Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 55

Post n°55 pubblicato il 31 Maggio 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

CHILDREN OF BODOM: HATE CREW DEATHROLL (2003)

Grandissima attesa si era creata intorno al nuovo disco degli ormai affermati finlandesi Children Of Bodom, che hanno avuto il merito di aver creato qualcosa di veramente nuovo in una scena stantia senza andare a cercare chissà quali soluzioni futuristiche, ma semplicemente miscelando un power metal veloce e d'impatto con influenze provenienti dal classico swedish death metal a vocals in screaming. Raccolto tantissimo successo con i primi due album e criticati col precedente Follow The Reaper (2000) di aver eccessivamente ammorbidito il proprio sound ed essersi abbassati per quanto riguarda il livello qualitativo delle canzoni, Alexi Laiho e soci sono attesi al varco della quarta prova in studio, per capire se effettivamente ci sia stato un preoccupante calo di idee e un calo della miglior vena creativa, o se, invece, i cinque bambini finlandesi possano ancora riuscire a stupire col loro metallo fatto di assoli neoclassici, vocals cattive e ampie dosi di melodia. Parto subito col dire che è da scartare l'ipotesi del calo di idee: se c'è una cosa che si nota immediatamente in questo disco è proprio il cambiamento stilistico intrapreso dalla band, che dimostra la voglia di non volersi fissare su stereotipi ben precisi - scelta da lodare, anche considerato che ormai in Scandinavia ci sono troppe band che giocano a fare i loro cloni - e che un'eventuale scarsità di idee è ancora lungi dal colpire i cinque bambini finnici: sembrano non voler ricadere nei clichés del passato, che comunque gli hanno valso il successo che hanno avuto, ma danno una spallata al vecchio sound per tentare qualcosa di nuovo. Attenzione, non intendo dire che si siano messi a fare musica da discoteca, i Children Of Bodom sono sempre loro e si sente, però sono state inserite una serie di novità. La prima, ce ne rendiamo conto fin dalla prima traccia, è un appesantimento della loro musica. Il sound che prima era etichettato come una sorta di power-black metal, ora risente di influenze che definirei quasi speed visto che tutte le tracce sono in generale più veloci di quelle degli album precedenti. Le chitarre, inoltre, sono spesso più sporche e distorte del recente passato e questo insieme ad altri piccoli elementi e da certi passaggi dal gusto un po' diverso da quelli a cui ci hanno abituato, conferendo una connotazione quasi thrash al suono di alcuni brani. Un capitoletto a se stante riguarderebbe l'uso in un paio di tracce, e qui e là in maniera però più sporadica anche negli altri brani, dell'elettronica. L'uso più massiccio della suddetta tecnologia è, tra l'altro, affidato proprio al brano di apertura in cui ci sono diversi passaggi elettronici più o meno lunghi e lunghi momenti di voci filtrate. Tuttavia, gli esperimenti con le voci filtrate restano "relegati" solo alla prima traccia e nelle altre si torna a far sul serio, qualche sprazzo di elettronica si avverte ancora qui e là, ma poca roba che non lascia grosse tracce nell'ascoltatore. Eppure, cerchiamo di non trarre conclusioni affrettate e ascoltiamo, con calma e numerose volte, questo disco: ciò che, piano piano, si capisce con gli ascolti è che i Children Of Bodom si sono fatti furbi, e hanno preso ottime idee qui e là e le hanno messe una di fila all'altra, riuscendo a comporre un disco che si fa ascoltare facilmente, che diverte, e che esalta. Qui e là riffoni di "slayeriana" memoria si alternano a fraseggi tastieristici tipicamente finlandesi, lasciando però spazio a divagazioni In Flames e, perché no, ad aperture Hypocrisy. Particolare poi, se si considera il genere suonato, la scelta dei suoni, decisamente moderni, ma non per questo meno efficaci: diciamo che si sente la presenza della casa discografica, l’Universal, dietro a tutto, senza però per questo snaturare il sound della band. Il disco scorre bene per tutta la sua interezza senza stancare anche dopo ripetuti ascolti, crescendo giorno dopo giorno, riuscendo così a superare il precedente Follow The Reaper (2000), superando di gran lunga il livello dei primi due album. Risulta veramente un compito ingrato essere il mastermind dei Children Of Bodom e chiamarsi Alexi Laiho: non è da tutti esordire nel mondo discografico alla tenera età di 19 anni con due capolavori assoluti, Something Wild (1997) ed Hatebreeder (1999), che hanno avuto il merito di definire una nuova via alla concezione di death metal melodico, complementare e non alternativa a quella segnata dall’ondata svedese degli anni ’90 capeggiata da gruppi quali Dark Tranquillity ed In Flames, ed ovviamente non è facile tener testa alle enormi aspettative di critica e pubblico. Certo, tutto lascia presagire al meglio per il futuro, visto e considerato che di brani validi ce ne sono parecchi e che dal vivo la band continuerà a fare sfaceli, ma credo che i Bodom siano in un momento di transizione che sta arrivando alla fine, potendoli portare finalmente a sfornare un quinto album capolavoro, Are You Dead Yet? (2005), tra gli scaffali nei negozi nel prossimo settembre.

Hate Crew Deathroll (2005) cerca di espandere gli orizzonti della band in modo non radicale, apportando piccoli nuovi spunti che comunque non snaturino lo stile unico della band. A questo proposito risulta emblematica l’opener Needled 24/7 (click), che parte, come di consueto nei dischi dei Children Of Bodom, col tipico secco attacco di batteria e tastiera che ci introduce al brano che presenta al suo interno inserti elettronici perfettamente amalgamati al death melodico dei cinque finlandesi, ma questo risulta essere un episodio isolato.

Il resto del disco è composto da brani ancor più diretti del solito e permeati da una certa spontaneità (sarà riferito a ciò il Deathroll del titolo?), senza però risultare banali; infatti i nostri sfoderano pur sempre il loro ampio bagaglio tecnico. E se nell'iniziale e veloce Needled 24/7 possiamo trovare, fatta eccezione per qualche tastiera più “strana” del solito e una piccola percentuale di vocals filtrate, il tipico trademark della band, dalla successiva Sixpounder in poi le cose cominciano a cambiare: un bel riff thrash introduce la canzone, che si muove su sonorità più moderne e pesanti, e lascia in disparte l'uso della tastiera.

Inoltre, si riesce ad individuare una marcata influenza thrash, soprattutto nell’irruenta Chokehold (Locked And Loaded), i cui cori di voce pulita ricordano addirittura alcune cosucce degli Anthrax. Un riff vertiginoso apre la terza traccia e, qui, le sfumature power la fanno da padrone, accompagnate da cori rabbiosi; gli assoli si amalgamano molto bene nella loro complessità e portano a Bodom Beach Terror (ennesima canzone che parla della strage del lago di Bodom, come è abitudine del gruppo) una delle tracce più suggestive del disco e, tra fraseggi rapidi, atmosfere armoniose, giungiamo alla quiete con Angels Don't Kill, pezzo assolutamente delizioso che dimostra che per fare belle canzoni non è necessario che i Bodom spingano sempre come dei dannati sull'acceleratore. Un lontano organo risuona e fa il miracolo: questo pezzo sembra Everytime I Die (Follow The Reaper, 2000), rivedo anche il tizio incappucciato del tremendo video e la cattiveria dei Children of Bodom sembra intatta. E un titolo come Triple Corpse Hammerblow, che sembra uscito da un qualunque (capo)lavoro dei Cannibal Corpse, sembrerebbe confermare, in ogni caso, non appena parte il riff iniziale, le tastiere accennano un tenue accompagnamento e conducono l’ascoltatore lontano lontano, dove intravediamo oscure figure che sembrano tanto i Dark Tranquillity di Projector (1999). Con Triple Corpse Hammerblow e ritornano la velocità e i cori che, non fermano il disco, anzi, l'atmosfera è resa più forte da You're Better Off Dead e Lil' Bloodred Ridin' Hood. Ancora sonorità in bilico tra il vecchio trademark della band e nuove soluzioni thrash prorprio con la suddetta You're Better Off Dead, primo singolo estratto dall'album, da annoverare tra i pezzi complessivamente più trascinanti. Si tratta di un brano semplice semplice, di quelli che la band dovrebbe essere capace di scrivere in cinque minuti, che accontenta tutti e nessuno e che sconvolge per via del drammatico chorus in sottofondo. Invece, la grandiosa Lil’ Bloodred Ridin’ Hood irrompe con una furia sconosciuta, che sembra voler riscattare le colpe del brano precedente. Per concludere troviamo la furiosa title-track, Hate Crew Deathroll, sempre e comunque dedita alle consuete aggressive sonorità e che nulla aggiungono stilisticamente e qualitativamente a quanto di già sentito, mentre, come bonus track, troviamo una cover di tutto rispetto: Silent Scream degli Slayer, una mazzata nelle gambe come poche. Qualche influsso? Prima del giudizio finale, mi preme sottolineare una cosa: personalmente considero Hate Crew Deathroll (2003), quale un nuovo punto di partenza per i Children Of Bodom, che evidentemente vogliono proseguire su un discorso musicale in parte nuovo, comunque senza dimenticare le loro radici, che si sono sedimentate in maniera indissolubile ed inscindibile nel sound della band. Detto questo e puntualizzato che un disco del genere mi ha lasciato abbastanza spiazzato, mostrando le sue vere qualità solo dopo molti ascolti, sono dell’idea che non ci troviamo di fronte ad un nuovo Hatebreeder (1999), sebbene il livello qualitativo di ogni singolo pezzo sia piuttosto alto; secondo il mio parere, il discorso intrapreso dai cinque bambini finnici con questo nuovo album può avere margini di miglioramento molto alti, tanto da portarli a toccare inesplorate vette. Gradita sorpresa.

 
 
 
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