Creato da parmenide2008 il 13/06/2008

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Spazio aperto su opinioni, fatti, persone

 

uomini in cambio di carbone

Post n°86 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da parmenide2008
 
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LA SOTTILE LINEA BIANCA UOMINI IN CAMBIO DI CARBONE. Il nostro paese a partire dal 23 giugno 1946 , scambiò con Bruxelles uomini in cambio di combustibile . Fu infatti firmato a Roma, in quella data, un protocollo per il trasferimento di 50.000 lavoratori italiani nelle miniere belghe, il cosiddetto accordo “uomo-carbone”, siglato dal primo ministro De Gasperi e dal suo omologo Van Acker. Fa da contrappasso a questo ricordo la teoria “immigrati in cambio di flessibilità, che circola almeno dall’aprile 2016, quando ne parlò l’allora presidente del Comitato di controllo Schengen ossia la deputata di Forza Italia Laura Ravetto. Il presunto accordo tra governo Renzi ed Unione Europea sarebbe stato ufficializzato durante l’estate e l’autunno del 2014, mentre veniva negoziato il lancio dell’operazione Triton, ossia la missione europea per la protezione delle frontiere marittime italiane guidata dall’agenzia Frontex. Ma torniamo ai minatori: Tra il 1946 e il 1957 gli italiani espatriati verso quella terra, che si riteneva essere un paradiso (almeno come appare l’Italia agli attuali immigrati), sono stati 223.972, rispetto ai 51.674 rimpatri. Si trattava di un afflusso senza antecedenti simili, che il Belgio (otto milioni e mezzo di abitanti nel 1950) non era assolutamente preparato a ricevere. Difatti le famiglie italiane, quando arrivarono, finirono nelle baracche, ossia nelle costruzioni di lamiera che durante la Seconda Guerra Mondiale erano state utilizzate prima come lager dai nazisti e poi come campo di prigionia per gli stessi tedeschi. Il contratto prevedeva per i minatori un periodo minimo di un anno di lavoro (pena l'arresto in caso di rescissione da parte loro). Per 8 anni, per molti di loro fino al giorno della tragedia di Marcinelle, gli italiani lavorarono giorno e notte in cunicoli alti appena 50 centimetri a più di 1000 metri dentro le viscere della terra, spesso vittime di esplosioni di grisù e di malattie gravi come la silicosi. Lasciavano le campagne, l’aria aperta e l’Italia (del sud), perché avevano bisogno di soldi, e durante la prima discesa “al fondo”, certamente si dicevano: “Se risalgo in superficie, laggiù non ci torno più”. In tanti sono morti di silicosi, che rende il respiro corto e uccide. In molti sono sopravvissuti, ammalati o “quasi sani”. Alcuni sono ritornati in patria, altri divenuti “Belgioti”. Trovarono un lavoro che una parte dei belgi non volevano più fare perché volevano “abbandonare una fatica quanto mai ingrata ed abbrutente, nociva, mal retribuita e pericolosa”. Tanto c’erano gli italiani a prendere il loro posto, che furono spediti dal primo ministro De Gasperi a procurare carbone, ad uccidersi di lavoro, in nome della necessità. La storia di tanti si concluse nella miniera di Marcinelle, diventata famosa a motivo dell’incidente che, l’8 agosto 1956, causò la morte di 262 minatori, tra cui 136 italiani. Gli ultimi corpi furono ritrovati il 22 marzo del 1957, mentre si dava inizio all'inchiesta su chi avesse la colpa della tragedia. Come supponibile, la Commissione belga (nella quale furono chiamati anche alcuni ingegneri minerari italiani), discolpò la società delle miniere del Bois du Cazier (il vero nome delle Marcinelle), in un percorso zeppo di mancanze e vizi di forma. l’unico condannato fu, nel 1961, Adolphe Cilicis, un ingegnere che dirigeva i lavori della miniera, mentre già nel 1959 i dirigenti della miniera erano stati assolti dalle accuse di inadempienza. Dopo l’incidente, il sito minerario riprese a lavorare circa un anno più tardi, prima di cessare del tutto le attività nel 1967. I superstiti dell’incidente furono soltanto 13. Le vittime non ebbero né giustizia né risarcimento in quell'estate di 60 anni fa, al tempo in cui gli italiani, cercando una nuova terra che li accogliesse, non morivano annegando in mare, ma sotto terra, immersi nei cunicoli, ad estrarre carbone. BiEffe Foto da: http://reportage.corriere.it/esteri/2016/la-memoria-dei-minatori-italiani-in-belgio/

 
 
 

Lettera aperta a Matteo Salvini.

Post n°85 pubblicato il 12 Febbraio 2019 da parmenide2008
 
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Lettera aperta a Matteo Salvini. Lega, vicepresidente del Consiglio e ministro dell'interno del Governo Conte. Gentilissimo, non le darò del tu, in quanto non ci conosciamo, neanche del voi, tanto voluto dal fascismo da costringere ad usarlo anche con Giacomo Leopardi, quando si trasmise un suo testo alla radio. Per cui le darò del “lei”. Sa bene che l’attuale “lega” lo è dal 21 dicembre 2017, dopo che è stata eliminata la parola "Nord" e il Sole delle Alpi (il sole meridionale è ben più caldo) dal proprio simbolo. Da buon politico intelligente (qual è), ha compreso che, pur essendo “partito come partito” dalla Lega Nord per l'Indipendenza della Padania, nato nel 1989 dai sei movimenti autonomisti regionali attivi nell'Italia settentrional ( Lega Lombarda, Liga Veneta, Piemont Autonomista, Union Ligure, Lega Emiliano-Romagnola ed Alleanza Toscana), se voleva che il partito rappresentasse l’Italia intera, doveva fare sì che non fosse più un partito “separatista ed autonomista”. Di conseguenza occorreva che NOI DEL SUD, dimenticassimo le frasi dette da lei per implementare i voti del nord: -“ 2009. Festa di Pontida. Lei intonava il coro: “Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”- Agosto 2012. Lei su Facebook:“Una sciura siciliana grida e dice “vogliamo l’indipendenza, stiamo stanchi degli attacchi del Nord”. Evvaiiiiiiii””- 2014. Riguardo ad una possibile riforma della Scuola, Lei dichiarava: “Bloccare l’esodo degli insegnanti precari meridionali al Nord”.(n.D.a. neanche se noi del sud stessimo morendo dal desiderio di lasciarlo e non lo facessimo soltanto per necessità).”- Mi fermerò con (sua) :-“ Carrozze metro solo per milanesi”.- Le risparmio le perle di saggezza dette dai “suoi” in passato. Però vorrei ricordarle che “i suoi”, oggi lo sono ancora di più e sarebbe il caso di ricordare loro un po’ di cose, per evitare che, venuti nel NOSTRO meridione, con l’ausilio di persone che, accogliendole, non glielo facciano notare (il che è più vergognoso e blasfemo di quanto si possa immaginare), si comportino come se il cervello, la cultura, l’intelligenza e una genetica perfetta, fossero patrimonio di chi è nato DOPO ROMA. Non le conviene. Glielo dico in quanto alla lunga potrebbe anche nuocerle. Il primo voto in meno sarebbe IL MIO. Dunque: cosa ha fatto per noi l’esaltato Garibaldi con il suo “ubbidisco”? Ci ha ceduto al Piemonte. Cos’era “il piemonte” prima dell’unità d’Italia? Non glielo voglio neanche dire: se lo vada a studiare LEI. Cosa fa parte del patrimonio genetico dei “sudisti?” Innanzi tutto sarebbe utile ricordare anche a chi è più “razzista” di quanto possiamo immaginare sia LEI, che L'Europa è stata colonizzata dagli esseri umani moderni (provenienti dall'Africa). Insomma: siamo tutti AFRICANI. Tuttavia, prima di andare oltre (potrei rimandarla al mio testo storico/sociologico Polvere di Storia, però sembrerei “di parte”), quindi, visto che Il governo italiano è formato da Lega e Movimento 5 Stelle, mi limiterò a ricordarle (http://www.beppegrillo.it/terroni-intervista-a-pino-aprile/), l’intervista pubblicata sul Blog di Beppe Grillo a Pino Aprile per il suo libro “Terroni” (stralcio):-“Blog: “Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali, cosa è stato fatto in questi 150 anni? Pino Aprile: “Di tutto, sono state usate le armi, la politica, l’economia per creare un dislivello tra due parti del paese che non esisteva al momento dell’Unità e questo pur sostenuto nel corso di un secolo e mezzo da fior di studiosi, non è mai stato preso in considerazione.”- E, sempre dallo stesso articolo/intervista: -“ Il libro “Terroni” di Pino Aprile dovrebbe diventare un testo di scuola. Da 150 anni ci raccontano la barzelletta del Sud liberato dai Savoia per portarvi la libertà, la giustizia, il progresso. “Terroni” descrive con una puntigliosa documentazione e ricerca delle fonti un’altra realtà. Quella di un Paese occupato, spogliato delle sue attività produttive, con centinaia di migliaia di morti tra la popolazione civile. Un Paese “senza più padri“, costretti, per sopravvivere, a milioni all’emigrazione (prima quasi sconosciuta) dopo l’arrivo dei Savoia che, per prima cosa, ne depredarono le ricchezze a partire dalla Cassa del regno delle Due Sicilie. “Terroni” racconta le distruzioni di interi paesi, le deportazioni, la nascita delle mafie alleate con i nuovi padroni. L’Italia unita è stata fatta (anche) con il sangue degli italiani.”- Perlomeno dei “5 stelle” dobbiamo apprezzare il fatto che grillini erano e tali sono restati. Noi del Sud siamo figli delle colonizzazioni greche e bizantine e se qualcosa mancava ai nostri ricchissimi cromosomi c’è stata data con la violenza da quanti, sul nostro (troppo), fertile territorio, hanno messo le zampe più volte. Per il resto, ci siamo meritati dei “RE”, che invece di difendere i nostri territori, sono fuggiti altrove e “VOI DEL NORD”, un uomo troppo intelligente chiamato CAVOUR il quale, anche a mezzo di donne come “la Contessa di Castiglione”(cui avrebbe detto “usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite” e quindi sedusse Napoleone III, portandolo così a rinforzare la causa dell’indipendenza italiana), riuscì a fare la piemontesizzazione, che venne chiamata “Unità d’Italia.” Poi, come italiani, ci siamo meritati un primo RE che si diceva essere il figlio di un macellaio, sostituito al vero principino morto in un incendio, nella sua culla di Palazzo Pitti a Firenze. E Garibaldi, che aveva promesso le terre ai meridionali, però si ritirò in buon ordine, dopo essersi assicurato che le sue truppe fossero arruolate nell’esercito regolare. DOMANDA: Che cosa poteva nascere dall’unione di una “Marchesa di alto bordo”, di un “figlio di nessuno divenuto re”, di un “folle visionario con la camicia rossa” e di un “secondogenito senza un soldo e in cerca di gloria”(tale era Camillo Benso, conte di cavour)? L’Italia che abbiamo. Oggi la governate voi. Chiedete ai vostri giannizzeri di andarsi a studiare i “veri” libri di storia. Chiedete loro di comprendere come, attraverso la Cassa del Mezzogiorno, lo 0,5% del Pil veniva impiegato per strade, scuole, fognature, spacciando tali opere per “interventi straordinari”, laddove, come suggerisce Pino Aprile nel suo libro: - “Dov’è la cosa straordinaria del fare le strade, le fogne, le scuole?”- Si considerava “straordinario” costruire un Paese con fondi pubblici, tuttavia:- “Al nord con quali soldi hanno fatto le strade, le scuole, le fogne?.- Intanto, ancora oggi, un suo Ministro, il ministro Bussetti viene ad offendere gli insegnanti del Sud. Illustrissimo Vice Ministro, l’unica cosa che mi demoralizza davvero è il fatto che, con una sottomissione di comodo (ma per quanto ancora?) veramente vergognosa, c’erano ad Afragola e Caivano (Napoli), gente del posto ad accogliere, plaudire ed osannare (annuire alle sue parole), quel SUO Ministro del… Governo, mentre, una volta di più (e proprio di troppo), offendeva chi gli paga lo stipendio. Bianca Fasano.

 
 
 

"La grafia dell'amore e dell'odio e altri metodi di conoscenza dell’essere umano"

Post n°84 pubblicato il 10 Agosto 2018 da parmenide2008
 
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La scrittrice Bianca Fasano lavora a:"La grafia dell'amore e dell'odio e altri metodi di conoscenza dell’essere umano". Con il caldo estivo, ore al computer, tra fascicoli di grafie differenti da catalogare. Intervista dell’editore Ciro Riemma.

D:-“Come mai questo lavoro con l’afa d’agosto? Niente vacanze?”-

R:-“La mia vacanza è nello studio dei reperti grafologici raccolti in anni d’insegnamento e nei reperti raccolti nelle varie occasioni possibili: cerco i segnali dell’amore e dell’odio nelle grafie, ma anche le incertezze giovanili, i timori verso il futuro, le difficoltà del vivere il quotidiano. Vecchi segni che i grandi della grafologia ci hanno indicato, ma anche nuove connessioni dovute ai cambiamenti nella vita sociale.”

D:-“Perché?”-

R:-“Trovo che sia utile la conoscenza del carattere di una persona con cui stiamo avviando una relazione di qualsivoglia tipo: Essere a grandi linee in grado di farlo ci renderebbe più chiara la via da seguire per cui, a ragione di ciò, dopo aver mandato in stampa tanti lavori (di cui alcuni anche con lei), ho deciso che fosse il caso di scriverne uno, senza la pretesa che sia un testo scientifico ad alto livello, atto però, a grandi linee, di permettere la conoscenza più intima di un individuo di cui ci si invaghisce o verso cui si comincia a provare un sentimento o anche soltanto contattato per motivi di lavoro.”-

D:-“ Non unicamente grafologia?”-

R:-“No: Uno studio altresì sul come “Riconoscere i segni. La comunicazione non verbale.” Penso che molti stiamo seguendo o abbiano seguito, la serie tv americana dal titolo Lie to me.  In realtà in Italia è arrivata in ritardo.  L'attore Tim Roth,  interpreta un personaggio particolare, considerato nell'ambito della serie, un grande esperto i espressioni facciali. Questa si riallaccia al lavoro di Paul Ekman[1] e  molte situazioni che nella serie si fanno ascrivere alla vita personale del dottor Cal Lightman, sono tratte dagli scritti di questo studioso. Personalmente,  ho avuto modo di conoscere e studiare i lavori di Paul Ekman  in più occasioni e ne sono stata affascinata, anche per la mia propensione alle applicazioni propedeutiche alla comprensione dell'essere umano nelle sue varie sfaccettature. Lo studio delle microespressioni e altresì, quello delle posizioni che vengono assunte dalle persone in varie situazioni (anche quando queste non stanno usando consciamente  tentativi di menzogna), mi è stato sempre molto utile e la conoscenza, anche se parziale, che intendo fornire con il mio lavoro, ritengo possa essere utile nel quotidiano a chiunque.

D:-“ E’ vero che intende dedicare uno spazio alla scrittura così detta “automatica”?-

R:- “Vero: Mi sono occupata di scrittura automatica e semiautomatica[2] nel mio testo di parapsicologia “Voci dal passato” e intendo confrontare le mie esperienze con altre, per trovare punti di affinità che possano chiarire questo grande dilemma: “Possono gli esseri incorporei porsi davvero in contato coi vivi attraverso la scrittura?”. Una verifica, insomma.

D:-“A quanto il lavoro finito?”-

R:-“Non posso dirlo: è un albero con molte ramificazioni, compreso la presentazione grafologica e biografica (breve), di alcuni serial Killer (grafia dell’odio) e di personaggi che nel sociale si sono distinti nell’arte e nell’amore per il prossimo (grafie dell’amore). Mi occorre tempo. Avevo in mente questa opera da anni e la considero troppo impegnativa per ridurla all’essenziale.”-

R:-“Sarà pubblicato in ebook o cartaceo?”-

R:-“Prima in ebook, che mi permette riletture, rielaborazioni e controlli mediante i lettori, quindi in cartaceo, così come ho fatto per alcuni lavori precedenti come “Appunti di sociologia”.”-

D:-“Allora buon lavoro! Sarà certamente qualcosa degna di nota”-

-“Grazie. Dopo lo diranno i lettori.”-

Ciro Riemma.



[1] Paul Ekman (Washington, 15 febbraio 1934) è uno psicologo statunitense. Grazie alle sue ricerche scientifiche è considerato il pioniere dello studio atto a riconoscere le emozioni enfatizzando le espressioni facciali.

[2] La scrittura semiautomatica (o automatica), è il processo di scrittura di frasi che non arrivano direttamente dal pensiero cosciente dello scrittore. Può avvenire in stato di trance, oppure in maniera cosciente ma senza la consapevolezza di quello che si sta scrivendo. È stata a volte usata in psicoanalisi nel tentativo di fare emergere conflitti inconsci. È uno degli strumenti più usati della tecnica di scrittura surrealista.

 
 
 

cerimonia d’intitolazione di “Via Giuseppe Grimaldi (1930–1981), Medaglia d’Oro al valor civile”.

Foto di parmenide2008

Sabato 30 settembre 2017, alle ore 16:30, al casale Prepezzano di Giffoni Sei Casali, in Lungofiume località Ramiera, si terrà la cerimonia d’intitolazione di “Via Giuseppe Grimaldi (1930–1981), Medaglia d’Oro al valor civile”.

 Il Comune di Giffoni Sei Casali, difatti, su invito dell’Associazione Giorgio Ambrosoli Salerno, ha deliberato prontamente,  con atto di Giunta Comunale n. 22 del 2 marzo 2017, l’intitolazione di una strada in favore di Giuseppe (Pino) Grimaldi,  Segretario particolare dell’Avv. Leopoldo (Dino) Grassani, con il quale condivise sia la coraggiosa tempra che il barbaro assassinio da parte della criminalità organizzata, il 27 marzo del 1981 e con questi è stato insignito della Medaglia d’Oro al valor civile in data 26.5.2009 da parte del Presidente Giorgio Napolitano,” Per aver pagato con il proprio olocausto la dedizione alla Toga ed alla Legge”.  

-“Chi per la gloria muor/Vissuto è assai/La fronda dell'allor/Non langue mai”- fece cantare nella sua opera, dal coro presente nella nona scena del primo atto, nella “Caritea, regina di Spagna” (ossia La morte di Don Alfonso re di Portogallo) il compositore Saverio Mercadante e a queste parole fecero fede i fratelli Bandiera, fedeli Mazziniani che, mutandole in “Chi per la patria muor/Vissuto è assai”, le ritennero le più opportune per chiudere le loro vite. In questi tempi dove “L’Italia è fatta”, ma si cerca di distruggerne gli ideali più profondi, è giusto che alla manifestazione partecipi, oltre ad un vasto pubblico di cittadini, sia per invito personale che per essere presenti all’evento, per il Comune di Giffoni Sei Casali,  Il sindaco Francesco Munno e per per l’Ass. Giorgio Ambrosoli Salerno, il presidente Dott. Raffaele Battista, e che entrambi prendano la parola a ricordo (Per informazioni:  Ufficio segreteria del sindaco;  Ufficio Segreteria segreteria@comune.giffoniseicasali.sa.it e Segretario dell’Associazione Giorgio Ambrosoli, A v v .  P a s q u a l e  D'A i u t o, Via R. De Martino n. 7, 84124 Salerno; Tel. e fax 089.22.21.51 - 347.69.00.518 pasqualedaiuto@hotmail.com

vvpasqualedaiuto@pec.ordineforense.salerno.it )

Pino Grimaldi è un eroe; ucciso mediante una vera e propria esecuzione con un colpo solo alla fronte. Uno di quegli eroi che più di quanti, per ragioni di belligeranza, si trovano a morire su un fronte di guerra, ebbe il presentimento di quanto gli sarebbe accaduto ma non indietreggiò. Fu udito ripetere spesso: «Io morirò con l’avvocato Gassani». Avrebbe, come il suo amico, potuto tirarsi indietro,provarsi a convincere l’avvocato  a rinunciare al lavoro che lo vedeva coinvolto in merito al rapimento di due imprenditori Campani, per questioni legate alla testimonianza di un cliente. In precedenza, difatti, erano state prodotte contro l’avvocato Gassani, diverse minacce di morte da parte della camorra, ma questi non volle retrocedere in forza della paura e così vennero barbaramente uccisi entrambi, nello studio del legale di Salerno. Avevano entrambi cinquantun anni. Pino Grimaldi era divenuto l’ombra dell’avvocato Gassani, per non lasciarlo solo nel pericolo, anche in quanto amico di famiglia e videro la morte assieme, per mano di due emissari della camorra. Occorre dunque rimarcare che la società non dimentica i suoi martiri ed appare davvero un bel gesto quello dell’Amministrazione comunale di Giffoni Sei Casali che, in tempi brevissimi, ha voluto rendere omaggio al ricordo dello sfortunato e coraggioso concittadino. Come Giorgio Ambrosoli, cui è dedicata l’Associazione salernitana, anche Pino Grimaldi merita il ricordo costante e l’attenzione di quanti conoscono il loro sacrificio: “Chi per la patria muor, vissuto è assai”.

Bianca Fasano

 

 
 
 

VELIA , PARMENIDE E L’EREDITA’ CULTURALE

Post n°82 pubblicato il 27 Marzo 2014 da parmenide2008
 
Foto di parmenide2008

 

Narra Strabone:-

Chi doppia il capo (Sinus Paestanus)  trova contiguo un altro golfo, in cui è la città che i colonizzatori Focei chiamano  Elea, da cui vennero Parmenide e Zenone Pitagorici. A mio parere, a causa di quelli furono ben governati anche in antico e perciò resistettero ai Lucani e ai Poseidoniati e ne risultarono più forti, benché inferiori e per estensione del territorio e per numero di abitanti.”-

Da queste poche frasi siamo già in grado di comprendere l’importanza di uomo politico che ebbe Parmenide per la città di Velia; nella quale ancora nel IV sec. si parlava e si scriveva in greco ed a cui il Senato romano aveva riconosciuto il diritto di conservare i caratteri della grecità.

Lasciamo adesso la parola su Velia all’archeologo che più l’amò, ossia Mario Napoli:- (Civiltà della Magna Graecia-Gennaio 1985)

“Dati obbiettivi fanno oggi di Velia un terreno ideale per la ricerca archeologica. Infatti, mentre molte città della Magna Graecia, e basterebbe ricordare Neapolis, Reggio e Taranto, hanno continuato a vivere oltre i tempi dell’età antica, senza soluzione di continuità, per cui vivendo hanno cancellato quasi ogni traccia del loro passato, e mentre di molte altre città o si ignora il sito preciso, o fatti dovuti all’uomo e alla natura hanno distrutto tutto o grandissima parte, Velia è, invece, attualmente disponibile per il piccone dell’archeologo.”-

Mario Napoli ci spiega che:-”La linea della spiaggia era molto più arretrata, per cui il  colle, sulla quale è l’acropoli, in antico si protendeva nel mare, e tutta la collina, sul crinale della quale corrono le mura, divideva l’abitato in due quartieri urbanisticamente distinti. Il quartiere settentrionale, più piccolo, era in funzione del porto fluviale alle foci dell’Alento, che in età antica scorreva leggermente spostato a sud, nel suo tratto finale lambendo il colle di Velia e sfociando immediatamente a monte dell’attuale strada provinciale.”- L’archeologo parla poi delle isole “Enotridi”, attualmente riconoscibili in quanto unici punti calcarei nella piana alluvionale; queste furono ricordate da Strabone e da Plinio (N.H., III, 85) che le ubica con precisione “contra Veliam”, denominandole Pontia et Isacia.  Il piccolo villaggio in “poligonale” venuto alla luce sull’acropoli potrebbe essere la “città” Enotria che i Focei “conquistarono”.  Per quanto riguarda il quartiere meridionale, più ampio del settentrionale, questi aveva un suo porto ai piedi dell’acropoli ed un altro doveva possederlo alle foci della fiumarella Santa Barbara; possedeva  un carattere politico e residenziale e coincideva, secondo il Napoli, alla città costruita dai Focei dopo il 540 a.C.. Il quartiere subì, nel tempo, numerose trasformazioni, specie nella zona portuale, a causa dell’insabbiamento dovuto al mare ed a fatti alluvionali. tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a. C., avvenne difatti una  seconda trasformazione che interessò anche la parte del quartiere  oggi visibile ai nostri occhi. L’importanza dei lavori costrinse anche al potenziamento delle fabbriche di mattoni velini, ma, a conti fatti, l’urbanistica non ne venne di molto mutata, a parte l’impossibilità dell’uso delle aree portuali. Per quanto riguarda l’acropoli, che è posta fuori del giro delle mura, questa, con un suo ingresso, appare ben differenziata rispetto ai due quartieri precedentemente annotati. Vi sono state rinvenute ceramiche greche appartenenti al 540 a.C. e si profilano in essa le fasi più antiche della costruzione di Velia. Abbiamo ricordato il villaggio in poligonale, il quale verrà successivamente coperto da un grande muro di terrazzamento verso il 480 a.C.  su cui, nel punto più alto, sarà costruito poi un tempio ionico che appare oggi con una parte dello stereobate. La strada di accesso all’acropoli risale alla terza fase costruttiva , ossia tra la fine del V e gli inizi  del IV sec. a.C. L’elemento di congiunzione tra  i due quartieri, settentrionale e meridionale è  proprio la strada  che, partendo da l porto sull’Alento, penetra da Porta Marina Nord nel quartiere settentrionale, si inerpica sul colle e, attraversando Porta Rosa, discende verso il quartiere meridionale  uscendo da Porta Marina Sud. La famosa “Porta Rosa”, regalataci dall’arguzia e dalla tenacia di Mario Napoli, venne scoperta, come narrano gli stessi operai presenti, quasi per caso. Ma occorre dire che l’archeologo aveva da sempre “intuito” la presenza di un collegamento tra i due quartieri. Si racconta che, in una qualsiasi giornata di lavoro, gli operai, durante una pausa, parlassero all’archeologo di un posto, chiamato in dialetto “voccolo”, dove i pastori si riparavano dal freddo con le pecore, perché formava nel vano della montagna una specie di grotta; fu questa la “illuminazione” che spinse Napoli a cominciare gli scavi proprio in quel luogo dove, alla luce del tramonto, comparvero i primi massi di Porta Rosa, colorati dal sole crepuscolare, di rosa. Essendo proprio “Rosa” il nome della moglie,  Mario Napoli volle battezzare così la splendida costruzione  datata circa alla metà del IV sec. che apparve in giorni successivi di scavo. Ecco come lo stesso archeologo la descrive:-

“è il più splendido monumento di architettura civile della Magna Graecia. Il solenne arco, costruito in conci radiali, senza malta, costituisce l’anello di congiunzione  tra le espressioni architettoniche simili dell’area greca del Mediterraneo orientale ed il mondo occidentale, e ci chiarisce attraverso quali tramiti  l’area etrusco-laziale abbia appreso a costruire archi a conci radiali. “-

Difatti, sino alla scoperta di Porta Rosa, si era stati propensi ad attribuire proprio agli etruschi “l’invenzione” di tale tipo di porta, pur tenendo conto che, fin dalla preistoria era in uso una sorta di arco (detto falso arco) costruito non da conci rastremati bensì da pietre piatte per cui era logico pensare che la tecnica costruttiva si fosse affinata poi nel tempo, utilizzata di volta in volta dagli egizi, dai babilonesi , dai greci , (i quali li usavano generalmente nelle costruzioni civili, quali magazzini e fognature), dagli assiri, a cui si devono i primi palazzi con soffitti ad arco e dagli etruschi, che li utilizzavano  soprattutto nei ponti e nelle porte. E’ interessante annotare che, in Moio della Civitella, gli scavi sistematici diretti da M. Napoli nel 1966, riportarono alla luce un “frourio”, ossia un centro fortificato, con le fondazioni di un grande ambiente quadrangolare in cui era inserita un porta ad arco e mura  (detta porta del castagno), risalente al IV sec. a.C.

Nel tempo, dopo l’interramento dei porti, che sempre più impediva le un tempo fiorenti attività commerciali di Velia, la città venne lentamente abbandonata dagli armatori e dai sapienti medici locali a cui le alluvioni avevano sottratto le terme e gli ambienti di lavoro, coperti dal fango. Nell’VIII sec. d.C. le acque alluvionali seppellirono col fango e coi detriti il quartiere meridionale  e l’edificio, presentante i caratteri di una basilica paleo-cristiana, nella quale si vuole fossero stati conservati i resti di Matteo Evangelista. Gli abitanti furono costretti a trovare sistemazione sull’acropoli e, successivamente all’occupazione Longobarda, la Velia di Parmenide si avviò a finire.

Ma non può spegnersi invece il ricordo di quanto significhi, per noi meridionali in particolare la storia di questo passato illustre di filosofia, scienza, arte e cultura, compendiamolo con il ricordo di Parmenide da Elea, da molti considerato il fondatore della scuola Eleatica. Dei suoi scritti sono rimasti solo alcuni frammenti del poema in esametri Sulla natura, ma resta il fondamento del suo pensiero:- solo l'"essere" è, esiste ed è pensabile, mentre non è pensabile la non esistenza dell'essere o l'esistenza del non-essere; questo, in quanto ciò che non è, non esiste e perciò non è pensabile. Dell'essere Egli asseriva che esso è imperituro, atemporale, intero, continuo, indivisibile, unico, immobile e sferico. L'essere, in quanto immutabile, per Parmenide non si conosce per mezzo dell'esperienza sensibile, mutevole per definizione, ma grazie alla ragione.                                                                                          Parmenide ci spinge dunque a non restare bloccati nel “tangibile”, ma ad usare “la ragione” a spingere la logica e l’intuizione oltre il visibile, a far volare veloce la navicella spaziale dell’ingegno umano nell’universo, per esplorare con la mente territori che, al momento, nessun uomo può raggiungere con i mezzi che la scienza mette a disposizione. La storia della civiltà insegna all’uomo insegna che i grandi pensatori del passato, con la ragione e l’intuizione, hanno varcato i cieli del visibile, descrivendo cose di cui soltantosecoli dopo la piccola e frammentaria scienza umana ha potuto dimostrare l’esistenza. Oggi la filosofia e la scienza camminano vicine e la cultura continua a rappresentare il faro di luce nelle tenebre dell’ignoranza, dell’indifferenza, della brutalità, della sopraffazione...

 Bianca Fasano

 
 
 

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