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DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

Messaggi di Maggio 2007

Post N° 95

Post n°95 pubblicato il 31 Maggio 2007 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

U.N.K.L.E.: NEVER NEVER LAND (2003)

Strategie dell’universo. Trascorsi cinque anni. E l’abbandono di DJ Shadow, rimpiazzato dal “manipolatore” Richard File e dal produttore Ant Geen. Capeggiati dal DJ di fama internazionale, James Lavelle – in precedenza, critico per la rivista di musica jazz Straight No Chaser, poi fondatore dell’etichetta Mo Wax – gli U.N.K.L.E. riuscivano nel imprimere il soffio della vita entro un nuovo corpo, di dodici tracce. Musica innocua. Per i giorni di pioggia. Costante il ricorso a campionamenti, di rimando hip-hop, e a pulsazioni house, intermezzi “seminali”, oltre che a voci metalliche racchiuse in dimensioni parallele, suoni magnetici, talvolta palpitanti, sino ad inattesi estatici inserti orchestrali. Qui iniziava un nuovo tortuoso viaggio all’interno di una siderale “terra di nessuno”, dove non è necessario attingere agli stereotipi del rap o far ballare a tutti i costi. Conta soltanto l’interessante e dettagliata musica, pronunciata in complicate cosmiche alterazioni. Un’ora di elettronica sperimentale, seppur tetra. Immancabilmente mai noiosa, né tanto meno ripetitiva. Coinvolgente sin dai primissimi ascolti, a conferma della genialità del suo mentore. E se Psyence Fiction (1998), brillante disco d’esordio, aveva finito per esser maggiormente “orientato” dalla personalità di DJ Shadow, in Never Never Land è James Lavelle a lasciare il segno poiché, pur facendo sì che la “struttura” – fondata su particolari campionature e sulle voci di altrettanti rinomati “ospiti” – restasse pressoché immutata, è il sound ad esser stato premiato e supportato dalla tradizionale composizione di testo e musica di pari passo. Per una natura obliqua, che si nega alle mode leziose del momento, seppur attingendo a piene mani a talune sonorità che, non a fatica, si potrebbero definire “cool”. Dunque, un disco “compiaciuto”, che non si vergogna affatto di esserlo. Volutamente e forzatamente scaltro in termini di melodie, Never Never Land è impreziosito, per di più, quanto all’estetica e ai contenuti, da soluzioni compositive, spesso manieristiche ed accademiche, che riescono a non “appesantire” l’atmosfera che pervade l’intero “progetto”, davvero ben amalgamato. Un violaceo crepuscolo lunare al di sopra di una brulla landa desolata, disturbato da macchinosi suoni propagati da seducenti spaziali alieni – con il cranio a cono e le orecchie a punta – così come sapientemente rappresentati in copertina, talvolta dolci, spesso malinconici e, comunque, quanto mai evocativi.

Fatiche della psiche. La parola “inizio” è incisa nella chiave drastica dell’introduttiva Back And Forth: « (I don't like to be back). You see things in life. And you're bit surprise what you see. Life, your whole life, is changes. You go through changes in your life. One second you've got it made. Next second you're down in the dumps. And it goes back and forth. Throughout your whole life. One second you've got the most beautiful girl in the world. Next second you don't even have a girlfriend no more. And it goes back and forth. And back and forth, you known. And this is life man, it's changes. This is what you gotta go through throughout your whole lifetime. I'm going through changes. I'm going through changes. I'm going through changes. And it goes back and forth. And back and forth, you known. Never, never, land ». Spetta poi alla lisergica e fredda Eye For An Eye aprire le danze.

Seguita a ruota da In A State, introdotta da una plastica sequenza di note eseguita al pianoforte e dalla voce di Graham Gouldman dei 10cc, ribadendo fortemente la presa di distanza dalla predominanza di matrici hip-hop del disco precedente, proprio perché trattasi di reiterate battute dance. Lenta e compressa, Safe in Mind (Please Get This Gun From Out My Face) annovera Josh Homme dei Queens Of The Stone Age, come vocalist d’eccezione. Riuscitissima apparizione. È assolutamente il momento più estroverso ed estremo del disco, per il semplice motivo che il carisma dell’ospite ha traviato il “suddito” James Lavelle se considerato che il suono rimanda a squilibrate sperimentazioni stoner. Il vero pregio di James Lavelle resta quello d’aver saputo amalgamare influenze e stili così enormemente diversi in un disco ammaliante, soprattutto se le collaborazioni non finiscono qui. In I Need Something Stronger tocca, stavolta, a Brian Eno sfoderare sintetizzatori ambient per scoprire labirinti psichedelici. La seguente What You Are To Me ? risulta godibile nel complesso, anche se, a priori, era difficilmente auspicabile la presenza disco una simile traccia: è come una misteriosa porta che si apre al crepuscolo. Pop britannico permeato d’innata armonia, in un insolito connubio di beats e orchestrazioni. Niente è impossibile. E le aspettative non sono tradite. Never Never Land s’appresta a divenire pietra miliare di un genere “borderline”. Anche Panic Attack è magistralmente “incantata” perché fondata sui campionamenti di She’s Lost Control dei Joy Division e Variation III Sur Le Théme De Bene Gesserit di Richard Pinhas. Eppure, la vera traccia spartiacque è Invasion. Le melodie, e spesso e volentieri anche le sonorità, sono, per l’appunto, “veicolate” dall'ospite di turno, proprio come un virus contiene “in nuce” una malattia contagiosa. Ed è quanto manifestato, complessivamente, nell’ottava traccia. Invasion, titolo certamente azzeccato, vede all'opera Robert “3D” Del Naja, parte integrante dei Massive Attack, in una mancata canzone appartenente al “suo” capolavoro Mezzanine (1998). Nulla da aggiungere, sfavillante il “retrogusto” del trip-hop ipnotico delle ritmiche, così come piacevole è la voce dell’anglo-napoletano. E, senza alcun sobbalzo, un eccentrico ed ipnotico percorso è tracciato dai violini in Reign, cantata da Ian Brown degli Stone Roses, che rinvia l’ascoltatore a sonorità più da colonna sonora. Invece di impegolarsi nell’ennesimo inno alla frattura digitale, gli U.N.K.L.E., sino alla fine, hanno continuato a puntare su diverse soluzioni, dalla solidità rock, che qualche anno fa univa chi s’era allontanato dalla console per imbracciare la chitarra, fino alla sua controparte techno indolente e trasognata.

Nuova e coinvolgente ballata elettronica è Glow, trainata dalla voce di Joel Cadbury dei South. Una voce “maschile” al limite del “femminile”. Senza dimenticare, la conclusiva Inside ove, sradicate le fondamenta della dance, giunge il falsetto di Jarvis Cocker dei Pulp. Ciò che sorprende di Never Never Land, vero disco sopra la media, è che una volta giunti all’undicesimo e ultimo pezzo, il rapimento estatico è tale che automaticamente si è indotti nel riascoltarlo da capo. La vastità degli orizzonti nella musica degli U.N.K.L.E. contempla la possibilità di trasformare ogni fonte ed ogni campionamento impiegato nel fantasma di se stesso a favore di una deriva onirica corroborata da improvvisi vortici, rapidi breakbeats, nonché sprazzi di placida serenità che rischiarano le zone più fosche e scarsamente illuminate. È la dance ad esser spinta al limite dell’illusoria instabilità, per una decomposizione di forme che fa tornare alla mente la visione d’un aperto cantiere. Come sarà il prossimo disco degli U.N.K.L.E.?

 
 
 

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