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questo continuare a cercarsi

 dove l’altro smette.

Una connessione spontanea

Senza alcuna richiesta

 

 

 

Sensibilità tenerezza ardore

sono collegate al cuore

Talvolta arrecano lacrime e dolore.

Ma si è vivi nella sofferenza

e morti nell’indifferenza.

Sunny_Poems

 

 
Creato da: fabiana.giallosole il 18/02/2012
COPDUS - Coordinamento Provinciale Docenti Utilizzati di Sassari

Messaggi del 08/05/2015

 

Vignetta

Post n°3431 pubblicato il 08 Maggio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da "OrizzonteScuola"

D

 
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Voto CSPI

Post n°3430 pubblicato il 08 Maggio 2015 da fabiana.giallosole
 

 

Da “La tecnica della Scuola”


Voto CSPI: Flc-Cgil in testa, avanzano i sindacati di base

 

Reginaldo Palermo

A Roma Flc-Cgil è il primo sindacato, seguito da Cobas, Snals e Unicobas. 
Cisl-Scuola supera di poco il 6%.  Se questi dati fossero confermati a livello nazionale alcuni importanti sindacati rischiano di restare fuori dal Consiglio Superiore.

I dati sulle elezioni del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione affluiscono con lentezza ma confermano la tendenza che avevamo già evidenziato qualche giorno fa.
I numeri di Roma e provincia ci arrivano dall'Unicobas e riguardano il 65-70% delle scuole e rappresentano a questo punto un "campione" più che attendibile.
La Flc-Cgil si conferma il primo sindacato in tutte le componenti (scuola infanzia, primaria, secondaria di primo grado, secondaria di seconda grado e Ata), ma il dato più significativo riguarda l'affermazione dei sindacati di base (Cobas, Unicobas e Anief) e il forte ridimensionamento di Cisl-Scuola.
I numeri sono molto elequonti: Flc-Cgil si avvicina al 32%, i Cobas superano il 12%, lo Snals è poco al di sotto, l'Unicobas sta al 9,50%. Gli altri sindacati sono decisamente lontani: Uil Scuola va poco oltre il 7%, la FGU-Gilda non ci arriva neppure, mentre Cisl-Scuola tocca il 6% (un punto percentuale in più rispetto all'Anief).  
Le sorprese aumentano se si analizzando i risultati delle diverse componenti.
Fra gli Ata i Cobas sono il secondo sindacato (Snals il terzo, Uil il quarto e Unicobas il quinto).
Alle superiori Cobas, Unicobas e Anief insieme arrivano al 30%, mentre nella secondaria di primo grado la classifica vede Cgil al primo posto, davanti a Coba, Anief e Unicobas.
Lo Snals tiene nell'infanzia (secondo dietro a Cgil) dove l'Unicobas e in terza posizione (Cisl al sesto posto dietro a Gilda e Uil). Alla primaria sempre Cgil in testa seguita da Gilda, Cobas e Cisl.
E' ancora presto per tirare le conclusioni, ma l'avanzata dei sindacati di base e il ridimensionamento degli altri (Cgil esclusa) sembrano ormai due dati certi.
Ma come si spiegano questi numeri?  
Commenta Stefano d'Errico (Unicobas): "Sono bastati 15 giornidi assemblee in orario di servizio (a noi vietate con una vergognosa legge commissionata nel 1997 dai sindacati pronta-firma ai loro partiti di riferimento) per ottenere questo risultato".
Vedremo nei prossimi giorni se e in che misura il dato romano verrà confermato in altre province.

 

 

 

 
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Popolo PD

Post n°3429 pubblicato il 08 Maggio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da "Corriere della Sera"
Se contro la «buona scuola» va in piazza il popolo del pd


La novità sostanziale è che alla guida del governo — di un governo che giura di considerare la «buona scuola» il primo e il più epocale dei suoi impegni — c’è il leader del Partito democratico Matteo Renzi.

Paolo Franchi

Può succedere, talvolta, di avere ragione inconsapevolmente, per così dire proprio malgrado. È il caso, da ultima, del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Secondo la quale quello della scuola di martedì scorso è stato «uno sciopero politico».
Nel lessico (e prima ancora nella cultura) del ministro quell’aggettivo, «politico», ha, se associato al sostantivo «sciopero», un significato stroncatorio, quasi spregiativo. Sta, nel migliore dei casi, per «eterodiretto»: e qui è l’errore, chiamiamolo così, della signora ministro. Che però coglie (è il caso di ripeterlo: inconsapevolmente) nel segno.
Quelle centinaia di migliaia di insegnanti che assieme a non tantissimi studenti hanno manifestato uniti, caso più unico che raro, sotto le bandiere di tutti i loro sindacati, la Cgil, certo, ma pure la Cisl e la Uil, nonché la Gilda e gli autonomi, per non dire dei Cobas, ce l’avevano indubitabilmente con il governo. Per una quantità di concretissimi e sindacalissimi motivi, si capisce. Ma prima ancora per l’idea di scuola, e quindi di società, che la riforma carissima a Matteo Renzi prospetta. Un’idea considerata, non importa qui quanto a ragione e quanto a torto, non meritocratica nel senso alto del termine, ma verticistica, aziendalistica e discriminatoria. Forte con i deboli e debole con i forti, avrebbe detto il vecchio Pietro Nenni: e dunque non da emendare in questo o quell’aspetto, ma da rinviare seccamente al mittente.
L’obiezione è nota. Niente di nuovo, è già successo un’infinità di volte, il mondo della scuola non vuole sentir parlare di riforme, di valutazione e di mercato, e il sindacalismo scolastico è sempre stato conservatore. Anche ammesso che le cose stiano così, però, qualcosa di nuovo c’è, eccome. Non si tratta soltanto delle dimensioni senza precedenti delle astensioni dal lavoro e dei cortei. La novità sostanziale è che alla guida del governo — di un governo che giura di considerare la «buona scuola» il primo e il più epocale dei suoi impegni — c’è il leader del Partito democratico Matteo Renzi. E che le donne e gli uomini, giovani e meno giovani, che martedì hanno affollato le piazze di mezza Italia di questo partito rappresentano non lo «zoccolo duro», perché di zoccoli duri non ce ne sono più da un pezzo, ma una parte molto importante, e forse la parte decisiva, di quella che i politologi chiamano la costituency politica ed elettorale del Pd.
Come dire, in parole povere, che contro Renzi hanno manifestato, ed è la prima volta nella storia repubblicana che questo avviene, non i suoi avversari, ma i suoi elettori. Anzi, per essere più precisi, un settore dell’elettorato di centrosinistra non solo elettoralmente cospicuo, ma collocato in una posizione di cerniera nella società da cui, se ne prende consapevolezza, può esercitare (non c’è bisogno di essere attenti studiosi di Antonio Gramsci per saperlo) una funzione importante nell’organizzazione del consenso e, nel caso, del dissenso.
Di più. Cronisti a corto di idee, e soprattutto di mestiere, hanno ironizzato su un presunto, tardissimo sessantottismo degli scioperanti, e comunque sul radicalismo mezzo corporativo e mezzo estremista che avrebbe permeato di sé le manifestazioni. Chi scrive (con qualche esperienza nel ramo) ha visto sfilare in piazza Barberini per quasi due ore tutto il corteo romano, e ne ha tratto una sensazione assai diversa o, per l’esattezza, opposta. E cioè che lì erano rappresentati fisicamente non tanto i resti del tradizionale estremismo di sinistra, che pure ai margini come sempre c’erano, quanto piuttosto l’animo e il corpo moderatamente conservatori e moderatamente riformisti del centrosinistra; o per lo meno quello che, sino a qualche anno fa, si era soliti definire, qualcuno lo ricorderà, il popolo dell’Ulivo. Un popolo che preferisce di gran lunga il «noi» all’«io» dell’uomo solo al comando. Ma pure un popolo deluso, anzi, frustrato nelle sue aspettative, e in questo senso sì radicalizzato in una protesta che ancora non ha, e forse non avrà mai, degli interlocutori e dei punti di riferimento politici degni di questo nome; e dunque domani, o dopodomani, potrebbe indirizzarsi anche verso lidi considerati fino a ieri del tutto improponibili, a cominciare dal Movimento 5 Stelle.
È onestamente difficile pensare che tutto questo Renzi non lo avesse messo in conto. Sicuramente immaginava reazioni più circoscritte al suo stile di governo e alla sua riforma. Adesso che questo potenziale critico di protesta si è manifestato in misura così ampia, non sarà facile, dopo qualche espressione di disponibilità all’ascolto, resistere alla tentazione di sfidarlo, magari in nome di quella scomposizione delle idee stesse di sinistra e di destra che, come ha ben scritto sul Corriere Ernesto Galli della Loggia, sembra l’unico politico su piazza in grado di padroneggiare. È possibile che ci riesca. Ma, per farlo, dovrebbe tagliare nella carne viva del suo mondo di provenienza; e sarebbe più difficile che mettere in scacco una destra inesistente o domare la minoranza del Partito democratico.


 
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DDL Scuola

Post n°3428 pubblicato il 08 Maggio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da "Corriere della Scuola"


Ddl scuola, i sindacati al Pd:«Ora vogliamo incontrare Renzi»


Cgil, Cisl e Uil incontrano i vertici Pd: il governo deve delle risposte a chi protesta. La Funzione Pubblica: con lo sciopero lo Stato ha «risparmiato» 42 milioni di Claudia Voltattorni

 

Roma «Ora vogliamo incontrare il governo». Questa la richiesta di Cgil, Cisl e Uil dopo oltre due ore di incontro giovedì pomeriggio con i vertici del Pd nella sede romana per parlare della riforma della scuola. Con i responsabili scuola dei tre sindacati (Domenico Pantaleo della Cgil, Francesco Scrima della Cisl e Massimo Di Menna della Uil) sono arrivati anche i segretari generali: Susanna Camusso (Cgil), Annamaria Furlan (Cisl) e Carmelo Barbagallo (Uil). A riceverli il presidente del Pd Matteo Orfini, il vicesegretario Lorenzo Guerini, la responsabile scuola Francesca Puglisi, le deputate Maria Coscia (relatrice del disegno di legge sulla Buona Scuola) e Simona Malpezzi.

L’incontro

Durante l’incontro, deciso all’indomani dello sciopero del 5 maggio che ha portato in piazza in tutta Italia oltre 500mila tra prof e studenti e genitori e personale Ata, i sindacati hanno ricordato i punti chiave della protesta: la stabilizzazione dei precari, una visione più collegiale della scuola dell’autonomia («non all’uomo solo al comando») e il nuovo contratto della categoria scaduto da tempo. «Il dialogo c’è stato - spiegano i sindacati -, così come l’ apertura a nuove modifiche durante l’iter parlamentare del ddl», ma, spiega Domenico Pantaleo (Cgil) «non abbiamo registrato alcuna volontà di cambiare l’impianto del disegno di legge: dopo lo sciopero ci saremmo aspettati qualcosa in più». Susanna Camusso ha «apprezzato molto la disponibilità e il metodo di continuare a vederci, ma non abbiamo fatto grandi passi avanti», perché° comunque i nodi restano: «lavoro precario, contratto e valutazione degli insegnanti». Barbagallo (Cisl) ribadisce «le ragioni della manifestazione e la necessità che il governo ci convochi su una legge iniqua e sbagliata» , mentre Furlan (Cisl) vede «ancora scogli importanti». Tutti quindi puntano all’incontro con il governo e con le commissioni di Camera e Senato, «è con loro che dobbiamo fare il confronto», chiosa Furlan. E comunque ribadiscono: «La protesta non finisce con lo sciopero del 5 maggio».

«Avvicinare le posizioni»

Ma per il vicesegretario Pd Guerini «c’è spazio in Parlamento per avvicinare le posizioni: abbiamo voluto incontrare tutte le realtà legate alla riforma perché vogliamo un confronto con tutti e abbiamo ribadito l’impianto propositivo del ddl». Qualche leggera modifica potrebbe esserci: sui dirigenti ci sarà un confronto nei prossimi giorni, ma alcuni punti sollevati già trovano risposta nell’impianto della riforma». Quanto all’incontro con il governo, sollecitato dai 3 sindacati, «è nella disponibilità del governo ma lo deciderà l’esecutivo, la ministra Giannini è sempre disponibile a incontrare tutti».

Lo sciopero

Intanto il Dipartimento Funzione Pubblica fa i conti dello sciopero di martedì scorso: sono stati 618.066 tra prof e personale amministrativo gli aderenti alla protesta, per una percentuale del 64.89%. Il che significa 42.331.340 di euro trattenuti dallo Stato.

«Soldi alle scuole»

«Il Governo non faccia cassa, faccia un gesto di rispetto per coloro che con lo sciopero hanno manifestato per dare qualità alla scuola italiana: li destini alle scuole». La proposta arriva dalla Uil Scuola che ricorda come quello di martedì sia stato «il più grande sciopero della scuola. «Il dato della Funzione Pubblica- sottolinea la UIl - non tiene conto degli effetti delle scuole chiuse: si conferma la stima da noi fornita di una adesione che ha sfiorato l’80%. Il Governo rifletta e apra subito un confronto vero con i sindacati per dare le risposte necessarie alle richieste del mondo della scuola, rappresentate nello sciopero e ancora in atto nelle proteste che continuano in questi giorni».

 
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SCIOPERO

Post n°3427 pubblicato il 08 Maggio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da "ScuolaOggi"


Lo sciopero che non fa più ridere Renzi di Pippo Frisone


All’annuncio dello sciopero unitario del 5 maggio, il premier Renzi twittò  rapido e sprezzante col sindacato : “ Questo sciopero mi fa ridere…”. La risposta a Renzi l’hanno data quei 500mila che hanno riempito le piazze a Milano, Roma, Palermo, Catania, Bari, Cagliari e Aosta.

Se per la questura a sfilare a Milano in corteo il 5 maggio erano solo in ”35mila”, per la legge del contrappasso, le stime sindacali più caute ne davano almeno 50mila.

Tanti erano gli  insegnanti giovani e meno giovani, precari e di ruolo, personale ata e presidi, genitori e studenti che venivano dal Piemonte e dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia, in un tripudio colorato di bandiere e striscioni che si perdevano a vista d’occhio.

E poi tanta allegria, tanta voglia di ballare e cantare a squarciagola da Nessun dorma a Bella ciao. Tanti i nasi rossi in piazza  che mandavano fragorose risate al premier , tra una pizzica , una tamburiate e itanti  slogans ritmati contro la Giannini .

Le adesioni allo sciopero sono state altissime tra il 70% e l’80% ancora più alte che nel  2008 quando la scuola si fermò, anche allora unitariamente, contro la riforma Gelmini.

Scuole chiuse, piazze piene, ora come allora.

Ma la storia non si ripete mai allo stesso modo. Parecchie cose sono cambiate dal 2008 ad oggi dentro e fuori della scuola, dentro e fuori della politica e dei partiti .

Allora il bersaglio era la Gelmini con un Berlusconi ringalluzzito al governo che si prendeva la sua bella rivincita infierendo sulla scuola pubblica, grande bacino elettorale del centrosinistra.

La scuola scese in piazza in difesa del tempo pieno e contro il ritorno al maestro unico, contro il taglio di 135mila posti, contro il riordino del tempo scuola e degli ordinamenti.

Quelle stesse facce, quelle stesse bandiere, quella stessa fetta di popolo di centro-sinistra l’abbiamo rivista in piazza contro Renzi il 5 maggio .

Non si riconoscono in quella Buona Scuola, voluta da  Renzi e da quello stesso partito che magari  i più  hanno votato alle politiche del 2013 e un anno fa  alle europee .

Questa è la novità politicamente più rilevante messa a nudo dallo sciopero del 5 maggio.

Una volta avremmo detto, contraddizioni in seno al popolo. Aggiungerei anche preoccupazioni elettorali.

                                        A fine mese ci saranno le elezioni regionali in Liguria,Veneto,Toscana, Campania, Umbria, Marche e Puglia, in oltre mille Comune che chiamano alle urne  17 milioni di elettori. Un vero e proprio banco di prova, dopo lo sciopero del 5 maggio che terrà governo e maggioranza col fiato sospeso.

Questo spiega l’apertura del governo al dialogo e all’ascolto dei sindacati.

Questo spiega anche i tanti emendamenti in commissione cultura, fatti rimbalzare sulle pagine dei giornali che bilancerebbero lo strapotere del preside-sceriffo, con una maggiore collegialità affidata a Collegio docenti e Consigli d’istituto.

E anche qualche emendamento- sanatoria sui precari con 36 mesi di supplenza e l’annacquamento sulla valutazione del merito degli insegnanti.

Specchietti per allodole? Vedre. Per ora  restano capisaldi della Buona Scuola, i maggiori poteri affidati al preside, vero  e proprio A-D della scuola-azienda che si sceglie dall’albo i docenti adatti al suo progetto , che si sceglie il team organizzativo fino al 10% dell’organico, che valuta il merito dei docenti.

Staremo a vedere cosa cambierà dell’impianto della Buona Scuola, un impianto di centro –destra , orgogliosamente rivendicato dall’on. Alfano

“Ci sono le proteste in piazza della sinistra perchè si stanno facendo cose di destra “  

Siamo in piena campagna elettorale e ogni forza politica si intesta emendamenti e medagliette

con un occhio anche agli umori del 

del proprio elettorato di riferimento

Gli emendamenti, circa 2mila, vanno e vengono dalla Commissione cultura per poi passare all’Aula per l’approvazione finale.

Intanto Renzi incontra i gruppi parlamentari del PD e sugli emendamenti avverte,  facite ammuina.

Chille che stanno a prora vanno a poppa e chille che stanno a poppa vanno a prora……passannu tutti po’ stesso pertuso. Chi non tiene nient’a ffà s’arremeni accà e llà .

 
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Scuola

Post n°3426 pubblicato il 08 Maggio 2015 da fabiana.giallosole
 
Tag: Scuola

"Da La Tecnica della Scuola"


Nelle nostre scuole non serve l’ideologia del capo

 

Aldo Domenico Ficara

La leadership non si ottiene per legge, anzi la burocrazia ostacola i dirigenti capaci e rafforza i mediocri.

In un articolo pubblicato sul suo blog Walter Tocci (Senatore della Repubblica) riflette sull’importante problema della governance all’interno delle nostre scuole, dicendo che “Non serve l’ideologia del capo”.

Nell’articolo si scrive: “C'è da ripulire il testo dalla patina ideologica che si è depositata in questi mesi. Il bravo preside non ha bisogno di norme per guidare la scuola, è in grado di esercitare una leadership che convince e coinvolge gli insegnanti al fine di raggiungere gli obiettivi. Mi è capitato di conoscerne alcuni che sapevano dirigere il collegio docenti come fosse un'orchestra. Piuttosto è il preside inadeguato ad aver bisogno dei poteri previsti da questa legge per imporre le scelte sbagliate, o peggio ancora i favoritismi. La leadership non si ottiene per legge, anzi la burocrazia ostacola i dirigenti capaci e rafforza i mediocri. Se si vuole valorizzare il ruolo dei presidi occorre sostituire quelli che non sono in grado di svolgere quel difficile mestiere ed elevare la qualità degli altri con la selezione, la formazione, il tutoraggio e il controllo di merito”.

Si ricordi che Walter Tocci dal 2013 è senatore e nel 2014 trovandosi in disaccordo con il proprio partito, decide di dimettersi da Senatore della Repubblica immediatamente dopo aver votato la fiducia sulla Delega Lavoro (Jobs Act). È direttore del Centro per la Riforma dello stato.

 

 
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 CHI SIAMO

Il Coordinamento provinciale dei Docenti Utilizzati di Sassari (COPDUS), si è costituito ufficialmente nel mese di settembre 2011, in seguito alla necessità di fronteggiare il nefasto articolo 19 della Legge 111 del 15 luglio 2011 col quale si dispone la messa in mobilità intercompartimentale dei docenti inidonei o il declassamento a personale ATA con conseguente riduzione stipendiale.

Esserci costituiti in gruppo è stato per tutti noi fondamentale in quanto ci ha dato da subito la forza e la determinazione, entrambe importanti, per intraprendere tutte quelle azioni di lotta civile allo scopo di trovare soluzioni al problema che ci ha visti coinvolti, assieme ad altri quasi 4000, a livello nazionale.

Ritrovarci con cadenza settimanale ci fa sentire, non solo più uniti e aggiornati sull'evolversi della nostra situazione, ma soprattutto più sicuri e positivi nell'affrontarla.

Per questo motivo, e non solo, abbiamo col tempo sentito il bisogno di creare questo BLOG ossia uno spazio per informarci ed informare anche coloro che trovandosi nella nostra situazione pur non facenti parte del coordinamento di Sassari, avranno piacere di visitarci e saranno i benvenuti.

Al tempo stesso vogliamo che questo sia uno spazio oltre che di informazione anche di incoraggiamento al "ce la faremo" e al "non smettere" e quindi non vuole avere e non avrà aspetti e contenuti sterili o "istituzionalizzati".


e-mail: copdus@gmail.com oppure fabianagiallosole@libero.it

 

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