Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 25

Post n°25 pubblicato il 12 Marzo 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

BLIND GUARDIAN: SOMEWHERE FAR BEYOND (1992)

Una teoria dell’evoluzione culturale non è possibile, né tanto meno pensabile. Fu l’antropologo tedesco, fondatore della scuola dell’antropologia culturale americana, nonché ricercatore sul campo attratto dalle popolazioni indiane, Franz Boas, a contraddire l’evoluzionista britannico Edward Burnett Tylor, l’ideatore della precedente teoria perché questa non era propriamente applicabile ai fenomeni culturali, ad esempio, alla lingua. Ne esistono tantissime, bizzarre per noi occidentali, che, in maniera erronea le riteniamo semplici, quando, invece, hanno una complessità di fondo notevolissima. Dunque, non vi era assolutamente un passaggio dal semplice al complesso. Ho scomodato i miei recenti studi di antropologia, dopo aver sostenuto brillantemente l’esame in settimana, per confutare che i bardi teutonici Blind Guardian, invece, hanno compiuto con il disco in questione una vera e propria evoluzione rispetto al passato degli 80’s. Un netto passaggio dal semplice verso un futuro molto complesso, ovviamente, in termini musicali. Questo album, il quarto della band, oltre ad essere uno dei migliori è, infatti, l'anello di congiunzione tra il classico power tedesco dei primi album, che qui ancora prevale, e le sonorità molto più articolate che verranno portate avanti negli album seguenti. Inutile dilungarsi più di tanto in considerazioni varie, meglio passar subito al sodo dato che c’è tanto da dire su Somewhere Far Beyond. Malinconiche note di chitarra acustica aprono le danze: Time What Is Time. L’opener in pieno stile Blind Guardian, dopo l’arpeggio, esplode elettricamente con un riff violento e la sua struttura, veloce e dirompente, si caratterizza per l’alternanza di brevi parti pacate a potenti accelerazioni, sorrette da una macchina da guerra, la doppia cassa di un fenomenale Thomas Stauch, uno dei migliori batteristi dell’arena metal. Le parti di chitarre risultano, comunque, azzeccate anche quelle, così come il coro che lascia senza fiato. Da segnalare il testo della canzone che è ispirato a Blade Runner, il film di Ridley Scott, tratto da "Do Androids Sleep Of Electric Sheeps?", romanzo di Philip K. Dick: il protagonista è un automa che non è in grado di decidere il proprio futuro e grida invano al mondo intero la sua disperazione per essere ritenuto una macchina nonostante egli condivida i sentimenti propri degli esseri umani. La musica si mantiene su standard elevati anche con la veloce Journey Through The Dark, praticamente, un altro classico, le cui devastanti e cupe sonorità introducono dapprima l’ascoltatore in un mondo oscuro, irto di insidie, poi sfociano in un ritornello che incide in maniera apocalittica, mitigata dalla successiva Black Chamber. Un breve intermezzo di circa un minuto, composto solo da voce e pianoforte, che funge quasi da intro per l’elegante e meno frenetica, rispetto alle prime tracce, Theatre Of Pain. Pezzo melodico condito da ottimi arrangiamenti orchestrali e interventi solisti di chitarra e l’impeccabile cantato di Hansi Kursch. Proseguendo nell’ascolto, ulteriore gemma del disco è l’epica The Quest For Tanelord: aperta da un’inquietante melodia acustica che va di pari passo con la voce, divenendo presto un pezzo molto aggressivo e veloce che raggiunge il suo apice nel maestoso chorus e nell'assolo centrale suonato dall’onnipresente Kai Hansen, ex Helloween. Una canzone davvero ben riuscita; la sua straordinaria resa è racchiusa anche nell’atmosfera, ispirata al ciclo di Elric di Melnibone di Michael Moorcock, a cui si sono poi ispirati anche i nostrani Domine. E non sarà l’unico libro fantasy visionato in Somewhere far beyond. Si ritorna allo speed con la diretta e pomposa Ashes To Ashes, una canzone che fa la differenza perché le sue melodie sono particolari e complicate, i cori maestosi, invece, si avvicinano pericolosamente a ciò che oggi i Blind Guardian propongono. Foriera di un futuro ancora da dipingere del tutto. Prestando attenzione alla stupenda copertina, dove un cerchio di persone raccolte attorno a un fuoco ascolta l’ultima canzone di un menestrello o bardo, per dir si voglia, è facilmente intuibile il senso della magica The Bard’s Song – In The Forest. Un capolavoro del genere, solitamente, non dovrebbe aver bisogno di presentazioni, dato che si tratta di uno degli inni immortali dei Blind Guardian, eseguito costantemente a tutti i concerti e cantata a squarciagola dal pubblico che dà vita ad un’atmosfera incredibile. Ha fatto contemporaneamente storia e scuola per l’epicità proposta. Pezzo interamente acustico costruito attorno ad un giro di chitarra semplice ma efficace, parimenti al cantato folk di Hansi Kursch.

Sfido chiunque a non cantare il ritornello dopo averla ascoltata un paio di volte! Uno sviluppo decisamente diverso, molto più dinamico e potente, appartiene alla seguente The Bard’s Song – The Hobbit, uno dei migliori episodi più belli del disco che non resta inosservato per la sua magnificenza grazie al suo incidere lento e un coro supremo che lo sorregge. I Blind Guardian ribadiscono, ancora una volta, amore eterno a J.J.R. Tolkien e al suo romanzo Lo Hobbit, l’antefatto del Signore degli Anelli, ben prima che fosse scoperto dai media e proiettato nelle sale del mondo intero negli ultimi anni. Si racconta delle avventure di Bilbo Baggins e di tredici nani, dall’attraversamento del Bosco Atro, alla fortuita conquista dell’anello a spese della creatura Gollum, al suo lungo viaggio verso la caverna del drago Smaug, fino alla ricerca del tesoro, sfociata in una folle guerra per il suo oro che rese Thorin Scudodiquercia re sotto la montagna. Gli omaggi alle immortali opere tolkeniane non si fermeranno qui, dato che saranno ancora maggiori con l’album Nightfall In The Middle Earth (1998), di cui più in là proporrò un’accurata recensione, interamente dedicato al Silmarillon, l’opera prima del geniale scrittore sudafricano. Un breve e curioso intermezzo di cornamuse, The Piper’s Calling, dimostra la polivalenza musicale dei Blind Guardian e che lascia presto spazio alla lunga overture della title-track, Somewhere Far Beyond appunto, uno splendido pezzo che non è altro che il catalogo di quanto stratosferico è stato proposto in questo disco: violenti sfuriate speed, alternate a continue parti epiche e corali. Terre lontane e atmosfere intrise di mistero si dissolvono solo dopo circa otto minuti di tempi tirati, più che degna conclusione di un lavoro che non ha, a mio avviso, punti deboli e che stupisce favorevolmente l’ascoltatore sin dal suo primo ascolto. Ben tre su questo album le bonus track: la cover di Spred Your Wings, dei Queen, abbastanza carina, la cover di Trial By Fire dei Satan, discreta, forse non a livello dell'originale ed una versione interamente orchestrale di Theatre Of Pain [Classic Version] posta in chiusura, e ripresa in The Forgotten Tales (1996). Al seguito del precedente Tales From The Twilight World (1990) era difficile ripetersi. I Blind Guardian invecchiando migliorano come il vino. L'album li consacra definitivamente. La produzione è migliorata al pari della capacità compositiva della band, che rilascia pezzi decisamente più tecnici e difficili dal punto di vista puramente musicale, ma, al contempo, maturi e ragionati. Somewhere far beyond rimane una pietra miliare da riscoprire obbligatoriamente. Scrigno di emozioni.

 
 
 
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