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Scissione: la passione dei comunisti dal 1921. Ma forse è meglio così...

Post n°85 pubblicato il 18 Febbraio 2017 da claudionegro50
 


In fondo ha ragione Speranza ad affermare che la scissione nel PD non dipende dalla data del Congresso ma dal merito della linea politica del Partito. Naturalmente, come sempre nella Storia, il merito si mescola e interagisce con il carattere, le aspettative, le emozioni delle persone, che spesso finiscono per prevalere e condizionare il merito, ma alla fine non lo modificano.

Mi spiego: chi si sente erede del "grande Partito Comunista di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer" non può tollerare di essere messo da parte e anche un po' sbeffeggiato da giovanotti che non sono mai passati dalle Frattocchie e non mostrano rispetto per i fasti di una storia che "viene da lontano e va lontano".

Peraltro Renzi e i suoi non nascondono l'insofferenza per chi rivendica l'esclusiva della certificazione del termine "sinistra".

Anch'io non sono equidistante e obiettivo, ovviamente. Quando ci inoltriamo sul terreno delle emozioni e della sensibilità, non riesco a dimenticare il killeraggio del PCI nei confronti del riformismo craxiano, né la festosità con cui Occhetto e i suoi sodali accoglievano l'opportunità di ottenere per via giudiziaria il potere che erano stati sempre incapaci di conquistare attraverso libere elezioni. Pertanto non nasconderò che l'idea dei nipotini di Berlinguer che organizzano l'ennesima scissione minoritaria della sinistra come dei Cossutta o dei Vendola, e magari D'Alema che prende il 5% alle elezioni mi dà qualche soddisfazione...

Però vorrei restare sul terreno indicato da Speranza: le ragioni di merito della scissione, che ci sono eccome e sono ben più gravi dei capricci e delle giravolte su Congresso o Conferenza Programmatica, Primarie ed Elezioni e relativa cronologia cui un po' ipocritamente buona parte della minoranza si aggrappa per giustificare una scissione che avviene per motivi ben più seri.

La minoranza reclama uno spostamento "a sinistra" del baricentro del PD; il merito concreto non è mai stato declinato in modo compiuto, ma oggi Emiliano (intervista a Corsera, pag.2) ne fotografa con una battuta sintetica quanto efficace la filosofia fondante: "Come si concilia la posizione del PD con il referendum della CGIL?". Appunto: il dissenso è di merito ed è enorme. E' sul lavoro, per il quale la sinistra chiede l'abolizione sostanziale del Jobs Act; è sulla scuola, per la quale si rivendica l'eliminazione delle poche novità introdotte dalla Buona Scuola in materia di autonomia e responsabilità dei dirigenti, di reclutamento degli insegnanti, di valutazione del merito; è sulla previdenza, per la quale si chiede di svuotare la Legge Fornero; è sul fisco, per il quale, dopo le dovute geremiadi sull'eccessiva pressione fiscale, si invoca come prerequisito ad ogni altra operazione la tradizionale "lotta all'evasione"; è sulla spesa pubblica, per la quale, dopo il tradizionale richiamo alla "lotta agli sprechi" si chiede una bella espansione tramite un vasto programma di assunzioni nella Pubblica Amministrazione; è sul ruolo dello Stato in economia, che si sostanzia nell'opposizione alle privatizzazioni (eh, non ci sono più i capitani coraggiosi...).

Ma, ancora a monte, c'è un pensiero, e stavolta serio e non strumentale, che identifica il "sentiment" della sinistra e dal quale scendono a cascata le sue opinioni. Ben lo riassume Veltroni, che pure alla sinistra PD non appartiene ma a quella cultura sì: "Oggi assistiamo a una rivoluzione tecnologica affascinante, seducente, ma che non genera lavoro; lo distrugge. Scompone le classi sociali. Riscrive l'esistenza umana sotto il segno della precarietà permanente". Questo punto di vista ritaglia alla sinistra un ruolo di "resistente" al cambiamento del sistema economico, la identifica come ultimo baluardo allo sconquasso che l'introduzione dell'intelligenza artificiale nel sistema produttivo produrrà in termini di distruzione-creazione di posti lavoro. Un ruolo passivo, da Ridotta Valtellinese, o velleitario, se si pensa di invertire la tendenza per cui i robot distruggeranno posti di lavoro "esecutivi" ma ne creeranno di più nella programmazione, nella manutenzione, per non parlare della cura delle persone, della cultura, della socialità, della ricerca; fino a non escludere che la ricchezza prodotta dei robot possa finanziare una qualche forma di reddito universale.

Ma la sinistra PD ha voglia di confrontarsi con queste prospettive? Certo che no! Ha voglia di candidarsi a governarle? Giammai arrischiarsi oltre l'orizzonte dell'esperienza socialdemocratica (alla quale tuttavia ai bei tempi tante sapute critiche e sbeffeggiamenti di intelligenza col nemico di classe erano stati riservati).

No: la scissione ha il compito storico di testimoniare l'esistenza di una forza politica dei "bei vecchi tempi": statalista ma rispettosa delle corporazioni, dedita alla conservazione delle vestigia istituzionali (Senato, Cnel) e risolutamente determinata a non mettere in discussione pilastri della Repubblica quali i TAR e l'unicità delle carriere dei Magistrati. E soprattutto a restaurare il buon vecchio principio del tax and spend.

E con questa scissione il percorso comunista che "viene da lontano e va lontano" sarà finalmente arrivato.

Non lo rimpiango: in Paesi più fortunati è finito prima!



 

 

 

 
 
 
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