Creato da lunaspina_66 il 14/03/2006
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Lo splendore dell'amicizia
non è la mano tesa
né il sorriso gentile
né la gioia della compagnia:
è l'ispirazione spirituale
quando scopriamo
che qualcuno crede in noi
ed è disposto a fidarsi di noi.

[Ralph Waldo Emerson]

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Abbiamo imparato a volare come gli uccelli,
a nuotare come i pesci,
ma non abbiamo imparato a vivere come fratelli.

[Martin Luther King]

 

 

 

Fra i rumori della folla ce ne stiamo noi due,
felici di essere insieme, parlando poco,
forse nemmeno una parola

[W.Whitman]

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Vorrei essere sempre per te, vita, come il fiore, che durante la notte dal sogno infinito di tesori delle sue foglie chiuse, dona, in un momento, aprendosi col giorno, tutta l'essenza del suo sogno!

[J. R. Jimenez] 

 

Amici a 4 zampe

Ogni  anno  in  prossimità  delle vacanze e non solo si ripete il fenomeno dell'abbandono. Cani, gatti, conigli e tanti altri animali diventati scomodi vengono abbandonati al loro destino...Come un pupazzo che non serve più che da fastidio alcune persone se ne liberano non sapendo o facendo finta di non sapere il male che fanno a questi poveri esseri indifesi. Lasciati soli al loro destino la maggior parte di essi non riesce a raggiungere l'anno di vita randagia. Abbandonati al loro destino dopo che hanno conosciuto il calore di una casa, la ciotola piena di cibo, l'affetto magari dei bimbi, si ritrovano soli e impauriti a cercare di tentar di sopravvivere. Alcuni saranno fortunati perché magari raccolti da un anima buona, ma per la maggior parte di essi, ABBANDONO equivale a MORTE certa.

 

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La storia di Lilli, la mia gatta

Post n°281 pubblicato il 03 Febbraio 2008 da lunaspina_66
 

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                                       Foto: Lilli - Settembre 2005

Era  fine  giugno  del  1995.  Quella  mattina, con mia madre e una delle mie cugine, ero scesa nel cortile adiacente alla mia casa a prendere l’auto, avevamo deciso di andare al mare. Ho sentito un flebile miagolio provenire da un angolo del cortile, mi sono avvicinata a vedere e ho scoperto un gattino abbandonato. Era un gattino color grigio fumo, piccolissimo, più piccolo del palmo della mia mano, aveva ancora gli occhietti chiusi, strillava per il freddo, la paura e la fame. Sicuramente quella mattina, qualche padrone scellerato, l’aveva tolto alla sua mamma dopo pochi giorni dalla nascita. Sebbene io avessi sempre amato gli animali, forse perché ero molto giovane e più egoista, forse perché pensavo che al mio ritorno qualche anima pia se lo sarebbe preso, non mi sono preoccupata più di tanto delle sue sorti e sono andata tranquillamente al mare. Al mio ritorno, verso ora di pranzo, dopo aver parcheggiato l’auto nel cortile, riecco di nuovo il miagolio, stavolta più intenso e lamentoso. Mi sono avvicinata e ho visto una ciotola con un po’ di latte, poi ho saputo che era stata portata lì da mio padre, ma il gattino era talmente piccolo che non era riuscito a mangiare da solo. Durante la giornata ho continuato a pensare a quel povero gattino abbandonato, guardavo mia madre speranzosa, che mi dicesse quel “si prendiamolo”, ma era una speranza inutile, mia madre non ha mai desiderato animali in casa, non ha mai permesso a me e a mio fratello di prenderne uno. Quindi anche questa volta sapevo quale sarebbe stata la sua risposta. Il caso però ha voluto che quella fosse un’estate particolarmente piovosa. Ogni pomeriggio c’era qualche temporale. Anche quel pomeriggio iniziò a piovere di brutto, e da sopra casa si sentivano i lamenti e gli strilli  del povero micio. Il cuore mi si stringeva, mi faceva pena sentirlo così, ero certa che un gatto così piccolo non sarebbe sopravvissuto una notte senza calore e cibo. Mio padre ed io, allora, complici come non mai, ci siamo messi in due contro mia madre, abbiamo iniziato a far leva sul suo senso di pietà, quel povero micino sarebbe morto se non avessimo fatto qualcosa, e sarebbe stata tutta colpa sua. I no convinti di mia madre iniziarono a diventare dei mezzi si, fino a un si con condizione: “Il gatto lo portate su solo per qualche giorno”. Chiaramente i pochi giorni son diventati settimane, mesi e poi anni. Ebbene quel micino, che poi s’è rivelata una gattina, è rimasta per sempre con noi. Le ho messo nome Lilli, si è scoperto che era un gatto di razza “certosino”, aveva un bellissimo mantello grigio-blu lucido, con stupendi occhi verde acqua. Abbiamo iniziato a darle da mangiare con un piccolo biberon ricavato da una di quelle mini bottigliette di liquore, a cui poi abbiamo aggiunto una tettarella comprata in un negozio di articoli per animali domestici. E’ stata allattata per circa 6 mesi, inizialmente per tre volte al giorno e poi due. Se fosse dipeso da lei avrebbe continuato a farsi allattare ancora per lungo tempo, ma era diventata una bella gattona e mangiava da sola da tempo, quindi pian piano le abbiamo tolto il biberon. Mia madre, sulle prime, non ha degnato la gatta di molta attenzione, non le interessava, si sentiva manipolata da me e da mio padre per averla costretta con l’inganno a prenderla in casa. Ci diceva ad ogni occasione “la gatta è vostra e la curate voi, io non la volevo”. Ma com’è quel detto, la mamma propone e la gatta dispone? Beh non è proprio così, ma calza a pennello. La gatta, infatti, nel corso degli anni ha rivelato doti di intelligenza, un’indole dolce e affettuosa, socievole anche con gli estranei, impossibile non amarla. Mi ricordo che la prima sera che l’abbiamo portata sopra casa, ho allattato la gattina con una siringa a cui avevo tolto l’ago, era affamatissima, faceva tenerezza guardarla. L'abbiamo messa in una stanza che usavamo come ripostiglio, e le abbiamo allestito in fretta e in furia una prima vaschetta per i bisognini. Mi ricordo era una vecchia teglia che ho riempito di sabbia. La gattina non sapeva nemmeno usarla. Era stata tolta talmente piccola alla mamma che non aveva avuto l’ imprinting sulle cose basilari della vita di gatto. L’unico imprinting che Lilli ha avuto nella sua vita è stato quello umano. Infatti, ricordo che dovetti strusciare io le sue zampine nella sabbia per mostrarle come scavare per i bisognini. Ma lei ha imparato subito con l’istinto tipico degli animali. Il 18 settembre 1996, ha conosciuto per la prima volta  quell’essere misterioso chiamato “veterinario”. La gatta aveva compiuto un anno ed erano iniziati i primi “calori” e l’abbiamo portata a sterilizzare. A parte quella volta la gatta non ha mai avuto bisogno di un veterinario. In quasi 13 anni di vita ha sempre goduto di una salute di ferro, mai un problema, mai nemmeno un raffreddore. Era la gatta che ogni persona avrebbe desiderato. Il 24 novembre 1998, nella mia famiglia accadde un evento doloroso. Mio padre morì. La gatta, fino a quel momento, nonostante fosse legata a tutti noi, aveva preferito mio padre su tutti. La sera, quando lui rincasava, lei si acciambellava sulle sue gambe e restava lì tutta la serata, dalla cena fino all’ora di andare a letto. Si adoravano! Quindi la perdita di mio padre ha avuto ripercussioni pure su Lilli che a quel tempo aveva tre anni di vita. Ricordo i primi giorni dalla sua scomparsa, lei lo cercava, vagava come un’anima in pena. Secondo il mio modesto parere s’è sentita abbandonata da lui. Ci fu un episodio che mi convinse di ciò. Ricordo che stavo sistemando gli abiti di mio padre, mi è caduta a terra una sua cravatta, la gatta che era lì con me, da docile che era divenne una furia e si avventò con rabbia su quella cravatta. Son rimasta scossa alla vista di quella scena. Secondo me sulla cravatta la gatta sentiva l’odore di mio padre e le era scattato qualche ricordo. Poi è diventata nuovamente docile. Dopo la scomparsa di mio padre, ecco avvenire un mutamento nei rapporti tra mia madre e la gatta. Si sono adottate a vicenda. La gatta si è legata moltissimo a lei, la seguiva ovunque, poi dicono che i gatti sono indipendenti e diversi dai cani, menefreghisti. Invece non è vero nulla, dipende sempre dall’indole dell’animale. La mia Lilli stava sempre con noi, se cambiavamo stanza ci seguiva come un’ombra. Non voleva stare mai sola, e quando capitava per forze di cose, ci metteva il muso. Il pomeriggio faceva il pisolino insieme a mia madre, e la cosa buffa e nello stesso tempo tenera, era che Lilli le posava la zampina nel palmo della mano. Era come se si dessero la mano. Era carinissima. Era sempre affamata di coccole e carezze e ricambiava il nostro amore in mille modi. Potrei citare una marea di aneddoti, ma ne verrebbe fuori un racconto lunghissimo. Gli anni trascorrono serenamente tra mille coccole, giochi e carezze. Ma come tutte le cose belle, c’è sempre una fine. Siamo agli inizi di gennaio 2008. La gatta, ogni volta che mangiava qualcosa, iniziava a vomitare, dapprima una volta ogni tanto, poi sempre più frequentemente fino ad arrivare a tre giorni di digiuno. L’ho portata dal veterinario, nella visita iniziale l’ha trovata tutto sommato in buona salute, anzi il veterinario si è complimentato per come era tenuta la gatta che non dimostrava i suoi anni. Mi ha dato una curetta di iniezioni antivomito e vitamine. Dopo due giorni di cura la gatta era migliorata, ha ricominciato a mangiare e saltellare come prima. Tutto questo è durato una settimana, ma ecco che la gatta ha ricominciato con vomito e problemi di stitichezza. L’ho riportata di nuovo dal veterinario, me l’ha ricontrollata, mi ha prescritto una curetta per la stitichezza e mi ha detto di farle fare analisi del sangue. L’ho riportata una terza volta,  le hanno fatto le analisi e durante la visita, palpandola, hanno notato un gonfiore sospetto. Il veterinario mi ha detto che nella migliore delle ipotesi era un linfonodo, altrimenti era qualcosa di maligno, perché palpeggiandola si notava già che, questa massa, aveva raggiunto una dimensione grande una via di mezzo tra una noce e un limone. Come mi ha detto queste parole, mi son sentita raggelare. Purtroppo sapevo benissimo cosa volesse dire. Ho avuto più di un lutto con queste diagnosi nella mia famiglia, tra cui mio padre e recentemente mio zio. E ora toccava pure alla gatta. Il veterinario mi ha detto di pensare a cosa volessi fare e avvertirlo in caso avessi deciso per un intervento chirurgico, perché solo in quel modo si sarebbe saputo con certezza l’entità del male. Ho riportato la gatta a casa, dicendo al veterinario che entro quindici giorni mi sarei rifatta viva. Ma durante la prima settimana già vedevo la mia amata Lilli che mi deperiva a vista d’occhio, non mangiava più, non faceva quasi più i bisognini, beveva solo acqua. Come tentava di mangiare qualcosa, dopo il primo boccone vomitava tutto. Mi guardava con due occhioni spauriti e sofferenti, e durante la settimana scorsa ho iniziato a valutare tutte le ipotesi possibili, e con mio grande dolore e sensi di colpa, ho valutato anche la decisione più drastica. Con la morte nel cuore, ieri, sabato 2 febbraio 2008, ore 10, avevo appuntamento dal veterinario per l’intervento. Anzi sono arrivata quindici minuti prima, e per le 10 era già sotto anestesia. I veterinari mi hanno detto che la massa, in quest’ultima settimana, si era accresciuta. Dentro di me sentivo già che non ci sarebbero state molte speranze, mia madre si illudeva che forse Lilli ce l’avrebbe fatta, in fondo era una gatta forte che non era stata mai male in precedenza. Ma io sapevo da qualche settimana che non era così. Precisamente dalla notte del 22 gennaio, in cui ebbi un sogno premonitore in cui erano presenti sia mio padre, sia la gatta. Ho capito che era venuto a dirmi di prepararmi al peggio.  Durante l’intervento i veterinari mi hanno chiesto se volessi vedere l’entità del male, in pratica l’intestino ormai era completamente avvolto dalla massa tumorale ed aveva intaccato già i reni. Era praticamente impossibile operarla. Chiaramente ho rifiutato di vederla in quelle condizioni, non ce la facevo. Mi hanno chiesto cosa decidevo in merito, se chiudere la ferita e quindi aspettare qualche giorno o settimana  per vederla comunque morire di fame tra atroci dolori che sarebbero sopraggiunti o…Tra le lacrime e un profondo senso di colpa, ho preso la decisione più dura della mia vita, far praticare l’iniezione letale a qualcuno che amavo. Alle 10.30 del mattino Lilli era deceduta. Unico conforto è che l'iniezione le è stata praticata quando era sotto anestesia, ed è passata dolcemente dal sonno indotto al sonno eterno. Poi me la sono fatta avvolgere in un asciugamano bianco con la raccomandazione di lasciarle la testolina fuori, per poterle dare il mio ultimo saluto. Quando me l’hanno ridata pareva che dormisse. Era bellissima. Nel frattempo mi ha telefonato mia cugina per sapere della gatta,  e appresa la triste notizia,  mi ha chiesto se volessi seppellire la mia Lilli nel suo orto in campagna, dov’era seppellita anche la sua gatta. In sua compagnia, sotto la pioggia, siamo andate ad espletare quest’ultima triste opera. Abbiamo scavato una fossa, ho coperto Lilli completamente nell’asciugamano in cui era avvolta, messa in una scatola di cartone, come mi avevano suggerito i veterinari, e sotterrata. Poi ho messo una pietra sulla sua piccola tomba e alcuni fiorellini trovati lì. Un’ultima preghiera e via, con il mio dolore. In tutti questi anni ho avuto al mio fianco una gattina meravigliosa. Se avessi potuto scegliere, non ne avrei voluta una diversa. Son stata fortunata a poter conoscere la mia dolce Lilli. Per me non era “solo un gatto” ma era un membro della mia famiglia, e il dolore che provo per la sua scomparsa non è minore solo perché non era un essere umano. Al contrario, sento molta tristezza perché è stato l’ultimo regalo che mi aveva fatto mio padre prima che morisse. Perdere Lilli, è stato come perdere un ultimo legame con lui. Voglio pensare che ora sono insieme, e che lui ora possa farle quelle carezze e coccole che io non posso più. Dalla notte scorsa c’è una stella in più che brilla nel cielo, si chiama Lilli.

 
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