Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 12

Post n°12 pubblicato il 21 Febbraio 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

SOILWORK: THE CHAINHEART MACHINE (1999)

Un afoso pomeriggio di alcuni agosti fa erravo con il corpo e con il pensiero, avevo i miei buoni motivi… e così mi spinsi vagabondando a destra e a manca per le strade desolate della mia città, in vacanza, imbattendomi in un negozietto davvero niente male, oggi purtroppo ha chiuso (se ne vanno sempre i migliori), che naturalmente vendeva dischi. In preda al più completo abbandono mi spinsi tra gli scaffali finché la luce imperitura schiarì la mia mente e rimasi paralizzo a un tal suono o meglio frastuono. Da una delle casse del locale sentii l’attacco di The Chainheart Machine. Non trovo le parole. Avevo sentito gli At The Gates e anche gli Arch Enemy ma questi li distanziavano chilometri e chilometri. Peccato che il livello qui raggiunto si appiattirà con gli album seguenti. Comunque, mi scagliai al bancone per delle spiegazioni e per farmi consegnare immediatamente il disco. Gli svedesi Soilwork, gruppo death, magistralmente prodotti da Fredrik Nordström (ve lo ricordate?), entrarono nelle mie più assolute grazie per poi uscirvi con i recenti insuccessi. Premetto una sola cosa: se per tutte le altre recensioni ho descritto riff e contro riff, qui, non ne parlerò affatto perché ogni singola canzone, credetemi, ne ha uno più che degno di nota. Ma si tratta di riffs chirurgici, eseguti con una perizia notevolissima e una velocità disarmante. The Chainheart Machine in apertura è un concentrato di potenza, con una batteria che pesta dal principio alla fine (sì dell’album però). Bjorn Strid, il cantante (anche dei Terror 2000, altri cani sciolti), è superlativo, il ritornello è melodico ma impatta in maniera dirompente. Si passa poi ad un'altra mazzata: Bulletbeast, sempre più veloce e sempre più selvaggia, con quella punta malinconica nel riff. Oops! Millionflame è il capolavoro del disco perché ha un intro a doppia chitarra di chiara provenienza metal classic, una vera e propria cavalcata, e poi per la durata di tutta la canzone non fa che appesantirsi pur essendo sempre molto orecchiabile, per non parlare dell’utilizzo delle tastiere che sono lo stesso riscontrabili. Traccia n°4: Generation Speedkill pur essendo abbastanza diretta è leggermente più melodica rispetto alle altre. Boom! L’attacco di Neon Rebels è grezzo ma deciso per poi sfociare nei soliti virtuosismi e in un testo che per come è cantato mi ricorda molto i loro ben noti connazionali, gli In Flames. Possesing The Angels non ti lascia prender fiato, menzione speciale per Bjorn Strid e i suoi versi aggressivi. La settima traccia, Spirits Of The Future Sun, inizia in maniera lenta con due chitarre ben armonizzate per poi accelerare mai troppo rapidamente in concomitanza di una doppia cassa assordante. Machine Gun Majesty è invece il pezzo che si differenzia un po’ dal resto del disco a causa di una fase più sperimentale che non propria dei violenti Soilwork. Le chitarre si sovrappongono tra di loro con maestria creando un suono “nuovo”. Tuttavia, è un brano immancabile nei miei ascolti. L’ultima composizione di quest’album è Room No. 99: strofa in classico loro stile, tirata e cattiva, pre-chorus atmosferico e ritornello malinconico. Un interludio, con un assolo melodico e  triste, molto ben fatto, aggiunge quel tocco in più ad una canzone interessante già di per sé. Era la seconda prova per gli svedesi dopo l’ottimo esordio di Steel Bath Suicide (1998), in ogni caso, come ho detto in precedenza, The Chainheart Machine è il meglio che si poteva tirar fuori dai Soilwork che con A Predator’s Portait (2001), Natural Born Choas (2002), Figure Number Five (2003) hanno osato un po’ troppo con le sperimentazioni, lasciando troppo da parte i loro canoni propriamente death. Questioni stilistiche a parte, The chainheart machine ti lascia al tappeto!

 
 
 
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