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E’ un inseguirsi tra le righe

questo continuare a cercarsi

 dove l’altro smette.

Una connessione spontanea

Senza alcuna richiesta

 

 

 

Sensibilità tenerezza ardore

sono collegate al cuore

Talvolta arrecano lacrime e dolore.

Ma si è vivi nella sofferenza

e morti nell’indifferenza.

Sunny_Poems

 

 
Creato da: fabiana.giallosole il 18/02/2012
COPDUS - Coordinamento Provinciale Docenti Utilizzati di Sassari

Messaggi del 10/11/2015

 

Riforma pensioni

Post n°4142 pubblicato il 10 Novembre 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “OrizzonteScuola”


Riforma pensioni: emendamento quota 100 alla Legge di Stabilità 2016


di Lucrezia Di Dio

 


Roberto Simonetti, esponente della Lega Nord, fa presente che con un emendamento alla Legge di Stabilità 2016 è stato ripresentata l’ipotesi della quota 100.

In questo modo, fa sapere Simonetti, la Lega Nord vuol sfidare la maggioranza ad uscire dall’impasse delle pensioni poiché risulta inaccettabile continuare a trovare misure che vadano a tamponare problemi come l’opzione donna e gli esodati quando quello che occorre veramente è una riforma delle pensioni che vada ad eliminare tutti i problemi sorti con la Legge Fornero dando una maggiore flessibilità in uscita.

A partire dal 1 gennaio 2016 i requisiti che permetteranno l’accesso al pensionamento saranno sempre più penalizzanti richiedendo un’età anagrafica di almeno 65 anni e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti, 65 anni e 9 mesi per le lavoratrici autonome e 66 anni e 3 mesi per i lavoratori. A quest’età anagrafiche vanno poi sommati i 4 mesi dell’adeguamento della speranza di vita.

La quota 100, promossa dalla Lega Nord, permetterebbe al lavoratore che raggiunga determinati requisiti un pensionamento anticipato senza penalizzazioni con una minimo di contributi versati (35 anni) e almeno 58 anni di età. La somma dell’età anagrafica e dei contributi versati, ovviamente, deve far raggiungere la quota 100 andando a salvaguardare i lavoratori precoci che avendo iniziato a lavorare in giovane età possono vantare un maggiore numero di contributi versati.

 

 
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Ideali

Post n°4141 pubblicato il 10 Novembre 2015 da fabiana.giallosole
 
Tag: Ideali

Da “la Repubblica”

 

Ideali e nuovi leader cosa vogliono i ragazzi


Il sondaggio sull’adolescenza del Garante per l’Infanzia racconta una generazione che si rivolge agli adulti per avere delle risposte

Maria Novella De Luca

ROMA

OTTIMISTI ma confusi, sereni ma alla ricerca di qualcosa in cui credere, pieni di informazioni ma incapaci poi di selezionare il vero dal falso, o quantomeno il vero dal verosimile. Coscienti di essere cittadini del mondo, ma consapevoli di non avere le stesse opportunità dei loro coetanei d’Europa, fan di papa Francesco, leader di cui si fidano di più in assoluto, insieme al presidente degli Stati Uniti Barack Obama e al segretario delle Nazioni unite Ban Ki-moon. Assai più tiepida, invece, la fiducia nel nostro premier Renzi, agli ultimi posti nel “gradimento” dei ragazzi insieme a Vladimir Putin.

Racconta una generazione che ha archiviato il conflitto ma chiede al mondo adulto nuove guide e nuovi leader, il sondaggio sull’adolescenza che il Garante per l’Infanzia, Vincenzo Spadafora, renderà pubblico nei prossimi giorni. Mille interviste a giovanissimi tra i 14 e i 17 anni per indagare la loro “consapevolezza del presente”, questo il titolo della dettagliata ricerca, che non si sofferma, tanto, sui temi consueti dei teenager (amore, relazioni, sessualità) per indagare invece i loro sentimenti di cittadini del futuro. A cominciare, ricorda Spadafora, «dal fatto che tutti questi ragazzi, se si andrà alle urne nel 2018, voteranno per prima volta ». Se devono parlare dei propri bisogni profondi gli adolescenti, oltre alla salute, chiedono di “essere valorizzati” (33%), vogliono Giustizia (30%), Verità (24%) ma anche “avere qualcosa in cui credere” (23%).

Rispetto ai coetanei europei il 35% è convinto di avere meno opportunità di lavoro e di successo, ma di fronte a ciò che accade nel mondo sono divisi in due: il 43% ha le idee confuse, il 45% ha le idee chiare, il 12% ammette, senza timori, di “essere indifferente”. Nemmeno la metà si sente coinvolto da quanto accade in Italia, un po’ di più è la partecipazione per ciò che succede nella propria città, ma solo il 30% si appassiona alle discussioni politiche. L’interesse si accende quando si parla di crisi economica e della disoccupazione (l’80% se ne preoccupa), delle guerre e in particolare della minaccia dell’Is. Più in basso nella scala degli interessi i diritti civili degli omosessuali, al penultimo e ultimo posto “la politica italiana, il Governo e le riforme”, e “l’unione europea e la moneta unica”.

Insomma metà degli argomenti di cui si discute in Parlamento (e di conseguenza su giornali, tv e web) scivolano sulla pelle degli adolescenti senza catturare quasi la loro attenzione, dati su cui sarebbe necessario riflettere con attenzione. Qualcuno, confusamente, dice di aver capito la Buona scuola e le nuove leggi sulla cittadinanza, ma senza aver compreso «bene di che cosa si tratta», così, esattamente, dice il sondaggio. Un gran rumore di fondo dunque, dove i teenager mescolano le notizie di una miriade di fonti di informazione, la Rete in primo piano, ma la cui affidabilità viene messa in discussione dall’80% dei teenager stessi. I quali, alla fine, per capirci qualcosa, chiedono lumi ai genitori. Oppure (e il dato sorprende un po’) guardano i tg.

Perché in fondo è agli adulti che i ragazzi poi si rivolgono, chiedendo da una parte di non essere “invasi” (44%), ma auspicando comunque di “poter parlare delle questioni personali”. Insomma è soltanto nella cerchia del privato che i ragazzi si sentono protetti, visto che all’esterno, escluso papa Francesco, i leader politici non sembrano granché graditi. Eppure nonostante la cupezza del presente gli adolescenti affermano che la loro emozione prevalente è la gioia, seguita dalla fiducia e dalla sorpresa. Non male, allora, per una generazione gravata da tante emergenze e nuvole nere.

 
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CONTRATTO

Post n°4140 pubblicato il 10 Novembre 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “ItaliaOggi”

 

Contratto, i conti non tornano


I 300 milioni stanziati nella legge di Stabilità bastano solo per l'indennità di vacanza. I rilievi della Corte. Non aiutano i nuovi comparti

Carlo Forte

Rinnovi dei contratti nel pubblico impiego, mancano all'appello 4 miliardi e 700 milioni. A dare l'allarme è stato Raffaele Squitieri, presidente della Corte dei conti, durante l'audizione presso le commissioni bilancio riunite del senato e della camera dei deputati. Che si è tenuta il 3 novembre, in vista dell'approvazione del disegno di legge di stabilità. Il costo dei rinnovi avrebbe dovuto comportare, a regime, una spesa di 5 miliardi di euro. E invece il governo ha stanziato appena 300 milioni. La questione riguarda direttamente i lavoratori della scuola che, nel pubblico impiego, costituiscono il comparto più numeroso. Su circa 3 milioni di occupati nella pubblica amministrazione, un terzo lavora nella scuola.

Nel rapporto del 2015 sul coordinamento della finanza pubblica, peraltro, la magistratura contabile aveva già mosso delle critiche. E aveva osservato che, superata l'emergenza finanziaria, a partire dal 2016 avrebbero dovuto essere riavviate politiche mirate per il pubblico impiego volte ad affrontare le criticità strutturali del settore. I nuovi contratti collettivi, secondo la Corte, avrebbero dovuto garantire un fisiologico incremento dei trattamenti spettanti, coerente con la programmazione finanziaria. E al tempo stesso avrebbero dovuto attuare un riequilibrio nell'assetto complessivo della retribuzione. Il tutto con lo scopo di incrementare le componenti accessorie effettivamente finalizzate a recuperi di produttività ed a incentivare il merito individuale. In buona sostanza, il governo avrebbe dovuto trovare i soldi per pagare lo straordinario. Esigenza, questa, sempre più stringente, specie se si considera che la riduzione del numero degli addetti e, nella scuola, la cancellazione delle ore a disposizione, rende l'urgenza della sostituzione dei lavoratori assenti una drammatica necessità.

Occorrevano, poi, sempre secondo la Corte, interventi mirati sul dimensionamento degli uffici, sul numero, le competenze e le professionalità degli addetti. «Il disegno di legge finanziaria per il 2016» recita il rapporto della magistratura contabile « non modifica l'approccio seguito negli ultimi anni.». Per i rinnovi contrattuali, il cui costo era stato stimato dalla Corte in circa 2 miliardi nel 2016 (in linea con quanto indicato anche nel Def) e 5 miliardi a regime, vengono stanziate risorse (300 milioni) che equivalgono, di fatto, alla sola corresponsione dell'indennità di vacanza contrattuale.

Oltre tutto, «in mancanza di una esplicita disposizione in tal senso» ha lamentato la Corte dei conti « non è chiaro se, e con quale procedura e tempistica, le predette disponibilità, nella probabile ipotesi di ritardi nella sottoscrizione degli accordi, possano essere distribuite unilateralmente agli interessati da parte delle singole amministrazioni interessate.». In buona sostanza, dunque, i 300 milioni basterebbero a stento per pagare l'indennità di vacanza contrattuale: un emolumento che serve a coprire la metà del tasso di inflazione nelle more della sottoscrizione del contratto collettivo. Questi soldi, però, non sono effettivamente disponibili. Perché i 300 milioni sono destinati espressamente al rinnovo del contratto, ma nel disegno di legge di stabilità non vi alcun accenno all'indennità di vacanza contrattuale. E quindi, non si capisce come potrebbero fare le amministrazioni a versare l'indennità ai lavoratori. Oltre tutto la strada per il rinnovo del contratto è tutta in salita. Quand'anche le parti volessero superare la questione dell'inconsistenza della copertura finanziaria, rimarrebbe sempre la questione della previa sui comparti.

A conti fatti, l'aumento medio sarebbe di 7,8 euro mensili lordi a testa. Tolte le tasse, meno di 5 euro netti in busta paga, senza la tredicesima. Ma l'esiguità della somma non è l'unico ostacolo sulla strada dei rinnovi contrattuali. Prima di dare inizio ai negoziati, infatti, il governo intende porre la condizione di ridurre il numero dei comparti della pubblica amministrazione dagli attuali 12 a soli 4 comparti. E ciò potrebbe rallentare ancora di più i tempi dei rinnovi.

La modifica dei comparti porta con sé anche profondi mutamenti nel quadro della rappresentatività sindacale. E dunque, a pochi mesi dalle elezioni delle Rsu, alcuni sindacati che hanno conquistato il fatidico 5%, valido per accedere alla contrattazione, potrebbero venire nuovamente esclusi dai tavoli negoziali. In pratica il rischio è che si cambino le regole al termine della partita, ridisegnando le regole sui punti all'ultimo momento. E i nodi sono subito venuti al pettine. Le organizzazioni sindacali si sarebbero incontrate con i rappresentanti dell'Aran già due volte.

Ma le trattative non avrebbero avuto luogo, la prima volta per un difetto di notifica della convocazione ad un'organizzazione. E la seconda volta a causa di un contenzioso interno ad un'organizzazione sindacale, peraltro, non della scuola, che avrebbe determinato incertezze sull'individuazione del legale rappresentante

 
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LEGGE STABILITA'

Post n°4139 pubblicato il 10 Novembre 2015 da fabiana.giallosole
 

 

Da “Corriere della sera”


  Legge Stabilità, gli studenti: «Tagli per 220 milioni di euro»


Studenti e sindacati contro la Finanziaria: sotto accusa la riduzione dei fondi universitari e l’aumento irrisorio per contratti docenti e Ata: 8 euro lordi al mese. Emendamenti pd in favore del diritto allo studio e del personale amministrativo

Valentina Santarpia

La premessa è d’obbligo: niente è ancora definitivo, visto che le opinioni sulla legge di stabilità da parte dell’Europa sono attese per il 16 novembre, quando la legge di Stabilità arriverà in Aula, e dato che sono stati presentati 3536 emendamenti da parte di maggioranza e opposizioni, senza contare le proposte di modifica in arrivo da parte del governo. Ma per ora a fare i conti in tasca al Miur ci pensano sindacati e associazioni di studenti, e il grido d’allarme è unanime: «Troppi tagli per l’istruzione».

Studenti sul lastrico

A fare i conti in tasca al settore è l’associazione Link coordinamento universitario, che nota che «l’ennesima accetta del governo prevede venti milioni annuali in meno sul Fondo di finanziamento ordinario, per un periodo di tre anni, e 14 milioni in meno sul Fondo Enti di ricerca». A questi si aggiungono i tagli sulle voci di spesa del Miur, che secondo le stime ammontano a 220 milioni solo per il 2016. «La legge di Stabilità ha costituito l’ennesima occasione persa per questo Governo - sottolinea Alberto Campailla, portavoce di Link - dopo gli annunci ripetuti sulla necessità di dare nuova linfa al nostro sistema universitario, non solo non si investono risorse, ma anzi si rafforza e persegue in prospettiva per i prossimi anni la politica dei tagli. Una contraddizione che mette a nudo la continuità del Governo Renzi con i precedenti e che dimostra come il Ministero faccia finta di non vedere la situazione drammatica che gli studenti continuano a denunciare».

Le proteste

I fondi per gli studi universitari sono sicuramente la spina nel fianco delle risorse per l’istruzione: e lo dimostrano le proteste della scorsa settimana di Udu e Rete studenti, che hanno messo in campo un flash mob per il diritto allo studio: «Mediamente, una famiglia spende 1525 euro per sostenere i costi di un figlio iscritto a una scuola superiore. Gli universitari italiani pagano tra le tasse più alte in europa e il diritto allo studio coinvolge solo l’8% degli studenti, una quota irrisoria. Gli studenti si trovano di fronte ad un sistema che fa di tutto per tenerli fuori dalle università, e il calo delle iscrizioni (-4% nell’ultimo anno) ne è la dimostrazione» , sostengono. E altre proteste sono in arrivo: quello del 13 novembre, convocato dai Cobas, non è solo uno sciopero contro la legge 107, ma è soprattutto una manifestazione «per esprimere l’indignazione dei docenti e Ata per la grottesca proposta di contratto (inserita nella Legge di (in)stabilità, con un aumento medio di 8 euro lorde al mese) e per esigere un consistente recupero salariale», come sottolinea Piero Bernocchi, leader dei Cobas. Gli altri sindacati per ora non aderiscono allo sciopero, ma non tacciono: «Il governo non intende rinnovare i contratti pubblici, ai quali destina una cifra risibile, ed è intenzionato quindi solo ad aprire la trattativa per introdurre le vessatorie norme della cosiddetta legge Brunetta», nota la Flc Cgil.

Gli emendamenti in casa Pd

Tutte emergenze - sia quella delle borse di studio universitarie sempre più contingentate, sia quella del personale amministrativo e ausiliario - che i componenti dem della Commissione Cultura hanno ben chiare. Per questo hanno presentato una serie di emendamenti in cui, come spiega la senatrice Francesca Puglisi, «si chiede all’esecutivo un ulteriore passo in avanti per garantire il diritto allo studio per gli studenti meritevoli e privi di mezzi. C’ è anche l’ esigenza di porre fine al blocco del turn over dell’università e degli enti pubblici di ricerca». «Richieste di modifica riguardano inoltre - aggiunge Puglisi - il settore dell’infanzia (per l’attuazione della delega contenuta nella legge 107) e il personale ATA».

Le contraddizioni

Ed è proprio la Cgil a fare le pulci agli articoli della Finanziaria che mettono a rischio la vita delle istituzioni scolastiche: dalla riduzione dei fondi per i collaboratori a al taglio di 30 milioni di fondi per l’edilizia universitaria non spesi, dalle risorse dei progetti dell’Indire non realizzati (un milione di euro che al posto di tornare all’Indire per realizzare altri progetti verrà stornato all’erario) alla riduzione di 2 milioni per le istituzioni scolastiche all’estero. Fino alle somme assegnate alle istituzioni scolastiche per le supplenze, i 60 milioni che, secondo la Finanziaria in questa prima versione, dovranno essere acquisite dall’erario perché a fare da supplenti saranno i professori dell’organico funzionale. Che però non sono ancora stati assunti.

 

 
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SCIOPERO

Post n°4138 pubblicato il 10 Novembre 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “La Tecnica della Scuola”


Sciopero del 13 novembre: perchè considero importante aderire


Marco Barone

 

Il 13 novembre arriva il primo importante sciopero contro la cattiva scuola renziana dalla sua approvazione ed entrata in vigore. 

Sono passati pochi mesi dallo sciopero del 5 maggio del 2015. Uno sciopero storico per la sua portata, per l'adesione di quasi l'80% del personale scolastico. Poi, viene approvata, nonostante il tutto, le proteste, le contrarietà, la Legge 107 del 2015.

Una legge sulla scuola scritta contro il mondo della scuola. E come dimenticare le lacrime di chi ha pianto, e non per gioia, quando questa è stata approvata?  Arriva l'estate, si parla e si discute molto di scuola, ma qualche segnale di cedimento lo si respira. Doveva essere un primo settembre infuocato nelle scuole.

Dovevano partire assemblee nel primo giorno di scuola in tutta Italia. Si doveva proporre un referendum. Certo, vi è stato chi ha cercato di strumentalizzare la lotta della scuola per i propri fini elettorali. Ma è stato punito. Perchè la lotta per la difesa della scuola pubblica è una cosa seria e non uno spot elettorale. Il referendum è una cosa delicata, una carta molto importante che se giocata male verrà semplicemente bruciata e nel dubbio si è deciso di allentare il tutto. Ma è anche vero che più di qualcuno ha tirato i remi in barca.

Dall'altro lato, in questo anno ponte, non si vedranno subito le cose peggiori della Legge 107. Il grosso è rinviato al prossimo anno scolastico. Arrivano, invece, le prime caotiche assunzioni, con l'attesa del piano di mobilità, con il dilemma del partirò o non partirò, arrivano a ridosso dell'autunno i 500 euro per la formazione e così via dicendo.

Insomma l'anno delle carote. Quello del bastone è rinviato al 2016. Ed il 13 novembre arriva il primo importante sciopero contro la cattiva scuola renziana dalla sua approvazione ed entrata in vigore. Proclamato dai Cobas, dall'Anief ed altre realtà. Uno sciopero che vuole dimostrare una cosa molto banale e semplice. Questa estate non ha mandato in vacanza la lotta, i docenti non si sono fatti comprare da bonus e similari e non sono neanche rassegnati.

Saranno lontane, per ovvi motivi, per una mancanza di unitarietà, nonostante diversi appelli in tal senso, le cifre epocali del 5 maggio. Ma lo sciopero si farà. Ed andrà fatto, perché nulla è mutato dal cinque maggio ad oggi, cattiva scuola decisionista, autoritaria, delle competenze, della competizione, era prima, ed oggi continua ad esserlo. E soprattutto non si può accettare il modo con il quale questa Legge è stata approvata e scritta.

Come già ricordato, una Legge scritta contro la quasi totalità della comunità scolastica è un grande schiaffo che è stato conferito a questo pilastro fondamentale per l'Italia costituzionale. Nessuno chiede di offrire l'altra guancia, ma neanche di far finta che nulla sia successo e che tutto è finito nel dimenticatoio. Dare segnali di non resa è fondamentale per arrivare a mettere in discussione questa Legge, che non ha riformato la scuola pubblica, ma edificato una nuova scuola azienda.

Dare segnali di protesta, che molti potrebbero reputare come inutili, perché se nulla ha mosso lo sciopero del 5 maggio, non si capisce cosa possa muovere questo, è la dimostrazione al Governo che vi è chi continua a dire, coerentemente, di no. E poi si deve andare anche oltre il concetto del mero utilitarismo. Il 5 maggio è stato un giorno meraviglioso per l'Italia. Perché si è data una immensa lezione di democrazia, il 5 maggio ha posto le basi per un senso pieno e diffuso di consapevolezza.

Tutti hanno capito il vero senso di questa riforma e la quasi totalità del mondo della scuola ha detto no. Ed i no, specialmente in un sistema decisionista, come quello italiano, creano grandi fastidi per non dire altro. Il 5 maggio si era ad un passo dal ritiro di questa Legge, stavano per cedere. Ma non hanno ceduto. Ma questo non significa che non vi sia nulla da fare. Le lotte e le azioni di contrasto non si possono esaurire in un solo giorno.

Serve continuità e solo la continuità potrà essere realmente incisiva. L'anno ponte è fondamentale per dare il pieno via a questa riforma, se passa indenne questo anno scolastico, sarà poi dura, durissima fermarla nell'avvenire. Chi ha detto no alla cattiva scuola il 5 maggio, a maggior ragione dovrà dirlo il 13 novembre è una prima tappa importante per la difesa della scuola pubblica, dopo l'approvazione della Legge 107.  

 
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Il Coordinamento provinciale dei Docenti Utilizzati di Sassari (COPDUS), si è costituito ufficialmente nel mese di settembre 2011, in seguito alla necessità di fronteggiare il nefasto articolo 19 della Legge 111 del 15 luglio 2011 col quale si dispone la messa in mobilità intercompartimentale dei docenti inidonei o il declassamento a personale ATA con conseguente riduzione stipendiale.

Esserci costituiti in gruppo è stato per tutti noi fondamentale in quanto ci ha dato da subito la forza e la determinazione, entrambe importanti, per intraprendere tutte quelle azioni di lotta civile allo scopo di trovare soluzioni al problema che ci ha visti coinvolti, assieme ad altri quasi 4000, a livello nazionale.

Ritrovarci con cadenza settimanale ci fa sentire, non solo più uniti e aggiornati sull'evolversi della nostra situazione, ma soprattutto più sicuri e positivi nell'affrontarla.

Per questo motivo, e non solo, abbiamo col tempo sentito il bisogno di creare questo BLOG ossia uno spazio per informarci ed informare anche coloro che trovandosi nella nostra situazione pur non facenti parte del coordinamento di Sassari, avranno piacere di visitarci e saranno i benvenuti.

Al tempo stesso vogliamo che questo sia uno spazio oltre che di informazione anche di incoraggiamento al "ce la faremo" e al "non smettere" e quindi non vuole avere e non avrà aspetti e contenuti sterili o "istituzionalizzati".


e-mail: copdus@gmail.com oppure fabianagiallosole@libero.it

 

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