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Post n°80 pubblicato il 02 Novembre 2009 da p_i_a_n_o

il nuovo indirizzo del blog è

http://blog.libero.it/phronesis

 
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Saviano: vado via per riavere una vita

Post n°79 pubblicato il 15 Ottobre 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

ANDRO' via dall'Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà...", dice
Roberto Saviano. "Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in
questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse
una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che
fosse assai stupido - oltre che indecente - rinunciare a se stessi,
lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che
pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima
delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per
ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del
mio libro, del mio successo. 'Fanculo il successo. Voglio una vita,
ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico,
andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di
copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la
pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio
avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me,
sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle
prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto
ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è
quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho
bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso,
sentirne l'odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una
camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui,
domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza
sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento
e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di
concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a
pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una
a una, silenziosamente, tra me".
La verità, la sola oscena verità che, in ore come queste, appare con
tragica evidenza è che Roberto Saviano è un uomo solo. Non so se sia
giusto dirlo già un uomo immaginando o pretendendo di rintracciare
nella sua personalità, nella sua fermezza d'animo, nella sua stessa
fisicità la potenza sorprendente e matura del suo romanzo, Gomorra.
Roberto è ancora un ragazzo, a vederlo. Ha un corpo minuto, occhi
sempre in movimento. Sa essere, nello stesso tempo, malizioso e
insicuro, timidissimo e scaltro. La sua è ancora una rincorsa verso se
stesso e lungo questo sentiero è stato catturato da uno straordinario
successo, da un'imprevedibile popolarità, dall'odio assoluto e
assassino di una mafia, dal rancore dei quietisti e dei pavidi,
dall'invidia di molti. Saranno forse queste le ragioni che spiegano
come nel suo volto oggi coabitino, alternandosi fraternamente, le rughe
della diffidenza e le ombre della giovanile fiducia di chi sa che la
gioia - e non il dolore - accresce la vita di un uomo. "Sai, questa
bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe fa di me un uomo
peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all'anno scorso ci ho mai
pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso,
guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza. Mi capita di
pensare che ognuno voglia rubarmi qualcosa, in ogni caso raggirarmi,
"usarmi". E' come se la mia umanità si fosse impoverita, si stesse
immeschinendo. Come se prevalesse con costanza un lato oscuro di me
stesso. Non è piacevole accorgersene e soprattutto io non sono così,
non voglio essere così. Fino a un anno fa potevo ancora chiudere gli
occhi, fingere di non sapere. Avevo la legittima ambizione, credo, di
aver scritto qualcosa che mi sembrava stesse cambiando le cose. Quella
mutazione lenta, quell'attenzione che mai era stata riservata alle
tragedie di quella terra, quell'energia sociale che - come
un'esplosione, come un sisma - ha imposto all'agenda dei media di
occuparsi della mafia dei Casalesi, mi obbligava ad avere coraggio, a
espormi, a stare in prima fila. E' la mia forma di resistenza, pensavo.
Ogni cosa passava in secondo piano, diventava di serie B per me.
Incontravo i grandi della letteratura e della politica, dicevo quello
che dovevo e potevo dire. Non mi guardavo mai indietro. Non mi
accorgevo di quel che ogni giorno andavo perdendo di me. Oggi, se mi
guardo alle spalle, vedo macerie e un tempo irrimediabilmente perduto
che non posso più afferrare ma ricostruire soltanto se non vivrò più,
come faccio ora, come un latitante in fuga. In cattività, guardato a
vista dai carabinieri, rinchiuso in una cella, deve vivere Sandokan,
Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi. Se lo è meritato per la
violenza, i veleni e la morte con cui ha innaffiato la Campania, ma
qual è il mio delitto? Perché io devo vivere come un recluso, un
lebbroso, nascosto alla vita, al mondo, agli uomini? Qual è la mia
malattia, la mia infezione? Qual è la mia colpa? Ho voluto soltanto
raccontare una storia, la storia della mia gente, della mia terra, le
storie della sua umiliazione. Ero soddisfatto per averlo fatto e
pensavo di aver meritato quella piccola felicità che ti regala la virtù
sociale di essere approvato dai tuoi simili, dalla tua gente. Sono
stato un ingenuo. Nemmeno una casa, vogliono affittarmi a Napoli.
Appena sanno chi sarà il nuovo inquilino si presentano con la faccia
insincera e un sorriso di traverso che assomiglia al disprezzo più che
alla paura: sono dispiaciuti assai, ma non possono.... I miei amici, i
miei amici veri, quando li ho finalmente rivisti dopo tante fughe e
troppe assenze, che non potevo spiegare, mi hanno detto: ora basta, non
ne possiamo più di difendere te e il tuo maledetto libro, non possiamo
essere in guerra con il mondo per colpa tua? Colpa, quale colpa? E' una
colpa aver voluto raccontare la loro vita, la mia vita?".
Piacciono poco, da noi, i martiri.
Morti e sepolti, li si può ancora, periodicamente, sopportare. Vivi,
diventano antipatici. Molto antipatici. Roberto Saviano è molto
antipatico a troppi. Può capitare di essere infastiditi dalla sua
faccia in giro sulle prime pagine. Può capitare che ci si sorprenda a
pensare a lui non come a una persona inseguita da una concreta minaccia
di morte, a un ragazzo precipitato in un destino, ma come a una
personalità che sa gestire con sapienza la sua immagine e fortuna.
Capita anche in queste ore, qui e lì. E' poca, inutile cosa però
chiedersi se la minaccia di oggi contro Roberto Saviano sia attendibile
o quanto attendibile, più attendibile della penultima e quanto di più?
O chiedersi se davvero quel Giuseppe Setola lo voglia disintegrare,
prima di Natale, con il tritolo lungo l'autostrada Napoli-Roma o se gli
assassini si siano già procurati, come dice uno di loro, l'esplosivo e
i detonatori. O interrogarsi se la confidenza giunta alle orecchie
delle polizie sia certa o soltanto probabile.
E' poca e inutile cosa,
dico, perché, se i Casalesi ne avranno la possibilità, uccideranno
Roberto Saviano. Dovesse essere l'ultimo sangue che versano. Sono
ridotti a mal partito, stressati, accerchiati, incalzati, impoveriti e
devono dimostrare l'inesorabilità del loro dominio. Devono poter
provare alla comunità criminale e, nei loro territori, ai "sudditi" che
nessuno li può sfidare impunemente senza mettere nel conto che alla
sfida seguirà la morte, come il giorno segue la notte.
Lo sento addosso come un cattivo odore l'odio che mi circonda. Non è
necessario che ascolti le loro intercettazioni e confessioni o legga
sulle mura di Casale di Principe: "Saviano è un uomo di merda". Nessuno
da quelle parti pensa che io abbia fatto soltanto il mio dovere, quello
che pensavo fosse il mio dovere. Non mi riconoscono nemmeno l'onore
delle armi che solitamente offrono ai poliziotti che li arrestano o ai
giudici che li condannano. E questo mi fa incazzare. Il discredito che
mi lanciano contro è di altra natura. Non dicono: "Saviano è un
ricchione". No, dicono, si è arricchito. Quell'infame ci ha messo sulla
bocca degli italiani, nel fuoco del governo e addirittura
dell'esercito, ci ha messo davanti a queste fottute telecamere per
soldi. Vuole soltanto diventare ricco: ecco perché quell'infame ha
scritto il libro. E quest'argomento mette insieme la parte sana e
quella malata di Casale. Mi mette contro anche i miei amici che mi
dicono: bella vita la tua, hai fatto i soldi e noi invece tiriamo
avanti con cinquecento euro al mese e poi dovremmo difenderti da chi ti
odia e ti vuole morto? E perché, diccene la ragione? Prima ero ferito
da questa follia, ora non più. Non mi sorprende più nulla. Mi sembra di
aver capito che scaricando su di me tutti i veleni distruttivi,
l'intera comunità può liberarsi della malattia che l'affligge, può
continuare a pensare che quel male non ci sia o sia trascurabile; che
tutto sommato sia sopportabile a confronto delle disgrazie provocate
dal mio lavoro. Diventare il capro espiatorio dell'inciviltà e
dell'impotenza dei Casalesi e di molti italiani del Mezzogiorno mi
rende più obiettivo, più lucido da qualche tempo. Sono solo uno
scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo,
hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso? Le parole sono
sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E
allora ben vengano le parole e che siano tante. Sia benedetto il
mercato, se chiede altre parole, altri racconti, altre rappresentazioni
dei Casalesi e delle mafie. Ogni nuovo libro che si pubblica e si vende
sarà per loro una sconfitta. E' il peso delle parole che ha messo in
movimento le coscienze, la pubblica opinione, l'informazione. Negli
anni novanta, la strage di immigrati a Pescopagano - ne ammazzarono
cinque - finì in un titolo a una colonna nelle cronache nazionali dei
giornali. Oggi, la strage dei ghanesi di Castelvolturno ha costretto il
governo a un impegno paragonabile soltanto alla risposta a Cosa Nostra
dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Non pensavo che potessimo
giungere a questo. Non pensavo che un libro - soltanto un libro -
potesse provocare questo terremoto. Subito dopo però penso che io devo
rispettare, come rispetto me stesso, questa magia delle parole. Devo
assecondarla, coltivarla, meritarmela questa forza. Perché è la mia
vita. Perché credo che, soltanto scrivendo, la mia vita sia degna di
essere vissuta. Ho sentito, per molto tempo, come un obbligo morale
diventare un simbolo, accettare di essere al proscenio anche al di là
della mia voglia. L'ho fatto e non ne sono pentito. Ho rifiutato due
anni fa, come pure mi consigliavano, di andarmene a vivere a New York.
Avrei potuto scrivere di altro, come ho intenzione di fare. Sono
restato, ma per quanto tempo dovrò portare questa croce? Forse se
avessi una famiglia, se avessi dei figli - come li hanno i miei "angeli
custodi", ognuno di loro non ne ha meno di tre - avrei un altro
equilibrio. Avrei un casa dove tornare, un affetto da difendere, una
nostalgia. Non è così. Io ho soltanto le parole, oggi, a cui
provvedere, di cui occuparmi. E voglio farlo, devo farlo. Come devo -
lo so - ricostruire la mia vita lontano dalle ombre. Anche se non ho il
coraggio di dirlo, ai carabinieri di Napoli che mi proteggono come un
figlio, agli uomini che da anni si occupano della mia sicurezza. Non ho
il cuore di dirglielo. Sai, nessuno di loro ha chiesto di andar via
dopo quest'ultimo allarme, e questa loro ostinazione mi commuove. Mi
hanno solo detto: "Robe', tranquillo, ché non ci faremo fottere da
quelli là"".
A chi appartiene la vita di Roberto? Soltanto a lui che può perderla?
Il destino di Saviano - quale saranno da oggi i suoi giorni, quale sarà
il luogo dove sceglierà, "per il momento", di scrivere per noi le sue
parole necessarie - sono sempre di più un affare della democrazia
italiana.
La sua vita disarmata - o armata soltanto di parole - è caduta in
un'area d'indistinzione dove sembra non esserci alcuna tradizionale
differenza tra la guerra e la pace, se la mafia può dichiarare guerra
allo Stato e lo Stato per troppo tempo non ha saputo né cancellare
quella violenza sugli uomini e le cose né ripristinare diritti
essenziali. A cominciare dal più originario dei diritti democratici: il
diritto alla parola. Se perde Saviano, perderemo irrimediabilmente
tutti.

 
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dal film "Ora o mai più"

Post n°76 pubblicato il 09 Giugno 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

uno spezzone del film di Lucio Pellegrini su quanto accaduto nella caserma di Bolzaneto ai giovani intervenuti a Genova nelle manifestazioni in occasione del G8

 
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i veri motivi di monnezzopoli

Post n°75 pubblicato il 04 Giugno 2008 da p_i_a_n_o
 
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Scrive Michelangiolo
Bolognini
, medico oncologo:
“Il
sistema industriale italiano è in grave crisi sul versante produttivo. I gruppi
industriali che più contano sono ricorsi da un pezzo all’assistenza pubblica, che viene
elargita sotto varie forme più o meno mascherate dall’interesse collettivo. Uno dei casi più rilevanti è stato, ed è, quello delle incentivazioni CIP6 finanziate da
una tassa “occulta”, di circa il 7%, sulle bollette elettriche dei consumatori
(che avrebbero dovuto finanziare le fonti di energia rinnovabile), beneficiano,
con finanziamenti annuali miliardari,
soprattutto i proprietari di impianti che bruciano residui petroliferi, i rifiuti e/o le
cosiddette “biomasse”. Gli impianti di incenerimento sono inutili, specie nel caso che si attui una
corretta gestione dei rifiuti con raccolta differenziata domiciliari,
trasformazione in compost della parte biodegradabile, “umida”, del rifiuto,
riciclo e recupero di materiali; questi dati sono noti ed incontrovertibili tra
gli esperti. Nella categoria degli esperti non si ritrovano quindi, con tutta evidenza, i politici professionisti, la “grande
stampa”, ed anche l’imprenditoria vincente ed assistita, proprietaria, questa,
della “grande stampa”.

Un esempio evidente è stato il discorso di insediamento all’assise di
Confindustria dove la neo-presidente Emma
Marcegaglia
ha così affermato: "I
sistemi di gestione dei rifiuti sono molto vicini al collasso in molte regioni,
anche perché si dice no ai termovalorizzatori, attivi in tutti gli altri Paesi.
Paghiamo i costi più alti d'Europa per l'energia
.” Strano, perché
la signora Marcegaglia di rifiuti ne dovrebbe sapere qualcosa, visto che ha tre impianti di incenerimento per
“combustibile da rifiuti”(CDR) in fase di realizzazione (Massafra, Manfredonia,
Modugno), si è poi aggiudicata “l’affidamento del pubblico servizio di gestione
del sistema impiantistico di recupero energetico a servizio dei bacini di
utenza Lecce1, 2 e 3 ”
e gestisce anche la “Filiera Rifiuti Speciali Oikothen” di Augusta, con autorizzazione
peraltro sospesa da Regione Sicilia e Comune di Augusta, ed in altra “colonia”
meridionale, a Cutro, in Calabria, ha già in attività una Centrale elettrica “a biomasse”. Strano, anche, che la signora Marcegaglia si lamenti degli alti costi dell’energia visto che quota
parte dei sovrapprezzi elettrici, che il consumatore italiano paga con il
meccanismo dei CIP6, già arriva alla sua citata Centrale elettrica di Cutro; a
tale proposito potrebbe risultare interessante l’ulteriore possibilità di
guadagno ottenibile con l’ultima legge Finanziaria La mossa del governo è chiara, politicamente efficace ed “apprezzabile”, non
solo dalle forze politiche della maggioranza, ma anche quelle dell’opposizione,
dai cattolici sedicenti difensori della vita, ai democratici “ombra”, fino ai
grandi moralisti e moralizzatori per “via giudiziaria”: si trattava e si
tratta, per il governo, come pure per l’opposizione, di dare un segnale, “colpire
uno per educarne cento” , partendo proprio dal sito più tecnicamente
indifendibile, anche perché la vera partita è un’altra: la realizzazione, in Campania, ma
anche nel resto d’Italia dei “termovalorizzatori”. Occorre ricordare come, dopo che per mesi mass media e frotte di politici
ignoranti avevano proposto, in modo martellante, la «termovalorizzazione»
mediante incenerimento,
non solo come soluzione al “problema rifiuti”, ma anche come alternativa alle discariche (dato,
quest’ ultimo fantasioso, in quanto se anche la «termovalorizzazione» fosse
integrale per tutti i rifiuti, non li eliminerebbe fisicamente, ma si limiterebbe a ridurli a circa il 30%
della massa iniziale, oltre a produrrne, a sua volta e in quota non
irrilevante, un ulteriore 3-5% e di una tipologia estremamente pericolosa, e
tutti questi rifiuti hanno a loro volta bisogno di discariche), si è dovuto
finalmente ammettere che è solo con l’utilizzo delle discariche che si può
risolvere l’emergenza. A dispetto infatti di tutte le retoriche inceneritoriste, che sostengono la
“termovalorizzazione” come la soluzione di tutto, è stata la chiusura delle
discariche allora esistenti in Campania e la mancata previsione di nuove
discariche nel cosiddetto “ciclo integrato dei rifiuti”, insieme alla infima qualità degli impianti delle
imprese del gruppo Impregilo
di Cesare Romiti, da
quelli che dovevano produrre Combustibile da rifiuti (Cdr) diventato
semplicemente «ecoballe» e l’assoluta insufficienza del progetto del primo
impianto di «termovalorizzazione», quello di Acerra, (per il quale non veniva previsto,
originariamente, nemmeno un soddisfacente sistema di abbattimento degli
inquinanti, tanto che il gruppo di lavoro del ministero dell’Ambiente, che
successivamente revisionerà il progetto, imporrà "adeguamenti"
tecnici per un costo di 25 milioni di euro) che hanno causato l’emergenza
rifiuti (vedi “Camorra di Stato e stato di emergenza”, pubblicato su il “Il
Ponte” ). Dal punto di vista tecnico, mentre è necessario realizzare nuove discariche (su
scala regionale, e non su base provinciale o comunale, se siamo in zone
intensamente urbanizzate ), ovviamente in aree idonee dal punto di vista
idrogeologico, e distanti dai centri
abitati
, è improponibile la realizzazione di questi impianti in
aree urbane, a tale proposito si può ricordare come la prima normativa italiana
sulla gestione dei rifiuti, la legge 20 marzo 1941, n. 366, stabilisse una
distanza minima di 1000
metri dall'abitato per gli impianti di trattamento dei
rifiuti, una norma di puro buonsenso, purtroppo non più ripresa, nelle
normative successive. Quello che sta accadendo a Napoli dovrebbe, infatti, far interrogare tanti
“conformisti” sul completo fallimento di una cultura “ambientalista” che non ha
saputo, né voluto, emanciparsi dai dettati dell’ecocapitalismo egemone, quello
“malthusiano” che enfatizza catastrofismi profittevoli, come la crescita della
CO2, che è così diventato l’unico “gas nocivo” riconosciuto e certificato,
(oltre che merce da trattare nei nuovi mercati dei “diritti all’inquinamento”). Non a caso, il bombardamento “terroristico” sui “Cambiamenti climatici” serve
alla presidente di Confindustria per chiedere una nuova politica energetica che riparta dal
nucleare, “unico modo per coniugare
politica energetica con riduzione dei costi e cambiamenti climatici
”. Ma il fatto peggiore è che questo catastrofismo
“confindustriale”
, che viene imposto in tutte le salse, copre e
fa trascurare la drammatica crescita degli inquinanti direttamente nocivi per
gli esseri viventi, compreso gli esseri umani: dagli inquinanti organici persistenti,
diossine e policlorofenili-PCB; ai metalli
pesanti
, anch’essi persistenti, cancerogeni riconosciuti, teratogeni o estremamente
tossici; alle polveri ultrafini (PM0,1 ed inferiori) che non vengono nemmeno
misurate; e, collegati a questo, la crescita altrettanto allarmante, dei
tumori, anche nei bambini e negli adolescenti; delle malattie degenerative
negli anziani, delle malformazioni nei neonati, della sterilità negli adulti. Esistono numerosi dati scientifici
che stanno dimostrando una correlazione diretta e di ampio raggio, prima
impensata, tra queste malattie e gli inquinanti
ambientali
prima citati che andrebbero da subito eliminati o
ridotti il più possibile. Tutto questo viene ignorato dagli apparati culturali dominanti, anche quelli
“ambientalisti” come pure, a maggior ragione, dai politici governativi che si
dotano di tecnici compiacenti, “ancien régime”, meglio se con comuni interessi
economici e di “affari”.

Non si evidenziano, o si nascondono, dati scientifici sempre più solidi ed
evidenti che correlano la salute con l’inquinamento da alcuni inquinanti
specifici, in ben studiate campagne
di disinformazione
e manipolazione mediatica. Una mano a questa manipolazione viene anche data da ben costruiti “eroi
anticamorristi”, che focalizzano l’attenzione sulla sola malavita locale,
guardandosi bene di evidenziare le responsabilità
dei “salotti buoni” della finanza e dell’imprenditoria

vincente. Lo stesso lavoro che viene fatto anche da certi “moralisti confindustriali”,
giornalisti della “grande stampa” che denunciano molto sprechi e ruberie
pubbliche e, molto meno, o per nulla, le maggiori ruberie private. La neopresidente di Confindustria può impunemente affermare:”Bisogna tornare al rispetto delle regole. Mi
dispiace per la popolazione che sta annegando tra i rifiuti per colpa di
piccoli gruppi che stanno provocando incidenti, ma è venuto il momento che lo
Stato a Napoli riprenda il suo ruolo. C’è la necessità di sbloccare tutti gli
investimenti, dai termovalorizzatori alle ferrovie, alle autostrade che sono
stati bloccati per motivi ambientali. Non accetteremo più che piccoli gruppi in
malafede blocchino il Paese e ci condannino al declino. Certo bisognerà
dialogare con la gente parlando di compensazioni, ma poi bisognerà chiudere con
i veti
” (" il Sole 24 ore”, 5 maggio 2008) ; linea dura e
legalità, dunque, mentre solo alcuni mesi fa la Marcegaglia SpA ha petteggiato una
sanzione di 500 mila euro più 250 mila euro di confisca per una tangente di un milione 158 mila
euro pagata a Lorenzo Marzocchi di EniPower. Oltre al patteggiamento
dell'azienda, Antonio Marcegaglia, fratello di Emma, ha patteggiato 11 mesi di reclusione con sospensione della pena. Un “Sistema Paese” che per far funzionare, a ogni costo, imprese decotte, ha bisogno dei militari è forse davvero più che
“al declino”, declinato da un pezzo.

Resta però un'unica consolazione, la risoluzione dell’emergenza campana, con le
discariche, potrà rendere evidente la colossale
truffa del sistema inceneritorista
, senza il messaggio
fuorviante dei rifiuti per strada: sta ai cittadini responsabili; ai tecnici ed
ai professionisti che seguono la loro deontologia; agli imprenditori coraggiosi
che, ostacolati da tutti, hanno realizzato filiere di recupero di materia esemplari; prendersi
carico di questo compito, con la consapevolezza di essere la potenziale
maggioranza del Paese e per la sua possibile salvezza."  

 
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torna l'incubo di Genova?

Post n°73 pubblicato il 25 Maggio 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

Una collega Elisa Di Guida, docente di filosofia e storia in un liceo di Napoli ha scritto quanto segue sugli scontri tra la polizia e i cittadini di Chiaiano che giustamente stanno tutelando il loro diritto a vivere in un ambiente sano.
"Datemi voce e spazio perché sui giornali di domani non
si leggerà quello che è accaduto. Si leggerà che i manifestanti di Chiaiano
sono entrati in contatto con la polizia. Ma io ero lì. E la storia è un'altra. Alle
20 e 20 almeno 100 uomini, tra poliziotti, carabinieri e guardie di finanza
hanno caricato la gente inerme. In prima fila non solo uomini, ma donne di ogni
età e persone anziane. Cittadini tenaci ma civili - davanti agli occhi vedo
ancora le loro mani alzate - che, nel tratto estremo di via Santa Maria a Cubito,
presidiavano un incrocio. Tra le 19,05 e le 20,20 i due schieramenti si sono
solo fronteggiati. Poi la polizia, in tenuta antisommossa, ha iniziato a
caricare. La scena sembrava surreale: a guardarli dall'alto, i poliziotti
sembravano solo procedere in avanti. Ma chi era per strada ne ha apprezzato la tecnica. Calci negli stinchi, colpi alle ginocchia con la parte estrema e bassa
del manganello. I migliori strappavano orologi o braccialetti. Così, nel vano
tentativo di recuperali, c'era chi abbassava le mani e veniva trascinato a
terra per i polsi. La loro avanzata non ha risparmiato nessuno. Mi ha colpito
soprattutto la violenza contro le donne: tantissime sono state spinte a terra,
graffiate, strattonate. Dietro la plastica dei caschi, mi restano nella memoria
gli occhi indifferenti, senza battiti di ciglia dei poliziotti. Quando sono
scappata, più per la sorpresa che per la paura, trascinavano via due giovani
uomini mentre tante donne erano sull'asfalto, livide di paura e rannicchiate.
La gente urlava ma non rispondeva alla violenza, inveiva - invece - contro i
giornalisti, al sicuro sul balcone di una pizzeria, impegnati nel fotografare. Chiusa ogni via di accesso, alle 21, le camionette erano già almeno venti. Ma la gente di Chiaiano non se ne era andata. Alle 21.30, oltre 1000 persone erano ancora
in strada. La storia è questa. Datemi voce e spazio. Perché si sappia quello
che è accaduto. Lo stato di polizia e l'atmosfera violenta di questa sera
somigliano troppo a quelli dei regimi totalitaristi. Proprio quelli di cui
racconto, con orrore, ai miei studenti durante le lezioni di storia".

 
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Post N° 72

Post n°72 pubblicato il 12 Maggio 2008 da p_i_a_n_o



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i giornali italiani sono liberi?

Post n°71 pubblicato il 18 Aprile 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

Alexander Stille, scrittore e professore di giornalismo presso la Columbia University, parla in questa intervista del grado di libertà della stampa italiana.

guarda il video

 
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che sarà mai altri 5 anni di B.

Post n°70 pubblicato il 15 Aprile 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

“La maggioranza degli italiani ha deciso che vuole altri 5 anni di Berlusconi. Lo hanno deciso in vari modi: a destra votandolo, a sinistra dividendosi durante le elezioni e anche prima. E dividendosi sono riusciti a
concludere poco in due anni di governo, sono riusciti a far cadere Prodi prima
che riuscisse a combinare qualche cosa di sostanziale. La mia unica speranza e’
che questa strada ci porti da qualche parte. Continuo a credere nell’esistenza
di un disegno positivo della storia e in una saggezza dei popoli (sul lungo
periodo). Evidentemente la situazione italiana e’ talmente compromessa che solo un definitivo tzunami Berlusconi puo’ costringere a cambiare cultura. Ma e’
chiaro che questa svolta a destra la pagheremo cara. Ed e’ anche chiaro che il
Movimento si trova di fronte a un trivio. E dalla scelta che ognuno compira’
nei prossimi anni dipendera’ tutto. Le 3 alternative sono: le proteste di
piazza; i referendum; la costruzione di frammenti di vita ed economia
alternativa. Credo che queste elezioni porteranno alla radicalizzazione di una
parte del Movimento che scegliera’ la via delle proteste di piazza. Ma sono
convinto che questo portera’ soltanto a una repressione durissima. E credo che
la maggioranza schiacciante di Berlusconi tagliera’ ogni speranza di cambiare
rapidamente qualche cosa con strumenti come il referendum. Quello che abbiamo
davanti e’ un blocco di interessi monolitico, rafforzato da un risultato
elettorale plebiscitario. Non ci faranno fare nessun referendum, daranno
un’aggiustatina alle leggi che vogliamo abrogare e tanti saluti. Certo questo
non vuol dire che il V-day di Beppe Grillo non serva a niente. La denuncia
serve sempre. Ma togliamoci dalla testa che otterremo il crollo della
partitocrazia in tempi brevi. Potremo solo impegnarci in una battaglia di
contenimento degli abusi piu’ gravi. A mio parere l’unica via e’ quella della
costruzione concreta di pezzi di un mondo mgliore. La politica dei piccoli
passi concreti, dei piccoli risultati subito. Per spiegare meglio cosa intendo
mi viene in mente l’esperienza dei Micro Huertos cileni, i Micro Orti. Si tratta di una storia poco conosciuta. Una di quelle storie che alla sinistra
mammuth non interesano. Dopo il colpo di stato in Cile la sinistra fu spazzata
via. Tutti i suoi dirigenti a tutti i livelli erano fuggiti, incarcerati o
morti.  Fu allora che, in ambienti
cattolici, inizio’ a svilupparsi questo progetto di agricultura nelle favelas
intorno ai quali si raccolsero molti superstiti del Movimento. Grazie a
numerose ricerche ed esperimenti realizzati, in quegli anni si era sviluppata
una nuova idea di agricoltura intensiva su piccolissima scala, capace di
offrire rendimenti altissimi per metro quadrato. Iniziarono così l’organizzazione di corsi su come produrre il cibo per una
famiglia di 4 persone in 50 metri quadrati di orto, impiegando tecniche
incredibili di coltivazione sinergica tra diverse piante, copiata dai Maja e
dalla Biodinamica. In questo modo si aiutarono centinaia di migliaia di
famiglie cilene a sopravvivere in anni difficilssimi, si sviluppo’ il senso
della cooperazione e del valore dell’impegno individuale, e si posero quindi le
basi per una rinascita culturale del paese. E oggi il movimento dei Micro
Huertos e’ una realta’ che si e’ diffusa in tutto il Sud America, che e’
riuscita realmente a migliorare la qualita’ della vita di milioni di persone. Da
decenni sosteniamo che l’errore essenziale del movimento progressista italiano e’ stato quello di non mettere al primo posto le pratiche sociali che cambiano
la vita della gente, e di prediligere invece il teatrino della politica e la
spettacolarita’ liturgica delle proteste di piazza. Non sono i discorsi o i cortei che cambiano la testa delle persone ma i modi di
vivere. Le componenti maggioritarie del Movimento progressista italiano hanno
sempre considerato poco o nulla importanti l’informazione sessuale, la
formazione culturale, la cooperazione solidale, l’economia alternativa, i
gruppi di acquisto, il cambiamento degli stili di vita. I numeri sono chiari:
si stima che siano almeno 3 milioni in Italia gli oppositori radicali, quella
galassia che va da Beppe Grillo a Lilliput, alla Sinistra Arcobaleno e che
comprende poi una galassia di altre entita’. Di questi, quanti aderiscono a un
gruppo di acquisto? Quanti hanno consociato il loro contratto telefonico?
Quanti hanno approfittato della possibilita’ di non consumare piu’ energia
elettrica prodotta dal petrolio? Vogliamo esagerare? Diciamo 100mila persone. Si
parla sempre della necessita’ di convincere il popolo della necessita’ del
cambiamento. Ma non ci serve oggi convincere il popolo. PRIMA e’ necessario che
noi si riesca a convincere chi gia’ e’ schifato di questo mondo - ed e’ gia’
convinto che vorrebbe il cambiamento - a smetterla di limitarsi a parlare e a
partecipare ogni tanto a un corteo. Se riuscissimo a convincere il 10% di questi tre milioni di oppositori verbali
a consociare in modo rivoluzionario i loro consumi assisteremo a veri
cambiamenti. 300mila persone che comprano tutte assieme costituirebbero una
forza economica notevole e possono determinare l’esistenza di nuovi prodotti e
servizi. Ad esempio, possono farsi produrre l’auto elettrica domani mattina. A
questo punto speriamo che chi fino ad oggi si e’ illuso che la protesta di
piazza o il voto potessero cambiare questo paese si ricreda e comprenda che
abbiamo una sola possibilita’ ed e’ sui tempi lunghi. La consociazione dei consumi e’ oggi l’unico strumento in mano alle fasce piu’
deboli della popolazione per affrontare una crisi economica che sara’ spietata.
Risparmiare energia e iniziare a produrla in proprio (grazie ai finanziamenti
del solare e dell’eolico), tagliare i costi di acquisto di prodotti e servizi,
sono le uniche scelte che oggi possono portare le famiglie a un risparmio
dell’equivalente di due stipendi e mezzo all’anno lo abbiamo ripetuto fino alla
nausea. Due stipendi e mezzo, per una famiglia di lavoratori, non sono
bruscolini e sfido chiunque a dimostrare che e’ possibile un risultato, anche
lontanamente simile a questo, con altri metodi di lotta. Questo vuol dire
sviluppare l’economia alternativa! Si tratta di un grande, vitale, obiettivo. E’
la strada di Yunus e della Banca dei Poveri. Ma e’ necessario che chi vuole
un’Italia diversa inizi a consumare in modo diverso. Il nostro potere e’ nella
nostra forza come consumatori. Da anni ripetiamo la frase di Alex Zanotelli: VOTI OGNI VOLTA CHE FAI LA SPESA! E’ ora che il
Movimento progressista metta questo principio al centro della propria filosofia
e capacita’ di cambiamento.” (Jacopo Fo)

 
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malavitosi eletti in Parlamento

Post n°69 pubblicato il 12 Aprile 2008 da p_i_a_n_o
 
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Nel Parlamento che i cittadini italiani andranno ad eleggere domani entreranno 100 deputati (lo si può sapere in anticipo grazie ad una legge elettorale che non consente la scelta ai cittadini dei suoi rappresentanti, ma affida questo compito a alle segreterie dei partiti) tra condannati, prescritti, indagati e rinviati a giudizio: 56 del PDL, 18 del PD, 9 della UDC - Rosa Bianca, 8 della Lega Nord, 3 del Partito Socialista, 3 della Sinistra Arcobaleno, 2 della Destra, 1 di Aborto No Grazie.
Leggi i nomi  dei 100 deputati ed i reati per cui sono stati condannati, prescriti, indagati e rinviati a giudizio.

 
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sesso e tangenti all'università di Bari

Post n°68 pubblicato il 04 Aprile 2008 da p_i_a_n_o
 
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Massimo Del Vecchio (professore dell'Università di Bari, Facoltà di economia) sta parlando al telefono con una studentessa che deve fare il suo esame.

"Tu, ti devi aprire, ti devi aprire proprio... ti metti in una situazione
di tranquillità locale, perché se vedo che tu anziché aprirti ti copri, mi
copro anch'io... Se non ti sbottoni... io non ti posso fare niente".

Studentessa: "Professore, se lei mi dice ho la soluzione al tuo problema, io domani stesso sto qua... Io, professore, le sto dicendo tutto quello che mi viene in
mente".

D.: "Io non intendevo sbottonati in senso figurato... con che altro te lo devo
dire?"

S.: "Io, professore domani le porto i soldi"

D.: "Non intendevo nemmeno in senso economico... Va bè andiamo avanti".

E' uno stralcio dalle intercettazioni telefoniche tra professori dell’Università di Bari Facoltà di
economia, personale universitario, studenti contenuti nelle 245 pagine di
ordinanza di custodia firmata dal gip, Vito Fanizzi.

Gli investigatori intercettano una chiacchierata tra il professor Massimo Del Vecchio, che dirige l'istituto, e il bidello Giuseppe
Maurogiovanni. Parlano del professor Barile.

M.: "Guarda che questo è pezzo
di m. originale.... Si è fatto avere pure da te 150 euro... allora vuoi vedere
che lui al prossimo appello mi deve fare passare uno senza dargli una lira?....
Quello che lui ha lavorato con me, per sei anni... Vincenzo l'Andriese (ndr,
Dell'Olio, un altro degli indagati) si è fregato un sacco di soldi... A uno gli
tolse 10 milioni quando c'era la lira, dammi 10 milioni e questi li devi
passare tutti... C'è una differenza con te, con lui ho tremato, tremavo... E
ora lui se ne esce con trecento euro? Sai per lui cosa sono, una cacata per
pulirsi il sedere".
Del
Vecchio parla con Nichiforso Baldacci, l'uomo che dovrebbe portare studenti
greci nel suo istituto privato con la promessa di vantaggi durante gli esami. B.:
"Allora, 2.500 per l'esame di matematica". D.: "Va bene... Poi
per le altre materie mille euro soltanto. A parte diritto commerciale, quello
facciamo mille e cinquecento... Penso che sia buono... giusto?" B.:
"E inglese, per esempio, quando uno vuole dare tutti e due?" D.:
"1.500 tutto, primo inglese e secondo".
Il
professor Antonio De Feo, il docente di diritto del Lavoro, campione della Bari
bene e anche lui indagato, sta tenendo un esame. Il figlio gli manda un sms,
chiedendo informazioni su una sua amica. "Come va?" "Zero
assoluto oltre a essere cretina". La ragazza sarà promossa con la
votazione di 26/30.
Sempre De
Feo ha ricoperto anche il ruolo di presidente di commissione per gli esami da
avvocato. "Un'altra conversazione ambientale evidenzia - scrive il gip -
come abbia utilizzato la scorretta gestione della propria funzione per fini
elettorali. Aveva cioè bisogno di tutti i soggetti che avevano fatto gli esami
con lui personalmente (che lui stesso definiva "raccomandati") in
modo da poter poi loro inviare lettere di sollecitazione ad appoggiare Fitto
(ndr, ex governatore del centrodestra, poi parlamentare di Forza Italia), in
quel periodo impegnato nella campagna elettorale".
D.:
"Quell'elenco.... Devi fare una cartellina.... devi scrivere esami
avvocati". Segretaria: "In chi senso?" D.: "Perché questi
poi farò una lettera se appoggiamo Fitto e così via capito?" S:
"Ok". D.: "Quello che hanno fatto gli esami con me....
personalmente... i raccomandati".

 
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una soluzione nonviolenta in Tibet

Post n°67 pubblicato il 25 Marzo 2008 da p_i_a_n_o
 
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Per ipotizzare una possibile trasformazione nonviolenta del conflitto tra Cina e Tibet, possiamo partire dai "cinque punti" che Galtung ha individuato come essenziali nell'esperienza delle lotte gandhiane.

  • Non temere mai il dialogo. E' quanto va dicendo e cercando da tempo il Dalai Lama, con grande pazienza e tenacia, anche se la controparte sinora si e' negata. La disponibilita' al dialogo non e' mai qualcosa di semplice e scontato e quando non c'e' va sostenuta da parti esterne. La richiesta di dialogo e' sostenuta da tempo dai piu' autorevoli studiosi e un invito al dialogo e' rivolto esplicitamente nella "Lettera al governo cinese in 12 punti sulla situazione in Tibet", sottoscritta in questi giorni da diversi intellettuali cinesi, tra cui il noto dissidente Wang Lixiong.
    Questo e' pertanto uno degli obiettivi fondamentali che il movimento internazionale della pace e tutte le forze politiche e religiose interessate alla questione, debbono proporsi: continuare a premere sul governo cinese affinche' accetti di avviare un dialogo con la controparte tibetana.
  • Non temere mai il conflitto: e' un'opportunita' piuttosto che un
    pericolo. Il conflitto in Tibet esiste e non puo' essere nascosto sotto la cenere, dove anzi rischia di covare sino a nuove esplosioni di violenza.
  • Impara la storia, o sarai destinato a ripeterla. Come tutte le vicende storiche, anche quella del Tibet e' controversa e alcuni punti sono tuttora oscuri. I punti piu' controversi riguardano la natura dello stato teocratico tibetano, prima dell'invasione cinese, che aveva creato una condizione di gravissimo sfruttamento della popolazione contadina piu' povera, e il ruolo che ampi settori della popolazione ebbero durante l'invasione e nel successivo periodo della rivoluzione culturale, schierandosi a favore dei cinesi.
  • Immagina il futuro, o non ci arriverai mai. Nonostante alcuni indubbi miglioramenti nel livello di vita dei tibetani, la politica cinese non e' riuscita a conquistarne il consenso. A piu' riprese, ciclicamente, sono esplose forti contestazioni. Il tentativo di sradicare il sentimento religioso profondamente presente nella popolazione, insieme alla demonizzazione del Dalai Lama hanno sortito effetti contrari. A tutt'oggi, la proposta piu' significativa per il futuro delle relazioni tra Cina e Tibet e' quella, gia' citata, avanzata da Transcend (Johan Galtung, "Il conflitto tra Cina e Tibet: una prospettiva di
    soluzione", "Azione Nonviolenta", novembre 2004) che prevede una federazione che comprenda anche le altre regioni oggetto di conflitto (Taiwan, Xinjang, Mongolia interna, Hong Kong), ognuna delle quali godrebbe di una ampia

    autonomia. Per facilitare la possibilita' di giungere a questa soluzione, e' necessario agire con determinazione e cautela, evitando di creare ostilita' preconcette e arroccamenti da parte cinese.
  • Mentre combatti contro l'occupazione, pulisci anche casa tua! Cosi' come Gandhi lotto' contro il sistema castale indiano e contro la discriminazione delle donne, anche i tibetani debbono riconoscere che "il lamaismo fu brutale e che la Cina ha anche aspetti positivi" (Galtung). Per quanto riguarda la politica internazionale, non ci si puo' certo aspettare che siano gli Usa a richiedere il rispetto dei diritti umani e il dialogo in Cina, visto quanto stanno facendo in varie parti del mondo e soprattutto in Iraq. E' semplicemente scandaloso che si punti il dito contro la Cina, quando
    gli Usa hanno invaso l'Iraq con motivazioni pretestuose e false e hanno provocato la morte di un milione di iracheni. La "pulizia in Occidente" e' condizione necessaria per poter esigere che anche la Cina faccia altrettanto.
    La lotta nonviolenta richiede pazienza, determinazione e molta coerenza per trasformare il conflitto, ovvero trasformare attori, strutture, culture. Non ci sono facili scorciatoie e cosi' come la lotta in India e' durata oltre mezzo secolo e in Sudafrica oltre un secolo, non ci si puo' aspettare che nel caso del Tibet si riesca a proceder molto piu' speditamente. La trasformazione investe non solo il Tibet, ma un paese di oltre un miliardo di persone, appena uscito da una storia difficile e complessa. Sta anche a noi favorire questa transizione esplicitando sempre piu' cosa intendiamo per cultura della nonviolenza e inventando man mano "strutture internazionali nonviolente". Un cammino ancora lungo e impervio, ma possibile e indispensabile. (Nanni Salio)

 
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le torture in Italia

Post n°66 pubblicato il 20 Marzo 2008 da p_i_a_n_o
 
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Nei giorni scorsi Giuseppe D'Avanzo ha pubblicato una inchiesta su quello che è accaduto a Genova nel 2001 nella caserma di Bolzaneto dove molti giovani che si trovavano a Genova in occasione dell'incontro del G8 sono stati torturati da esponenti delle "forze dell'ordine" italiani. ' Nei giorni scorsi, nel processo che si sta celebrando a Genova, il pubblico ministero ha chiesto la condanna a 76 anni complessivi
per i 44 imputati nel processo per le torture della caserma di Bolzaneto. Probabilmente non si arriverà alla condanna perchè interverrà la prescrizione (che scatterà, per tutti i capi d'imputazione, nel 2009) e l'indulto (per le eventuali condanne a pene inferiori a tre anni).
Alcune testimonianze di giovani che hanno subito torture.
Una studentessa prelevata da un bar: " Questo poliziotto mi ha subito strappato la macchina fotografica, l'ha lanciata in aria e me l'ha spaccata sul marciapiede. Poi mi ha messo con la faccia al muro, e mi ha detto: se stai ferma non ti facciamo niente. Intanto sentivo urla da dentro il locale, perchè continuavano a
prendere ragazzi, così, cioè, a caso. I più vicini all'entrata venivano
presi.
A quel punto un altro agente mi ha preso da dietro, dal braccio, e mi ha lanciata proprio verso un cordone di poliziotti, e lì hanno cominciato a picchiarmi. Mi hanno picchiato finché non mi hanno buttato in terra, uno mi è saltato sulla schiena, mi ha bloccato la schiena col ginocchio, e ha cominciato a dirmi "cosa ci fai qui, ragazzina, lo vedi che non lo sai cos'è la globalizzazione?", e intanto un altro mi schiacciava la mano con lo scarpone; e dietro questi altri poliziotti che mi dicevano "puttana comunista", "troia comunista", "te lo facciamo vedere noi cos'è la globalizzazione", e continuavano a insultarmi [...] Quando
hanno visto che nel mio zaino c'erano gli obbiettivi della macchina
fotografica e i rullini, uno di questi agenti ha detto "ah, eri a fare le fotografie... questi poi te li caccio tutti su per il culo". [...] Io, insomma, ero scioccata. Non ci potevo credere che mi stavano arrestando [...]Ci
hanno portato allo Star Hotel, e lì c'erano tantissimi poliziotti,
anche delle donne in borghese. Per cui io mi sono fidata, diciamo, del
fatto che c'erano delle donne e ho chiesto aiuto a loro, gli ho detto
"ma io non ho fatto niente! ero dentro un bar, dentro un bagno", e
quando uno di questi agenti, che era un capo evidentemente, perchè era
in borghese e tutti lo trattavano insomma come se fosse un capo della
polizia, ha sentito che io dicevo che ero in un bagno, ha detto "eri in bagno a fare i pompini?", e un altro dietro ha detto "e dopo ce li fai vedere".
Io a quel punto ho capito che non avevo nessuna possibilità di spiegare
quali erano le mie motivazioni, era una situazione abbastanza irreale
[...]A Bolzaneto, poi, ho
attraversato un corridoio di agenti, che si erano messi ai due lati,
erano vestiti di verde, erano della polizia penitenziaria. E mentre
siamo passati ci hanno picchiati, ci davano botte sulla testa per farcela tenere bassa., di modo che non li guardassimo in faccia; e poi allungavano le gambe per farci cascare. Mi hanno portato fino in fondo al corridoio , dove c'era la cella delle donne. [...] E poi stavano sempre sul cancelletto che dava sul corridoio, ed era una minaccia continua, ripetuta per ore. Venivano e dicevano "sono
morti tre dei nostri agenti, invece di voi ne è morto uno solo, e
quindi dobbiamo far pari, entro stasera qualcuno di voi dovrà morire"
, oppure alla nostra cella, quella delle donne, le minacce erano soprattutto di tipo sessuale, "tanto entro stasera vi scoperemo tutte". Venivano e ci sceglievano, soprattutto i ragazzi più giovani [...] "io mi prendo quella, te prenditi quell'altra". Poi quand'è diventato più buio si mettevano anche alla finestra e facevano sempre questa scelta su chi avrebbero violentato [...] Ci
hanno ordinato di stare con la faccia al muro, con la testa bassa, e lì
vedevo con la coda dell'occhio che venivano messi altri ragazzi via via
sempre in qusta posizione nel corridoio. A un certo punto, quando
eravamo abbastanza, ci hanno ordinato di metterci in fila indiana, e ci hanno ordinato di alzare il braccio destro, a fare un saluto romano praticamente. Ci hanno fatto camminare lungo il corridoio, così, come proprio dei burattini. E ci dicevano "guarda come sono belli ora questi sporchi comunisti, guarda come va meglio adesso". Lì proprio a me sembrava di essere in un incubo."
Uno psicologo prelevato dalle forze dell'ordine: "
Sono stato fatto mettere con la faccia verso il muro, a gambe larghe e braccia alzate sopra la testa [...] C'era un clima di efferatezza,
da lì in avanti per diverse ore, hanno continuato ad entrare in questa
stanza persone di vario tipo [..] e che usavano violenza nei confronti
di tutti i detenuti, che ovviamente si trovavano nella situazione anche
di
non riuscire a vedere quando poteva arrivare un colpo, e da chi. Sentivo colpi sordi intorno a me, inferti agli altri detenuti; a me sono arrivati colpi e botte al torace, ho ricevuto un calcio nei testicoli, è stata fatta sbattere la testa contro un muro
, come per invitarmi ad assumere una posizione più confacente alle richieste di queste persone [...] Una cosa mi ha veramente agghiacciato. Il fatto che alcuni di questi personagi avessere intonato un motivetto che diceva "1-2-3, viva Pinochet; 4-5-6, morte agli ebrei; 7-8-9, il negretto non commuove", e la canzoncina si concludeva con "Sieg Heil, apartheid".

 

 
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il programma dei cittadini

Post n°65 pubblicato il 17 Marzo 2008 da p_i_a_n_o
 
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In questi giorni in cui assistiamo al teatrino delle dichiarazioni dei vari candidati al governo del Paese, è interessante il seguente documento di Cittadinanzattiva, movimento nazionale di partecipazione civica, che adottando il punto di vista del cittadino comune, evidenzia le priorità della situazione italiana.
1. RIUNIFICARE IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
I programmi degli schieramenti tacciono sul principale pilastro del nostro welfare. E’ un fatto
particolarmente grave se si pensa che dai nostri dati emergono ormai in modo
allarmante la frantumazione del sistema sanitario nelle diverse regioni
italiane e la conseguente disparità dei diritti dei cittadini in tutto il
territorio nazionale.
Chiediamo,
pertanto, di rimettere al centro dell’interesse del nuovo Governo la questione
della sanità in Italia e, in particolare:

  • un riequilibrio dei poteri tra Ministero della Salute e Regioni e l’istituzione di
    un osservatorio sul federalismo (con il coinvolgimento delle organizzazioni
    civiche) affinché venga nuovamente assicurata l’uniformità di trattamento dei
    cittadini italiani;
  • il potenziamento dei controlli sull’effettiva erogazione dei Livelli essenziali di
    assistenza;
  • l’adozione della Carta europea dei diritti del
    malato
    da parte del Parlamento, dei consigli regionali e degli
    ordini professionali;
  • la partecipazione dei cittadini alla valutazione delle
    strutture, dei dirigenti e dei professionisti, e alla formazione dei programmi
    regionali e aziendali, in obbedienza alle norme;
  • l’apertura ai cittadini della Conferenza
    Stato-Regioni, che definisce le risorse finanziarie da destinare al fondo
    sanitario nazionale e i criteri di ripartizione;
  • la riduzione dei tempi di attesa per le prestazioni di diagnostica strumentale,
    specialistica e per gli interventi chirurgici, attraverso l’applicazione
    uniforme della normativa nazionale che prevede tempi massimi per prestazioni,
    divieto del blocco delle prenotazioni e l’attesa di sole 72 ore per le urgenze
    differibili;
  • la facilitazione dell’accesso al servizio in tutta Italia attraverso la
    diffusione dei Centri Unici di Prenotazione al livello regionale, come è già
    accaduto ad esempio nella regione Lazio
2. VALUTARE LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La lentezza, l’improduttività e l’inefficienza dell’amministrazione pubblica
italiana rappresentano ormai, nella percezione di tutti, il principale ostacolo
allo sviluppo del Paese. Cittadini e imprese sono costretti a fare ogni giorno
i conti con un sistema burocratico che ne mortifica la libertà di fare e che
non è in grado di offrire servizi di qualità nel rispetto dei diritti degli
utenti. Occorre mettere in pratica meccanismi di valutazione del lavoro degli
operatori (siano essi dirigenti o impiegati) e della qualità dei servizi
offerti.
Chiediamo, per questo:
  • il funzionamento effettivo dei nuclei di valutazione della pubblica
    amministrazione fuori dalle logiche corporative e clientelari e la loro
    apertura alla partecipazione delle rappresentanze dei cittadini organizzati;
  • l’istituzione di una Authority per la valutazione del pubblico impiego che favorisca un
    miglioramento complessivo della qualità dell’azione amministrativa con il
    permanente coinvolgimento degli utenti;
  • un impegno convinto del prossimo governo e di tutte le amministrazioni competenti
    per la piena attuazione dell’art.2, comma 461 della legge Finanziaria 2008 che
    – in attesa della tanto auspicata e attesa liberalizzazione del mercato -
    rinnova profondamente la governance dei servizi pubblici locali con la
    consultazione obbligatoria delle associazioni dei consumatori e la valutazione
    civica della qualità dei servizi;
  • il riconoscimento generalizzato del
    diritto di accesso agli atti amministrativi, senza che sia necessario
    dimostrare l’esistenza di uno specifico interesse
    ;
  • l’applicazione delle leggi sull’autocertificazione
    e sulla semplificazione,
    e una particolare attenzione agli adempimenti
    amministrativi per le persone con disabilità, con la rimozione dei responsabili
    di violazioni di tali leggi, l’istituzione di sanzioni economiche nei confronti
    delle amministrazioni inadempienti, la destinazione dei fondi così acquisiti a
    sostegno di campagne di informazione civica;
3. FAVORIRE LA CITTADINANZA ATTIVA
Nessuna delle forze politiche che si candida alla guida
del paese ha scelto di prendere sul serio i cittadini attivi. Viceversa, siamo
convinti che la democrazia italiana abbia un enorme bisogno di riconoscere
nella propria cittadinanza una risorsa strategica per la soluzione dei problemi
di interesse generale. Sono ancora tutte da realizzare le potenzialità dell’art.118, ultimo comma della Costituzione.
Per questo chiediamo:
  • il riconoscimento della rilevanza delle organizzazioni dei cittadini in tutti quei
    luoghi nei quali il loro contributo è decisivo per competenza, esperienza e
    qualità, superando finalmente gli schemi ormai antiquati e corporativi della
    rappresentanza tradizionale da tempo in crisi;
  • la ridefinizione dei criteri di rilevanza delle organizzazioni civiche a tutti i
    livelli di partecipazione;
  • l’apertura di alcuni istituti già funzionanti come l’ufficio del difensore civico o le
    agenzie per i servizi pubblici locali alla partecipazione dei cittadini;
  • l’attribuzione in modo automatico di una quota obbligatoria dei fondi dell’Antitrust alle
    associazioni dei consumatori per evitare delle forme di dipendenza dalla
    discrezionalità del potere politico;
  • l’eliminazione del tetto massimo fissato dal governo sui fondi destinati alle onlus dalla
    disciplina del 5xmille. Questo tetto si configura come una vera e propria
    truffa sia nei confronti dei contribuenti che indirizzano consapevolmente i
    propri fondi a fini di interesse generale che nei confronti di quelle onlus che
    vengono individuate come destinatarie di queste risorse;
  • l’aumento dei fondi e il potenziamento delle campagne di informazione per la promozione
    del servizio civile nazionale come uno degli strumenti privilegiati per
    l’attuazione diffusa della sussidiarietà orizzontale e come occasione
    permanente di formazione alla cittadinanza attiva per le nuove generazioni;
  • il
    rinnovato sostegno ai progetti per le politiche giovanili avviate da questo
    governo per la diffusione della cultura della cittadinanza attiva tra i
    giovani.
4. SUPERARE LE LOGICHE DELLA CASTA
In questi anni è emerso un profondo movimento di protesta
nei confronti della ‘casta’ ovvero di una classe dirigente
politico-amministrativa che occupa in maniera omnipervasiva tutti gli spazi
della sfera pubblica. La definizione delle liste per la campagna elettorale,
però, non soltanto ha confermato tutti i limiti della legge elettorale vigente,
ma ha confermato che il problema del ricambio non è stato per nulla affrontato.
Per questo chiediamo:
  • la celebrazione del referendum per la modifica della legge elettorale richiesto
    nel 2007 da più di 800mila cittadini il cui desiderio di cambiamento è rimasto
    perlopiù inascoltato;
  • un sistema elettorale maggioritario che
    rafforzi il legame diretto fra eletti ed elettori
    ;
  • l’affermazione
    del metodo delle primarie per la selezione dei candidati alle competizioni
    elettorali tramite la riforma dell’articolo 49 della Costituzione che
    disciplina la vita democratica dei partiti politici;
  • la sottrazione delle nomine dei dirigenti delle Asl allo scambio
    politico-clientelare, la definizione di criteri di merito professionale e di
    competenza manageriale per la individuazione dei dirigenti e la redazione di un
    albo unico nazionale di questi soggetti dal quale attingere per l’attribuzione
    dell’incarico;
  • la partecipazione a una riforma della Costituzione, di cui il paese ha urgenza e
    necessità, attraverso il percorso avviato da un’Assemblea costituente, aperta
    alle realtà della cittadinanza attiva, e concluso da un referendum
    confermativo;
  • la riduzione delle dimensioni e dei costi delle assemblee elettive, soprattutto ai
    livelli nazionale e regionale, con una adeguata presenza delle donne;
  • l’abolizione delle province e delle comunità montane;
  • una più significativa e generale azione di riduzione dei costi della politica.
5.
RESTITUIRE LEGALITA’ E SICUREZZA AI CITTADINI
Alcuni dei problemi che assillano il paese – come per es.:
il divario tra nord e sud del paese, la disoccupazione, la vergogna dei rifiuti
non smaltiti, le condizioni di obiettiva insicurezza, la mancanza di
competitività del sistema Italia – potranno risolversi soltanto ristabilendo
delle condizioni generali di legalità e rafforzando le misure contro la
criminalità organizzata e i suoi rapporti con la politica.
Per questo chiediamo:
  • l’aumento dei fondi e il rafforzamento dei poteri dell’Alto Commissario per la lotta alla
    corruzione, con il riconoscimento della sua indipendenza dall’Esecutivo e con
    l’apertura della sua azione ai contributi della cittadinanza attiva che sul
    territorio si occupa di contrastare questi fenomeni;
  • la piena attuazione della legge sulla confisca e
    l’uso sociale dei beni dei colpevoli di corruzione
    allo scopo di intensificare la
    lotta alla corruzione, recuperare il maltolto e rimetterlo nella disponibilità
    dei cittadini per obiettivi di interesse generale;
  • l’estensione del reato di voto di scambio - oltre che alla dazione di risorse economiche - a
    tutte quelle altre ‘utilità’ che sono sommerse ma non meno gravi, pericolose e
    pervasive;
  • l’uso delle segnalazioni e della competenza dei cittadini per intervenire
    sull’intreccio affaristico-politico-mafioso che si è realizzato in alcune Asl
    (come per es. in Calabria e nel Lazio) con conseguenze gravissime sulla qualità
    del servizio e sulla stessa vita delle persone;
  • il ripristino delle condizioni minime di legalità in Campania contro la vergogna
    che in questi mesi sta mettendo in ginocchio l’economia della regione
  • la realizzazione di un sistema adeguato per la gestione dei rifiuti e
    l’incentivazione della raccolta differenziata con il coinvolgimento attivo
    della popolazione;
  • l’adozione obbligatoria della valutazione ambientale strategica, nell’ambito dei processi
    di programmazione partecipata, in tema di energia, rifiuti e ambiente;
  • la predisposizione e l’attuazione di programmi quinquennali di intervento per
    mettere a norma tutti gli edifici scolastici;
  • la messa in sicurezza di tutti gli edifici che, in generale, possono determinare
    situazioni di estremo pericolo per la popolazione, anche per evitare tragedie
    come quelle di Gravina di Puglia.
6. FAR FUNZIONARE IL SERVIZIO GIUSTIZIA
Il sistema giudiziario raggiunge
livelli di inadeguatezza intollerabili per un paese civile e si piazza agli
ultimi posti in Europa. Vogliamo rimettere finalmente al centro
dell’amministrazione della giustizia il diritto del cittadino ad avere
informazioni certe e processi celeri e a non subire comportamenti arbitrari.
Vogliamo, insomma, che la giustizia abbia i requisiti normali di un servizio di
pubblica utilità.
Per questo chiediamo:
  • l’approvazione di una legge che aumenti i fondi per il funzionamento della giustizia,
    utilizzando le risorse provenienti dalle confische, dia nuovo impulso
    all’informatizzazione degli uffici, istituisca un ufficio per la raccolta e la
    destinazione di questi fondi presso il Ministero della Giustizia e imponga
    l’obbligo di comunicazione e di rendicontazione dell’uso delle risorse stesse;
  • lo storno di una quota parte di queste risorse alle vittime dei reati;
  • in generale, l’introduzione di garanzie per la tutela delle vittime dei reati e per impedirne la
    marginalizzazione nei processi;
  • la sospensione del ricorso alla prescrizione per
    tutta la durata del processo penale analogamente a quanto avviene in ambito
    civile;
  • l’adozione con legge della Carta dei diritti
    del cittadino nella giustizia
    ;
  • il riconoscimento e lo sviluppo delle nuove forme di tutela e di
    conciliazione previste, da attuare e
    diffondere insieme con le organizzazioni civiche;
  • l’introduzione degli Uffici Relazioni con il Pubblico
    nei Tribunali e
    di un sistema di valutazione della qualità del servizio
    giustizia e degli operatori che veda finalmente coinvolti i cittadini.

 
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il controllo dei voti

Post n°64 pubblicato il 15 Marzo 2008 da p_i_a_n_o
 
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“ Nessuno vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali" e ancor più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l´equivalente di cinque manovre finanziarie. Il titolo "La mafia s.p.a. è la più grande impresa italiana" fece il
giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha
parlato ancora. E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere
dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro
significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a
realizzare opere pubbliche. Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se
non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro.
Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i
schieramenti. Non c´è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di
scambio, un´arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo
decenni ricompare persino l´emigrazione verso l´estero. E´ cosa risaputa ma che
nessuno osa affrontare. Quando ero ragazzino il voto di scambio era più
redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a
scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato
venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due
mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la
novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare
la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano
un lavoro a tempo determinato. Alle ultime elezioni il valore del voto era
sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l´imprenditore sindaco
di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra
di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria.
Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione
che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente
proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.Mai
come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli
italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica.
Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi,
mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende
che possa rigenerarsi nell´arco di una campagna elettorale. Ma nel vuoto di
potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono
poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E´ una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti
per infiltrazione mafiosa? O dove dal ´92 a oggi, le organizzazioni hanno
ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole essere davvero nuovo,
il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non
scenda a compromessi per paura di perdere. Il governo Prodi è caduto in terra
di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del
piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l´inserimento nelle liste di
una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all´opinione pubblica, ma che
negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica
amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso
al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo
fallimento nella gestione dell´emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione
rappresenta solo l´esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il
cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo
scacco. Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi
assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della
Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un
boss, limitandosi a scagionarlo dall´accusa di essere lui stesso un mafioso
vero e proprio. La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese
intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani
cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori
dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci
solo di difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra
che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie
imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9
maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all´Italia
ferita dalle stragi di mafia: «Questo popolo… talmente attaccato alla vita, che
ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una
civiltà contraria, civiltà della morte… Mi rivolgo ai responsabili... Un giorno
verrà il giudizio di Dio». Parole che avrebbero dovuto crescere nelle
coscienze.È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non
compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo
connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità
di vitale autodifesa. Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di
scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo
strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non
riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria
responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire
che il chiasso delle polemiche distolga l´attenzione verso problemi che meno
fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte
concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio
avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non
permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri
ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso
promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non
accontentarci. Nel 1793 la
Costituzione francese aveva previsto il diritto
all´insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla
non sopportazione. A non svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un
cellulare o la luce pagata per qualche mese.” (Roberto Saviano)

 
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per il bene comune 

Post n°63 pubblicato il 07 Marzo 2008 da p_i_a_n_o
 
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In questo periodo prelettorale, nel panorama di programmi ed annunci dove si stenta a trovare una prospettiva di speranza per il futuro dell'Italia (alfabeto della politica italiana), varie associazioni che si ispirano alla nonnviolenza, all'ecologismo, al femminismo si sono incontrate nei giorni scorsi ed hanno elaborato il seguente documento. Interessante la proposta della Lista civica nazionale PER IL BENE COMUNE. La lista PER IL BENE COMUNE si presenterà alle prossime elezioni politiche. Per conoscere il programma clicca qui



 
RETE DI DONNE E
UOMINI PER L'ECOLOGIA,
IL FEMMINISMO E LA NONVIOLENZA
Ci siamo incontrati in molti, da tutta Italia, per dare assieme una risposta all'abisso che divide il Palazzo dalla popolazione, per uscire dalla subalternità e dal fatalismo del “non si può fare nulla” contro le continue guerre, le devastazioni ambientali, il maschilismo e
i fondamentalismi che negano la dignità di tutti gli esseri umani, le mafie e
il razzismo, le sopraffazioni e le ingiustizie.
Ci siamo detti che, sulle questioni più importanti, come: a) la partecipazione anti-Costituzionale dell'Italia alla guerra in Afghanistan; b) lo scandalo della Tav,
del Mose, dei rigassificatori e degli inceneritori, dell’incremento dissennato
del trasporto aereo e delle autostrade; c)
 la provocazione della
nuova base militare usa a Vicenza e delle testate nucleari a Ghedi ed Aviano; d)
 il razzismo,
l’informazione negata, la corruzione e le complicità con i poteri criminali
i governi di destra e di centrosinistra non hanno mostrato grandi differenze
Perciò noi, che facciamo parte dell'arcipelago di comitati,
associazioni, movimenti e persone che
non si sono stancate di lottare
contro le ingiustizie, le guerre e le
violenze (anche contro gli amici animali), il razzismo e le mafie, il
maschilismo e la devastazione delle relazioni umane e della biosfera, e ci
sforziamo di realizzare una società e una vita più amichevole
e più sana,
fuori dall’ossessione consumistica e dall’invasione dei rifiuti, in armonia con
la natura e nella difesa dei beni comuni, come nostra sorella acqua, 

abbiamo deciso
di riprendere il cammino iniziato con la nonviolenza di Aldo Capitini e Maria Montessori, il socialismo libertario di Rosa Luxemburg e Lelio Basso, l'anti-autoritarismo del '68, il femminismo
 che dagli anni 70 illumina le nostre
vite , l'ecologismo di Laura Conti e Alex Langer e del primo Arcipelago verde.

per costruire,
con un metodo basato su comunicazione, concretezza, inclusione, democrazia dal basso e rispetto reciproco:
  • una rete che colleghi e rafforzi le moltissime esperienze locali, e, partendo da esse, prepari
    anche una presenza diretta del movimento in politica
    , attraverso la costruzione di liste pulitissime, fatte
    da uomini e donne coraggiose, disinteressate, nonviolente e competenti
  • un programma che, uscendo dal “pensiero unico” di sviluppo e crescita, si basi su:
1. decrescita e ricerca del benessere nella sobrietà,
2. energia solare, risparmio e bioarchitettura
per diventare indipendenti dai combustibili fossili, dal ricatto nucleare e
dalle emissioni di gas serra e di polveri cancerogene
3. difesa della democrazia e suo ampliamento verso
i referendum locali e il potere dal basso,
4. smilitarizzazione del territorio, con
riduzione delle spese militari, abbandono di armamenti offensivi e basi usa,
nucleari e non, creazione di un corpo civile di pace europeo

5. società accogliente, solidale e aperta alle diversità
, nel rispetto delle regole di
convivenza e solidarietà, con un forte impegno per i diritti delle donne e contro la violenza su di esse; con un
particolare impegno all'educazione al genere ed al rispetto tra i generi; un
impegno alla lotta contro la violenza di genere e all'analisi di genere di ogni
progetto; apertura alle varie culture, ma né tradizioni né ideologie possono
essere usate per negare alle donne i loro diritti umani.
  • regole
    di comportamento comuni che:
1. impediscano la politica come professione e come strumento di
arricchimento
,

2. instaurino un confronto diretto sistematico tra elettori
ed eletti
,
3. pratichino il principio del 50% di presenza femminile in ogni sede
istituzionale
4. applichino la scelta della nonviolenza
anche nel linguaggio


Constatando che la precipitazione
della crisi di governo impedisce materialmente la presentazione di queste liste
alle prossime elezioni (con la
conseguenza di diverse scelte, dal
voto per “il meno peggio” di quello che i partiti di centro e di sinistra propongono,
alla disponibilità di candidarsi nella lista civica “Per il bene comune”, fino
all'astensionismo attivo)

l'assemblea ha deciso di mettere le basi per la rete
  • utilizzando anche
    a questo scopo il quotidiano telematico La
    nonviolenza in cammino”
  • aprendo la lista di discussione “Donne e uomini per
    ecologia e nonviolenza”
    con l'aiuto tecnico della rete di Lilliput
  • riconvocandosi
    subito dopo le elezioni, sabato 19
    aprile dalle ore 10 alle 17,
    ancora a
    Bologna,
    nella stessa sala sindacale della stazione ferroviaria, per
    decidere un programma, iniziative e ulteriori strumenti di lavoro comuni

 

 
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come vincere la sfida dei rifiuti

Post n°62 pubblicato il 05 Marzo 2008 da p_i_a_n_o
 
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Il problema dei rifiuti non può essere isolato dal suo contesto, cioè dalle produzioni e dai prodotti che li generano, dai modi del loro consumo. Alla luce del contesto il tema rifiuti si colloca all´interno di una contesa tra culture diverse in cui le posizioni dei contendenti si radicano entrambe nell´ambito della modernità; ma con esiti sempre più divergenti. Ritroviamo la stessa
contrapposizione tanto sulle grandi questioni dell´umanità, come guerre o
cambiamenti climatici, quanto in quelle minute della vita quotidiana – compresa
la produzione di rifiuti – il cui effetto cumulativo decide il destino del
pianeta. Da un lato abbiamo la cultura della crescita, affidata alla tecnica e
al mercato, più o meno corretto con interventi "politici", ma
anch´essi di natura tecnica; non a caso chiamati sempre più spesso
"manovre". Qui, alle aspettative sullo sviluppo tecnologico viene
affidato anche il rimedio ai "danni collaterali" prodotti dalla
tecnica: alla superiorità nella tecnologia bellica il compito di garantire
l´ordine mondiale messo in forse dalla disseminazione di armi micidiali;
all´energia nucleare, alla cattura del carbonio, all´idrogeno, il compito di
neutralizzare i cambiamenti climatici provocati dai combustibili fossili, il
cui utilizzo non deve conoscere tregua per non ostacolare la crescita.
L´assunto è semplice: la tecnologia ci ha dato il benessere; la tecnologia
rimedierà ai suoi danni collaterali. Nella vita
quotidiana la cultura della crescita è promozione del consumo per il consumo;
del consumo per mandare avanti la macchina produttiva; del consumo per
sostenere occupazione e redditi. Consumo di beni sempre più inutili mentre
miliardi di uomini mancano del minimo necessario. Il "danno
collaterale" del consumo è costituito dai rifiuti, perché tutto ciò che
viene prodotto è destinato a trasformarsi in rifiuto in un lasso di tempo
sempre più breve. Quindi, tanto vale produrre direttamente rifiuti:
l´usa-e-getta (nel cui novero rientrano tutti gli imballaggi "a
perdere") non è altro che fabbricazione di rifiuti destinati a qualche
effimera funzione per il tempo più breve possibile. Ma la
cultura della crescita ha sempre una "tecnologia" pronta per
rimediare a tutto: Per i rifiuti, prima c´era la discarica, più o meno
"controllata"; poi l´inceneritore (il sogno di "mandare in
fumo" tutto ciò che non ci serve); poi il "termovalorizzatore"
(la produzione di energia più costosa mai comparsa sulla Terra: il
termovalorizzatore manda in fumo con rendimenti energetici infimi non solo
quello che brucia, ma anche tutta l´energia consumata per produrre i materiali
che usa come combustibile e che potrebbero invece venir riciclati); infine il
"ciclo integrato" dei rifiuti, inframmettendo tra pattumiera e
inceneritore altre macchine per separare il secco dall´umido e "un
po´" di raccolta differenziata; ma non troppa; altrimenti il
termovalorizzatore si spegne. Il secondo
contendente di questa contrapposizione è la cultura della sobrietà. Non è
organizzata, né sponsorizzata, né roboante; ma in qualche modo si radica in
ciascuno di noi quando realizziamo che la rincorsa ai consumi è soprattutto una
corsa alla produzione di rifiuti che rende tutti più poveri e intasa il mondo.
Anche la cultura della sobrietà è figlia della modernità: non è frutto della
penuria, della nostalgia per il passato o di una volontà di espiazione; bensì
di saperi che ci guidano a usare le risorse in modo ragionevole. Non ha
inventato macchine volanti, ma il deltaplano, che permette di realizzare il
sogno di Icaro sfruttando i movimenti dell´aria; o la bicicletta, che
moltiplica il rendimento dello sforzo che si fa per camminare; o il trasporto
flessibile che combina velocità, comodità e risparmio di spazio, di risorse e
di energia. Non ha realizzato la fusione a freddo – la pietra filosofale che
trasformava il piombo in oro e oggi dovrebbe trasformare l´acqua in idrogeno –
ma i pannelli fotovoltaici e le pale eoliche, che possono fornire all´intero
pianeta tanta energia quanta ne basta per una vita moderna e agevole. Ma solo
in un quadro di contenimento e perequazione nell´utilizzo delle risorse. Meno
consumi producono meno rifiuti; ma a ridurre la produzione di rifiuti sarà
soprattutto quello che si consuma e il modo in cui lo si fa: le nostre scelte
di acquisto. Cioè: meno imballaggi superflui (oggi sono il 40 per cento dei
rifiuti urbani in peso e il 70-80 per cento in volume), cominciando da
bottiglie e flaconi a rendere cauzionati; meno prodotti usa-e-getta (un altro
10 per cento): l´usa-e-getta ha sostituito per una frazione di secolo prodotti
che prima si usavano fino alla consunzione; ma oggi ci sono sostituti dei
prodotti usa-e-getta che costano e inquinano meno e sono più comodi e igienici
di tutti i loro predecessori: nuovi pannolini lavabili o lavastoviglie che
evitano il ricorso a piatti e bicchieri di plastica nelle mense. Più prodotti
venduti sfusi ("alla spina"), a partire dai detersivi; meno sprechi
di avanzi alimentari, per lo più frutto di una spesa fatta senza programma,
come ricordava pochi giorni fa Carlo Petrini; più compostaggio domestico dei
rifiuti organici (ovunque si disponga di spazi adeguati, e lo può essere anche
un balcone); adozione di prodotti tecnologici modulari (computer, hi-fi,
cellulari, elettrodomestici), in modo che per adeguarli ai progressi della
tecnologia non sia necessario cambiare tutta l´attrezzatura, ma solo le
componenti logore od obsolete; una moderna regolazione e incentivazione del
mercato dell´usato, per non mandare in discarica o in fumo quello che milioni
di persone sono ancora disposte a usare. E poi, ma solo poi, raccolta
differenziata capillare porta-a-porta, responsabilizzando gli addetti perché
intrattengano un rapporto diretto con gli utenti; impianti decentrati di
compostaggio e di recupero dei materiali; incentivi agli acquisti ecologici
(green procurement) per enti pubblici e imprese, per fornire un mercato ai
materiali riciclati. Sono cose
semplici, alla portata di cittadini, enti locali e imprese grandi o piccole, ma
tanto più urgenti, anche ricorrendo a misure straordinarie, quanto maggiore è
l´emergenza rifiuti che soffoca un territorio. Intervenire alla fonte, in base
alla gerarchia delle priorità indicata oltre trent´anni fa da Ocse ed Europa:
riusare, ridurre, riciclare, e poi smaltire – "termovalorizzatore" e
discarica – solo quello che rimane. Ma se si fa tutto ciò, che cosa resta da
bruciare in un "termovalorizzatore"? Quasi niente: non l´acqua (60-70
per cento) contenuta nel residuo organico sfuggito alla raccolta differenziata;
non la carta talmente bagnata da non poter essere conferita insieme a quella
riciclabile; non il vetro e le lattine che invece di bruciare assorbono calore.
Ma neanche quel poco di plastica che ne resta dopo una buona raccolta
differenziata (che al 2012, per decisione coincidente – caso quasi unico –
degli ultimi governi sia di destra che di sinistra, dovrà raggiungere
l´obiettivo del 65 per cento). Perché la plastica è fatta con il petrolio e non
potrà più essere assimilata a una fonte di energia rinnovabile e fruire di
quegli incentivi che in passato hanno fatto ricchi i gestori degli inceneritori
– primo tra tutti quello famosissimo di Brescia – a spese dei fondi pagati da
tutti noi per promuovere l´energia del sole, del vento, dei residui dei boschi
e delle colture bioenergetiche. E allora?
Allora, anche nel campo dei rifiuti, la cultura della sobrietà ha soluzioni,
anche tecnologicamente molto sofisticate, e tutte già sperimentate, per
raggiungere risultati che la cultura della crescita non riuscirà mai a
conseguire, immobilizzata com´è in attesa di inceneritori che sarà sempre più
difficile e costoso realizzare e soprattutto far funzionare senza incentivi
(negli Stati Uniti non se ne costruiscono più da 15 anni, mentre in molte città
del Nord America la raccolta differenziata ha raggiunto il 60 per cento in poco
più di un anno). La crisi drammatica della Campania deve essere l´occasione per
un ripensamento profondo e generale su queste alternative. (Guido Viale)

 
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vivere con meno è facile, persino divertente

Post n°61 pubblicato il 24 Febbraio 2008 da p_i_a_n_o
 
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Nome Serge, cognome Latouche, nazionalità francese. Il profeta del nuovo verbo globale vive tra Parigi e una vecchia casa in pietra rimessa a posto con le sue mani sui Pirenei Orientali, sotto il Pic Canigou, l´ultimo "paracarro" prima del grande ammaraggio dei monti del Mediterraneo. Si sposta rigorosamente
in treno e spende molto del suo tempo in giro per l´Europa a organizzare le pattuglie
disperse del consumo virtuoso. Affascina, racconta, scrive pamphlet, fustiga
l´economia globalizzata e la sciagurata «teologia del Pil». Insiste,
soprattutto, sul lato «conviviale» di un´austerità intelligente.
Già in
treno, andando da lui, la diga si rompe. Appoggio un suo libro sul tavolinetto
- titolo Come resistere allo sviluppo
- e i vicini di scompartimento si avvicinano, come attirati da una calamita.
Pendolari trentenni, titolari di lavoro precario. Chiedono di dare un´occhiata,
leggono avidamente. Dentro c´è scritto che il collasso è questione di
trent´anni. Diecimila giorni, roba da conto alla rovescia. Il petrolio si
esaurisce, gli oceani si innalzano, centinaia di milioni di uomini dovranno
spostarsi, il clima impazzisce, l´aria si avvelena, la sterilità maschile
aumenta anno dopo anno. Tutto converge verso la stessa "deadline", il
2030 o giù di lì.
I
pendolari insistono, chiedono chi sia Latouche, vogliono sapere di lui, danno
inizio a una discussione. Sono bastate poche righe di quel libro a svelare la
paura sommersa più diffusa degli italiani. «Macché criminalità», dicono, «ci
parlano di zingari e rumeni per non farci riflettere seriamente su queste
cose». Hanno mangiato la foglia, ma non si accontentano di un megafono di
protesta. Cercano una guida, qualcuno capace di rassicurare e tirarli fuori dal
vicolo cieco. Chiedono soprattutto parole di buon senso.
È
esattamente ciò che trovo quando incontro il mio uomo. Colui che ho di fronte,
accanto a un piatto di stoccafisso e una bottiglia di Montepulciano d´Abruzzo,
è l´esatto contrario dell´eco-fanatico imbonitore di folle. Latouche è un tipo
semplice, tranquillo, asciutto, segaligno e robusto come un ramponiere. Il suo
volto è segnato da rughe, ha capelli grigio-ferro e l´occhio da aquilotto. È
arrivato zoppicando con un gran sorriso, appoggiato al lungo bastone che è il
suo emblema di viandante. «Che vuole, cher ami, ho le ginocchia calcificate e
le piante dei piedi consumate dal troppo camminare. Ma è giusto così…, non è
mica giusto lasciare al buon Dio un fisico in perfetta efficienza. No?».
Pensi che
abbia formule da svelare: invece spiega che basta concentrarsi sulla qualità
della vita. Dobbiamo liberare l´immaginario, reso schiavo di un feticcio
apportatore di sventure. La parola sviluppo. Basta dire ai politici che,
rinunciando alla mistica della crescita, non perderanno elettori, al contrario.
Far capire alla gente che, scegliendo la decrescita, non torneranno all´età
della pietra, ma solo a quarant´anni fa.
«I poteri
forti ci ricattano, tengono in ostaggio la nostra immaginazione. Ci dicono che
con la decrescita scenderà su di noi la tristezza di un´infinita quaresima. Non
è vero niente. Invertire la corsa ai consumi è la cosa più allegra che ci sia»
.
Questo è del resto il tema del suo prossimo libro in uscita in Italia a metà
marzo per Boringhieri: s´intitola Breve trattato sulla decrescita serena.
Latouche ce l´ha a morte anche col terrorismo mentale degli ecologisti
annunciatori di penitenza. Sorride sotto la barba: «Ah, il masochismo
protestante, il senso del dovere, i dieci comandamenti… Ma no! La sola regola è
la gioia di vivere».
Quarant´anni
fa, si diceva. Il disastro è comincia allora. È lì che si è scatenata la corsa
allo spreco. In quarant´anni il nostro impatto negativo sulla biosfera è
triplicato, e non smette di crescere. Sembra impossibile, no? In fondo, non
mangiamo il triplo, non facciamo il triplo di viaggi, non usiamo il triplo di
vestiti… Come si spiegano questi numeri da apocalisse?
Semplice.
Nella nostra vita ha fatto irruzione l´Usa e Getta, l´obsolescenza programmata
dei beni. Una follia. Il trenta per cento della carne dei supermercati va
direttamente nella spazzatura… Un´auto è vecchia dopo tre anni, un computer
peggio ancora… E se non li cambi sei "out"… Viviamo di acque minerali
che vengono da lontanissimo, in mezzo a sprechi energetici demenziali, con
l´Andalusia che mangia pomodori olandesi e l´Olanda che mangia pomodori
andalusi…
E che dire
delle bistecche, che quarant´anni fa avevano il sapore dei pascoli. Oggi sono
gonfie di mangimi alla soia, coltivata a migliaia di chilometri di distanza, in
campi ricavati dai disboscamenti dell´Amazzonia. «Una volta ero un divoratore
di carne. Oggi la mangio col contagocce. Ma non per negarmi qualcosa. Lo faccio
per divertirmi a scoprire le nuove frontiere del mangiare. Il mio amico Carlo
Petrini dice che un gastronomo non ecologista è un imbecille, e un ecologista
non gastronomo è una persona triste. Ci pensi: è verissimo».
Per i
rifiuti la regola base del benessere non cambia. «Inutile fare come i tedeschi,
per i quali la raccolta differenziata è diventata ossessione. Basta comprare
diversamente, vivendo in modo conviviale. Non c´è inceneritore che tenga… Il
miglior rifiuto è quello non prodotto… E attenzione, lo dico agli amici
italiani, l´assedio da immondizie non è una questione napoletana. È una
questione mondiale, il libro di Saviano lo dice chiaro. Gli Stati Uniti mandano
in Nigeria ottocento navi al mese di rifiuti tossici non riciclabili».
Affrontiamo
in letizia lo stocco, il pane e il vino, e il discorso di Latouche è come una
litania francescana che ti obbliga a sillabare senza paura l´abc della
rinuncia. Le e-mail, per esempio. «Scrivo spesso lettere a mano, ma non per
tornare alla candela e alla pergamena. Lo faccio per il semplice piacere di
dimostrare a me stesso che posso camminare senza le protesi artificiali imposte
dal sistema, in modo atossico. Intendo la posta elettronica, e tutto il resto.
La mia è una forma di allenamento al digiuno dalla tecnologia. Un
tecno-digiuno».
E poi la
bici. «Non la uso perché si deve, ma solo perché è bello. Se nella mia casa in
montagna pedalo chilometri ogni mattina per procurarmi i croissant per la
colazione, significa che mi fa vivere meglio, punto e basta. Incontro persone,
parlo, imparo, e la giornata comincia col piede giusto. Ivan Illich, grande
fustigatore dello spreco, diceva che questo mondo ad alto consumo di energia è,
inevitabilmente, un mondo a bassa comunicazione fra uomini. Ecco, la bici è il
simbolo del contrario. Una vita a bassa energia genera alta comunicazione».
Non
parliamo dei telefonini. «Potrei dire che fanno male, che per costruirli si usa
un minerale rarissimo e altamente tossico; o che dietro a ogni cellulare c´è il
sangue delle guerre tribali fomentate dall´Occidente in posti come il Congo.
Invece dico solo questo: senza telefonini si vive meglio. L´ansia cala.
L´allegria aumenta. Non hai più il Grande Fratello che ti sorveglia. Uno lo
capisce anche senza sapere niente di economia e scomodare la geopolitica».
Sviluppo:
l´imbroglio è contenuto già nella parola. Nasconde lo sfruttamento e la rapina;
lo sradicamento in massa di individui, la morte delle diversità, l´evidenza di
un´umanità apatica, infelice, obesa, precaria, insicura e, a ben guardare, anche
più povera. «L´idea di sviluppo resiste ostinatamente all´evidenza del suo
fallimento. Per questo ha smesso da tempo di essere una cosa scientifica. È
diventato mistica, mitologia, religione. Un feticcio imbroglione che
anestetizza le sue vittime. Il vero oppio dei popoli».
Ci dicono
che per uscire dalla crisi economica dobbiamo lavorare di più. Diventare
cinesi. Che la Cina
vada al disastro e affoghi nell´inquinamento, sono obiezioni irrilevanti. Si va
avanti lo stesso. «È da questa cecità che dobbiamo liberarci», dice il
francese. Sì, ma allora qual è il modello giusto? «Anni fa ho incontrato un
contadino laotiano. Stava seduto sul bordo di un campo e non faceva nulla. Gli
ho chiesto: che fai? Ha risposto: ascolto il riso che cresce. J´écoute le riz pousser.
Ritroviamo il piacere della vita, prima dell´ansia di fare».
È così
ovvio: una società che ha come solo scopo lo sviluppo economico è come un
individuo che vuole solo essere obeso. Eppure la gente ha lo stesso paura di
cambiare, teme di perdere il benessere. «Qui gli allarmi degli ultimi decenni,
cose come Chernobyl o l´epidemia di mucca pazza, sono stati utilissimi. Hanno
posto interrogativi alla gente. Fanno il gioco del partito della decrescita.
Per questo, più che immaginare La Grande Catastrofe Finale, preferisco costruire
una pedagogia delle piccole catastrofi intermedie. Non c´è niente di meglio per
far capire alla gente l´apocalisse che verrà».
E la
lentezza? «La guerra della Valsusa contro la linea ferroviaria ad alta velocità
è sacrosanta ed è stata un pilastro nella storia del partito della decrescita.
Era il dicembre del 2005, trentamila persone si erano schierate sotto la neve
contro i bulldozer e io ero in tv, a L´Infedele di Lerner, a commentare in
diretta. Ecco, proprio allora si è creata la saldatura tra quella battaglia
concreta e la teoria della decrescita. È lì che i movimenti sono usciti dalla
foresta e hanno cominciato a saldarsi tra loro. Quello anti-Tav, quello contro
il megaponte di Messina o la centrale di Civitavecchia».
Latouche
ne è certo: i poteri forti temono la pubblica opinione. Per questo ci tengono
all´oscuro. Nell´Unione Europea hanno bloccato tutti i referendum sulle grandi
opere e gli ogm, perché sanno benissimo che la gente voterebbe contro, come è
successo in Svizzera. José Bové ha dovuto fare lo sciopero della fame perché il
governo francese, per timore di reazioni popolari, mantenesse la promessa
moratoria sugli organismi geneticamente modificati. «Se un politico andasse in
tv e dicesse: signori, stiamo viaggiando su un treno senza conducente, da
domani dobbiamo cambiar vita… Se quel politico desse nuove regole di
comportamento virtuoso alla nazione, non ho dubbi che sarebbe ucciso nel giro
di una settimana».
È un segno
di paura. Per questo l´economia globale accelera invece di rallentare. Per
questo le immondizie diventano montagne, il fossato fra ricchi e poveri si
allarga, le banlieues si incendiano. Per questo la corsa alle ultime risorse
diventa rapina, guerra, e il sistema entra nel tunnel dell´assurdo. «Assurdistan»
lo chiamava Illich. E poiché paura e consumi aumentano in parallelo, ecco che
la costruzione di un partito della decrescita diventa una gara di velocità, una
corsa contro il tempo.
«Quarant´anni
fa sono andato a lavorare in Africa come esperto di sviluppo. Volevo redimere
il continente dalla sua arretratezza. Ma ero anche affascinato dai popoli
africani. Studiavo appassionatamente quelle stesse culture che con l´economia
contribuivo a distruggere. È stato lì che la contraddizione mi è apparsa chiara.
Ed è stato lì che ho perso la fede. Da allora ho combattuto, sentendomi un
predicatore nel deserto. Oggi, per la prima volta, vedo che le cose stanno
cambiando. I nuclei a economia sostenibile si moltiplicano. Nelle città conosco
interi palazzi che si organizzano in modo ecosostenibile. Lo sento, ce la
faremo». (Paolo Rumiz)

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meno male che silvio c'è

Post n°60 pubblicato il 14 Febbraio 2008 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

Si è detto troppo
E anche di più
Si è usata pure la musica contro
Oggi canto anch’io
E dico che
Menomale che Silvio c’è
Non ho interessi politici
E non ho neanche immobili
Ho solo la musica
E penso che
Menomale che Silvio c’è
Ci hanno provato
scrittori e comici
Un gioco perverso
Di chi ha già perso
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
La musica suona senza colori
Ma i riferimenti sono reali
Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di crederci un po’ in questo sogno
Per questo dico che
Menomale che Silvio c’è
Per questo dico che
Menomale che Silvio c’è
Canto così
Con quella forza
Che ha solamente
Chi non conta niente
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di crederci un po’ in questo sogno
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di crederci un po’ in questo sogno
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di crederci un po’ in questo sogno
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è

 

 
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