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DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 77

Post n°77 pubblicato il 10 Dicembre 2005 da Nekrophiliac
Foto di Nekrophiliac

SIGUR RÓS: ÁGÆTIS BYRJUN (1999)

Capitolo II: << Se fossi un pittore, dipingeresti fiori? >>.

Chi saranno mai i Sigur Rós? Sono un gruppo formatisi nel 1994 a Reykjavik ed è composto dal chitarrista/cantante Jon Thor Birgisson, il bassista Georg Holm ed il batterista Agust. Debuttano nel 1997 con l'album Von (Speranza), un lavoro scuro, fratturato con una certa pesantezza negli arrangiamenti delle strings, rendendolo un po’ troppo pomposo accanto alla loro voglia di sperimentare suoni ed atmosfere. Al trio si aggiunge poi Kjartan Sveinsson alle tastiere e la band incide il lavoro spartiacque per la loro giovane carriera: Ágætis Byrjun (Buon Inizio), un viaggio, in un’ancestrale e fredda terra lontana, un viaggio in un’eterea musica: emozionanti e soavi archi, dilatati suoni che richiamano gli spazi selvaggi e incontaminati dell’Islanda, con i suoi fiordi aspri e le sue distese lussureggianti di verde, con la sua lava e con i suoi ghiacci eterni. La musica di questa band riflette il Paradiso, un Paradiso chiamato Islanda, uno dei pochi angoli del mondo occidentalizzato ancora incontaminato. È da essa che traggono linfa vitale, ed è a essa che si ispirano. In Ágætis Byrjun, nei suoi ermetici, infantili e incomprensibili testi – scritti e cantati interamente in islandese, inframmezzati ad un vernacolo inventato dal gruppo, il cosiddetto “Hopelandic” – c’è tutta la luce e il buio dell’isola, tutto il candore della neve, la vulcanica lava o la potenza di un geyser. Non è indispensabile comprendere i testi nello specifico, perché, in questo caso, il puro suono ha una immensa forza evocativa e finisce così che l'opera acquisisca un unico magico e arcano fascino. Diviene così inutile ricercare influenze, cercare di ricostruire dettagliatamente dieci gemme, ipotizzare un genere di riferimento. È meraviglia allo stato puro.

Il disco si apre con una magnetica Intro, che dischiude le porte dell’alchimia elettronica di Svefn-G-Englar (Sonnambuli), descrizione del suono del pianto di gioia di un angelo. È una canzone che ha in sé qualcosa di terribilmente lugubre, per la sua stessa barocca attitudine. Incede maestosa, attraverso i lunghi e corposi suoni ottenuti da Jonsi grazie all’utilizzo dell’archetto, con cui accarezza le corde della sua chitarra. All’improvviso esplode, un cambio di atmosfera repentino, fondo, che calamita l’attenzione dell’ascoltatore. Atmosfere sospese tra fantasia e realtà.

A seguire, Olsen Olsen (click), una sorta di canzone natalizia, dominata in principio da un oscuro basso e da vocalizzi dolenti, si trasforma in un’ancestrale, indescrivibile “ninna nanna” cinematica che sembra giocare direttamente con le sinapsi cerebrali evocando fiabe infantili, epopee cavalleresche e canti di guerra fino ad esplodere in un inaspettato finale hollywoodiano, ma perfettamente coerente. 

E giunge solenne l’ovattata ed intimista title-track, Ágætis Byrjun (Buon inizio) (click), che riporta le atmosfere a una dimensione quietamente rarefatta e carica di sinuosa magia. Racconta di come la band reagì quando, per la prima volta, si radunò per ascoltare Von: s’accorsero che il sound non era all’altezza delle loro aspettative, ma erano tutti d’accordo: avrebbero fatto meglio in futuro, questo non era che un buon inizio: appunto, un Ágætis Byrjun. Ed infine la crepuscolare Avalon, frammento di una “rallentata” Staràlfur, è l’epilogo di questo grande album, ma soprattutto una terra magica, approdo, capolinea di un memorabile percorso. In conclusione, nessuna retorica: Ágætis Byrjun è l’uovo di un islandese Colombo del terzo millennio.

 
 
 
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