Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 28

Post n°28 pubblicato il 19 Marzo 2005 da Nekrophiliac
 
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METALLICA: MASTER OF PUPPETS (1986)

Non c’è due senza tre. A seguito delle recensioni dei suoi due “successori”, ben meno degni di tale padre, è giunto il tempo delle grandi recensioni: quelle chilometriche; ma è giusto che sia così. Un ricordo che (spero) sia caro a molti. L’album in esame merita scroscianti applausi e preannuncio che nei prossimi giorni, in concomitanza con le vacanze pasquali avrò modo di realizzare un tributo speciale per uno dei miei gruppi preferiti. In ogni caso, tanto per cominciare, alziamoci in piedi tutti di fronte all’onnipotenza di questo intramontabile ed irraggiungibile capolavoro. Siete seduti ora? Se sì, possiamo cominciare. Correva l’anno (di grazia) 1986, e la scena metal si apprestava a vivere la sua “età dell’oro”, in particolare era il genere thrash, qualcosa di molto diretto, duro, rozzo e veloce ad infiammare i cuori, date le emozioni estreme che era (ed è) in grado di trasmettere. Cos’è esattamente il thrash? Signori, ci troviamo di fronte ad un ibrido, nato dall’unione di due generi, l’heavy metal britannico e il punk più aggressivo della scena a cavallo tra la fine degli anni settanta e le prime luci degli ottanta e il risultato di tale esplosiva combinazione è un suono decisamente “avanti”, evoluto, non solo dal punto di vista prettamente sonoro, ma anche per le tematiche trattate: la morte, l’angoscia, l’esistenzialismo, la critica alla società e in particolare il satanismo, sono argomenti ben più seri rispetto al celebre motto “sex, drugs and rock and roll”. L’apice lo si raggiunse in particolare grazie alla famosa Bay Area di San Francisco e a tanti gruppi teutonici come i violenti Kreator, tanto per citarne uno. È la stagione dei grandi capolavori, perché Master Of Puppets si contende, inequivocabilmente, il trono con altri dischi thrash d’annata: Among The Living (1986) degli Anthrax, e Peace Sells… But Who’s Buying? (1986) dei Megadeth, e scusatemi tanto, l’immancabile Reign In Blood (1986) degli Slayer. I Metallica, tra i fondatori del genere thrash, sono stati tra i primi a manifestarne l’attitudine sonora già a partire dal primo vagito della band: il “peso piuma” Kill ‘Em All (1983); mentre il seguente Ride The Lightning (1984) era caratterizzato per il netto passaggio a tempi veloci e naturalmente più potenti. Un diamante grezzo, che non trascurava le melodie di fondo, affinando i riffs, comunque eccellenti. Master Of Puppets è molto di più. Il disco, grazie alle doti compositive dei singoli, nonché un impareggiabile perizia tecnica, riesce a dar vita ad un infuocato affresco sonoro, naturale evoluzione dello stile espresso nei primi due album. Consta, inoltre, di una produzione lievemente migliorata rispetto al suddetto Ride The Lightning, ed imperniata su di un'accordatura leggermente più alta delle chitarre, forte anche di nuove tecniche di registrazione che permettevano una eccellente resa sonora in studio. I ritmi aumentano, e la qualità delle canzoni va alle stelle. I quattro strumenti sono ben definiti e si sentono tutti abbastanza bene, con Cliff Burton che davvero fa la differenza al basso, ultime note prima di un maledetto incidente dell’ottobre di quello stesso magico anno, James Hetfield che detta il ritmo alla grande con chitarra e voce, la quale risulta sempre chiara e tonica, un Kirk Hammett che regala assoli indimenticabili e, at last but not least, Lars Ulrich che picchia le pelli ad ottimo livello. Il disco riscosse un successo mondiale, arrivando a vendere un milione di copie nei soli Stati Uniti e regalando ai Metallica il loro primo disco di platino ed addirittura restò ben 72 settimane proprio nelle charts statunitensi, impresa ardua, anche oggi, per un gruppo metal. Master Of Puppets domina per la qualità, lo ripeto ancora una volta, i soli otto pezzi che lo compongono sono a dir poco inavvicinabili. Già l’aggressiva Battery, opener del terzo lavoro del quartetto americano è di quelli memorabili: un breve ma tenebroso arpeggio di chitarra acustica precede la devastante deflagrazione di un brutale brano speed. Questo è solo l'inizio... che ci avvia ad un assolo di chitarra fulminante, spiegandoci a che velocità va la prima traccia. Devastante, frenetica e assassina: non concede tregua all'ascoltatore neanche per un attimo.. Lars Ulrich è in forma smagliante, in perfetta sincronia con Cliff Burton, mentre la voce di James Hetfield è possente e dinamica. I passaggi sono indelebili, tanto le strofe che l’assolo, insomma, basta ascoltarla una volta sola che subito dopo viene voglia di riascoltarla. Passiamo alla seconda epocale traccia. È quasi stupido chiamarla "title-track". La si può definire capolavoro a sé stante. Otto minuti che hanno fatto la storia del metal. Una composizione artistica mai presente in nessun album. Un gioiello crudele veritiero, melodioso, ed emozionante. Inno assoluto del metal, Master Of Puppets presenta il cantato sorretto da un mid-tempo incalzante, con un refrain sensazionale e divenuto storico, e impreziosita da uno stupendo break centrale grazie all’espressivo e magnifico assolo di un Kirk Hammett, mai tanto ispirato come qui, che sfocia in altrettanti complessi ed originali riffs. Nota lirica: la canzone sembra a tratti parlare sia del rapporto che intercorre tra spacciatore e tossicodipendente sia del mondo popolato da divinità occulte dello scrittore americano, Howard Philip Lovecraft, famoso per i racconti del ciclo di Cthulhu. Questo lungo brano, oltre otto minuti di durata, proietta l'ascoltare in un mondo parallelo in cui la speranza sembra non esistere. Avviso a tutti i “new comers”: se volete conoscere i Metallica è qui il punto di partenza. L’horrifica, The Thing That Should Not Be, cioè la cosa che non dovrebbe essere, proietta l’ombra lovercraftiana ancora una volta e nonostante ripeta sempre lo stesso oscuro riff, un po’ un’anomalia per i Metallica, è la sorpresa del disco. La velocità è inferiore rispetto ai due precedenti brani, la terza cadenzata traccia si presenta, dunque, chiusa e indiretta, perciò richiede più ascolti per essere apprezzata. Senza dubbio, il pezzo più singolare e cupo dell'intero album. The Thing That Should Not Be, nel complesso, non è altro che un potentissimo “slow” alla Metallica che introduce all’unica concessione “tranquilla” del disco: Welcome Home (Sanitarium). La velocità si è azzerata, ma il fascino dei brani aumenta. La quarta traccia è una ballad che soffusamente parte triste e sinfonica per poi incedere nel suo prosieguo in una ferocia moderato. Grande è stato il lavoro sulle dinamiche, così come sui cambi d’atmosfera che aprono le porte di oscuri pensieri dell’ospite di un manicomio che sogna di fuggire da un mondo soffocato dalla violenza e dai troppi soprusi. Nell’irresistibile finale si registra una lieve accelerazione che si andrà a dispiegare con Disposable Heroes. Una canzone epica dove l’assurdità della guerra è denunciata senza mezze misure. Grido di protesta. Imponente, però, imponente ed assurda come la cattiveria di un generale che ordina il sacrificio dei codardi, poco utili durante una guerra, imponente e veloce, caratterizzata da innumerevoli cambi di tempo che trasportano l’ascoltatore al centro del campo di battaglia, assediato da caos e violenza, dove giacciono i tanti cadaveri dei soldati al pari delle loro pallottole. James Hetfield canta questa canzone, troppo spesso sottovalutata, con la giusta dose di cattiveria e Kirk Hammet regala ancora un pregevole assolo. La sesta traccia, invece, avanza potente e affilata, grazie al suo riffing granitico ed al suo testo intricato e provocatorio. Leper Messiah è un pezzo tecnicamente interessante, in cui il gruppo dà prova di grande versatilità e fantasia, ma non è altro che una sarcastica sfuriata contro la tradizione, tutta americana, dei predicatori, dei loro spettacoli domenicali e delle offerte generose che riescono ad estorcere ai propri fedeli. Siamo quasi al rush finale. Apoteosi della tecnica, inizia lenta e chiude di prepotenza: è Orion, tecnicamente ed emotivamente una delle più belle canzoni mai fatte. Strumentale e commovente. Mostro bifronte nato dal quattro corde di Cliff Burton, impossibile da non apprezzare, eseguita in modo perfetto e cruento, conduce all’immenso oblio universale, fino ad arrivare a quella costellazione tanto cara, quanto importante per il bassista dei Metallica. Il tema musicale/ritmico della canzone non è lineare, diciamo che lo si può scomporre in tre parti ben distinte: la prima più aggressiva, con basso pompato al massimo, la seconda più melodica e con predominanza della chitarra di Kirk Hammett che fa davvero un lavoro egregio, e la terza che è quasi un ritorno alla prima ma dove ancora Kirk Hammett la fa un pò da padrone con un delizioso assolo veloce. Questa canzone è stata tra l'altro molto poco riproposta nei tour nonostante la sua bellezza, credo proprio come tributo verso Cliff Burton, visto che è la sua canzone, e ingrandendo il suo ormai mito musicale che è uguale a quello di poche altri singoli. Canto del cigno. Il disco si chiude degnamente con la rabbiosa Damage Inc., un autentico trionfo thrash, l'ultimo serrato assalto, il colpo di grazia e un altro grande classico, se possibile ancora più violento rispetto alla traccia d'apertura. Demolizione completa di qualsiasi barriera sonora, lasciandoci senza fiato dopo cinque minuti e otto secondi di follia pura. Così siamo arrivati al termine di un tragitto sonoro, costellato da una pioggia di emozioni abbastanza contrastanti fra loro: euforia e felicità, rimpianto e tristezza. Master Of Puppets, tuttavia, è semplicemente fondamentale, perché, nonostante tutto ciò che è successo dopo, che è stato detto e fatto in maniera abbastanza contraddittoria dai “Four Horsemen”, asserviti alla major Universal, la loro casa discografica, è quello che può essere considerato un vero e proprio “must”, e ogni altra parola spesa per descriverlo potrebbe essere alquanto superflua. Se non fosse uscito, l’intera arena metal, come lo conosciamo oggi, si sarebbe sciolta come neve al Sole.

 
 
 
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