Creato da beppe_dinverno il 22/11/2007
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E' successo 2

17/10/2011
La lotta degli indignati è appena cominciata.

9/10/2011
Il Papa è stato in Calabria. Parlando al pubblico ha invitato i cattolici ad impegnarsi di più in politica. Se è un invito a seguire le posizionidi Casini è da sottoscrivere.

21/5/2011
Benedetto XVI ha voluto parlare con gli astronauti in viaggio sopaziale. Li sapeva un po' più vicini al Signore. Chissà se li ha inidiati.

1/5/2011
Non s'è capito se oggi era la festa del lavoro o quella di Giovanni XXIII.

7/4/2011
Ieri a Milano è cominciato il processo sul sexygate meneghino. Sempre ieri, al senato è stata dicussa una legge per l'aumento dei testi  della difesa e alla camera una legge per abbreviare la prescrizione per reati commessi da incensurati.

24/3/2011
Passa il tempo, e tutto cambia: 'goblizzazione', 'più Mercato e meno Stato', 'finanza creativa' è roba vecchia'; è tempo di 'terremoto' 'contaminazione' e 'guerra'.
  
 

16/3/2011
"Ho sempre avuto vicino a me la mia fidanzatina...se avessi fatto tutto quello che dicono, mi avrebbe cavato li occhi..." (C. Tito - Il coloquio - Repubblica di oggi, p.15). 

8/3/2011
Oggi le donne festeggiano. Il popolo libico è sotto le cannonate del suo capo di governo. Il nostro Presidente del Consiglio è convalescente per un intervento chirurgico. Auguri alle donne, per maggiori spazi, al popolo libico per la libertà, al Presidente del Consiglio, per nuove idee.
 

3/3/2011
Berlusconi è un ottimo comunicatore? E' vero in parte. Il linguaggio che, spesso lo tradisce. E' il caso delle parole spese recentemente sulla scuola. Voleva dire che la scuola pubblica deve competere con quella privata. E, invece, per essere efatico, ha usato il verbo 'inculcare' (imprimere con forza), che, come s'è visto, ha prodotto una comunicazione poco felice.

 

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E' successo 1

20/2/2011
Roberto Vecchioni, un grande umanista che sa cantare, ha vinto il Festival con una nuova bella canzone. Chi sa fare una cosa, se ci si mette, sa farne anche altre 

9/2/2011
"Dobbiamo prepararci ad un futuro incerto in cui  sarà necessario un nuovo vasto spettro di attività militari per poter vincere le prossime guerre". (M. Mullen, capo degli Stati Maggiori USA)

1/2/2011
Il TG1 delle 13.30 un giornalista ha detto: non è nomale, che in un paese normale si pequisisca la sede di un giornale. Chissà che pensa per quanto accade nel nostro paese!

29/1/2011
Fortunati coloro che un tempo celebrvano il 'celodurismo' ed ora invitano ad abbassare i toni.

22/1/2011 
Oggigiorno la parola d'ordine è: 'vergogna'. Da attribuire, non al 'bunga bunga',  ma alle sue conseguenze (indagini, apprezzamenti, spiegazioni ecc.).

21/1/2011 
Se un pazzo cerca di sterminare la razza umana, e l'1% della popolazione sopravvive, l'evento, aumentando lo spazio vitale di chi resta, preserverà più a lungo l'umanità. Se un eroe blocca il pazzo, l'umanità si estinguerà prima. (W.Wells)

19/1/2011-
Qualche sera fa un noto comico di una trasmissione televisiva ha detto più o meno: smontato in televisione il teorema dei PM di Milano. Stamattina un giornale dà la stessa informazione in prima pagina.

18/1/2011 
Non so se 'milonga' e 'bunga bunga' sono locali o quello che ci si fa dentro.

17/1/2011 
Il 2012 è l'anno della fine del mondo, come previsto dai Maya? No, davvero! E' che che quel popolo antico ha fatto un clendario che si ferma all'anno che verrà. Nessuno può dire se e in che senso il mondo può finire, Essendo esso una mevigliosa infinità, il cui senso sfugge a noi che ci siamo dentro

16/1/2011 
Una news di libero reca il titolo: 'Malati? Solo agli occhi dei medici'. Non è proprio così. Ci sono tanti ottimi medici. Però è impressione diffusa che tanti di loro, al pari di altri tipi di professionasti non danno valore aggiunto al proprio delicato lavoro professionale.

15/1/2011 
Il Presidente del Consiglio è nuovamente indagato. Mi domando: ci possono essere Presidenti del Consiglio indagabili?

14/1/2011 
Notizia del TG3 locale: in una camera mortuaria della Calabria sono state 'trafugate' dentiere di cadaveri, e vendute a dentisti. L'associazione di categoria ha smentito. In qualche manifestazione pubblica sentiremo dire: 'ma la Calabria non è solo questo'.

13/1/2011
 Per legge ho dovuto ordinare l'abbattimento di due palme bellissime infettate dal 'punteruolo rosso'. Che tristezza

 

 

Un vestito...morale per la democrazia.

Post n°51 pubblicato il 01 Ottobre 2012 da beppe_dinverno

1. Gli episodi di presunto ab-uso dei fondi corrisposti ai partiti, inizialmente a titolo di rimborso di spese elettorali e poi, via via, per il normale svolgimento dell’attività politica (contatto con i cittadini) hanno prodotto un dalli all’untore che, col passar dei giorni, appare, se possibile, più disgustoso dei fatti. Dai singoli cittadini, ai partiti che ne sono stati i protagonisti, fino alle massime cariche pubbliche, tutti si dichiarano indignati per tanto ‘fango’ e tutti chiedono misure, leggi, punizioni, e quant’altro, perché il malaffare non si ripeta in futuro. Vale la pena di passare in rassegna le diverse prese di posizione e valutare se possono sortire effetti, ovvero se, come sempre, sono destinate a confondersi con il fango che dovrebbero concorrere a rimuovere, perché tutto resti come prima.

2. Le alte cariche pubbliche s'indignano affidandosi  a due parole: scandalo e vergogna.  A volte per costruirci frasi pret-a-porter, buone a blandire immediatamente la rabbia delle persone per bene: (…è uno scandalo che con le difficoltà (sic!) dei cittadini, si arrivi a situazioni di malaffare di questa portata…; …per venire a capo  di questa vergogna, votare subito la legge anticorruzione…); altre volte per esibire una loquela 'dotta', con l’unico obiettivo 'poazzare' sapientemente gli accenti tonici, di tal che la semantica sia  di solennità: (…si resta esterrefatti  di fronte ad uno scandalo di inimmaginabile dimensione, come quello cui assistiamo, quando il sentimento di rabbia dei cittadini che pagano le tasse, e sanno di non arrivare a fine mese, deve incrociare la vergogna dell’uso che la politica fa del denaro pubblico…).
In entrambi i casi non si tratta d’altro che di esercizio retorico, senza alcunché d'impegnativo. La gente coglie appena la musicalità della voce politically correct, capisce distrattamente che un politico ha rubato, ma ritiene che non le tocchi fare qualcosa per fermare lo scandalo e la vergogna: non si sente chiamata in causa. Altra cosa sarebbe, invece, se chi parla, e parla per responsabilità di carica, dicesse a chi di dovere: signori, pare che tizio, incaricato di pubblico servizio, abbia rubato; la magistratura agisca il più rapidamente possibile; se fosse vero, il ladro sia messo in galera col massimo della pena e senza attenuanti; i cittadini, la prossima volta che andranno a votare, non diano più fiducia a questo signore e al suo partito.
L’indignazione dei partiti non ha manifestazioni particolarmente apparenti. Quando con la caratteristica imperturbabilità i loro rappresentanti espongono idee nei temi più disparati, dalle tasse alla crescita, dal debito allo spread, dai matrimoni omosessuali, alle cellule staminali, al ‘modello elettorale alla tedesca’, di tanto in tanto, come res inter alios, propongono incidentali come queste: “… la nostra posizione è chiara: chi ha sbagliato deve pagare, e tutti innocenti fino al compimento del terzo grado di giudizio”. Ma non v’è chi non veda che siamo in presenza dell’assolvimento più di un dovere formale, che di un dovere morale: “si doveva dire”. Mai una parola sui motivi per cosi dire: genetici del malaffare, che sono incompetenza e cortigianeria degli adepti;  mai un’ammissione del tipo: “…in questa occasione  c’entriamo anche noi; facciamo ammenda, chiediamo scusa e diamoci da fare per le correzioni del caso…”. Si preferisce che la gente non capisca in fondo, per il timore di vedersi voltare le spalle. Senza accorgersi che la gente le spalle le ha già voltate, e Grillo e Renzi - che, in verità, non si capisce ancora da che parte vogliono andare - ne sono la prova provata.
I cittadini che dovrebbero fare la vera differenza, si indignano in un modo strano: di giorno sono in piazza a gridare che sono tutti ladri, che c’è la disoccupazione, che il costo della vita aumenta sempre di più, che “…io li metterei tutti in galera…”, che “…la prossima volta strappo la scheda elettorale…”; di sera, sono tutti a guardare la partita in televisione, come diceva il caro Indro Montanelli.
Intendo sostenere che noi cittadini, di fronte ad una crisi che morde sempre più forte, all’assenza di iniziative davvero capaci di farci sollevare un po’ la testa, alle voci di ruberie di molti esponenti politici, continuiamo beatamente a cullarci che prima o poi ci sarà qualcosa che ci porterà fuori dalla crisi e dal malaffare.

3. Ahinoi, non si intravedono, almeno per il momento, idee chiare sul che fare, la visione incoraggiante del governo appare sempre più una promozione di aspettative positive, nella speranza che siano esse ad avviare un percorso virtuoso che ci porti fuori dallo stallo, e il malaffare, se non incoraggiato, è molto tollerato e, forse, invidiato.  Al punto in cui siamo è difficile che si producano idee migliori di quelle in campo. Poiché è verosimile che non produrranno effetti di rilievo, sono del parere che, nel frattempo che si fa chiarezza su chi ha rubato e chi deve andare in galera, e nel frattempo che si crei la volontà per fare qualche distinzione fra chi ha rubato e chi no, si dia vita, anche da noi, ad un movimento che:
-  lavori su idee su come mutare il sistema politico-economico che ha prodotto insieme crisi e mascalzoni;
- inventi un papa straniero che governi, vestendo la democrazia dell’abito della moralità pubblica.  

 
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I tali agli stipendi dei magistrati.

Post n°52 pubblicato il 16 Ottobre 2012 da beppe_dinverno

1. E’ di questi giorni la notizia che la Corte Costituzionale (sentenza 223/2012) ha dichiarato incostituzionali i tagli agli stipendi dei magistrati previsti dal D.L. 78 del 2010 (Governo Berlusconi), in quanto non rispettosi del principio di equità. La bocciatura per il Governo Monti significa restituire il ‘maltolto’, che per il solo 2012 ammonta ad almeno 50 milioni.
Secondo la Corte, che ha agito per ‘questione di costituzionalità’ sollevata da alcuni TAR (Campania, Lombardia, Calabria e altri), le norme che prevedevano i tagli erano in contrasto con l’ art. 3 (tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge), l’art 53 (tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva) e tanti altri della Costituzione, che non è il caso di specificare in questa sede.

2. Come è noto le decisioni della Corte Costituzionale:
- sono atti per i quali non esiste un grado di appello;
- quando stabiliscono l’illegittimità di una norma, hanno effetto retroattivo.
Per quest’ultimo motivo, la decisione ha obbligato il Governo a restituire, col ‘maltolto’, anche gli interessi e la rivalutazione monetaria.
Nulla da dire? Non del tutto.

3. Da quando siamo alle prese con gli effetti nefasti di una crisi che sembra priva di scadenza, il Governo precedente e quello in carica stanno adottando misure a ripetizione, poco gradevoli per noi che ne siamo i destinatari. Con la legge di stabilità per il prossimo anno, che si ha vergogna di chiamare ‘manovra’, si sta pensando addirittura di tassare le indennità degli invalidi al lavoro, qualche centinaia di euro neanche sufficienti per sbarcare il lunario.
Dico, insomma, che da tempo, ormai, chi con tasse, chi con tagli, chi con blocchi salariali, tutti siamo chiamati alla cassa e, fino alla sentenza menzionata, sembrava acquisito che ciascuno dovesse rispondere in base alla propria ‘capacità contributiva’, e tutti fossimo uguali di fronte alla legge. La sentenza, invece, adesso ci dice che non è così: quando sono chiamati alla cassa, i cittadini possono rispondere secondo il posto e, dunque il peso, che hanno nella scala sociale, e pazienza se, poi, molti di noi sono meno uguali.
Mi sono chiesto in che senso i tagli agli stipendi dei magistrati configgevano con i principi costituzionali prima indicati.  E mi son preso la briga di leggere la sentenza.

4. Ed ecco alcune pillole del latinorum con il quale l’alta magistratura ha sentenziato che i tagli erano illegittimi.
- L’art. 104/1 della Costituzione sancisce che lo stipendio dei magistrati non è nelle disponibilità del parlamento e, men che meno, del governo; il contrario intaccherebbe la loro autonomia e la loro indipendenza.
- La decurtazione dell’Indennità Giudiziaria (parte integrante dello stipendio), indipendentemente dalla denominazione, è sostanzialmente un’ odiosa imposta; come tale non può essere applicata solo ai magistrati, senza ledere il principio di uguaglianza.
- Poiché il taglio era uguale per tutti (i magistrati), esso era regressivo, nel senso che colpiva di più i magistrati più giovani, che, proprio perché più giovani, lavorano in sedi disagiate.
Ma non voglio farla lunga fino a spingermi a segnalare anche le argomentazioni spese a proposito della lesione del principio  della capacità contributiva. Riferirei un tecnicismo sul quale è meglio stendere un velo pietoso.

5. Da profano, però, penso che siamo in presenza di un provvedimento sbagliato. Sul piano giuridico e sul della solidarietà sociale.
Sul piano giuridico, perché, con un latinorum di ‘sapore diverso’, la Corte avrebbe potuto stabilire, fra leggi e giurisprudenza, che i tagli sottoposti al suo esame non erano sostanzialmente tributi, ma erano sostanzialmente contributi, perché così si atteggiano nella legge (nomen iuris). Quindi erano legittimi. E, dal momento che ce n’era bisogno, erano anche opportuni ed equi; e, alla fine, sarebbero stati in linea, con un principio di capacità contributiva - e qui è  il caso di dirlo - sostanziale; chi più ha, più dovrebbe dare. E, poi, bisogna stare attenti e non far diventare il diritto ‘abuso di diritto’, che è un fenomeno che ricorre tutte le volte che si usano le leggi, per finalità contrarie alla ratio delle stesse.
Sul piano della solidarietà sociale, perché i magistrati dispongono di informazioni (giuridiche) che il resto dei cittadini non ha; quindi, di fronte alla legge, hanno più capacità di resistenza. E quando resistono ad una richiesta di contribuzione, magari interpretando leggi, la conseguenza è che, non potendo lo Stato ottenere da loro, si rivolge alle categorie deboli, che, poi, finiscono per pagare. 
Che non è il massimo della solidarietà sociale.

 

 

 
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La 'virtus' che manca.

Post n°53 pubblicato il 01 Febbraio 2013 da beppe_dinverno

1. Nella Divina Commedia - 1° canto del Purgatorio - Virgilio e Dante, appena usciti dall’Inferno, si trovano al cospetto di Catone, il famoso censore romano che, da uomo giusto, era stato messo da volontà divina a presidiare il luogo dove l’umano spirito si doveva purgare, per essere degno di passare in Paradiso. A richiesta - oggi si direbbe: di declinare le generalità - risponde Virgilio, incaricandosi non solo di esaudire la domanda, ma anche di accattivarsi le benevolenze del  vecchio. Il quale dice che in vita era stato amico di sua moglie Marzia, di averla apprezzata tanto e bla, bla, bla, bla, bla, bla. Non contento, aggiunge con una certa iattanza che se si trova li, è perché una volontà divina, in persona di una certa Beatrice, gli ha comandato di condurre il tizio in sua compagnia attraverso i regni dei defunti’, per raggiungere alla fine il Paradiso.
Di fronte a tanta autorevolezza, Catone prima pensa alla moglie e a quanto in vita l’ha amata. Poi si concentra sull’informazione evidentemente ritenuta prevalente.
- Mia moglie ormai è morta - dice - e non potrebbe farmi alcuna raccomandazione in to favore. Neanche in forma di comunicazione spirituale. “Ma se donna del ciel ti move e regge,/come tu di’, non c’è mestier lusinghe,/ bastititi ben che per lei mi richegge./Va, dunque… ecc. ecc.” Va, cioè dove devi andare.

2. Verrebbe da pensare che con i tre versi Dante volesse alludere ad una cosa simile alla  vulgata odierna che, più o meno suona così: se si hanno santi in paradiso si ha diritto ad aver via libera in tutto. Ma sarebbe un errore grossolano. Dante è stato più serio di quanto molti credono. Evidentemente con quei versi ha voluto dire che di fronte a disegni divini, e potremmo intendere oggi: volontà che ci sovrastano, che non comprendiamo, è fuor di luogo e fuorviante eccepire in senso contrario, magari solo per difendere a oltranza un punto di vista, o, in definitiva, perché pesiamo d'vere una testa sufficiente per spiegare il mondo.

Peccato che i molti che non credono alla serietà di Dante, che - detto in altri termini - significa ritenere che il maestro appartenga al passato e poco abbia a che fare col presente, in realtà non l’hanno letto, ovvero, lo hanno solo leggiucchiato per un voto sul registro.
E peccato ancora più grave commettono tutti coloro che credono di averlo letto abbastanza, tanto da poter ripeterne qualche verso, o parte di esso, a sproposito, reputandolo espressione della propria discutibile visione del mondo. Chi non scimmiotta “… libertà va cercando che ‘si cara, come sa chi per lei vita rifiuta…”, trascurando di essere immerso, e viverci bene, in una società di servi?

 3. Costoro se avessero letto Dante, cioè: studiato Dante, non sarebbero oggi in giro convinti che, solo perché riescono a mettere tre o quattro frasi in sequenza, secondo un linguaggio (della cultura, della politica, dell’economia, della filosofia), sono in grado, poi, di affrontare le sfide del sapere. Saprebbero, al contrario, che ci vuole una altra ‘virtus’, quella della dignità personale, che spesso non possiedono, per discutere al livello degli obblighi morali cui tutti siamo chiamati.

 

 
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La campagna elettorale che...corre.

Post n°54 pubblicato il 05 Febbraio 2013 da beppe_dinverno

1. La campagna elettorale, che all’apparenza sembra una sfida all’ultimo sangue, mostra, ogni giorno che passa, la sua cialtroneria. Le idee in campo sono misere, lo dimostra l'assenza di riferimenti ad una visione politica complessiva della situazione in cui versa il paese, e si riducono alla vana promessa di un impossibile generalizzato sgravio fiscale. Come se le tasse fossero davvero la causa principale dei nostri malanni, e le ruberie, la corruzione, la disoccupazione che ormai supera il 10 per cento, e quella giovanile superiore al trenta, non c’entrassero per niente; e come se la decrescita del PIL verificata per il 2012 e l’inversione di tendenza prevista per la fine di quest’anno non fossero la prima un’amara realtà e la seconda una speranza ingiustificata.

2. Il PIL può essere espresso come sommatoria delle remunerazioni dei fattori produttivi, uno dei quali è il lavoro. Se le remunerazioni del lavoro non crescono, a parità delle altre condizioni, il PIL non cresce; se diminuiscono, a causa dell’aumento della disoccupazione, il PIL diminuisce. Nei discorsi  televisivi e di strada i contendenti politici promettono che una volta al governo adotteranno misure per la crescita (del PIL). Ci dovrebbero spiegare cosa intendono fare in concreto. E dovrebbero farlo in maniera che apparisse chiara la differenza fra promesse di centro destra e promesse di centro sinistra, che sono opposte e a adistanza siderale.
Ma si guardano bene dal farlo: le parole che spendono devono valere il più possibile per amici e aversari.
La misure di centro-destra sono quelle di tipo liberistico classico, secondo la sequenza: riduzione della spesa, in primis quella corrente, dello stato, riduzione delle tasse, liberazione di risorse, investimento delle stesse in attività produttive, aumento dell’occupazione, aumento dei consumo, aumento del PIL.
Le misure di centro-sinistra sono si stampo Keynesiano, e sono descrivibili come segue:  sostanzioso piano d’investimenti pubblici e/o privati, finanziati a debito, incremento dei posti di lavoro, incremento dei consumi, crescita del PIL.
La differenza fra i due tipi di misure sta negli effetti. Quelli delle misure liberiste, come la storia insegna, e tanti premi nobel dell’economia ripetono, sono  del tempo lungo. Si pensi che per uscire dalla crisi del ’29, che questa cura ha ricevuto, sono occorsi oltre 10 anni; la crisi attuale, che segue la stessa strada, dura ormai da oltre 5. Gli effetti delle misure keynesiane, secondo gli stessi insegnamenti, sono più rapidi, e quando sono state applicate, oltre a ripagare il debito generato, hanno contribuito a ridurre quello precedentemente esistente.  Il tutto con benefici finali sul PIL.

3. Perché nella campagna elettorale, anziché friggere l’aria, promettendo mari e monti, anche da parte di chi ha governato per tanto tempo, e certe cose poteva farle e non le ha fatte, non si dice,  quali misure concrete si prenderanno per uscire dalla crisi? I tanti  elettori, ancora dubbiosi se votare o meno, già con quest’opera di chiarimento, forse potrebbero cambiare idea.
Ma, poi, dico io: perché non si dice qualcosa anche sugli altri tanti temi che interessano l’opinione pubblica, dalla politica estera ai diritti civili, dall’ambiente al divenire delle fonti energetiche, dalla giustizia alla scuola, alla cultura in generale, alla ricerca, alla corruzione, alla delinquenza organizzata e non, e via elencando?
Che tristezza essere elettori oggi.

 
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Se la politica denuncia la finanza.

Post n°55 pubblicato il 14 Febbraio 2013 da beppe_dinverno

1. Nel 2007 un analista di Standard & Poor’s (S&P) giocando con un video della canzone ‘Burning down the house’ (La casa brucia), per divertirsi, ne ha fatto una parodia  e l’ha fatta  circolare fra i colleghi. La parodia  verosimilmente alludeva al fuoco che covava sotto la cenere, e che di lì a qualche settimana avrebbe incendiato la finanza americana e, l’anno dopo quella europea.
Dopo anni di ricerche, suggerite proprio da questo avvenimento, l’amministrazione Obama ha depositato una montagna di atti presso un tribunale, chiedendo l’avvio di un procedimento giudiziario contro l’agenzia di rating , sull’ipotesi di reato che, pur essendo a conoscenza dei prodromi della crisi imminente, tanto da scherzarci su, per conflitto d’interesse, ha ingannato i mercati, continuando a dare voti altissimi  a titoli che, appena un mese dopo, sarebbero diventati spazzatura. Stiamo parlando dei titoli costruiti sui famosi mutui sub-prime (CdO), che, come è tristemente noto, hanno innescato il tracollo della finanza internazionale.

2. Siamo ad una svolta, hanno scritto i giornali, qualcuno pagherà.
In America, In cinque anni si sono celebrati tanti processi contro presunti responsabili della crisi, ma non si è arrivati mai alla certezza della responsabilità di qualcuno. La maggior parte dei chiamati in causa spesso sono cavata con qualche sanzione pecuniaria, ma nulla di più.
L’iniziativa del governo Obama, invece,dovrebbe andare a segno. Intanto perché la denuncia è sostenuta da documenti e, poi, perché affidata direttamente alle cure della presidenza della Sec, l’organo di controllo della borsa, sulla cui poltrona siede l’ex procuratore federale Mery Jo White, di nomina recente, ma già nota durante il precedente lavoro, per la convinta lotta senza quartiere alla criminalità finanziaria.

3. A noi non resta che sperare, che giustizia sia fatta .
Ma se S&P non fosse responsabile del reato per il quale è portata in giudizio?
Sarà giustizia lo stesso.

4. Però… però.
L’ipotesi di non responsabilità dovrebbe essere remota. Le agenzie di rating, come è noto, operano su commissione di chi chiede un rating. I CdO costruiti sui mutui sub-prime erano allora una vera e propria assicurazione per le banche mutuanti: vendevano i CdO, recuperavano in partenza il credito mutuato, e… il mercato avrebbe digerito l’eventualità di Cdo tossici.
 Più alto era il rating, più valore avevano i CdO e più si vedevano. Un rating alto, ovviamente, era più oneroso per la banca che lo chiedeva, ma più remunerativo per l’agenzia che lo dava. Per questo il governo americano sospetta pure che S&P non si sia lasciata tanto pregare per una ‘buona’ valutazione dei CdO. Anche perché ne aveva da vendere.
 Ma c’è di più. La circolarità delle informazioni, dirette o surrettizie, fra agenzie di rating, banche, e altre organizzazioni finanziarie più o meno nascoste (hadge fund), ma soprattutto il fenomeno  ‘domino’ delle cariche, cioè lo spostamento di soliti personaggi da una poltrona a un'altra di queste organizzazioni, la dicono lunga sull’intreccio degli interessi  e, quindi, sugli ineludibili conflitti d’interesse presentirne nella finanza.
Difficile, perciò,  che di fronte ad una volontà istituzionale che vuole vederci chiaro, si possa sgusciare indenni.

 
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L'azione PDL al Tribunale di Milano.

Post n°56 pubblicato il 13 Marzo 2013 da beppe_dinverno

1. Da qualunque parte si guarda, la  vicenda giudiziaria berlusconiana  (alcuni parlano di persecuzione dei magistrati)  sta mettendo sempre più in pericolo la tenuta delle istituzioni democratiche del nostro paese. Non s’era mai verificato, a memoria repubblicana, che esponenti di un organo costituzionale, ‘marciassero’ contro esponenti di un altro, per un giudizio negativo sul loro lavoro. Se la valutazione delle del gesto dovesse esaurirsi nella presa di posizione del Presidente della Repubblica, nel testo reso pubblico, non è peregrino temere l’inizio di una deriva democratica. La marcia su Roma così è cominciata.
Ma andiamo per ordine.

2. Silvio Berlusconi è a processo a Milano, e la stessa sorte gli toccherà fra poco a Napoli. Gli sono addebitati reati che esulano dalla sua carica istituzionale e dalla sua attività politica . Normalmente diserta le udienze, invocando un legittimo impedimento. Quando decide di presenziare, rende solo dichiarazioni spontanee, e mai si sottopone a interrogatori delle parti o del giudice.
In questo frangente non si presenta al Tribunale di Milano, perché impedito da congiuntivite, associata a ipertensione, causata dai medicinali con i quali si sta curando. Poiché, secondo i giudici, questo tipo di legittimo impedimento è evidentemente abusato, forse per la frequenza con la quale è chiesto, il Tribunale ha disposto due visite fiscali. Sull’esito della prima non ha accettato il legittimo impedimento, sulla seconda sì.
Questi fatti hanno autorizzato il PDL:
- a mandare un nugolo di suoi parlamentari a protestare davanti al Tribunale di Milano;
- a chiedere un’udienza al Presidente della Repubblica, per ‘spiegare’ le doglianze complessive (eliminazione del leader per via giudiziaria) nei confronti della magistratura, o almeno di ‘certa magistratura politicizzata’.

3. Senza scomodare grandi intelligenze giuridiche e/o politiche, su tutta la vicenda si possono fare alcune considerazioni.
Berlusconi, abbiamo detto, è a processo per rati comuni, alcuni dei quali particolarmente gravi. E’ scontato che una 
malattia, se necessario accertata fiscalmente, può essere un impedimento a stare in udienza. Ci sta pure, che se si svolge attività istituzionale (per esempio, si vota in parlamento, o c’è da ricevere un capo di stato) siamo in presenza di legittimo impedimento. Ma svolgere attività politica tout-court, anche se si è leader di un partito importante, può non essere impedimento legittimo. Se un leder considera più importante fare politica, invece di presenziare ai processi che ha in corso, nessuno glielo può vietare. Ma i processi devono proseguire. E non per persecuzione giudiziaria, ma per rispetto della giustizia e, perché no, anche della giurisdizione.
Ancora. Accennavo all’inizio che c’è chi sostiene che Berlusconi, da quando ha cominciato a far politica, è perseguitato da una ‘certa’ magistratura politicizzata.
Intanto c’è a dire che alcuni procedimenti a suo caico, specialmente i primi, erano riferiti a fatti del tempo pre-politico. Ma c’è da dire anche che se uno ha più giudizi in corso, e in diversi tribunali, può succedere, anzi succede, che gli appuntamenti si addensano; tra l’altro non sempre per colpa dei giudici, quanto, spesso, per quella della difesa, che invece di far fare i processi, rincorre la prescrizione.

4. Ma, a prescindere dalle questioni di merito, tutte appannaggio dei magistrati, ci chiediamo:
- è normale, da un punto di vista, per così dire: democratico, prendere d’assalto un Tribunale, per inscenare una protesta, qualunque ne sia il motivo?
- E’ sensato ricorrere al capo dello Stato, ancorché per spiegare le ragioni di una protesta, dopo averla consumata?.
- Ed infine. E’ appropriata una presa di posizione del Capo dello Stato, che ancora la valutazione dell’accaduto al riconoscimento di una legittimità equivalente dei comportamenti delle parti in causa?
Brevemente sulle tre domande.
Un organo dello stato, se ritiene che un altro organo abbia 
leso sue prerogative, se vuole protestare, può e deve farlo nei modi e nelle sedi opportune, secondo procedure legittime. Per esempio la protesta, o qualcosa di equivalente meno drastica, in sostituzione dell’assalto al Tribunale, poteva seguire la via mass-mediatica, o essere rivolta al Capo dello Stato, nella sua capacità di redimere in conflitti con la ‘moral-suasion’. L’invasione fatto dai parlamentari del PDL al Tribunale di Milano ha dato luogo almeno ad un vulnus interorganico che avrebbe bisogno di sanatoria adeguata: pensiamo a una sorta di giudizio dichiarativo della Corte Costituzionale.
Aver adito un intervento del Capo dello Stato, per una sua  valutazione del’accaduto:
- politicamente significa tirarlo per la giacca, cioè,  ottenerne la legittimazione dell’azione;
- giuridicamente è insignificante, visto che il Capo dello Stato non ha potestà d’interferire nell’operato dei tre poteri dello Stato.
Quanto alla  terza domanda, osserviamo quanto segue. E’ vero che il Capo dello Stato rappresenta tutti i cittadini, e, nei conflitti, deve suggerire la richiamata moral-suasion, cioè, deve tentare di comporre i conflitti. Ma se rinuncia all’accertamento di una verità, quale che sia, finisce per esprimere giudizi di valore ambigui, se non polivalenti. Nei quali tutti possono riconoscersi, per gli aspetti convenienti che contengono. Però, con un risultato paradossale: che i contendenti possono continuare a configgere, e proprio sulla base dell’appello alle valutazioni del Capo dello Stato.
Nel caso specifico, è vero che il Capo dello Sato ha detto che a nessuno è consentito pensare che la giustizia perseguita qualcuno, ma ha detto anche, e purtroppo, che ha capito le ragioni dei 'marciatori' sul Tribunale di Milano. E questo non fa la chiarezza necessaria ad evitare i conflitti.

 
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Idee grandi e idee meanstream.

Post n°57 pubblicato il 03 Aprile 2013 da beppe_dinverno

1. In tempi di turbo finanza e fantasie creative, grandi idee del passato sono ricordate con argomenti da salotto che ne distorcono il significato.
E’ successo per il pensiero di Enrico Berlinguer, in particolare per il compromesso storico.
Recentemente Miguel Gotor ha pubblicato un’antologia di scritti del compianto segretario del Partito Comunista Italiano, dalla quale fa emergere che Berlinguer non merita processi di smitizzazione, semplicemente perché in passato non ha avuto bisogno d’essere mitizzato. Quella di Berlinguer sarebbe stata una vicenda umana appassionata, ma perdente, colpevole d’aver cercato una terza via fra mondo occidentale o mondo socialista che non poteva esserci. E la proposta dell’austerità, l’avvicinamento alla stanza dei bottoni, l’idea del compromesso storico e lo strappo con l’Unione sovietica, altro non sarebbero stati, se non un modo “tortuoso” d’accreditare l’idea che il modello di sviluppo capitalistico fosse fallimentare e che, per questo era da superare. Anche se progressivamente.

2. Niente di più errato: la storia si può riscrivere, ma non trascurando i fatti.
E prendiamo il compromesso storico. Ma per come è stato pensato, e per quello oggi che se ne dice.
All’indomani della sconfitta della rivoluzione socialista in Cile, con l’epilogo dell’uccisione del presidente Salvator Allende, Enrico Berlinguer ha scritto quattro articoli per la rivista Rinascita, nel primo dei quali ha lanciato l’idea del compromesso storico, che tanto ha fatto discutere la politica nazionale e internazionale, e gli operatori culturali del tempo.
In pillole, l’idea di Enrico Berlinguer era che: nel mondo, in particolare nell’America latina, diverse azioni autoritarie reprimevano le democrazie nel sangue; i paesi del socialismo reale, a cominciare dall’Unione Sovietica, non offrivano modelli di organizzazione politica e sociale validi per l’occidente; in Italia era in crescita un terrorismo che minava le basi della tenuta democratica del paese; in quelle condizioni, sosteneva Berlinguer, per l’Italia era necessaria un’intesa, anche fino alla collaborazione, di comunisti, socialisti e cattolici (Berlinguer ripeteva la formula comunicativa del partito: masse  democratiche, laiche e cattoliche) per mettere in sicurezza la democrazia; cioè, garantire la democrazia, a prescindere dalla composizione dei governi, a prescindere dalle forze politiche che vi avrebbero partecipato. Come dire: chiunque governi, non metta in discussione la democrazia e, all’occorrenza, la difenda.
Quanto alla proposta dell’austerità, Berlinguer ne parlava come della condizione necessaria, e non trascurabile, per lavorare seriamente alla costruzione dell’umus culturale necssario: ridimensionamento del consumismo, abbassamento dei toni, rispetto degli avversari, scelte morali e così via.

3. Di questa idea, oggi si parla quasi sempre a sproposito,  se non in maniera mistificante.
Alcuni pensano che il compromesso storico sia stato il tentativo di accordo, fra comunisti e democristiani, per governare insieme, fatto fallire, poi, dalla Democrazia Cristiana per spirito anticomunista. A pensarla così, sono gli orfani di Marx, che militando a sinistra ritenevano,  ritengono tutt’ora che la “rivoluzione proletaria” sia l’atto unico di un tempo ‘x’, scaduto il quale non ce ne sarebbe un altro.
Altri pensano che il compromesso storico sia stato un  espediente tattico dei comunisti, per entrare nei palazzi del potere. Ragionano cosi gli antipatizzanti, allora del Partito Comunista, oggi della sinistra, comunque soddisfatti per lo scongiurato pericolo del fattore K, cioè, dell’asservimento dell’Italia al mondo sovietico.
Ma quelli che più stupiscono sono i cultori di una visione compassionevole del pensiero di Enrico Berlinguer e del Partito Comunista di quel periodo. Come è il caso di Miguel Gotor, che ha scritto il libro di cui accennavo, e Stefano Folli che lo ha recensito su Il Sole 24 Ore. Per loro il compromesso storico è stato sostanzialmente un tentativo di governo comune fra comunisti e democristiani, e l’austerità una via “tortuosa”…
Chi volesse conferme, può origliare sui marciapiedi, o seguire i discorsi di ‘onorevoli’, e altri esperti (sic!), per sentir dire che il compromesso storico è stato un tentativo di ‘inciucio’ fra comunisti e democristiani, l’austerità manco sanno cos’era e Berlinguer l’unico uomo onesto che il Partito Comunista Italiano abbia avuto, che però parlava ancora “i toni antichi dei partigiani della pace”.

4. Ma per favore! Berlinguer, è vero, è stato prima di tutto una persona di grande levatura morale e culturale, ma se ha scelto di militare nel Partito Comunista Italiano non è stato a caso:  ha scelto quel partito perché era l’unica formazione politica ad avere in programma la salvaguardia della democrazia e lo spostamento della stessa verso ‘equilibri più avanzati’. Che poi era l’unico obiettivo possibile in un paese appartenente all’alleanza atlantica, cioè, al blocco occidentale.
E’ stato un mito, non lo è stato? Categorie da salotto! Enrico Berlinguer è stato il continuatore dell’idea migliore del Partito Comunista Italiano: lavorare per un’intesa fra le masse laiche e cattoliche, e creare le condizioni per una ‘via italiana al socialismo’, quella che già aveva in mente Palmiro Togliatti. Altro che andamento della storia del Partito Comunista.
Roba da gente che pensa, non da mezze calzette.  

 

 
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Parola di Berlusconi

Post n°58 pubblicato il 22 Maggio 2013 da beppe_dinverno

Rai 1, ore 13,30 del  13 maggio 2013, presentazione dei titoli del TG, parla l'On. Silvio Berlusconi
Nelle feste che si facevano a casa mia (quelle per le quali in questi giorni è a processo) “non poteva succedere altro che cose positive”.
Un semiologo chissà come commenterebbe le parole fra virgolette!
Noi dobbiamo accontentaci.
E’ vero: Berlusconi parlava in mezzo alla strada, fra tante persone,rispondendo a un giornalista che gli puntava un microfono in faccia, senzaneanche chiedergli se volesse parlare; ma gli è ‘venuta’ una frase che, se ‘voce dal sen fuggita’, la dice lunga sulpersonaggio e sulle sue performance comunicative.
Berlusconi ha fatto studi classici, e sa usare grammatica e sintassi. Se nonche per l’attività svolta prima di ‘scendere in campo’,  ha voluto/dovuto imparare a usare la lingua,per formare convincimenti, prima nei collaboratori, poi nei destinatari deimessaggi, allora solo clienti del business.
E ha imparato abbastanza. Ma non tutto: se la sua comunicazione è  quella dei bambini quando devono spiegareperché hanno le dita sporche di marmellata.
La frase sopra riportata ne è un esempio.
 La magistratura e l’opinione pubblicavogliono sapere in che cosa consistevano le feste di casa sua? La risposta èimmediata, ma singolare: una confutazione ad rem, come avrebbe detto Schopenhauer (L’arte d’aver ragione). Checonsiste nel seguente espediente:
- si amplia l’oggetto della domanda a dismisura: si facevano tante cose;
- si risponde in generale sull’oggetto smisurato: le cose che si facevano nonpotevano essere che positive.
- non si risponde nel merito della domanda, tipo: si faceva x, y, o z.
C’è da domandarsi se comportamenti simili sono istintivi o determinati per lebisogne.
Penso che Berlusconi, alla domanda in questione d’istinto avrebbe risposto sonofatti miei; per necessità di ruolo, come ha risposto….
Tanto sa che la parola ‘positivo’ è generica al punto da servire per ognidomanda.
E l’Italia va.

 

 
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Fibrillazioni e comprensione

Post n°59 pubblicato il 29 Agosto 2013 da beppe_dinverno

1. "Le fibrillazioni politiche esplose dopo la condanna definitiva di Silvio Berlusconi da parte della Cassazione nel processo Mediaset, ora concentrate sul tema della cosiddetta agibilità politica de leaderdel Pdl, sono, per ammissione dellostesso Napolitano, comprensibili.” Così D. Pesole in 'La posta in gioco' sul Sole  del 25 agosto 2013.
Dopo questa premessa, l'autore fa un ragionamento polically correct, con i soliti, consueti argomenti:
- non è questo il momento per rompere la coalizione sulla quale si regge il governo in carica;
- la sua caduta significherebbe ritornare all’instabilità politica, che automaticamente farebbe rialzare lo spread;
- le urgenze di questo scorcio di estate sono altre, e qui il solito pietoso elenco: Imu, Iva, cassa integrazione, detassazione del lavoro, contenimento della spesa e via elencando. 
Al di là delle intenzioni dell’autore, il ragionamento sembra più un pestare acqua nel mortaio, un modo di oziare nell’impotenza da addetti ai lavori, che un contributo di idee utile per fermare il fiume di veleno che, verosimilmente, presto sommergerà la vita delle istituzioni del nostro paese.
Non voglio qui tentare di spiegare il perché: in tanti, da più tempo, lo stanno facendo, e sicuramente meglio di come potrei farlo io. Voglio solo fare tre osservazioni e una considerazione.

2. Prima osservzione. Quelle che vengono definite fibrillazioni politiche non sono il risultato dell’agire di misteriose forze extraterrestri, ma conseguenze di condotte personali e/o di gruppo che, evidentemente, mal si conciliano con il buon senso, o semplicemente con il senso comune. E il fatto che siano concentrate sulla agibilità politica di un leader di partito, la dice lunga sulle cause: la politica fibrilla perché la parte alla quale il leader appartiene, ed egli stesso, non intendono prendere atto della legge, e della giurisdizione, che hanno ritenuto riprovevole un comportamento, e condannato l’autore. Se questa è la causa della fibrillazione, ed è questa (“se il leader è messo fuori dal Parlamento, un minuto dopo cade il Governo”), essa cessa, se è rimossa. Pensare di aggirarla, ‘svicolando’ attraverso  ‘i problemi che interessano gli italiani’, significa solo rimandarla al futuro.
Seconda osservazione. Si dice che la fibrillazione è comprensibile. La comprende persino Napolitano. Ma certamente. Perché c’è fibrillazione politica lo capiscono i bambini, e comprenderlo significa soltanto avere il dono dell’intelletto. Quello che non si capisce, e quindi non può essere compresa,  è la causa della fibrillazione, che è la seguente: una parte politica minaccia di far cadere il governo, solo perché il suo leader non può essere più della partita, perché condannato. Ma questa più che parte politica è un comitato che cura solo gli interessi del leader. E per questo, e solo per questo, né si comprende, né deve essere compresa. La politica, cioè il bene pubblico, non si può reggere su chi froda il fisco, cioè, lo Stato. Finché questa parte politica non si rigenera in parte d'interessi generali, con le sue minacce sarà sempre causa di fibrillazione politica. 
T
erza osservzione. I problemi della gente, che dovrebbero essere considerati preminenti rispetto alla disputa intorno ai doveri verso la giurisdizione di un leader politico, meriterebbero ben altre riflessioni. Tipo, le poche che accenno.
I problemi giacciono irrisolti soprattutto per responsabilità della parte politica che oggi minaccia la caduta del governo, se è vero che negli ultimi venti anni ha avuto il monopolio del potere. Inoltre molti di essi (sanità,scuola, pensioni) non trovano, nei programmi della parte politica in causa, proposte di soluzione favorevoli ai ceti meno abbienti. Logico corollario è che questi problemi possono essere ben impostati e risolti solo da chi ne ha un’idea diversa.

3. Infine, la considerazione. Se il governo continuerà a vivere con la paura di finire per un andamento a lui sfavorevole della vicenda giudiziaria del leader del Pdl, non avrà lunga vita, perché è molto verosimile che quel signore prima o poi sarà dichiarato incompatibile con i pubblici affari. E se l’economia e la finanza del nostro paese ne subiranno conseguenze negative, molto presto andremo al fallimento.
Ma non andranno così le cose. La nostra economia va male, ma  la finanza continua ad andare bene. Con fasi alterne, certamente, ma con un trend tendenzialmente positivo. Questo succede perché la finanza ha vita autonoma dall’economia: più nei mercati c’è volatilità (saliscendi di quotazioni di borsa) più la finanza fa affari. E gli accadimenti (tensioni nel governo, tensione in medio oriente), che giustificherebbero i tonfi di borsa, sono solo appigli non significativi, cui fanno riferimento gli ‘esperti’, quando non sanno a che santo votarsi per fare i loro commenti. I mercati da tempo conoscono la fragilità della politica italiana, specialmente per il modo diessere del Pdl e del suo leader, e non ne fanno motivo di decisioni. Il basso livello raggiunto dallo spread a ferragosto, mentre per il leader del Pdl tutto si metteva per il peggio, dovrebbe dire qualcosa.  
 

 
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La crisi in corso.

Post n°60 pubblicato il 02 Ottobre 2013 da beppe_dinverno

1. La crisi nella quale da tempo è immerso il nostro paese, è conseguenza di un ventennio di potere senza progetti e senza programmi, gestito da responsabili naive(?), e discutibilmente supervisionato da un’Europa a sua volta senza progetto.
Argomentare in merito, sarebbe un pestare acqua nel mortaio. Tuttavia, un elemento di verità va ricordato: la crisi è dovuta alla bassa crescita della quale è segno l’andamento del Prodotto Interno Lordo (PIL). Poiché il PIL può essere espresso come somma dei redditi di un anno, esso non cresce se, con la disoccupazione, mancano redditi da lavoro. La mancata crescita, dunque, è dovuta in parte (in gran parte?) all’alta disoccupazione.

2. Perché per un ventennio il nostro paese non è stato governato?
IL dato di partenza è che la fine della cosiddetta prima repubblica, seppelliti scandali e corruzione in capo a un gruppo di personaggi di dubbio valore morale - alcuni, peraltro, responsabili di governo - polverizzò la speranza che i partiti politici potessero/dovessero ancora guidare il paese. Donde la nascita di movimenti che, mentre si proclamavano giustizialisti, nei fatti si sono rivelati adusi al potere, col quale curare interessi localistici, nel migliore dei casi, o aziendali e personali, nel più esecrabile. Il secondo caso alla fine è risultato prevalente. Ed ecco il primo governo Berlusconi.
Da subito quel governo ha voluto dare segni dei cambiamenti che sarebbero stati imposti . ‘Rivolteremo l’Italia come un calzino’ è stato lo slogan che è risuonato nelle nostre orecchie per anni. Ed eccone un campione.
E’ mutato il linguaggio della politica: il Governo è diventato la squadra, la parola partito è scomparsa dal vocabolario, Forza Italia più che il nome di un nuovo partito, è stato un incitamento sincretico, facile da ripetere, per chiamare a raccolta la gente intorno a un simbolo; che, squadra o partito, spingesse per la vittoria… suprema. La gente, purtroppo convinta di avere finalmente a che fare col ‘nuovo’, ha risposto con la ‘pancia’, piuttosto che con la ragione.
La gestione del potere, più che con atti normativi, si è dipanata con ordini padronali, dimostrativi, e spesso improvvisati alle bisogne, come è successo per gli infausti fatti del G8 di Genova.
Ma se queste innovazioni avessero rappresentato una nuova filosofia gestionale, alla quale affiancare idee per l’ammodernamento del paese, a partire dall’aumento del benessere e del lavoro, non sarebbero state il peggio. Anzi, forse potevano essere la precondizione per individuare, affrontare e, possibilmente risolvere più radicalmente problemi mai posti, come la carenza in ricerca e sviluppo, o la precarietà dei servizi essenziali: scuola, sanità, trasporti ecc. La negatività vera del primo governo Berlusconi è stata quella di non avere avuto attenzione neanche ai problemi più facilmente aggredibili del nostro paese, come, per esempio, la riforma della amministrazione pubblica, tanto spazio avrebbero sottratto a quelli di maggiore interesse per il capo-leader. D’altra parte, chi mai avrebbe dovuto/potuto pensare a programmare e progettare: i ministri impegnati in attività di corruzione, quelli a cui venivamo comprate case a loro insaputa, o quelli che invece di occuparsi del loro ufficio, scrivevano poesie (sic!) per il capo- leader?
E che dire del modo come la politica è stata intesa.
Sono stati mortificati i luoghi nei quali essa doveva essere formata, e quelli in sostituzione, mentre hanno via, via svilito la più nobile attività dei rappresentanti dello Stato, ci hanno abituato alla politica simposio, alla politica spettacolo e, perché no, forse anche alla politica sexy.
Le priorità dell’attività parlamentare sono state una serie di provvedimenti ad personam, in mancanza dei quali il leader, e non solo lui, con molta probabilità, sarebbero andati incontro a ben più numerosi procedimenti giudiziari, e guai.
Con gesti e con parole, è stata favorita la mancanza di rispetto della cosa pubblica, come, per esempio, il gesto delle corna in consessi internazionali, l’invito a non pagare le tasse, la denuncia di sentenze ingiuste e oppressive della libertà, la denuncia di ’giudici comunisti’.
E, cosa da non sottovalutare: è stato stravolto il senso e lo scopo della comunicazione politica, e della comunicazione tout-court, organizzandola sui riflessi condizionati della gente, spacciando bugie per verità, e verità per bugie, confondendone le idee, per estorcerne il consenso, al di là delle preferenze.

3. Tutto questo ha fatto storcere il naso - è letterale - ai responsabili di governo dei paesi con i quali eravamo, e siamo, in relazione. Come si poteva seriamente discutere di rafforzamento dell’integrazione europea, dei compiti da fare a casa per migliorare la crescita interna e ridurre i debiti sovrani, con interlocutori che fra una proposta e l’altra raccontavano barzellette, o si assentavano per rispondere a un cellulare sempre raggiungibile? Erano propri sicuri i vertici politici e istituzionali internazionali che i nostri governanti sarebbero stati pronti a elaborare politiche di bilancio in linea con gli accordi in essere, o a discutere, con le parti sociali, concrete possibilità di accettarle? A queste e ad altre domande dello stesso tipo non si può che rispondere: no. E ce ne siamo dovuti accorgere quando, nel corso del 2012, i mercati hanno fatto salire alle stelle il premio di rischio del nostro debito, il famoso spread, che a fine estate aveva superato i 500 punti base.
Ormai va detto senza sconti - perché ripetiamo convinzioni più dotte delle nostre - la responsabilità di tutto quello che è successo è stata dei governi Berlusconi. Il penultimo dei quali, tra l’altro, con la votazione in parlamento del famoso ‘porcellum’, ha dato vita a governi senza maggioranza, ingovernabili e senza stabilità. Laddove sarebbe bastato, per esempio, che un personaggio dalle qualità comunicative di Berlusconi, in uno dei suoi sproloqui, avesse detto che l’evasione fiscale, prima che un reato, è una ruberia al vicino di casa, e che, senza l’evasione fiscale i nostri bilanci sarebbero stati sempre in pareggio e il debito non avrebbe superato la fatidica soglia del 100%, che tanto piace alla speculazione.

4. Al momento, Berlusconi e i suoi governi sono un cumulo di macerie. Ma la crisi (politica) non è finita e, anche se tanti, persino in sede competente, sono pronti a scommettere che si vedono segni di ripresa (economica), molto probabilmente lo stallo non cesserà.
I governi di larghe intese non hanno per loro natura l’autorevolezza necessaria per decidere scelte radicali, di sinistra o di destra non importerebbe. La prima esperienza italiana, quella del governo Monti, l’ha dimostrato con il suo fallimento. La seconda, quella del governo in carica, che è ostaggio di un ricatto indegno di una civiltà moderna (si alla governabilità, solo se al leader del centro destra sarà assicurata l’agibilità politica), che con qualche mal di pancia, accetterebbe che un condannato collaborasse alla guida della cosa pubblica, nonostante l’abbia frodata, non promette grandi novità. Solo la Presidenza della Repubblica ritiene che la logica rigorosa che informa il suo ufficio, possa, e debba essere l’ancora per la continuità del Governo Letta. Vediamo perché.

5. La logica rigorosa che muove la Presidenza della Repubblica è che se cadesse il governo in carica, non ce ne sarebbe uno di ricambio, senza governo i mercati rimanderebbero lo spread alle stelle, e lo Stato non sarebbe più in grado di pagare le sua spese, a cominciare da stipendi e pensioni.
Le cose non stanno proprio come descritte. La Presidenza della Repubblica ripete il mantra degli esecutori di un programma in corso, che mira a concentrare i capitali europei in una piazza sicura come la Germania, per essere meglio gestito, e magari portato a un livello più competitivo nel trading non regolamentato.
Sennonché, è fatto di verità che i mercati sanno da tempo come vanno le ‘cose’ della politica italiana! E sanno anche che la speculazione è più produttiva laddove c’è volatilità. Ai mercati interessa la stabilità, ma non si strappano i capelli di fronte alla instabilità: con la prima fanno affari ‘puliti’, con la seconda speculano.
Quello che ancora manca alla finanza europea è un capitale, come dire: a massa critica più consistente. Il programma in svolgimento, che fa capo a FMI, BCE, Commissione Europea e paesi e governi deboli, più o meno consapevoli, deve realizzarla. La Presidenza della Repubblica partecipa a questo programma? Direi di no. Anzi, sicuramente no. Perche, tra l’altro, è svolto al di sopra della politica e delle istituzioni democratiche degli stati. Penso, piuttosto, che la sua azione sia guidata più da una etica della politica come valore in sé, piuttosto che da una visione finalistica della stessa. E, probabilmente, non la è via che ci porterà fuori dalla crisi. Ma nulla da obiettare.

6. Concludendo. Al punto in cui ci troviamo, la crisi è, più che mai, da addebitare a Berlusconi: che non cangia stile e continua a dare il segno di sé. Ma come può succedere? Beh!...
Intanto non ha avversari credibili.
Ma, poi. Berlusconi, praticamente era finito a novembre 2011, e la Presidenza della Repubblica ha convinto il Paralamento a votare la fiducia al suo governo dopo la legge finanziaria: un mese di compravendita di parlamentari, e il suo governo non è caduto.
Berlusconi era di nuovo finito dicembre 2012, e la Presidenza della Repubblica ha inventato Monti, che l’ha infilato nel governo sostenuto dalla strana maggioranza.
Berlusconi era finito per la terza volta a febbraio scorso, e la Presidenza della Repubblica ha inventato Letta e le larghe intese, e un Governo al quale il personaggio detta regole e minaccia.
Sembrava che la fiducia a Letta fosse l'occasione per la sconfitta, ma il personaggio, s'è smarcato. Grande, secondo Letta.
Berlusconi presto andrà fuori dal parlamento, e ancora c'è chi è pronto a ritenere che merita rispetto.
I tapini siamo noi che… i conti non ci tornano.

 
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Quelli che...la legge Severino.

Post n°61 pubblicato il 08 Ottobre 2013 da beppe_dinverno

1. Nella pagina dei commenti del 3 ottobre scorso de 'Il Quotidiano' l’avvocato Francesco De Nino fa una riflessione sull’applicabilità della legge Severino al caso Berlusconi, assumendo che “il nodo... forse incompreso da taluni e rinnegato da altri, sta proprio in ciò: come si applica la legge Severino? A quali fatti, a quelli posti in essere dopo la sua entrata in vigore o anche a quelli pregressi?”. E conclude, affermando che “la legge c’è, (e) va applicata ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore”. Ergo, non al caso Berlusconi, perché la condanna consegue a fatti anteriori.
Se ne ho bene inteso il pensiero, ritengo che l’avvocato sia in errore, e la legge Severino si applica al caso Berlusconi. Ma seguiamo il ragionamento che egli dichiara di proporre “senza alcuna pretesa di esaustività”.
La legge Severino non è applicabile al caso Berlusconi “in ragione della necessità di rivendicare il primato dei principi fondamentali dell’ordinamento e dei diritti della persona”.  
La legge Severino “non dispone sulla propria applicazione temporale”, quindi, anche per essa vale il principio fissato all’art. 11 delle c.d. preleggi: “la legge non opera che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
“Non può certo bastare che il legislatore dichiari che una legge non è penale, perché essa non lo sia; se la legge sancisce limiti alla libertà delle persone, comminando pene, è penale, e quindi non può esse retroattiva. 
La legge 689/81 ha previsto che l’irretroattività agisca per le sanzioni amministrative.
La legge Severino, infine, è irretroattiva tanto se letta come legge amministrativa, tanto se letta come legge penale.

2. In merito si osserva quanto segue.
L’articolista non individua bene l’oggetto della legge 235/12: infatti, mentre l’art.3 si occupa di un giudizio definitivo dicondanna, egli pensa che l’oggetto sia il fatto dal quale sono scaturiti prima il giudizio e poi la condanna di Berlusconi; con un errore di prospettiva che ha conseguenze.
La prima, è un'interpretazione maldestra della legge:  ai principi generali dell’ordinamento, che nella gerarchia degli strumenti interpretativi figura all’ultimo posto, si ricorre quando tutti gli altri hanno dato risultati insoddisfacenti; prima, ed è fatto di scienza, si deve tener conto del’interpretazione letterale, che nella gerarchia è al primo posto; l’interpretazione letterale, già dal titolo, avrebbe consentito di cogliere il senso ‘vero’ della legge. “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a normadell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190.”, è un titolo che non consente equivoci: le sentenze definitive di condanna, e non già i fatti  dai quali esse conseguono, sono l’oggetto della legge 235/12. Ma se l’interpretazione letterale non bastasse, ci sarebbe ancora da esperire il il principio di ricerca della ratio della legge, cioè, il fine ultimo che essa persegue. Nel caso di specie non v’è chi non veda che la legge Severino mira a pulire il Parlamento – a sua tutela – da personaggi  già puniti, cioè, assoggettati a limitazione della libertà, in forza di altre leggi.  Seconda conseguenza: la questione della temporalità del fatto, che determinerebbe l’irretroattività della legge, è mal posto. Qui vale ancora l’argomento precedente: la legge non si occupa del fatto, ma della sentenza di condanna, ed è la temporalità di questa che determina lo spartiacque per la sua applicazione.
Altra osservazione. Non è assolutamente vero che la legge Severino “nulla dispone sulla propria applicazione temporale”. L’art. 14 dice che la legge entra in vigore dal giorno successivo a quello di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ed è ovvio che da quella data operi, e operi relativamente all’oggetto di cui si occupa, cioè, le sentenze successive a quella data.
Gli ultimi due argomenti dovrebbero essere esaustivi della dimostrazione dell’irretroattività della legge 235/12, ma sono raffazzonati.
Il primo (la legge 691/81 ha ribadito che le sanzioni amministrative sono irretroattive), speso in contrapposizione con la materia penale - che irretroattiva è, come dire: per natura - è pleonastico, ed è riportato ‘ad abundatiam’ dal ‘vocìo’ dei sostenitori del l’irretroattività, senza un previo controllo per cosi dire: professionale. Gli uomini di legge, e tanti altri, sanno che la legge penale è irretroattiva per dettato costituzionale; la legge amministrativa è anche essa irretroattiva, ma può essere retroattiva tutte le volte che si dichiara tale; la legge 691 si preoccupa solo di richiamare l’attenzione sul fatto che le sanzioni amministrative, essendo sanzioni, cioè pene, cioè restrizioni della libertà, non possono che essere irretroattive. Ma che c’entra tutto questo con la dimostrazione della tesi dell'irretroattività! La distinzione fra legge penale e legge amministrativa non incide sulla applicazione temporale della legge in interesse. Semplicemente perché essa mira a tenere indenni gli organismi elettivi da condannati a pene definitive, allorquando questi vengono a luce.
L’altro argomento (la legge Severino è irretroattiva sia se letta come legge amministrativa, sia se letta come legge penale), è l’ultimo appiglio al quale l’avvocato si aggrappa, come per dire: se nulla del mio ragionamento vi ha convinto, sappiate che… ecc. ecc. Qui l’errore è imperdonabile. Se, come abbiamo visto, la distinzione fra legge penale e legge amministrativa non incide sul tempo dell’applicazione, essa ha valore ad altri fini. Intanto la legge penale commina pene, e per questo non può essere retroattiva. Quando la legge non commina pene, non è penale né per autodichiarazione, né per attrazione costituzionale, come l’avvocato vorrebbe far credere. E non è retroattiva ugualmente.
3. Ma allora perché la legge Severino, che non commina pene (definisce semplicemente i requisiti personali degli aspiranti, per accedere al parlamento, o esserne estromessi), né si dichiara retroattiva, si applica al caso Berlusconi?  
Perché la sua irretroattività, come abbiamo già detto, non è quella volgare determinata in base a un oggetto che la legge non contempla (il fatto sanzionato definitivamente nei tre gradi di giudizio), ma è quella che considera l’oggetto regolato dalla legge, che è la sentenza di condanna; un fatto nuovo che, essendo successivo all’entrata in vigore della legge, cade sotto il suo controllo.

 

 
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Una risposta a Lutwak

Post n°62 pubblicato il 31 Ottobre 2013 da beppe_dinverno

1. Mentre pendeva il procedimento giudiziario per concussione a carico di Berlusconi (c.d. processo Ruby) il Governo Monti ha varato la legge 90/2012, che ha suddiviso il reato in due fattispecie: concussione per costrizione e concussione per induzione. Con pene diverse. Nel primo caso, sono più severe, e c’è l’interdizione dai pubblici uffici; nel secondo caso le pene sono più lievi e non c’è interdizione.

2. Qualche giorno fa, la Cassazione, a sezioni riunite, ha deciso che: 
- la costrizione si ha in presenza di minacce gravi, contro le quali il concusso non ha capacità di resistenza;
- l’induzione, invece, ricorre negli altri casi, sempreché il concusso ne ricavi, o pensa di ricavarne vantaggio; queste situazioni lo rendono correo.
E’ da credere che la distinzione sia dovuta al fatto che mentre la costrizione sostanzialmente obbligherebbe a delinquere, l’induzione sarebbe quasi un suggerimento al quale si potrebbe resistere.

4. Potenza dei giuristi italiani, tutti comunisti, e potenza del sistema del diritto latino, che qualcuno additò come latinorum.
D’acchito, una domanda: che fine farà - nei procedimenti - un simile impianto normativo, che sostanzialmente delega al giudice le modalità della sua applicazione? 
Ce la farà il ‘pretore di Cuvio’ a stabilire se il fatto è ‘costrizione’, piuttosto che ‘induzione’? Risposta per il simpatico professore Lootwak, che non si spiega perché mai in Italia uno che è condannato non va il prigione: chissà! Caro professore, in Italia il diritto appena descritto consente ai potenti che sanno usarlo di non andare in prigione; in prigione ci vanno i poveri diavoli che ne restano all’oscuro.
Esempio classico, il caso Berlusconi. Ancora è possibile che il Senato non voti la sua decadenza, e nel processo Ruby (di appello) il reato di concussione sarà dichiarato insussistente, perché non confermato dal concusso. Per la prima eventualità, non del tutto remota, resterà senatore; per la seconda, se non ci sarà prescrizione o assoluzione, subirà una condanna minima e, comunque, non sarà interdetto dai pubblici uffici.

5. Tutto questo può legittimamente succedere:
- perché i nostri giuristi (avvocati ministri, e giudici) per rispetto della tetrapilocotmia, ovvero, secondo Umberto Eco, per l’arte di spaccare il capello a quattro, hanno deciso che il reato di concussione era troppo generico, e andava spacchettato. Con ciò facendo finta di non sapere che quando la concussione proviene da un Presidente del Consiglio, ed è diretta a un dipendente del governo, questi ha scarsa possibilità di stabilire se ha, o non, potere di resistenza.
- e perché il parlamento più che far politica (decidere la decadenza di un condannato definitivo), gioca a far politica (arzigogolando sui cavilli, sapendoli fuorvianti).

 

 
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Politica e politici.

Post n°63 pubblicato il 07 Dicembre 2013 da beppe_dinverno

1. Oltre seicento deputati, più di trecento senatori; senza dire del numero di presidenti di regione e province, sindaci e consiglieri di ogni livello; e come se non bastasse, vari tipi di portaborse ed aspiranti tali: un esercito di addetti che vive di politica. Da tempo ci domandiamo quanto ci costa, anche se sappiamo che ci costa un’enormità. A tagliare la spesa dovrebbero provvedere gli stessi interessati, ma sembra imptobabilee che 'i tacchini siano pronti a festeggiare Natale'. Non avendo noi possibilità d’intervento, cerchiamo almeno di capire se i ‘politici’ sono in grado di svolgere il 'mestiere'.

 

2. L’implosione del comunismo, il trionfo in forma nuova della ‘globalizzazione’ e la morte delle ideologie, hanno favorito nel nostro paese la fine della prima repubblica; con essa, la perdita di significato dei partiti politici e della politica che credevamo con la P maiuscola. In sostituzione, comitati con interessi ristretti, e singoli con interessi personali, hanno organizzato e gestiscono affari che, spacciati per politica, ne sono lontani quanto mai si penserebbe. Vent’anni di risultati sono sotto gli occhi di tutti: dopo la crisi che non ha risparmiato nessuno dei paesi sviluppati, ci troviamo al penultimo gradino della scala del benessere, secondi solo alla Grecia. C’è da chiedersi come sia potuto succedere.
Alcune cause sono profonde (stato unitario giovane, cultura confessionale, comportamenti sociali permissive); altre, a noi poiù vicine, riguardano la politica che conosciamo. Le prime necessiterebbero di argomentazioni serie, e non è questa la sede per occuparsene. Spenderemo qualche frase a proposito della politica.

 

3. Se si riflette un tantino sulla storia del nostro stato nazionale, troviamo che l’Italia, ad eccezione della destra storica, seriamente impegnata nel processo di unificazione, non ha mai conosciuto una classe dirigente, e quindi una classe politica, capaci di farci ‘pensare politicamente’, e metterci, così, in grado di pensare la ‘politica’, in termini di ‘dottrine’ e ‘categorie’ sulle quali organizzare la gestione della cosa pubblica. La conseguenza è che in Italia oggi  si crede che far politica basti, ‘entrare in politica’, o addirittura ‘scendere in campo’. Persino uno come Monti, che pur vantava credenziali di tutto rispetto, non ha pensato diversamente, quando, nel tentativo di distinguersi, ha deciso di ‘salire in politica’.
La distinzione fra ‘pensare politicamente’ e ‘pensare la politica’ l’ho presa a prestito da Michael Freeden, professore emerito di ‘Politics’ all’Università di Oxford, che in proposito che teorizzato quello che segue.
Pensare politicamente implica la costruzione di piani per la società, agendo lungo le seguenti direttrici:
- si prendono decisioni definitive e si regolano i rapporti sociali;
- si gerarchizzano le priorità collettive;
- si mobilita o si ritira il sostegno a certi gruppi sociali e/o politici;
- si concettualizzano le nozioni di ordine e stabilità, come quelle di disordine e instabilità;
- si progettano visioni del futuro;
- si sfruttano le componenti di potere che sono incorporate nel linguaggio attraverso la ragione, la retorica, l’emozione o la minaccia.
E’ così che si determina la sfera del ‘politico’, per diventare strumento che produce azione e cambiamento.
Lo studioso Freeden sa che la teoria, peraltro proposta quasi vent’anni fa, potrebbe apparire una reificazione di ideologie, proprio quando quelle più nefaste (fascismo e comunismo) sono considerate relitto della storia. Ma sa anche che le sue idee sono necessarie, e le propone, non ai ‘politicanti di mestiere', quanto ai cultori della scienza (politica), per suggerir loro che la teoria va portata sul terreno di un nuovo realismo in cui la politica non sia più autoreferenziale. Altro che esercito di Caio o di Sempronio.

 

4. C’è da chiedersi quanti di coloro che fanno politica, ma anche di coloro che pensano di potersi/doversi occupare di politica come servizio, siano consapevoli che far politica implica di avere un minimo di conoscenza delle questioni discusse da Freeden. Eppure, ci sono eccellenti studiosi che scrivono saggi notevoli di scienza della politica, affrontando anche temi come quelli che egli suggersce. E’ che fra i ‘politicanti', perché questo sono, pochi ne hanno letto uno! Ed ecco la inanità, e le conseguenze nefaste, della vita politica del nostro paese.
Purtroppo.

 
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La politica dei mentori

Post n°64 pubblicato il 06 Febbraio 2014 da beppe_dinverno

1. Con Cacciari amante delle sue opinioni e Zucconi disimpegnato, stasera ‘Otto e mezzo’ di Lilly Gruber è stata un’altra occasione per dare addosso al Governo e additare gli errori che commetterebbero le Istituzioni: decreto IMU-Bankitalia e costituzione di parte civile del Senato nell’ennesimo processo Berlusconi. Personalmente ho l’impressione che sia in corso di svolgimento un programma per far cadere il Governo e andare al voto, con o senza la nuova legge: per farla finita con i ‘comunisti’; secondo Renzi vecchi conservatori, secondo Berlusconi i comunisti di sempre. Ma gli intellettuali di prestigio non dovrebbero limitarsi a ‘non so’, e ‘non capisco’. 

2. Professor Cacciari, la democrazia italiana, quando non è condivisa (dalla politica), non può che fare appello alla legalità. Grasso è stato richiesto dal Tribunale che tratta l'ennesimo processo Berlusconi di costituirsi, o meno, parte civile. In qualità di presidente - obbligato ex lege a tutelare l’organo che presiede, nelle ragioni attuali e potenziali - non poteva non fare quello che ha fatto, perché - e questo vale anche per Zucconi - in Italia la legge è assistita dal principio di ‘effettività’, secondo il quale, essa va osservata.

3.Dottor Zucconi, le quote patrimoniali di Bankitalia, nacquero pubbliche; con la privatizzazione delle banche diventarono private; recentemente, pur appartenendo a banche private, sono state destinate a servizio pubblico. Fino al decreto di cui si discute ammontavano a poco più di 160 mila euro. Potevano/dovevano essere rivalutate per elementari regole contabili (principio di verità del bilancio) e per l’esistenza dei fondi necessari (riserve ordinarie). Era opportuno rivalutarle per:
- vantaggio dello Stato, per via del prelievo fiscale sulle plusvalenza;
- vantaggio delle banche interessate, per l’incremento dei loro patrimoni, prossimamente soggetti a stress test da parte degli organi europei preposti;
- obbligo della stessa Banca d’Italia a tenere un bilancio in ordine.
Tutto questo, senza alcuna spesa aggiuntiva da parte dello Stato.
Il regalo alle banche di cui si parla è frutto dell’ignoranza di quel minimo di principi di economia aziendale, pubblica e privata, e di economia finanziaria, che obbligherebbe i portatori ad informarsi, prima di credere di poterne discutere proficuamente, e specialmente in pubblico. In definitiva - e questo vale anche per il professor Cacciari - prima di questo decreto le banche accreditavano da Bankitalia, oltre alla quote di partecipazione, una parte delle riserve (ordinarie, attenzione! Che non c’entrano niente on le famose riserve auree), accantonate in tanti anni di gestione, anche del patrimonio iniziale. L’arcano del decreto è che lo Stato, organo di vigilanza su Bankitalia, l’ha autorizzata aadottare  un atto di gestione necessario ed opportuno: portare parte delle riserve ordinarie (1/3 all’incirca) a capitale.

4. Ultima questione: il decreto si occupa di due oggetti diversi. E allora? Per la rinuncia all’IMU si dovevano indicare ‘i mezzi di copertura’ (art. 81 della Costituzione); la parte che riguarda la rivalutazione di Bankitalia è l’indicazione di copertura.
Professor Cacciari e Dottor Zucconi, talvolta le scelte della ‘politica’ non sono sufficienti a garantire democrazia nella legalità.  

 

 
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La gentilezza.

Post n°65 pubblicato il 01 Marzo 2014 da beppe_dinverno

1. I più gentili al mondo sono gli australiani, seguiti da irlandesi, canadesi e neozelandesi. Fra 146 paesi sui quali Charities Aid Fundation ha condotto una ricerca ad hoc, il World Giving Index dell’Italia occupa uno  degli ultimi posti.
L’idea di promuovere la gentilezza come stile di vita si è formata a Tokyo, dove nel 1997 è nato un movimento ad hoc: il World Kindness Mouviment. In poco tempo il movimento si è diffuso in 23 paesi,  dando alla gentilezza la dignità di oggetto di interesse e di studio. Ce n’era bisogno?
D'acchito la risposta sembrerebbe negativa: tutti sappiamo del concetto di gentilezza e tutti siamo pronti a credere d’essere gentili. Ma se ci soffermiamo a considerare il tipo di gentilezza all’attenzione del movimento, dobbiamo cambiare idea.
Compiere cortesie casuali verso chiunque, estranei inclusi, donare aiuto, raccogliere cartacce per strada, lasciare un caffè pagato al bar; o ancora: una buona azione al giorno, piantare fiori sottocasa del vicino; e in forma più impegnativa: organizzare  banche del tempo, per offrirne un po’ del proprio a vantaggio di chi ne ha bisogno; raccogliere fondi più o meno consistenti, da utilizzare in attività di microcredito o donazioni, sono queste le forme di gentilezza più sostanziali, alle quali pochi di noi si sentono chiamati. Di qui l’opportunità di fondarvi teorie e ricordarcele.

2. Da un po’ un Movimento Italiano per la Gentilezza opera anche in Italia. Speriamo che serva a migliorare in il nostro Giving Index in graduatoria.

 

 
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La riforma di cui si parla poco.

Post n°66 pubblicato il 02 Aprile 2014 da beppe_dinverno

1. La discussione sul risanamento dell’economia del nostro paese rimanda al tema delle ‘riforme’. Fra esse la riforma della Pubblica Amministrazione (PA), senza la quale nessun’altra funzionerebbe. Gli attori in campo la riducono alla rimozione della burocrazia, dietro la quale si nasconderebbero i dirigenti con i loro stipendi fuori misura e gli impigati fannulloni. E’ un approccio superficiale. Perché trascura le cause rprofonde dei mali delle amministrazioni pubbliche.
Consapevole che una riforma della PA è necessaria, questa nota - proprio partendo dal concetto di burocrazia fra genesi e modo di essere - prova a suggerire un approccio diverso. 

2. I prodromi della burocrazia risalgono all’Impero Romano. Nel 1° secolo d.c. l’Imperatore Claudio, per meglio governare gli spazi dell’Impero creò i Liberti, i quali, secondo Tacito, già da allora “esercitavano poteri regali con animo da schiavi”. Le leggi e le regole che via via si formavano per controllarne l’attività sono confluite, poi, nel Corpus Iuris, trasformandosi da un lato in astrusità, cavillosità e pedanteria e da un altro in potente arma di difesa dei gestori: si agiva solo secondo legge, naturalmente nell’interpretazione dei gestori. Nel tempo il fenomeno si è evoluto, ma la sostanza è rimasta identica. Nel XX secolo, con l’opera di Max Weber ha preso il nome di burocrazia, con valenza neutra. Successivamente, affermandosi come esercizio di potere rigido, lento, inefficace ed inefficiente, ha assunto l’attuale valenza negativa, con le conseguenze che da ogni parte si denunciano.
Per Max Weber il potere burocratico, con le sue conoscenze, le sue regole e la sua cultura, era garanzia di buona amministrazione. Anzi, se fosse stato piegato a volontà politiche, avrebbe finito per svilire la sua funzione. Lo stesso spoil-sistem, per il quale oggi la politica si sceglie la propria burocrazia, avrebbe fatto inorridire lo scienziato.
Quando si è occupata della nostra PA, la Costituzione Italiana ha fatta propria la teoria weberiana e l’ha fissata in forma di principi generali: la PA si svolge secondo legalità, imparzialità e buon andamento.
Questo è lo stato dell’arte della PA. Si dice che non funziona, e nessuno potrebbe negarlo. Vediamo in che senso non funziona, poi, magari, vedremo anche come si potrebbe intervenire per farla funzionare.

3. La PA funziona bene se la sua azione è conforme alla Costituzione, cioè, se rispetta le leggi, è imparziale e segue un buon andamento.
Sulla legalità dell’azione amministrativa tanti hanno qualche idea. Se non che la questione è più vasta di qualche idea. L’azione amministrativa è legale innanzi tutto se osserva le leggi penali: ed è fatto che i più accettano. I problemi nascono quando siamo costretti a sapere che la stessa azione amministrativa deve essere anche legittima, cioè,  deve svolgersi secondo leggi amministrative. Perché non tutti siamo pronti ad accettare che le leggi amministrative di riferimento siano fattre di cinque ordini normativi distinti: leggi ordinarie, leggi delegate, decreti legge, decreti ministeriali e, last bat not least, circolari ministeriali. E non tutti immaginiamo che fra le leggi ordinarie primeggi la complicata legge di Contabilità dello Strato. Infine, non tutti siamo pronti ad accettare che la non corretta applicazione di una soltanto delle norme disseminate nei diversi ordini, spesso, può rendere l’atto amministrativo illegittimo. Senza tacere, poi, delle difficoltà legate, per esempio, alle incongruenze, sempre in agguato, fra norme di rango diverso.
Ma non è tutto. Che significa che l’azione amministrativa deve svolgersi con imparzialità e secondo buon andamento?
L’azione amministrativa è imparziale quando garantisce a tutti identico trattamento. Se, per esempio, l’azione consiste nell’applicazione di una legge nazionale, i funzionari chiamati ad agire sul territorio, ovunque agiscano, devono assicurare le stesse modalità di applicazione; perché ciò si verifichi, è necessaria una circolare ministeriale che interpreti la legge e fornisca istruzioni per l’applicazione.
Più complessa è la questione del buon andamento. Secondo una consolidata dottrina il buon andamento dell’azione amministrativa si ha quando l’azione è efficace ed efficiente: è efficace se raggiunge lo scopo che si prefigge; è efficiente se rispetta il principio del massimo edonistico, cioè se costa il meno possibile. E’ questione annosa in economia se efficienza ed efficacia possano convivere nelle aziende pubbliche, come si verifica nelle aziende private. Il controllo di gestione, che misura ad un tempo efficacia ed efficienza della gestione, mentre funziona nelle aziende private, per quanto riguarda le aziende pubbliche si rivela quasi impraticabile. Per la semplice ragione che in esse non esistono ricavi da mettere a confronto con i costi. Nelle aziende pubbliche, insomma, è quasi impossibile dar conto dell’efficienza. Un esempio è utile a chiarire il concetto. L’ufficio certificati X dovrebbe rilasciare 1000 certificati al giorno; l’unico addetto riesce a rilasciarne 500: è un ufficio inefficace. Per renderlo efficace bisognerebbe dotarlo di un secondo addetto e un secondo computer; raddoppiando, però, i costi, a tutto danno dell'efficienza.

4. Da quanto precede si desume che la burocrazia intesa nella sua accezione negativa esiste, ma per gran parte è conseguenza della sua struttura organizzativa e delle leggi che la governano.
Di che tipo di riforma c’è bisogno?
Primo. Come si è detto, la burocrazia è vecchia di secoli. Ed è impensabile che possa essere estirpata. Perché, almeno fino a quando non degenera negli eccessi che oggi si denunciano, è garanzia di terzietà e, quindi, d’imparzialità dell’azione amministrativa. Se è così, va solo governata. Per renderla tendenzialmente stabile, e adeguata alle finalità che la PA persegue. Inoltre, nella misura in cui sconfina negli eccessi, va contenuta, per ricondurla alla sua primigenia funzione di garanzia.
Secondo. La PA è organizzata gerarchicamente per uffici, e si svolge mediante procedimenti. Un’organizzazione gerarchica, si sa, è di per sé causa di depotenziamento dell’azione e, quindi di burocrazia. A questo vanno aggiunte le negatività dei procedimenti, fra le quali la ripetitività degli atti, indipendentemente dagli scopi. Se questi sono i limiti, la struttura organizzativa della PA va ripensata su basi nuove. Per farlo c’è bisogno di una nuova disciplina del modello gerarchico, di talché il potere decisionale sia meglio distribuito lungo le linee di comando. Inoltre occorre disegnare un’azione amministrativa che si dispieghi non più per funzioni permanenti ed immutabili, ma per obiettivi e carichi di lavoro. Infine occorre regolamentare l’attività, per far operare gli uffici non più per procedimenti amministrativi, ma per processi di lavoro, su programmi e progetti e verifica dei risultati e, perché no, con budget tarati sui risultati.

5. Con gli interventi sommariamente accennati, molti discorsi in tema di Riforma della PA, dalla burocrazia, alla dirigenza, ai trattamenti e anche al suo funzionamento generale sarebbero superati. Perché, finalmente, sarebbe possibile parlare di organigrammi (insieme di mission e risorse materiali ed umane), nel senso voluto dalla Scienza dell’Organizzazione.

 

 
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A roposito di rottamazione

Post n°67 pubblicato il 08 Agosto 2014 da beppe_dinverno

 1. Molti erano convinti che il capitale umano giocasse un ruolo importante nella produttività d’impresa, ma nessuno fin’ora aveva fornito prove tangibili. C’è riuscito il Prof. Luca Solari dell’Università di Milano con un paper al quale hanno lavorato anche Edoardo della Torre, ricercatore dell’Università di Bergamo e Chris Zatzich e Davd Sikora della California Polytechnic University. I risultati esposti nel paper, su dati Confindustria, sono basati sulla c.d. teoria CET (Contest Emergent Tourn over) e sono così riassumibili: un tourn over involontario, qual è, p.e., quello legato a una ristrutturazione aziendale, non ha effetti, o quasi, sulla produttività; sulla produttività, invece, incide il c.d. tourn over volontario, quello, per intendersi, mirato a sostituire collaboratori  ‘normali’  con collaboratori di talento’; tenendo presente, tuttavia, che per ottenere risultati significativi c’è bisogno di tempi non brevissimi; il che spiega che il tourn over volontario è un investimento a tutti gli effetti.

2. Matteo Renzi non m’intriga, ma ricordo volentieri che quando ‘lavorava’ per diventare segretario del Partito Democratico, in un’occasione da tribuna ha pronunciato le parole che riporto a memoria: ‘abbiamo parlato di rottamazione, ma non ce l’abbiamo con nessuno; diciamo solo che se fin’ora avete fatto voi, e nessuno vi contesta niente, d’ora in poi vogliamo fare noi, perché il futuro è nostro’. Aveva forse notizie circa l’efficacia dei tourn over? Solo lui può dirlo. Ma, se non ne aveva, è segno che quella del tourn over volontario è logica comune. Ed è logica anche mia, quando penso che un cambio di risorse umane può giovare alle incrostazioni delle organizzazioni, governi compresi. Quasi sempre, per intelliggere  adeguatamente fatti nuovi, occorrono schemi di lettura nuovi; e più me ne convinco, di fronte a dichiarazioni come quelle che seguono.

3. Il Ministro del Tesoro dell’epoca, richiesto sui dati della crescita del secondo trimestre 2014, così rispondeva: “… non mi iscrivo a nessun partito dei gufi, sono stato iscritto al partito dei realisti. I dati dell’economia anche più recenti confermano un’economia che stenta a uscire dalla recessione. Rimango, però, convinto che esistono segnali positivi… ”, valutabili in prospettiva.
Come è evidente erano parole ambigue: da un lato (quello dell’esperto) riferivano la disastrosa situazione economica in cui versava il paese; da un altro lato (quello del responsabile che doveva fare qualcosa) si limitavano ad esprimere la convinzione che la situazione sarebbe migliorata; nel frattempo non una parola sul ‘fatto nuovo’ di una disoccupazione giovanile al 40%; tutti avremmo dovuto aspettare gli sviluppi dei ‘segnali positivi’ che vedeva lui.
Era il tempo della sentenza della Corte Costituzionale sulla restituzione del maltolto ai pensionati. Il vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura a domanda così rispondeva: “… le sentenze non restano nell’Iperuranio. Incidono nella carne viva degli uomini, nonché sul tessuto produttivo e sugli assetti economici dell’intero paese… Non è vietato farne buon uso anche quando si applica la legge…”. Come si vede, una risposta politically correct, che forse traduceva un analogo pensiero del Capo dello Stato di allora, che evidentemente suggeriva forse un vero e proprio vulnus giuridico: visto che sentenze ‘incidono’, che di dovere le applichi in modo da non farle incidere, o da farle incidere il meno possibile. Ma non si diceva che le sentenze vanno rispettate?

4. Di fronte a simili prese di posizioni, vecchie e stanche, e le tante altre che ancora circolano in giro, c’è da chiedersi, per esempio, se anche la riforma della Giustizia in corso finirà per tenere conto del fatto che le sentenze non restano nell’Iperuranio e incidono (sulle persone). Perché non succeda, penso che un tourn over volontario sia davvero necessario nella vita politica complessiva del nostro paese.

 

 
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Le origini del Pop

Post n°68 pubblicato il 26 Agosto 2014 da beppe_dinverno

1. Pop è un genere musicale, ma è anche la canzone ‘Pop’, cantata da Renzo Rubino. Un suo video si trova su You Tube. Ascoltatela e provate a scoprirne le radici. Ebbene, sembra incredibile, ma esse risalgono a They didn’t believe me (Nessuno mi credeva) di Jerome Kern ed Herbert Reynolds, anch’essa su Yo Tube, e scritta per un musical del 1914. Parola di Thomas Hischak (intervista a La Repubblica del 14 agosto 2014).
Il musical, Girl from Utha, era inglese ed era decisamente scialbo. Per mandarlo in scena a Brodway, e farlo accettare dagli americani, fu  arricchito con questa canzone. Ma fece ugualmente flop. Il pubblico neanche si accorse di avere ascoltato, e per la prima volta, una canzone scritta in uno stile fino a quel momento sconosciuto. All’epoca gli spettacoli erano per lo più d’importazione europea, ed era scontato 
che la parte musicale fosse fatta di melodie o, al massimo, di arie di valzer.
Per molto tempo nessuno conservò memoria di They didn’nt Believe me.

2. Due anni dopo in Inghilterra diventò premier David Lehman e, chissà perché, ebbe modo di dichiarare che quella melodia (?) era accattivante e sublime.
Più tardi Mel Tormé, il famoso autore di Merry Crismas fu più deciso, e scrisse senza mezzi termini che la canzone aveva segnato la nascita dell'american song. I critici l’avevano ignorata perché troppo dirompente rispetto alle canzoni più familiari, a note lunghe, con le quali 
i cantanti avevano possibilità di esprimere al meglio la loro voce. Il pubblico, invece, l’aveva apprezzata, e persino George Gershwin ne fece un punto di riferimento per le sue composizioni. 
Con l’esibizione di artisti del calibro di Mario Lanza, Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Dean Martin, Charl Parker e Chet Backer, in poco tempo la canzone fece oltre 2 milioni di sheet music (oggi si direbbe dischi). “I giovani realizzarono che le canzoni non avevano più bisogno di essere altisonanti e forzatamente poetiche: potevano invece essere più casual, senza perdere di romanticismo.” (Tomas Hischak, v. sopra).

3. Quarant’anni dopo il debutto di They did’nt believe me, Jerome Kern fu trovato morto dal suo paroliere Oscar Hammerstein in un negozio antiquario di New York, colpito da emorragia cerebrale. Di lui ci restano brani immemorabili come: Ol’man river, Smoke gets in your eyes, The last time I saw Paris, e tanti altri, per i quali gli siamo grati.   

 
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L'Antropocene.

Post n°72 pubblicato il 24 Aprile 2015 da beppe_dinverno

 

1. Eugene Stormer insegnava all’Università del Michigan ed è deceduto nel 2012. Era un ecologista, e nei suoi studi era arrivato all’idea che da tempo siamo entrati in una nuova era geologica: l’Antropocene.
La nuova era si distinguerebbe da quelle precedenti, per essere caratterizzata dalla pervasività dell’uomo sulla natura, che la dominerebbe e la modellerebbe fino a farne una propria creatura.
E’ quanto scrive Raffaele Carruba sul magazine de Il Sole 24 Ore del 23 aprile scorso.

2. Stormer non è stato preso sottogamba, e molti, fra studiosi e notisti, si stanno occupando della sua idea.
In effetti, se ci pensiamo bene, in passato l’azione umana non ha prodotto guasti irreparabili: si è disboscato, e la foresta è rinata, si è costruito sulle coste, e il mare ha riportato tutto alla stato quo-ante; ma poi, sono state vinte malattie che l’uomo stesso aveva causato, si è allungata la vita, e la natura è rimasta com’era, o giù di lì.
Da tempo non è più così.
Se non ci fossero altre tesi da chiamare a sostegno, ci sarebbe almeno quella dell’indistruttibilità della plastica a farci pensare che la tesi di Stormer è plausibile.
La plastica è nei fondi del mare, negli stomaci dei pesci, si compatta con la terra: la plastica, cioè, è entrata nei processi biologici della natura. Se un giorno non lontano dovessimo trovare che - nella forma scelta per l’adattamento – la plastica è nei ghiacciai dei poli, non potremmo più meravigliarci. Dovremmo solo convenire che davvero siamo nell’Antropocene: dove è ancora natura, ma con qualcosa creata dall’uomo.

3. Però, attenzione: potremmo anche arrivare al punto che qualcosa creata dall’uomo si dimostri incompatibile con la natura. Sarebbe l’inizio della distruzione della biodiversità. In tal caso saremmo oltre l’Antropocene, saremmo, esattamente, nell’Eremocene, o era della solitudine, come l’ha definita Edward O. Wilson; che, per chi non lo sapesse, è il padre della Sociobiologia.
E’ un approdo che dobbiamo scongiurare già come possibilità. Con tutta la responsabilità che ci pertiene.

 

 
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Le idee oggi

Post n°73 pubblicato il 12 Maggio 2015 da beppe_dinverno

1. Una leggenda vuole che Platone, vecchio e malandato, forse con l’ansia della morte addosso, sognò di essere un cigno che sfuggiva al’inseguimento di alcuni cacciatori. Un’altra, per bocca del filosofo Simmia, spiega il fatto: verosimilmente gli inseguitori erano gli interpreti di Platone, che cercavano di catturarne il pensiero senza riuscirci, o meglio, riuscendovi solo in parte e, comunque, senza mai giungere ad una sistemazione univoca. Persino Aristotele, che di Platone era, per così dire, un lettore critico, è passato alla storia col quel ruolo.
E’ quanto scrive il professor 
Mauro Bonazzi della Statale di Milano in un libro da leggere (M.B. - Il Platonismo – Einaudi).
Che dire! Persone ricche di gloria, persone che amiamo ancora, nonostante siano passati duemila anni e oltre, dibattevano le idee in maniera dialettica e con rispetto reciproco; e, se erano distanti nel tempo, non rottamavano.

2. Mi domando perché oggi i dottori, che sono medici, avvocati, professori; e ancora: politici, ministri, onorevoli, giornalisti, che hanno studiato, e che dovrebbero essere gli eredi non solo di Platone e Aristotele, ma dell’intera storia culturale, quando si incontrano - nelle sedi istituzionali, nei luoghi di lavoro, in televisione - riescono ad essere educati non più di cinque minuti, dopo di che sono sberleffi, sufficienze, e persino offese più o meno striscianti, in cui si disperde il merito dei problemi.
E’ forse questo il motivo per cui il nostro paese manca di una classe dirigente?
E forse questo il motivo perché siamo… in che cosa: nella palude? in mezzo al guado? dentro al tunnel? o in quale altra sciatta metafora che ci viene propinata quotidianamente fino alla noia?
Beh, la mia risposta è si.

 
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