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Se questo è un uomo

Post n°90 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da qatia
Foto di raccontare

 

 

 

 

 

 

 

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo.
Come una rana d'inverno
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole:
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

 
 
 

The Future is Unwritten

Post n°89 pubblicato il 22 Dicembre 2008 da qatia
 
Tag: catia

Prima di andarsene, giusto sei anni fa, Joe Strummer ci ha lasciato questa cosetta. Per me Joe Strummer è ‘The Clash’ e un modo di essere senza strafare. A partire dal nome che si era scelto: ‘Strummer’, Strimpellatore. Se ne è andato mentre portava a spasso il cane. Spento da un difetto cardiaco congenito. Non proprio il tipo di morte che ci si aspetta da un punk-rocker. Ma è la conclusione adatta della storia di uno che non si è mai preso troppo sul serio

 
 
 

Buon compleanno

Post n°87 pubblicato il 16 Novembre 2008 da qatia
 
Tag: catia, qatia
Foto di raccontare

Due anni di blog.

Il 16 Novembre di due anni fa iniziavamo a passarci la penna per riempire queste pagine. Sono andata a ritroso fino a quel giorno. A quando Sharie ha dato inizio a tutto e non sapeva che sarebbe finita a Lyon.

Il primo racconto postato da heygio, la pioggia di poesia di meltea. Maia che chiedeva aiuto e adesso chissà come sta con la sua creatura. Nestore. Passanti che hanno lasciato appena un rigo. Le nostre vacanze, i giochi. Sogni e nostalgie, curiosità.

Una specie di patchwork colorato e caldo. Perfetto per il mese di Novembre e le sue piogge. Me lo porto sul divano per scaldarmi un po’. E ascolto Saramago, anche lui nato oggi. Auguri a noi e a lui. 

 
 
 

Venti minuti

Post n°86 pubblicato il 04 Novembre 2008 da qatia
 
Tag: qatia
Foto di raccontare

Una sera mi chiama la mia amica T.

 Vuole mettere su facebook una foto in cui siamo insieme a B.

B. è già su facebook, ma siccome io no ...

E va bene, T., vai pure. Purchè sia piccola piccola piccola.

Poi mi manda il link.

Ci clicco sopra ma non vedo niente. ‘Registrati’ dice un pulsantino. E mi registro. Generalità molto generiche, ovvio. E per gioco, altrettanto ovvio, un avatar (‘Sogni’ di V. Corcos) al posto della faccia.

Continuo a non avere accesso alle immagini. É quasi l’una di notte, se per vedere qualcosa devo mandare messaggi a T. è inutile che ci provi. Così faccio un giro, giusto per capire cos’è questo buco nero che risucchia le persone al punto che finiscono col comunicare solo fra loro. Risento T. che si lamenta al telefono di non riuscire a starne lontana, nè a tenere il passo dietro le richieste di contatti. Amici, sì, ma anche sconosciuti o gente antipatica che le manda poke e messaggi. Guardo la mia pagina. Campeggia una domanda ‘che cosa stai facendo adesso’ o giù di lì. Fatti miei, vorrei rispondere. Già m’ha scocciato. Cerco anche B., ma ogni volta che avvio la ricerca il risultato è una lista sempre più lunga. Alla quarta iterazione la vedo, in mezzo a due omonime rispettivamente nonnina molisana e pulzella dell’Arkansas.

M’incuriosiscono i gruppi. Il menu di selezione è fatto male, devi scorrere fra centinaia di gruppi inconcludenti, messi lì solo per raccogliere contatti. Uniti dagli interessi comuni: politica, tempo libero. Vini. Vorrei selezionare un gruppo italiano, ma il menu è implacabile:’globale’ è l’unica opzione, ossia niente opzioni. Così sfilano scritte in arabo, cirillico, greco. Ne trovo uno per caso, dal quale risalgo ad altri piuttosto improbabili, che si propongono l’eliminazione di questo, l’annullamento di quello. E poi le facce. Quasi tutti in posa glamour. E i messaggi. Boh. Sarà, ma ‘sto feisbuc mi sembra una bojata colossale. Non aggiunge niente a quello che esiste già. Forse è vero che ti fa ritrovare le persone, ma se le avevi perse dev’esserci stato un motivo. E dopo averle ritrovate, in quanto tempo si passa dai messaggi veri e propri ai semplici ‘passavo di qui’ e al nulla di prima?

Mi auguro che almeno qualcuno ci trovi compagnia per una pizza o un cinema.

Ho cancellato il mio account dopo nemmeno venti minuti di questa troppa troppitudine. A T. e B. continuerò a scrivere e telefonare. No, il faccialibro non fa per me.

 
 
 

Almost cut my hair

Post n°85 pubblicato il 24 Settembre 2008 da qatia
 
Tag: qatia

Sulla strada verso casa ci fermiamo alla festa di quartiere, giusto per incoraggiare i volontari che l’hanno organizzata. C’è un palco semideserto con dei ragazzi che suonano musica da ballo sudamericana. Il bruco-treno, i tappeti elastici. Pochi banchi di prodotti artigianali, foto della zona archeologica intorno alla quale è sorto il quartiere.

Mentre le bambine girano sul bruco-treno vado a parlare con un rappresentante dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) perchè vorrei crearne uno qui. E’ un uomo barbuto, dal sorriso semplice. Intanto si è levato un vento freddo e dispettoso. L’uomo parla, racconta di quando ha iniziato tre anni prima. Mi dà opuscoli e consigli. Io sento sempre più freddo. La maglia infilata sulla casacca di lino non serve a proteggermi. Raggiungo mio marito, mi faccio abbracciare per scaldarmi un po’. Non basta. Le bambine vogliono restare a giocare, ma io non ce la faccio. Decido di aspettarli in macchina, un bacio per saluto e mi allontano stringendomi nell’inutile maglia blu.

Chiudo la portiera e sto già meglio. Accendo la radio mentre sfuma ‘Summer 68’. Conosco il programma e il conduttore, sono cascata bene. Alzo gli occhi sui palazzi intorno. Spenti e deserti.

E arriva ‘Almost cut my hair’. Versione acustica. E penso che se avessi accanto … chi. Chi.

No, nessun ‘ti ricordi’ andrebbe bene. Anche se eravamo insieme, non abbiamo sentito la stessa musica. Non allo stesso modo.

E capisco la vastità della parola ‘solitudine’.

Amplificata dal buio e dalla voce di David Crosby che lo squarcia solo per me.

E l’accetto come si accetta la pioggia e il vento. L’accetto e la guardo come un mare che non fa paura. Perchè l’ho attraversato e mi ha lasciato passare. Con le mie barchette di parole che non trovano destinazione. Parole che sono un tentativo di ombrello alla pioggia, inadatte come la mia maglia al vento.

Nessuno sgomento.

Sarà questa la maturità, accettare serenamente la realtà che da giovani ci fa paura. Non c’è rimedio alla solitudine. Figlia non unica dell’incomunicabilità. Si vive tenendo a bada queste due pianticelle perchè non crescano troppo da soffocare tutto il resto. Imparando a non sorprendersi quando ci si inciampa col piede. Guadagnando terreno con mezzi di fortuna, consapevoli che estirparle è impossibile e forse sbagliato.

Mio marito bussa sul vetro. E’ tardi e freddo anche per lui. Lui che spesso indovino solo, malgrado noi. Gli cedo il mio posto, faccio salire le bambine. Le guardo, eccitate e stanche di allegria. Mi chiedo se ci metteranno meno tempo di me ad attraversare indenni lo stesso mare.

 
 
 
 
 

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Un blog di: raccontare
Data di creazione: 16/11/2006
 

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