Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 21 Febbraio 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

IN FLAMES: REROUTE TO REMAIN (2002)

A settembre 2002, con il quinto anno alle porte e di ritorno da una calda estate, ero impaziente di mettere le mani su questo album. La mia opinione. Gli In Flames hanno creato il disco definitivo, quello che riesce a spazzare via in un sol colpo i fantasmi dei dischi fotocopia, i fantasmi di The Jester Race (1995) e i fantasmi della rotta super-commerciale perché Reroute To Remain è un conglomerato di violenza, pesantezza, velocità, melodia, e atmosfera. La svolta. Probabilmente un nuovo punto di partenza per i piccoli gruppi che si andranno a formare in questi anni. Le altre voci. Pietra dello scandalo? Grande tradimento? Reroute To Remain, sesto studio-album degli In Flames, segna però un deciso cambiamento nelle coordinate musicali della proposta del quintetto. Apertamente influenzati ed affascinati dalle sonorità moderne e contaminate dei gruppi d’oltreoceano che, proprio nei primissimi anni di inizio millennio, cavalcavano l’onda del successo, dovuto anche ad un grande tam-tam radiofonico e televisivo, i nostri svedesi partoriscono un disco “diverso” dal solito. Addio swedish death, addio a quei curiosi, imprevedibili e al tempo stesso fantastici inserti folk, addio a quei riff dal sapore heavy metal ma comunque estremamente aggressivi. Oggi gli In Flames hanno pazientemente ascoltato la lezione dei cuginetti più piccoli, i Soilwork, e hanno deciso che il Goteborg sound deve cambiare. Fortuna mia che l’aspetto grafico ritorna efficace, affidato all’estro nascente e visionario di Niklas Sundin, autore di un artwork introspettivo e particolare. Non è potevo più di quei scarabocchi. Il disco alterna melodie a velocità supersoniche, pesantezza a claustrofobia, sintetizzatori freddi a tempi industrial, sempre con vocals filtrate ad incrementare l’atipicità dei pezzi. Reroute To Remain è l’altra dimensione sonora, quella che effettivamente non ti aspetti e così troviamo all’interno del disco una varietà di brani. Insalata mista. L'album parte con la title - track e subito si capisce lo stile che il gruppo di Goteborg ha voluto adottare: si riparte da dove ci avevano lasciati con Clayman (2000) e quindi sperimentazioni sulle atmosfere, sui suoni e sull' uso della voce, con un ritornello orecchiabilissimo. System è sorretta da un drumming violentissimo, opera di Daniel Svensson,  ma non disdegna nel bridge e nel refrain l'inserimento di parti gothic, a cui la band sembra essere particolarmente affezionata ultimamente. Scheggia impazzita.

Drifter e Trigger mi hanno fatto venire la pelle d'oca. Veloci e melodiche, decise e fredde. Qualcosa di soprannaturale.

La quinta traccia è Cloud Connected è, invece, supportata da un riff terribilmente accattivante che la rende uno dei pezzi più riusciti della nuova era.

Transparent è, piuttosto, molto vicina al nu-metal (ebbene sì) aggressivo d'ultima generazione. Dawn Of A New Day è una canzone acustica, nella quale Anders Frieden sfoggia una delle sue performances più profonde. Ottava traccia. Egonomic parte sparata, una song thrash/death come nella migliore tradizione svedese con dei breaks pesanti e cadenzati. Grandiosa veramente. Poi tocca a Minus e Dismiss The Cynic che proseguono sulla stessa lunghezza d'onda, con sporadici momenti lenti ed introspettivi, chitarre acustiche e riff tutto sommato godibili. Piuttosto, Free Fall inizia con un carillon la cui melodia viene subito ripresa dalle chitarre, una song mid - tempo, quasi prog metal con una tastiera di fondo che ripete il motivo. Dark Signs è altresì caratterizzata da tutti quegli elementi sonori che rappresentano il marchio di fabbrica della band. Si arriva a Metaphor, un capolavoro di musica acustica con intermezzi di violino quasi country ed Anders Friden che nel suo cantare si collega perfettamente con le atmosfere malinconiche messe a punto da Bijorn Gelotte e Jesper Stormblad con le chitarre. L'album si chiude degnamente con Black & White, una canzone non troppo veloce ma che ispira rabbia dalle prime note, sfociando nuovamente in un ritornello che, almeno a livello vocale, molto nu-metal. Naturalmente si può obiettare che queste sono finezze sterili e che ciò che conta è la musica nuda e cruda che gli In Flames propongono. Le 14 canzoni dell’album sono valide e ben costruite sia dal punto di vista sonoro che melodico. Fine o Inizio?

 
 
 
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