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le nostre celebrazioni bruniane. Tommaso d'Aquino e Bruno.Alcuni versi dal De Immenso

Post n°543 pubblicato il 27 Gennaio 2012 da giuliosforza

Post 520

 

S’avvicina il CDXII anniversario della morte violenta di Giordano Bruno ed anche noi (io, il mio gruppo di Vivarium e Metanoesi ed i nostri simpatizzanti) ci apprestiamo a celebrarlo, in maniera sempre meno polemica ma sempre più intensa, insistendo non tanto sulle questioni che appassionano i brunisti, quanto su ciò che interessa al bruniano: come dopo Bruno sia mutata la visione del mondo, come dopo di lui sia cambiata la vita, chi sia un autentico bruniano, come esso sia chiamato a pensare e a vivere…: di questo diremo e canteremo, con l’entusiasmo e la gioia di sempre, a Tivoli, Palestrina, Nola. Presto pubblicherò le date precise delle manifestazioni perché i fan(s)atici bruniani possano regolarsi per tempo.

*

Come tutti sanno, uno dei sette, o nove, capi d’accusa fondamentali (oltre quello  dell’affermazione della infinità dei mondi) che il gesuita Bellarmino (fino a lui solo ai domenicani -Domini canes!- era riservato l’onore di far parte della commissione inquisitoria) formulò contro il Nolano, fu la negazione del dogma della transustanziazione, vale a dire della reale mutazione della sostanza vino e della sostanza pane, al momento della consacrazione da parte del sacerdote, in quelle di sangue e carne di Cristo. Come per ogni persona di buon senso, per Bruno le parole di Gesù nell’ultima cena avevano solo un grande valore simbolico. Conosciamo le …argomentazioni (più arzigogoli fideistici, per la verità) contrarie, quelle dalla Chiesa ritenute ortodosse, che naturalmente non ci convincono. Ma ora io leggo con mia sorpresa e, confesso, con vero piacere (all’epoca dei miei studi teologici che mi avrebbero svegliato, sì, proprio essi, dal sonno dogmatico, mi era totalmente sfuggito) in  Ingrid D. Rowland, Un fuoco sulla terra, vita di Giordano Bruno, che anche l’Aquinate avrebbe espresso la stessa opinione del suo sventurato confratello d’abito (che come lui e più di lui sarebbe diventato famoso e che - ora me ne spiego il motivo - avrebbe nutrito per Tommaso gran rispetto, quasi non fosse stato il capostipite di quegli aristotelici da lui irrisi e messi alla berlina) sostenendo “ che il corpo di Cristo esisteva nell’ostia signis tamen et non rebus” (come simbolo, e non realmente)”.

La fonte precisa della citazione non viene riferita dalla Rowland, come non viene accennato alla probabile congerie, da parte dei tomisti ufficiali, di interpretazioni diverse, di manipolazioni più o meno sofistiche, tendenti a farle significare ciò che non significa, ma a me non cale più di tanto, ed essa mi basta e avanza per spingermi a riconciliarmi con l’obeso Genio di Roccasecca.

 

*

Per chi ama la poesia latina, riporto alcuni perfetti esametri bruniani, sublime  “poesia pensante”, tratti dal De immenso e citati dalla Rowland, che non temono il  raffronto col Lucrezio del De rerum natura e col Virgilio del VI Libro dell’Eneide, in cui l’Autore si immagina trasvolante per gli spazi eterei dell’universo, senza più la paura della morte e di qualsiasi altro male. Una traduzione letterale (ma di questo l’americana non s’accorge) dell’ultima strofa del famoso sonetto del De infinito universo e mondi (che è del 1584, mentre il De innumerabilibus, Immenso et in figurabili è del 1591), da me più volte citato, che rappresenta la sintesi di tutto il suo “eroico furore” e dei suoi invasamento e attonimento panici (ma anche  della sua sfida, forza di quel m’ergo!, all’infinito) :

…………………………………….

Ma fendo i cieli e a l'infinito m'ergo.
E mentre dal mio globo agli altri sorgo,
E per l'eterio campo oltre penètro,
Quel che altri lungi vede, lascio al tergo.

 

Identico è il sentimento espresso  negli esametri del De immenso:

 

Quapropter dum tutus iter sic carpo, beata

Conditione satis studio sublimis avito

Reddor Dux, Lex, Lux, Vates, Pater, Autor, Iterque;

Atque alios mundo ex isto dum adsurgo nitentes,

Aethereum campumque ex omni  parte pererro,

Attonitis mirum et distans post terga relinquo

 

(per cui mentre sicuro e felice prendo il volo sospinto da un innato  desiderio,  mi sento insieme Guida, Legge, Luce, Vate, Padre, Autore e Via; e mentre mi sollevo da questo mondo ad altri mondi rilucenti, ed esploro in ogni sua parte l’etere campo, mi lascio dietro le spalle, remoto, lo stupore degli attoniti).

 

Quanto meschine devono apparire da cotali altezze le umane beghe e gli umani vani affaccendarsi!

Il bruniano autentico è colui che accetta la sfida per il folle volo.

 

Chàirete Dàimones!

 
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