto come una lacrima e mi fa segno di sì con la testa, come ad indicare un eterno "grazie".
<<Dobbiamo andarcene da qui!>> ordino io con voce impetuosa.
Ora mi sento il capo, come se quel gesto mi avesse reso più sicuro, più forte, e soprattutto più coraggioso.
<<Seguimi Yussef! Ci apposteremo dentro casa di Shaquiry, spareremo dalle finestre!>>.
Ora è incredulo, mi guarda sconvolto ed esegue i miei ordini, come se veramente fossi diventato il "leader della coppia", nonostante io sia il più piccolo.
Attraversiamo quindi la strada con rapidità e scavalchiamo ciò che resta del muro del giardino di Shaquiry.
<<Non è tempo di cortesie!>> esclama Yussef con un particolare ghigno e così sfonda la porta ed entriamo in casa.
<<Ragazzi, finalmente siete arrivati!>> esulta Shaquiry, <<Pensavo che non ce l'avreste fatta!>>.
Detto questo, corriamo alle finestre e come abili cecchini spariamo a quegli sciocchi ebrei, che, come mosche nella ragnatela, cadono nella trappola da noi organizzata.
Chi avrebbe mai pensato che un trio di ragazzi avrebbe sparato dalle finestre di un vicolo abbandonato? Che imbecille che sono però, non mi rendo che nulla è immaginazione, che questa è realtà, che l'ebrei al quale ho sparato poco fa è morto veramente, come posso essere ancora convinto che sia solo un gioco? Forse perché ho solo dieci anni e le uniche guerre alle quali ho partecipato fin ora sono state quelle con zio Jacob, mio cugino Samir e io mio fratellone Assaf, le guerre con i bastoni di legno, le cosiddette guerre simulate. Mentre nella mia mente riaffiorano vecchi ricordi, dimentico ciò che mi circonda, solo quando una scossa costringe la casa ad oscillare, i miei occhi ritornano a vedere, purtroppo, la realtà.
In quel preciso istante una forte sensazione mi assale, la sensazione di camminare nel vuoto, quasi di volare.
Proprio in quell'istante, mi accorgo che i miei piedi non toccano più terra.
<<La casa sta crollando! Il pavimento cede! Reggetevi forte ragazzi!>> urla Yussef. Proprio così, il pavimento, come tutti noi, è caduto sotto le bombe degli ebrei.
Precipitiamo dunque nella stanza di sotto, in cucina.
Tra le polveri e il fumo un mattone cade sul mio ginocchio, probabilmente rompendomelo, ma il dolore è meno forte della preoccupazione di aver perso i miei amici, così mi affretto zoppicante a cercargli.
Shaquiry è morto sotto le macerie, vedo il suo braccio uscire dai mattoni, bagnato di sangue, ma Yussef è ancora vivo.
Un'altra bomba si abbatte sulla casa e un rumore assordante rimbomba nelle mie orecchie. Un forte vento mi costringe a ripararmi gli occhi.
Mi accascio sulle macerie di pietra mentre Yussef si avvicina e mi assiste, forse mi parla, forse mi urla, ma io non stento, troppo forte era stata l'esplosione precedente e ora le mie orecchie percepiscono solo un insopportabile sibilo.
Un ebreo sai avvicina con passo felpato a noi, ma non riesco a parlare, non riesco ad avvertire il mio amico del pericolo alle sue spalle, e così l'ebreo gli spara alla testa uccidendolo davanti ai miei occhi. Successivamente la vista mi si appanna e l'ultima immagine che ricordo, è quella offuscata di Yussef ucciso a sangue freddo e senza pietà.
Dopo, solo il buio.

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