Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 36

Post n°36 pubblicato il 30 Marzo 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

DARK TRANQUILLITY: PROJECTOR (1999)

Se nella scorsa recensione ho volutamente tralasciato il succoso profilo storico di un possente quintetto come i Rammstein, mi sento in dovere di presentare a voi, mio piccolo e fedele gruppo di bloggers, uno dei miei gruppi preferiti. Si comincia proprio da quello. Alla fine degli anni '90 il death metal ha iniziato una veloce evoluzione inglobando elementi di progressive metal ed un certo groove di derivazione metal anni 70. Gli svedesi Dark Tranquillity sono i capostipiti di questa nuova vena del metal nordico. La line-up della band è costituita dal leader Mikael Stanne, dai chitarristi Niklas Sundin e  Martin Hendriksson, dal bassista Michael Nicklasson, dal tastierista Brändström e dal batterista Anders Jivarp, dunque, un combo ricco di idee. Formatisi nel 1989, hanno debuttato con il primo album, intitolato Skydancer (1993), violento ma impressionante per la capacità della band di mescolare componenti melodiche ed aggressività. The Gallery (1995) è stato il secondo disco della band, un perfezionamento dello stile espresso sul debut, reso eccelso da una certa maturazione della band, dalla produzione, pressochè perfetta, e dall'innesto ai vocalizzi del virtuoso e versatile vocalist che ha portato notorietà e critiche positive e incoraggianti alla band. Il ’97 li vede autori dell'EP denominato Of Chaos And Eternal Night e di un album intitolato The Mind’s I in cui il loro sound diventa ancor più compatto e distruttivo, ma pur sempre incompleto, grossolano e ricco di pecche. Dopo di ciò, pareva che i Dark Tranquillity dovessero muoversi su coordinate stilistiche lievemente diverse, in modo da non rischiare di perdere in qualità ripetendosi, ed in maniera tale da riuscire a dar vita a qualcosa di nuova, risultando maggiormente ispirati sotto il punto di vista del songwriting. Nel ’99, esattamente il 10 agosto, la band abbandona l’etichetta Osmose che li aveva seguiti fino a quel punto per la Century Media con la quale pubblicano, con il mostro sacro Fredrik Nordström al mixer, l’oscuro Projector: una delle opere più sottovalutate ma più sorprendenti dei Dark Tranquillity, poiché presentano novità sonore coraggiose e intraprendenti, mutando lo stile degli album precedenti e mescolando il precedente death melodico ad elementi gothic ed elettronici che conferiscono risultanti eccezionali all’intero full-lenght. La genialità di un gruppo la si vede proprio in questi frangenti. Le introspettive canzoni, tutte di media lunghezza, sono dieci e in ciascuna di esse viene dato largo spazio alla malinconica melodia, rappresentata dagli arpeggi di chitarra non distorta, dai cori atmosferici e suadenti, dalle tastiere usate o di sottofondo o come strumenti portanti. Il disco gioca sulla contrapposizione tra i passaggi veloci e aggressivi che contraddistinguono la band a raffinati stacchi cadenzati e riflessivi: anche le voci subiscono un radicale cambiamento, affiancando il canto pulito, in passato sporadicamente accennato, o addirittura cori femminili al tenebroso growl possente e profondo di Mikael Stanne. Gli effetti creati dall’impiego dell’elettronica, come anche la grande varietà di aggressivi riffs validi all’interno di ogni traccia, rendono il disco emozionante, più ricco nei contenuti e piacevole all’ascolto. Il risultato è ottimo: Projector è subito destinato a stupire e a far discutere tutti. Il livello delle canzoni, infatti, è maestoso, imponente. La svolta.

Fatte le dovute premesse, passiamo ad analizzare il disco in ogni sua singola canzone. Un pianoforte triste introduce la prima e suggestiva FreeCard: la tristezza sembra dilagare. Non appena si dissolve l’intro melodico, i temi rabbiosi delle chitarre distorte prendono corpo, sui quali presto si aggiungono la precisa batteria, così come l'eccelso rauco growl alternato a cupe vocals pulite che si fa sentire in un pezzo aggressivo e veloce, contraddistinto in parte da massicce tastiere e in parti da archi, dotato di una carica melodrammatica molto buona. Decisamente un bel brano, trade-mark del suono unico e caratteristico della band di Göteborg. Un ottimo e abrasivo riffing iniziale di chitarra dischiude l’ espressiva e malinconica ThereIn, il mio brano preferito. Il brano si sviluppa in un contrasto continuo veloce-lento e con vocals pulite profonde e malinconiche, come anche il distinto ritornello clean, dove il cantato è accompagnato da suggestivi arpeggi continuati, con l’intento di lasciar trasparire un senso di sconforto e di disperazione. Splendida.

Ora è il turno di UnDo Control, un classico pezzo death, inframmezzato da angelici inserti vocali femminili, posti in un registro globale diverso che tende a sprigionare al massimo una melodia inquieta e pensosa, che si ritrova nella lenta ballata seguente, Auctioned, in cui il coro ininterrotto diventa generatore di vere emozioni, stagliandosi sul mesto pianoforte che è largamente sfruttato dal five-piece svedese solo in questo Projector. Non sarà il miglior brano dell'album, ma di sicuro è piacevole. Allo stesso modo di FreeCard, l’introduzione acustica di To A Bitter Halt si sfalda per l’intervento delle potenti e travolgenti chitarre, che dipingono nella parte centrale un buon assolo: è infatti il rincorrersi delle due chitarre il punto forte del gruppo, capace ormai di padroneggiare tecniche di composizione veramente avanzate. Un pezzo che mantiene il classico marchio dei Dark Tranquillity, rimandandoci un pò alle sonorità passate, stile quelle dei primi dischi. Breve nota a margine. Il 1999, tra l’altro, è anche l’anno di Colony, la quarta pubblicazione degli amici In Flames e, in molti elementi, quest'ultimo e Projector sono simili come impostazione, infatti, la sesta dinamica e potente traccia, The Sun Fired Blanks è la testimonianza delle innovazioni apportate nella loro musica da entrambe le formazioni: cantato completamente in growl, ritmo veloce, batteria ben strutturata e trascinante e riffs melodici e molto efficaci. Proprio come nella settima traccia, Nether Novas, notevole nei cambi di ritmo e nelle aperture sonore. Non è altro che una finta ballad che agli inizi sembra molto "elettronica", ma ben presto si trasforma in un diventa un brano lento, nonostante alcune accelerazioni ritmiche, e sofferto, in cui il cantato possente e alternato growl/pulito suscita emozioni uniche, e in cui le chitarre compiono un lavoro magistrale. Il brano sicuramente che rappresenta meglio i nuovi Dark Tranquillity. Tuttavia, c’'è spazio anche per un gradevole seppur triste intermezzo, Day To End, tributo ai mitici Depeche Mode, che si apre con dei giocosi suoni elettronici in supporto a un cantato marziale e suadente. Il pezzo forse più atipico e inusuale, difficile da assimilare, ma tutto sommato gradevole. Sicuramente meno tristi sono le sonorità di Dobermann, piuttosto, penultimo pezzo del disco, si erige un gradino sopra le altre per i magistrali riffs contenuti in esse, che a metà brano lasciano spazio ad una calma e tecnica interruzione, per poi terminare in modo grandioso. Il disco si spegne infine con la ruvida e drammatica On Your Time, che inizia con un'intensa sequenza di batteria, come una mandria di tori in corsa, a cui si aggiungono le due chitarre, che sfoderano riffs veloci e micidiali, e il consueto straziante growl; successivamente il brano si fa meno spedito, mescolando comunque una chitarra calma, una distorta e feroce e il canto pulito, per poi arrivare in un punto in cui le due chitarre tessono timidamente melodie e dopo il chorus, il battito aumenta d'intensità e le impetuose chitarre si fanno più spavalde, per poi far esplodere il tutto. Mai un calo di tono: ecco la conclusione. Il risultato dell'esperimento dei Dark Tranquillity è un album perfettamente riuscito, che dona emozioni che contrastano tra loro, mentre ci si perde nelle dolci linee vocali pulite e nell'aggressività delle chitarre e della batteria sempre puntuale. Convincente.

 
 
 
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