Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 68

Post n°68 pubblicato il 03 Ottobre 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

MASTODON: LEVIATHAN (2004)

« This is Metal ».

PART III) Che la qualità alla fine risulti sempre premiata e riesca ad avere anche ragione delle logiche, a volte distorte, del music business viene sempre più spesso testimoniato dalle uscite della label statunitense Relapse, capace di sfornare dischi di grande valore, ma allo stesso tempo lontani dalle tentazioni e dai miraggi del mercato. E il fatto che sempre più frequentemente alle band e ai video della sopra citata etichetta siano dedicati più passaggi televisivi credo non debba essere sottovalutato. Avvicinandosi ai Mastodon, invece, si deve subito constatare che Leviathan rappresenta la consacrazione definitiva a livello internazionale di una formazione che, dopo solo un delizioso EP ed uno strabordante album all’attivo, è riuscita a dar vita ad un suono davvero maturo e personale. E’ già passato un anno. Sembra ieri che la grande e grossa balena bianca, raffigurazione letteraria abilmente narrata nelle righe di "Moby Dick" da parte del suo “creatore” Herman Melville (1819-1891), è emersa dalle profonde acque, carica di sventura. Sfondo perfetto per ambientare dieci parabole epiche ed avventurose. I Mastodon, ciò nonostante, hanno osato di più, poiché la balena, incarnazione del male, ha un nome preciso: Leviatano. Un orribile mostro marino, stavolta, appartenente alla tradizione religiosa biblica, descritto nel libro di Giobbe, nonché, adottato dal filosofo Thomas Hobbes (1588-1679), tanto per la mostruosità che per le caratteristiche dell’animale, che il testo biblico enumera. Il Leviatano è il potere più alto che esista; è stato creato in modo tale da non aver paura, anzi incuterla; signoreggia e tiene a freno i superbi; infine, con lui non si possono stringere patti. Queste sono appunto le caratteristiche dello Stato. Tutto ciò si addice perfettamente alla “mastodontica” costruzione sonora espressa in siffatto disco, supremo concept elaborato dal quartetto di Atlanta. L'impressione è quella di trovarsi di fronte ad uno di quei dischi "importanti per la scena", che saranno ricordati come icone di riferimento nella musica a venire. I Mastodon tirano fuori dal cilindro quello che potrebbe essere il post-heavy metal, amalgamando con naturalezza attitudini, idee e suoni provenienti da scenari distanti, creando un blocco di canzoni stupefacenti dall'inizio alla fine e confezionandole con l'abilità di un artigiano minuzioso, che cura ogni dettaglio e non disdegna di mostrare un'esagerata abbondanza di capacità esecutive. Un flusso musicale nuovo, un'onda anomala che sembra volerci travolgere... eppure è così rabbiosa e spumeggiante che non riusciamo a distogliere lo sguardo: vediamo che ha inghiottito la nave dei Neurosis, un antico relitto dei Metallica, la scialuppa dei Voivod, frammenti di heavy metal, thrash, death, hardcore ed una vecchia bottiglia di whisky dei Motörhead. Sembra che si siano presi i resti di un genere alla deriva e se ne siano usati i pezzi per costruire una nuova ammiraglia indistruttibile. Il capitano Ahab di questa spedizione alla caccia della balena bianca - l'innovazione? - potrebbe essere il riffing inarrestabile della coppia Hines-Kelliher, se non fosse che spesso al timone c'è addirittura una piovra, Brann Dailor, davvero incredibile alla batteria, ma insomma tutti gli strumentisti coinvolti sono ventimila leghe sopra gran parte della concorrenza. In Leviathan il concetto di metal estremo viene filtrato con grande abilità e gusto attraverso strutture compositive complesse ma non impenetrabili, che con un uso intelligente della tecnica strumentale fanno trasparire emozioni ed atmosfere che non è più così semplice rintracciare nelle uscite di questi ultimi anni. Un disco che non perde il groove dall'inizio alla fine, che gioca a velocità assurde pur piazzando aperture e mid-tempo, non c'è un solo pezzo che non valga la pena di essere ascoltato e non cala nemmeno per un momento la curiosità di sapere "che cosa segue". Una volta finito il viaggio non si aspetterà un attimo per risalire a fianco dell’arpionere Queequeg e vivere nuovamente la stessa affascinante avventura; francamente, di questi tempi, non è una cosa che capita molto spesso. Marginale in questi casi, ma da annotare ugualmente, la veste grafica sopraffina: sembra di avere tra le mani uno stralcio di quella peculiare mitologia partorita dal mistero del mare, con bestie immense, abissi, eroi. I Mastodon sono già salpati verso nuovi orizzonti. Nel corso degli anni il gruppo americano ha raffinato sempre di più la sua proposta dando ordine al violento caos primordiale, smussando gli angoli ed iniettando una dose sempre maggiore di melodia, soprattutto vocale, e sono proprio le partiture vocali e le armonie a segnare il grande distacco dall’approccio precedente. I Mastodon fondono il tutto con una struttura portante prettamente metal, fatta di riffs granitici e squadrati: compiono insomma un’opera non troppo dissimile dalle varie compagini melodic death/hardcore che si stanno risvegliando negli ultimi anni (God Forbid e Shadowsfall), ma di gran lunga più personale e coesa. Non ce n’è per nessuno. Per i Mastodon questo è comunque il momento della consacrazione internazionale, probabilmente della fuoriuscita dal limbo degli emergenti underground, dell'abbandono della nicchia frequentata da pochi cultori per infilarsi nel circuito che conta a livello mediatico.

Fin dall’opener si ha la misura di dove i Mastodon abbiano voluto arrivare con questo disco: al cuore del metal, direttamente al nocciolo, senza dovere né volere strafare per raggiungere l’obiettivo. Si comincia con l'abbondante profusione di sangue e tuoni dell’epica e grandiosa Blood And Thunder (click), che si apre con un riff di chitarra semplicissimo e devastante di Brent Hinds, che viene poi condito dall'entrata in scena della precisissima batteria di Brann Dailor e dalla possente voce del cantante/bassista Troy Sanders, alternando growl a screamed e melodic vocals.

Caratteristica dell'intero album è quella di passare da momenti di devastante metallo ad altri di più ampio respiro. I Am Ahab procede sulla stessa scia, rallentando un po' il ritmo e appesantendo i toni, chiudendo bruscamente come nella traccia precedente. Da segnalare, comunque, l'incedere di I am Ahab, eccezionale lavoro di chitarre che dona dinamismo al tutto. Con l’intro di Seabeast, invece, si evidenzia la passione per i riffs inconsueti dei chitarristi Brent Hines e Bill Kelliher, che trasportano l’ascoltatore in mezzo alle onde fluttuanti dell'oceano, combinando al classico sound “mastodontico” una incredibile vena rock-stoner.

La perizia del gruppo sta proprio nel riuscire ad integrare diverse anime interne alla band, frustando l'ascoltatore a suon di sterzate death/hardcore, prima di rientrare in territori più riflessivi e concedersi digressioni strumentali e ipnotiche. E poi non bisogna dimenticare che Leviathan è stato registrato e mixato a Seattle, e non è un caso (forse lo è) che certi inizi come, per esempio, proprio le prime strofe di Seabest evochino lo spettro di Kurt Cobain, o comunque più in generale del grunge figlio di quella città piovosa e fredda della West Coast. È la batteria, piuttosto, a trovare il miglior modo di esprimersi nella titanica Island. Non sorprende che sia per l’ennesima volta il drummer Brann Dailor ad introdurre Iron Tusk (click), prima che le chitarre irrompano con tutta la loro potenza. In questo pezzo il cantato di Hines si barcamena ancora tra death e hardocre. Iron Tusk, non per altro, recupera le spirali chitarristiche dei dischi precedenti fondendole con armonizzazioni alla Thin Lizzy, Decisa e potente, Iron Tusk è un piccolo gioiello di tre minuti, dove i Mastodon riescono a esprimere tutti loro stessi.

Un inizio tranquillo, scandito da batteria e chitarre introduce Megalodon, diretto pezzo che poi si articola in vari momenti che vanno dal mid-tempo più classico a delle improvvise sfuriate che ricordano i bei vecchi tempi delle veloci accelerazioni thrash della Bay Area (Slayer e Testament fra tutti). A un certo punto, proprio quando il pezzo sembra destinato ad abbracciare sonorità quasi speed, ecco che batteria, basso e voce staccano la spina per pochi, inaspettati secondi, e la chitarra di Brent Hines si lascia andare a un assolo oserei dire blues. I toni sembrano alleggersi di nuovo, mantenendo però quello stato di ansia che aveva dominato le canzoni precedenti ad Iron tusk, con cambi di tempo inattesi e strane sonorità. E' solo un attimo, un improvviso sprazzo di luce che buca la coltre di nuvole, dopo di ché, la bufera torna ad abbattersi sull’ascoltatore, implacabile, una vera tempesta di riffs taglienti e drumming martellanti. La linea melodica c'è sempre, ma al posto di procedere per via retta si concede qualche deviazione. Megalodon è incredibile, per peso specifico, ma soprattutto per la capacità della band di saper plasmare a proprio piacimento la materia musicale estrema, senza barriere né timori di sorta. A seguire una triade di canzoni che sembrano uscite da un film di alta tensione - purché abbia una colonna sonora di buona qualità ovviamente. Uno straordinario assolo introduce Naked Burn, con la voce di Troy Sanders, che sembri voler imitare lo stile degli Alice In Chains. Inutile ribadire che il pezzo è scandito dall’ottimo lavoro di basso e batteria, che dettano i tempi al resto della band. Complessivamente, Naked burn, fin dall'inizio, inquieta l'ascoltatore con una certa vena melodica e un ritmo differente da quello sfrenato di Seabeast - che viene però ripreso nell’annichilente Aqua Dementia, impreziosita dalla presenza della voce di Scott Kelly (Neurosis). Costui influisce pesantemente il brano, rendendolo aggressivo in una maniera che ricorda i suoi Neurosis. Aqua dementia ripropone i deliranti intrecci chitarristici, trademark del gruppo, prima di affondare il colpo con una ripartenza "in your face", che riesce a tessere un ritmo che definire assassino sarebbe riduttivo. Un raro esempio di violenza sonora. Il capolavoro di Leviathan è però la splendida Hearts Alive, dove la tendenza al progressive rock che si era evidenziata negli altri pezzi si manifesta in tutta la sua maestosità: in tredici minuti di sperimentazione sonora ogni strumento dà il meglio di sé. Le chitarre esplodono di creatività e creano dei pezzi di grande valore espressivo e compositivo. Hearts Alive è, insomma, una lunga suite di raffinata eleganza che riprende quella Ol'E Nessie di Remission (2002) e costituisce la prova superba di tutti i membri della band, capace di gettare un ponte tra la concezione metal di oggi e quella originaria dei primi anni '80. A seguito dell’intro strumentale, il ritmo comincia lentamente a farsi sempre più pesante e roccioso, tanto da creare nell’ascoltare quasi una sensazione di tremenda attesa per cosa possa accadere. Il ritmo nei primi minuti si mantiene molto sincopato e per certi versi si discosta dallo stile degli altri, non fosse altro per il cantato di Troy Sanders che, a parte qualche sfuriata tipicamente death, si mantiene molto pulito. I minuti di spaventosa intensità continuano a scorrere via, cavalcata implacabile in un crescendo di potenza drammatica che trova sfogo in un limpido assolo puro stile hard rock, ultimo cameo di un album veramente memorabile. Al termine della canzone, "manifesto" in note del pensiero dei Mastodon, un accordo lasciato in fade-out sfocia nell'ultima traccia di Leviathan: Joseph Merrick, degno epilogo di un disco sopra le aspettative, pezzo strumentale suonato con una chitarra acustica, una chitarra elettrica leggermente "sporca", una batteria che lentamente scandisce il ritmo e qualche effetto di tastiera che rende bene la sensazione del mare placatosi dopo la bufera. Che con questa traccia conclusiva i Mastodon abbiano raggiunto la pace che freneticamente cercavano nei ritmi cangianti delle altre canzoni? Difficile non rimanere abbagliati da cotanta classe, perizia tecnica e raffinatezza compositiva. La dimensione che i Mastodon hanno raggiunto è quello stato di grazia artistica che permette loro di dedicarsi completamente alla musica, senza troppo curarsi di dover soddisfare una certa parte di critica, di fans o di settore musicale che pretende da loro di essere più o meno metal, più o meno hardcore, più o meno portabandiera di qualcosa. Esclusivi.

 
 
 
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